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sezione I civile; sentenza 3 gennaio 1996, n. 12; Pres. F. E. Rossi, Est. Catalano, P.M. Lugaro(concl. diff.); Banco Ambrosiano Veneto (Avv. Casellati, Mesiano) c. Fall. soc. Snichelotto (Avv.Ivancich). Conferma App. Venezia 22 giugno 1992Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 2 (FEBBRAIO 1996), pp. 529/530-533/534Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190161 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con atto notificato F8 giugno 1983 la Gran Prix s.r.l. conveniva in giudizio, dinanzi al Preto
re di Verona, la Parma Fashion s.r.l. chiedendo che, presentan do alcuni capi di abbigliamento presso la predetta società vizi, difetti e difformità nella confezione, venisse dichiarato risolto
per fatto e colpa della convenuta il contratto di compravendita ad essi relativo.
La Parma Fashion s.r.l. contestava nel merito la fondatezza
della domanda avversaria chiedendone il rigetto ed instando, in riconvenzionale, per la condanna di parte attrice, al paga
mento, in suo favore, della somma di lire 2.190.000 con rivalu
tazone monetaria ed interessi legali. Con sentenza del 9 ottobre 1989 il pretore respingeva la do
manda attrice ed in accoglimento della riconvenzionale condan
nava la Gran Prix s.r.l. al pagamento della somma richiesta
da controparte con interessi e spese.
Proposto gravame dalla soccombente, il Tribunale di Vero
na, con sentenza 24 marzo - 25 giugno 1992 dichiarava risolto
per fatto e colpa della venditrice il contratto di compravendita relativo agli abiti viziati o difettosi affermando conseguentemente che la Grand Prix s.r.l. non era tenuta a versare alla contropar te il relativo prezzo e condannava la Parma Fashion s.r.l. cui
era subentrata nelle more del giudizio la Filippo Alpi s.p.a., alle spese del doppio grado.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la
s.p.a. Filippo Alpi sulla base di quattro motivi. Resiste con con
troricorso la Gran Prix s.r.l.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo del ricorso
si denunzia, in riferimento all'art. 360, n. 3, c.p.c., violazione
e falsa applicazione degli art. 1495 e 1511 c.c.
Contesta la ricorrente società la tesi del tribunale secondo
cui nella fattispecie contemplata dall'art. 1511 c.c. il vizio della
cosa venduta, per essere apparente, deve essere visibile al mo
mento del ricevimento della stessa tal che non avrebbe tale ca
ratteristica se la merce si trova in una scatola non trasparente,
confezionata per la spedizione.
Implicando la riconoscibilità del vizio anche un dovere di di
ligenza, sostiene la s.p.a. Filippo Alpi che il compratore ha l'ob
bligo di verificare la merce appena l'abbia ricevuta e questa
sia nella sua disponibilità. Errata, quindi, a suo avviso è la sta
tuizione del tribunale che, sul presupposto che il difetto, a cau
sa della non trasparenza della scatola che conteneva la merce, fosse un vizio occulto, ha fatto decorrere il termine per la de
nuncia dei vizi dal momento in cui i commessi hanno aperto
i pacchi (circa quindici giorni, secondo il teste Di Muro, e circa una settimana dopo il ricevimento secondo il teste Menghini)
con la conseguente affermazione della tempestività della denun
zia medesima. La doglianza va accolta. Ha osservato il tribunale che incom
be al compratore, il quale agisca per la garanzia di cui all'art.
1495 c.c., l'onere di provare la tempestiva denuncia dei difetti
entro otto giorni dalla scoperta «salvo il diverso termine stabili
to dalle parti o dalla legge», la quale, all'art. 1511 detta: «nella
vendita di cose da trasportare da un luogo all'altro, il termine
per la denunzia dei vizi e dei difetti di qualità apparenti decorre
dal giorno del ricevimento».
Ciò premesso, ha ritenuto quel giudice che — non essendo
possibile considerare apparenti vizi o difetti esistenti su cose
non visionabili in quanto imballate (gli abiti in questione erano
stati pacificamente consegnati in un imballaggio presumibilmente non trasparente perché nessuno aveva mai affermato o fatto
intendere il contrario) — la Gran Prix s.r.l. avesse assolto l'o
nere probatorio che le incombeva avendo senz'altro provato la
tempestività della denuncia dei vizi medesimi, inviata all'indo mani della loro scoperta.
