sezione I civile; sentenza 3 novembre 1998, n. 10979; Pres. R. Sgroi, Est. A. Finocchiaro, P.M.Nardi (concl. parz. diff.); Conservatoria registri immobiliari di Pavia c. Credito italiano.Conferma Comm. trib. II grado Pavia 23 settembre 1989Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 3 (MARZO 1999), pp. 889/890-893/894Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194197 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
«significativa integrazione del trattamento di fine rapporto» (cfr. sentenza impugnata).
Tali criteri, in virtù dell'espressa previsione dell'art. 5, 1° com
ma, nonché in base alla giurisprudenza della Corte costituzio
nale (sentenza 30 giugno 1994, n. 268, id., 1994, I, 2307) non
solo prevalgono rispetto a quelli (residuali) indicati dalla stessa
norma (in quanto non irragionevoli, né per altro verso conte
stati dalle parti in causa, né essendo contrari a principi costitu
zionali o a norme imperative di legge, né essendo contrari al
principio di non discriminazione sanzionato dall'art. 15 dello
statuto dei lavoratori), ma vincolano le parti individuali, e, quin
di, anche gli stessi lavoratori ricorrenti, prescindendo dalla loro
appartenenza all'organizzazione sindacale stipulante (del resto — come nella specie ha accertato il giudice di merito — che
i medesimi vi hanno tacitamente aderito, accettando le provvi denze in esso previste a loro favore), sicché anche sul punto la doglianza espressa nel ricorso non merita accoglimento.
Per le ragioni sin qui esposte, anche sotto gli ultimi profili
esaminati, la sentenza impugnata resta immune dalle censure
rivolte dai ricorrenti.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 3 novem
bre 1998, n. 10979; Pres. R. Sgroi, Est. A. Finocchiaro, P.M. Nardi (conci, parz. diff.); Conservatoria registri immo
biliari di Pavia c. Credito italiano. Conferma Comm. trib.
II grado Pavia 23 settembre 1989.
Tributi in genere — Nuovo contenzioso tributario — Disciplina transitoria — Ricorso alla commissione tributaria centrale —
Conversione in ricorso per cassazione — Disciplina (D.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, disposizioni sul processo tributario
in attuazione della delega al governo contenuta nell'art. 30
1. 30 dicembre 1991 n. 413, art. 75).
La conversione del ricorso alla Commissione tributaria centrale
in ricorso per cassazione — prevista dall'art. 75, 3 0 comma,
d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546 — avviene ope legis e discende
automaticamente dalla richiesta di esame avanzata dalla par
te, senza che sia necessario il compimento di ulteriori atti che
valgano ad introdurre un vero e proprio ricorso di legit timità. (1)
L'istanza di conversione in ricorso per cassazione del ricorso
alla Commissione tributaria centrale — prevista dall'art. 75, 3° comma, d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546 — deve essere
presentata a quest'ultimo giudice e non già direttamente alla
Corte di cassazione. (2) Ai fini della conversione del ricorso alla Commissione tributa
ria centrale in ricorso per cassazione — prevista dall'art. 75,
3° comma, d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546 — non è necessa
rio il consenso di parti diverse dal ricorrente. (3) La richiesta ex art. 75, 3° comma, d.leg. 31 dicembre 1992 n.
546, di esame da parte della Corte di cassazione del ricorso
proposto innanzi alla Commissione tributaria centrale può es
sere presentata con atto sottoscritto dalla parte personalmen
te o dal suo precedente difensore, se nominato. (4)
(1-4) La motivazione della sentenza (che trova un precedente in ter
mini in Cass. 25 settembre 1998, n. 9612, Foro it., Mass., 993) ricalca,
quasi alla lettera, l'opinione espressa in sede dottrinale dal suo estenso
re (cfr. A. Finocchiaro-M. Finocchiaro, Commentario al nuovo con
tenzioso tributario, Milano, 1996, 967 ss.). Nel senso che l'istanza di conversione del ricorso alla Commissione
tributaria centrale in ricorso per cassazione ex art. 75, 3° comma, d.leg. 546/92 dovesse essere presentata alla medesima commissione e non già direttamente alla Suprema corte, v. T. Baglione-S. Menchini-M. Mic
II Foro Italiano — 1999.
Svolgimento del processo. — La filiale di Pavia del Credito
italiano, con atto per notaio Lupo, registrato a Stradella il 7
agosto 1985 al n. 2009/69, concedeva alla società Magnani e
Modignani di Magnani Angelo & C. s.n.c. un finanziamento
di lire 24.000.000, ai sensi della 1. 25 luglio 1952 n. 949, a ga ranzia del quale veniva iscritta ipoteca convenzionale su alcuni
beni immobili del debitore, annotata sugli effetti cambiari, per la somma di lire 36.000.000.
La conservatoria dei registri immobiliari di Pavia, all'atto della
iscrizione del citato atto, non concedeva i benefici fiscali, previ sti dalla 1. n. 949 del 1952 e dagli art. da 15 a 20 d.p.r. n.
601 del 1973, ed applicava l'imposta ipotecaria normale nella
misura del due per cento e, quindi, per una somma di lire
720.000. La banca mutuante proponeva opposizione innanzi alla Com
missione tributaria di Pavia, sostenendo che le cambiali non
potevano considerarsi titolo autonomo rispetto al contratto di
mutuo, perché erano strumentalmente collegate con l'atto di fi
nanziamento, effettuato mediante il rilascio degli effetti cambiari.
Nell'opposizione dell'amministrazione finanziaria il giudice adi
to — ritenuto, in fatto, che «avverso il silenzio rifiuto della
conservatoria dei registri immobiliari di Pavia all'istanza di rim
borso del 23 ottobre 1985» la contribuente aveva presentato ri
corso — lo accoglieva. Avverso tale pronuncia l'ufficio proponeva appello, conte
stando nel merito la decisione dei primi giudici, ma la stessa
era confermata dalla Commissione tributaria di secondo grado di Pavia, con decisione 23 settembre 1989, n. 33.
A sostegno della pronuncia quest'ultimo giudice osservava: — che, secondo la Corte di cassazione, l'imposta pagata in
abbonamento, ai sensi dell'art. 17 d.p.r. n. 601 del 1973, è so
stitutiva anche delle imposte ipotecarie dovute per l'accensione
dell'ipoteca a garanzia delle cambiali emesse in occasione di un
finanziamento concesso da uno degli istituti di credito a medio
e lungo termine indicati nell'art. 16 dello stesso d.p.r. (Cass. 10 luglio 1979, n. 3955, Foro it., Rep. 1979, voce Tributi in
genere, n. 363; 10 giugno 1981, n. 3748, id., Rep. 1982, voce
cit., n. 526, e n. 3749, id., Rep. 1981, voce Registro (imposta), n. 81);
— che non vi era motivo per scostarsi dal cennato orienta
mento giurisprudenziale, secondo il quale l'agevolazione è este
sa alle garanzie di qualunque tipo e a chiunque prestate; — che doveva essere ammessa ai benefici fiscali anche la tra
scrizione delle ipoteche accese a garanzia delle cambiali emesse
cinesi, Il nuovo processo tributario - Commentario, Milano, 1997, 639
s.; G. Bellagamba, Il nuovo contenzioso tributario, Torino, 1993, 222
s.; F. Tesauro, Le disposizioni transitorie del decreto legislativo sul
nuovo processo tributario, in Bollettino trib., 1993, 375; F. Napolita
no, Nuovo contenzioso tributario: primi appunti in tema di norme tran
sitorie, in Corriere trib., 1993, 308. Ad avviso di C. Rau-L. Alemanno, 11 nuovo contenzioso tributario,
Milano, 1996, 276, invece, l'istanza di conversione doveva essere rivolta
direttamente alla Corte di cassazione e non alla Commissione tributaria
centrale; per tali a., «la richiesta di esame non può che concretizzarsi nella proposizione di un nuovo e distinto ricorso alla Corte di cassazio
ne», per la cui ammissibilità occorre comunque il consenso delle altre
parti ricorrenti. Nel senso che la conversione in ricorso per cassazione del ricorso alla Commissione tributaria centrale dovesse avvenire me diante apposito atto da notificarsi alla controparte, v. pure C. Bafile, Relazione al seminario di studio del 25 maggio 1993 su «La riforma del contenzioso tributario e la decisione in Cassazione delle controver sie pendenti innanzi alla Commissione tributaria centrale», in Riv. dir.