Ritiene però questa corte regolatrice, conformemente ai rilie
vi mossi dalla società ricorrente, che i giudici di secondo grado
non abbiano valutato che l'art. 1511 c.c., facendo decorrere
il termine per la denuncia dei vizi e dei difetti di qualità appa renti, nella vendita di cose da trasportare da un luogo all'altro,
Roma, 1981; C. Granelli, in Nuova giur. civ., 1985, I, 349; G. Mira
belli, La vendita, il riporto, la permuta, il contratto estimatorio, Tori
no, 1988, estratto, 118, 156; A. Luminoso, La compravendita (corso
di diritto civile), Torino, 1991, 125; F. Galgano, Vendita (diritto priva
to), voce dell 'Enciclopedia del diritto, Milano, 1993, XLVI, 494, nota 48.
Il Foro Italiano — 1996.
dal giorno del ricevimento, impone al compratore un onere di
diligenza consistente nel dovere di esame della cosa comperata
(da quel giorno entrata nella sua disponibilità) per rilevare vizi
o difetti apparenti (Cass. 2747/82, Foro it., Rep. 1982, voce Vendita, n. 60; vedi anche Cass. 9008/93, id., Rep. 1993, voce cit., n. 86).
In sostanza, poiché la ratio della norma in esame consiste
nel non lasciare incerta la sorte del contratto e non già nel dare
anche la dimostrazione dei vizi, necessaria soltanto più tardi,
allorché la contestazione sia insorta, il termine de quo decorre
dal giorno in cui il compratore è stato in grado di esaminare
la merce, vale a dire dal giorno in cui questa è stata posta nella
sua disponibilità mediante la consegna. Ne consegue che l'impugnata decisione, che obliterando il ri
chiamato obbligo di diligenza ha procrastinato il dies a quo della denunzia dei vizi alla effettiva scoperta degli stessi lascian
do alla discrezionalità del compratore la scelta del tempo di
esame della cosa compravenduta in ipotesi di merce non diret
tamente visionabile in quanto imballata, va sul punto cassata
spettando al giudice del rinvio, che si designa in altra sezione
del Tribunale di Verona, il riesame delle risultanze probatorie alla luce dei sopra enunciati principi, mentre restano assorbiti
gli altri tre motivi di ricorso concernenti l'onere della prova
circa la tempestiva denuncia dei vizi, la valutazione della gravi tà degli stessi, la violazione dell'art. 1492 c.c.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 3 gennaio
1996, n. 12; Pres. F. E. Rossi, Est. Catalano, P.M. Lugaro
(conci, diff.); Banco Ambrosiano Veneto (Avv. Casellati,
Mesiano) c. Fall. soc. Snichelotto (Aw. Ivancich). Confer
ma App. Venezia 22 giugno 1992.
Fallimento — Azione revocatoria — Rimesse su conto corrente — Conto affidato — Sconfinamento — Versamenti di titoli
— Determinazione del saldo di riferimento — Saldo per valu
ta (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art.
67).
Nella revocatoria fallimentare di rimesse su conto corrente ban
cario affidato, per accertare la natura solutoria dei versamen
ti effettuati oltre i limiti dell'affidamento, occorre avere ri
guardo al saldo disponibile che può ritenersi coincidente con
il saldo per valuta qualora nel periodo sospetto emergano sol
tanto operazioni di rimesse di titoli all'ordine o di carte com
merciali, salva la facoltà per la banca di dimostrare l'anterio
rità del pagamento del terzo rispetto alla valuta. (1)
Svolgimento del processo. — Il curatore del fallimento della
s.a.s. f.lli Snichelotto convenne innanzi il Tribunale di Venezia
(1) I giudici di legittimità inaugurano il 1996 sotto i migliori auspici, visto che in una materia cosi drammaticamente fluttuante quale è stata
per anni quella della revocatoria delle rimesse bancarie, viene ribadita
la tendenza espressa chiaramente da Cass. 22 marzo 1994, n. 2744, Fo
ro it., 1994, I, 2744, con nota di richiami, di privilegiare il saldo dispo nibile quale più corretto saldo di riferimento al fine di individuare eve
tuali sconfinamenti di un conto corrente bancario, fatta salva la già nota precisazione per cui in presenza di certe operazioni il saldo dispo
nibile deve presumersi coincidente con quello per valuta. La tendenza
già parzialmente manifestata da Cass. 28 gennaio 1994, n. 866 (id.,
Rep. 1994, voce Contratti bancari, nn. 31, 51) è stata poi espressamente
ripresa da Cass. 15 novembre 1994, n. 9591, ibid., voce Fallimento,
n. 448 e 17 dicembre 1994, n. 10869, ibid., n. 445.