trib., 1993, I, 647 (che ravvisa la necessità della sua sottoscrizione da
parte di avvocato iscritto all'apposito albo dei patrocinanti in Cassazio
ne e la sua inefficacia in caso di mancato consenso delle altre parti) e A. Fantozzi, Relazione al seminario di studio del 25 maggio 1993,
cit., ibid., 651; per G. Bellagamba, Il nuovo contenzioso tributario,
cit., 222, e F. Napolitano, Nuovo contenzioso tributario: primi appun ti in tema di norme transitorie, cit., 309, nello stesso termine per la
presentazione dell'istanza di conversione, deve essere notificato alla con
troparte il ricorso per cassazione.
Sempre in tema di conversione del ricorso ex art. 75, 3° comma,
d.leg. 546/92, cfr. U. Perrucci, Il nuovo processo tributario. Le prime
impressioni sulla riforma, in Bollettino trib., 1993, 225, per il quale la stessa è possibile solo nel caso in cui l'originario ricorso sia fondato
su violazione di legge. Sul regime transitorio di cui all'art. 75 d.leg. 546/92, v., per altri
profili, Cass. 1° aprile 1998, n. 3366, Foro it., 1998, I, 1042.
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PARTE PRIMA
da una impresa artigiana nell'ambito di un finanziamento a me
dio termine concesso da un istituto di credito in conformità
alla 1. n. 949 del 1952.
Avverso questa decisione l'ufficio del registro di Pavia, con
servatoria dei registri immobiliari, ha proposto ricorso alla Com
missione tributaria centrale, innanzi alla quale non ha svolto
attività difensiva la parte privata. Con atto depositato presso quest'ultima commissione il 21
giugno 1993, l'ufficio finanziario ha chiesto la riassunzione del
ricorso innanzi a questa corte, sulla base del nuovo contenzioso
tributario.
La segreteria della predetta commissione, con atto del 12 set
tembre 1997; ha trasmesso il ricorso a questa corte.
Neppure in questa sede la parte contribuente ha svolto attivi
tà difensiva.
Motivi della decisione. — 1. - Preliminare al merito è l'esame
dell'eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, sol
levata dal procuratore generale, nel corso della odierna discus
sione orale, per essere stata l'istanza presentata alla Commissio
ne tributaria centrale, anziché direttamente a questa corte.
Secondo il pubblico ministero la necessità della presentazione del ricorso alla Corte di cassazione la si ricaverebbe dalla rifor
mulazione dell'art. 75, 2° comma, d.leg. n. 546 del 1992, nella
parte in cui si fa riferimento all'istanza di trasmissione del fa
scicolo, dal momento che tale riferimento evidenzia che la ri
chiesta di esame del ricorso convertito non può essere indirizza
ta alla segreteria della commissione centrale.