In dottrina, in senso adesivo, M. Arato, L'individuazione del «saldo
disponibile» nella giurisprudenza della Cassazione in materia di revoca
toria fallimentare delle rimesse di conto corrente, in Giur. comm., 1995,
II, 338; Gio. Tarzia, Criteri d'individuazione del «saldo disponibile»
del conto corrente, in Fallimento, 1994, 736.
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PARTE PRIMA
la Banca Cattolica del Veneto esponendo che la società, nell'an
no precedente la dichiarazione di fallimento, aveva intrattenuto
con l'istituto di credito, un rapporto di conto corrente di corri
spondenza; che il conto, pur non essendo assistito da fido, ave
va presentato quasi costantemente un saldo debitore per cui gran
parte delle rimesse eseguite dalla società avevano assunto natu
ra solutoria; che dal contratto intrattenuto erano emerse le ano
male condizioni di esercizio dell'attività dell'impresa il cui stato
di insolvenza era, conseguentemente, conosciuto dalla convenuta.
Tanto premesso, l'istante chiese che i detti versamenti fossero
dichiarati inefficaci, ai sensi dell'art. 67, 2° comma, 1. fall. Costituitosi il contraddittorio, il tribunale, in esito all'esple
tamento di una consulenza tecnica, pronunciò sentenza non de
finitiva con la quale dichiarò che erano passibili dell'azione re
vocatoria i pagamenti conseguiti dalla banca in riferimento ai
crediti derivanti da singoli finanziamenti e da libere anticipazio
ni, pervenendo a tale conclusione sulla base delle seguenti argo mentazioni.
Secondo i costanti principi affermati dalla dottrina e dalla
giurisprudenza, nell'ambito delle operazioni di credito intratte
nute con la banca bisogna distinguere tra versamenti in conto
corrente bancario e versamenti in conto corrente ordinario. Nei
primi, la trasmissione di titoli ha luogo in funzione di un man
dato con il quale l'istituto realizza il credito in esso portato e ne accredita l'importo sul conto del cliente, sicché, la clausola
«salvo incasso» ha effetto sospensivo dell'accreditamento ed il
correntista non acquista la disponibilità della somma se non
dopo che il titolo sia stato pagato. Nei secondi, invece, il titolo
viene trasferito in proprietà e la clausola innanzi indicata ha
funzione risolutiva dell'acquisto. Nella specie, la banca Cattolica, nonostante la previsione del
l'importo dei titoli accreditati in conto era differita al momento
successivo all'incasso, tollerò l'utilizzazione da parte del corren
tista di somme non ancora disponibili e tale circostanza, consi
derato altresì' che il conto non era neppure «affidato», compor tava che alle rimesse eseguite dal correntista dovesse essere ri consociuta natura solutoria, trattandosi di versamenti realizzati
per estinguere crediti unilateralmente ed episodicamente accor
dati alla società in occasione della consegna dei titoli e del con
ferimento del mandato per la riscossione.
Peraltro, la necessità di acclarare la causale delle singole ope razioni nel periodo al quale si riferiva la pretesa della curatela, allo scopo di distinguere i versamenti e le correlative disponibi lità finanziarie, postergate unicamente per i noti ritardi di attri
buzione della valuta bancaria, dalle altre disponibilità originate da vere e proprie anticipazioni di fondi elargiti dalla banca, imponeva di pronunciare sentenza non definitiva e disporre con
separata ordinanza per le ulteriori incombenze.
Sull'appello proposto dalla Banca Cattolica, cosi si è pronun ciata la corte territoriale con la decisione oggetto del ricorso in questa sede.
I motivi di gravame con i quali l'appellante aveva dedotto
l'inammissibilità della consulenza tecnica, la nullità della mede
sima, la mancanza di prove in ordine al presupposto oggettivo del fallimento, non potevano avere ingresso trattandosi di que stioni non affrontate dal giudice di primo grado in sede di pro nuncia non definitiva e per le quali il giudice di secondo grado non era competente a decidere.
Le doglianze concernenti i principi enunciati dal tribunale sulle
questioni oggetto della controversia erano da respingere, trat tandosi di enunciazioni coerenti con le regole fondamentali che
disciplinano la materia. Ricorre per cassazione il Banco Ambrosiano Veneto s.p.a.,
incorporante della Banca Cattolica del Veneto, sulla base di ot
to motivi. Resiste con controricorso il curatore del fallimento
della f.lli Snichelotto s.n.c. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione. — (Omissis). Con le successive do glianze l'istituto di credito sottopone a critica le conclusioni cui
la corte veneta è pervenuta in ordine ai profili giuridici delle
tematiche oggetto della causa, ed articola le proprie censure nel
modo che segue. Sussiste la violazione degli art. 67 1. fall., 1713, 1842, 1843,
1852, 1856, 1266, 1267, 4 delle norme bancarie uniformi in rife rimento all'affermazione secondo cui le rimesse in conto cor
rente scoperto e non assistito da apertura di credito costituisco
II Foro Italiano — 1996.
no pagamento di debiti liquidi ed esigibili, assoggettabili alla revocatoria fallimentare. E la sentenza impugnata è affetta da
grave contraddizione laddove viene statuito, per un verso, che
la copertura o la scopertura del conto va accertata sulla base
dei saldi per valuta, i quali segnano l'effettiva variazione del
conto medesimo nel rapporto fra la banca ed il correntista, per altro verso, che il controvalore dei titoli negoziati non è dispo nibile prima che la banca non ne abbia effettuato l'incasso (ter zo e quarto motivo).
La corte non ha motivato se la banca, dopo avere incassato
i titoli accreditati nel conto, possa ancora essere considerata
creditrice verso il cliente che sia stato autorizzato ad utilizzarne
immediatamente il controvalore; né ha considerato che, per ef
fetto dell'abitualità delle operazioni intercorse, si è costituito,
per fatti concludenti, un contratto di conto corrente assistito, ravvisando il vizio di omessa motivazione su di un punto decisi
vo (quinto, sesto e settimo motivo). Il diritto della banca di ottenere la restituzione della somma
utilizzata dal correntista non configura un diritto di credito, e da ciò consegue che le rimesse effettuate da quest'ultimo non
potrebbero avere effetti solutori, stante l'insussistenza del credi
to a copertura del quale dovrebbero essere imputate (ottavo
motivo). In ordine alle censure cosi riassunte, e che vanno congiunta
mente esaminate in quanto fra loro connesse, mette conto di
rilevare quanto segue. In tema di revocatoria fallimentare effettuate sul conto cor
rente bancario nel periodo sospetto, i principi giurisprudenziali cui questa corte reputa doversi uniformare avuto riguardo alla
fondatezza delle ragioni che li sorreggono, possono cosi rias sumersi.
Le rimesse effettuate dall'imprenditore poi fallito (o da un
terzo), sul proprio conto corrente nel periodo «sospetto» di cui
all'art. 67, 2° comma, 1. fall., sono suscettibili di revocatoria
soltanto se, all'atto della rimessa, il conto risulti «scoperto»
(intendendosi per tale sia il conto non assistito da apertura di credito che presenti un saldo passivo, sia il conto scoperto a
seguito di sconfinamento del fido convenzionalmente accordato
al correntista). In tal caso, infatti, la rimessa ha funzione «solu
toria» (lesiva della par condicio creditorum) e non meramente
ripristinatoria della provvista, e l'accertamento circa la «coper tura» o meno del conto va fatto con riferimento al «saldo di
sponibile», da determinarsi in ragione delle epoche di effettiva
esecuzione, da parte della banca, degli incassi e delle erogazio
ni, non già con riferimento esclusivo «al saldo contabile», che
riflette la registrazione delle operazioni in ordine puramente cro
nologico; né al «saldo per valuta», che è effetto del posiziona mento delle partite unicamente in base alla data di maturazione
degli interessi. Tuttavia, quando nel periodo sospetto emergono soltanto operazioni di rimesse di titoli all'ordine o di carte com
merciali, può legittimamente presumersi la coincidenza del sal
do disponibile con quello per valuta, salva la prova da parte della banca dell'anteriorità del pagamento del terzo rispetto alla
valuta (per tutte: Cass. 15 novembre 1994, n. 9591, Foro it., Rep. 1994, voce Fallimento, n. 448).
Nella specie il giudice del merito ha fatto puntuale applica zione di questi principi per contrastare i quali l'istituto di credi
to non prospetta argomenti nuovi o diversi da quelli già disatte
si dalla citata giurisprudenza. Non sussistono, poi, le ulteriori
violazioni di legge dedotti, ed al riguardo è sufficiente rilevare:
a) che il giudice del merito ha tenuto conto delle norme banca
rie uniformi; b) che il punto concernente la mancanza del fido
non ha formato oggetto di impugnazione in appello e che, ana
logamente, del tutto nuova si palesa la questione concernente
la sua formazione per fatti concludenti; c) che non è ravvisabile il vizio di motivazione, conclamato in relazione a tutti i motivi del ricorso poiché, come è pacifico, siffatta denuncia, secondo il costante orientamento di questa corte, ha un obiettivo limita
to, che si coordina con il giudizio di legittimità proprio della Corte di cassazione, e tende soltanto al controllo di legalità sul modo e sui mezzi adoperati dal giudice del merito nel motivare la sua decisione affinché si accerti se questa sia coerente nella
esposizione delle ragioni e delle fonti di convincimento, tanto da rendere possibile la verifica ed il riscontro del processo logi co seguito. Ma, poiché il sindacato consentito dall'art. 360, n.
5, c.p.c. riguarda esclusivamente la legittimità e non può essere
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
diretto ad un riesame delle risultanze probatorie, in quanto il
potere discrezionale del giudice del merito trova, al riguardo, unicamente il limite dell'obbligo di indicare le fonti del proprio convincimento, ne consegue che si è del tutto al di fuori del
vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione quan
do, come nella specie, la proposta doglianza, pur formalmente rivolta a prospettare un difetto nel ragionamento del giudice, si traduce in una generica critica del provvedimento in quanto non conforme alle aspettative della ricorrente.
Per quanto si è esposto, si impone il rigetto del ricorso.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 22 di cembre 1995, n. 13069; Pres. Verde, Est. Calfapietra, P.M.
Maccarone (conci, diff.); Soc. Maino (Avv. De Micco) c.
Castellone ed altri (Avv. Ciaramella). Cassa App. Napoli 25 gennaio 1994.
Proprietà — Immissioni — Azione inibitoria — Titolare di di ritto personale di godimento — Legittimazione attiva — Li
miti (Cod. civ., art. 844, 1585). Proprietà — Immissioni — Azione inibitoria — Legittimazione
passiva del non proprietario — Esclusione — Fattispecie (Cod.
civ., art. 844).
Il titolare di un diritto personale di godimento, al quale pure non è preclusa in astratto l'esperibilità dell'azione inibitoria
delle immissioni, non è legittimato a richiedere la cessazione
delle immissioni comportante la modificazione sostanziale della
conformazione dell'immobile da cui le stesse si propagano, con conseguente diretta incidenza sull'oggetto e sull'essenza
del diritto immobiliare del vicino, idonea a fare stato anche
nei confronti dei proprietari futuri, ossia di soggetti diversi
dagli attuali contendenti. (1) Deve reputarsi privo di legittimazione passiva il soggetto che,
non essendo il proprietario del bene da cui provengono le
immissioni, non sia abilitato all'effettuazione delle modifiche rese necessarie dall'eventuale accoglimento dell'azione inibi
toria delle immissioni (nella specie, la corte ha concluso per il difetto di legittimazione passiva di società chiamata dagli attori all'effettuazione di opere durature su strada di altrui
proprietà onde evitare la sollevazione di grandi quantità di
polvere all'atto del passaggio degli autocarri di sua per
tinenza). (2)
(1-2) I. - La prima massima affronta il delicato problema della confi
gurabilità, e dei limiti, della legittimazione attiva all'esercizio dell'azio ne inibitoria delle immissioni in capo, oltre che al proprietario ed al
titolare di diritto reale di godimento, al titolare di diritto personale di
godimento sull'immobile. Nell'optare per la soluzione estensiva circa
Van di detta legittimazione, la corte di legittimità non si discosta da
Cass. 11 novembre 1992, n. 12133, Foro it., 1994, I, 205, con nota
di G. Lener, Immissioni intollerabili ed azione inibitoria ex art. 844
c.c.: natura, legittimazione attiva e rapporti con I '«actio negatoria». La tutela del promissario acquirente nel preliminare c.d. ad effetti anti
cipati, la quale aveva individuato il puntello normativo per la tutela
del titolare del diritto personale di godimento nell'art. 1585, cpv., c.c.
(a guisa del quale il conduttore ha la facoltà di agire in nome proprio contro i terzi che, senza pretendere di avere diritti sulla cosa locata, arrecano molestie che ne diminuiscono l'uso o il godimento), da colle
gare, in via analogica, ove la res sia un fondo, con i criteri dettati dall'art. 844 c.c., stante l'indubbia qualificabilità come molestie delle
immissioni di fumo, di polvere, di calore, degli scuotimenti et similia.
Segnatamente, la pronunzia in epigrafe, prendendo le mosse dalla con
siderazione che oggetto della tutela normativa offerta dall'art. 844 c.c.
è il «godimento» di un fondo, puntualizza che l'effettività di detto go dimento va garantita anche al portatore di un diritto personale (ad es.
il conduttore), con il riconoscimento della sua legittimazione ad agire
Il Foro Italiano — 1996.
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
F8 maggio 1986, Gennaro Castellone, Ciro Castellone, Giulia
no Di Maro, Raffaele Porcelli e Luigi Moio, coltivatori di fon
di rustici in agro di Giuliano, convennero in giudizio, davanti
al Tribunale di Napoli, la s.n.c. Illiano & C. di Gennaro Illia no, proprietaria di una strada interpoderale contigua ai predetti terreni, e dichiararono che la convenuta effettuava su di essa
continui passaggi di autocarri pesanti carichi di materiale poz zolanico prelevato da una cava sita nei pressi e destinato alla
sua fabbrica di cemento; poiché la grande quantità di polvere sollevata durante ciascun passaggio aveva danneggiato le loro
colture, col predetto atto chiesero che alla società convenuta
fosse vietato il transito ed ordinata la chiusura della cava e del
la fabbrica, o, alternativamente, che essa fosse condannata ad
contro le immissioni, per via dell'integrazione analogica, vista l'identità
della ragione di tutela, del cit. art. 1585, cpv., con l'art. 844, in punto di normale tollerabilità, contemperamento delle esigenze della produ zione con quelle della proprietà, nonché di priorità dell'uso. In sintonia con tali coordinate ermeneutiche si è posta di recente Cass. 21 febbraio
1994, n. 1653, id., Rep. 1994, voce Proprietà, n. 33, la quale ha osser vato che l'azione spiccata in virtù di tale estensione analogica dei confi ni dell'art. 844 smarrisce la sua struttura fisiologicamente reale (ribadi ta, da ultimo, da Cass. 4 agosto 1995, n. 8602, id., Mass., 963) per assumere natura personale, con correlativo assoggettamento alle regole cristallizzate, in materia di competenza, dall'art. 14 c.p.c., piuttosto che a quelle dettate dall'art. 15 del codice di rito civile. In questo senso, in dottrina, ex plurimis, G. C. D'Angelo, L'art. 844 c.c. e il diritto alla salute, in Tutela della salute e diritto privato a cura di F.D. Busneili
U. Breccia, Milano 1978, 435 ss.; D. Campanaro, La tutela giurisdi zionale civile degli interessi diffusi, in Percorsi monografici di diritto amministrativo e degli enti locali, Napoli, 1995, 113 ss.
Anche per quel che attiene ai limiti posti alla legittimazione attiva, ex art. 1585, 844 c.c., del titolare di diritto personale di godimento, la corte, con la sentenza surriportata, recepisce le direttive impartite con il precedente del 1992. Incontestabile essendo l'assimilabilità dell'a zione esperita dal titolare del diritto di proprietà (o di altro diritto reale
di godimento) a quella intentata dal titolare di diritto personale sul du
plice versante della «casistica molestatoria» e del criterio della normali
tà dell'uso, emerge un netto criterio discretivo per quel che afferisce
al «modo nel quale, ove sia superata la soglia della normale tollerabili
tà, debbano contemperarsi le esigenze della produzione con le ragioni,
rispettivamente, dell'una o dell'altra situazione attiva». Infatti, qualora tale contemperamento «implichi l'adozione di accorgimenti tecnici com
portanti la modificazione delle strutture dell'immobile da cui le propa gazioni derivano, in misura tale da incidere sull'essenza stessa del dirit
to», è evidente che il titolare di un diritto personale di godimento non
ha sufficiente legittimazione, alla luce del carattere per l'appunto perso nale dell'azione esperita. Cass. 12133/92 si è al riguardo spinta a con
sentire la prosecuzione delle immissioni intollerabili, salvo il diritto del
la vittima di turno all'indennizzo, commisurato alla temporaneità del
l'uso. Viene quindi in rilievo una vera e propria valenza dicotomica dell'azione di cui all'art. 844 c.c.: azione reale, inquadrabile nel para
digma dell 'actio negatoria servitutis, con conseguente legittimazione at
tiva dei soli titolari di diritti reali di godimento, ove l'attore intenda
chiedere una definitiva modificazione dell'attuale assetto del fondo vici
no e, più in generale, risultati irreversibili, destinati ad operare anche
nei riguardi dei proprietari futuri; azione personale, e quindi, esercita bile anche dal titolare di mero diritto personale, ove l'attore non miri ad obiettivi di carattere permanente e definitivo. Cfr. Cass. 6 aprile 1983, n. 2396, Foro it., Rep. 1983, voce cit., nn. 31, 32; Trib. Milano
7 aprile 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 24.
II. - Con la seconda massima la corte affronta la vexata quaestio, strettamente conseguenziale, del coordinamento tra legittimazione pas siva del detentore e posizione del proprietario. Trasponendo le coordi
nate ermenutiche fissate in tema di legittimazione attiva, i giudici di
legittimità hanno tradizionalmente reputato che il legittimato passivo coincide con il mero detentore del fondo dal quale provengono le im
missioni «incriminate», qualora l'attore richieda la semplice cessazione
dell'attività dannosa ovvero la riduzione della medesima nei limiti della
normale tollerabilità. Per converso, legittimato in senso passivo non
può che essere il dominus qualora la domanda attorea sia funzionale
al perseguimento di un effetto reale, «come avviene allorché si intenda far valere la responsabilità del proprietario per non aver preteso dal
detentore dell'immobile l'osservanza dei limiti di tolleranza concreta
mente accertati, oppure evitare che la concreta esecuzione della senten
za ottenuta nei confronti del detentore possa essere poi ostacolata dal
proprietario dell'immobile o, ancora, eseguire determinate opere neces
sarie all'eliminazione delle immissioni» (Cass. 25 maggio 1973, n. 1544,
id., Rep. 1973, voce cit., n. 42; in conformità Cass. 21 luglio 1969, n. 2711, id., 1970, I, 862, e Riv. giur. edilizia, 1970, I, 16, con nota
di Favara, Ancora sulla legittimazione passiva nell'azione per immis
sioni; 18 febbraio 1977, n. 740, Foro it., 1977, I, 1144, con nota critica
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