Lo stesso procuratore ha inoltre prospettato una ulteriore ra
gione di inammissibilità per la mancanza del consenso della parte non ricorrente alla conversione, dal momento che la stessa, a
seguito di quest'ultima viene a subire un aggravio delle sue mo
dalità di difesa. Le eccezioni di inammissibilità sono infondate sulla base del
le considerazioni che seguono. L'art. 75 d.leg. n. 546 del 1992, e successive modificazioni,
nel disciplinare le controversie pendenti innanzi alla Commis
sione tributaria centrale o per le quali pende il termine per l'im
pugnativa davanti allo stesso organo alla data di entrata del
citato decreto, stabilisce che il ricorrente o qualsiasi altra parte sono tenuti, entro il 28 febbraio 1994, a proporre alla segreteria della stessa commissione apposita istanza di trattazione (2° com
ma), consentendo, comunque, alle parti che hanno proposto ri
corso alla commissione anziché di presentare l'istanza di tratta
zione di chiedere, entro lo stesso termine, l'esame da parte della Corte di cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., convertendo
il ricorso alla Commissione tributaria centrale in ricorso per cassazione contro la decisione impugnata, osservate per il resto
tutte le norme del codice di procedura civile per il procedimento davanti alla Corte di cassazione (3° comma).
Per quanto riguarda le modalità e le forme per la conversione
del ricorso alla commissione in ricorso per cassazione la dottri na che si è interessata dell'istituto non ha raggiunto univocità di risultati sulla questione se sia sufficiente la sola richiesta ad
investire la Corte di cassazione del ricorso o se invece la parte debba compiere ulteriori atti che valgano ad introdurre un vero e proprio ricorso di legittimità.
A sostegno di quest'ultima soluzione si invoca: — il principio secondo cui il ricorso alla Corte di cassazione
deve essere proposto per il tramite di un avvocato iscritto nel
l'apposito albo, il quale deve essere munito di procura speciale da indicare nel ricorso, se conferita con atto separato;
— il richiamo a tutte le norme del codice di rito relative al
procedimento di legittimità; — l'insufficienza della sola «richiesta di esame» ad investire
questa corte del potere di decidere, dal momento che tale richie sta è diretta soltanto ad escludere il potere decisorio della com missione centrale;
— il dato normativo che non si limita a prevedere la richiesta di esame indirizzata alla commissione centrale, ma impone la conversione del ricorso a quest'ultima in ricorso per cassazione.
Ritiene il collegio di dovere seguire la prima delle tesi in pre cedenza enunciate sulla base degli argomenti addotti dalla dot trina che l'ha sostenuta.
È stato in proposito osservato: — che la conversione del ricorso alla commissione in ricorso
per cassazione avviene ope legis e discende automaticamente dalla
Il Foro Italiano — 1999.
richiesta di esame di cui all'art. 75, 3° comma, d.leg. citato, dal momento che l'espressione «convertendo il ricorso alla Com
missione tributaria centrale in ricorso per cassazione contro la
decisione impugnata» è enunciativa delle conseguenze necessa
rie di tale richiesta e non anche indicativa di una ulteriore atti
vità della parte; — che la necessità dell'accesso al giudizio di legittimità per
il tramite di un avvocato iscritto all'apposito albo costituisce
principio generale, ma non inderogabile, essendo infatti lo stes
so derogato, ad esempio, in materia di contenzioso elettorale; — che una tale deroga, nella specie, è contenuta proprio nel
la dizione della disposizione più volte richiamata, la quale, nel
prevedere, in alternativa all'istanza di trattazione — da propor re a norma dell'art. 75, 2° comma — la richiesta di esame, induce a ritenere che la stessa sia soggetta alle stesse formalità
della prima e cioè possa essere presentata con atto sottoscritto
dalla parte personalmente o dal suo precedente difensore, se
nominato; — che ciò che si converte è l'atto iniziale, mentre «la richie
sta di esame» costituisce manifestazione di volontà della parte, richiesta dal legislatore per operare la conversione;
— che la conversione in esame si realizza per effetto di un
atto di parte estraneo all'atto da convertire, che resta immutato
ed immutabile nei suoi contenuti e nella sua forma; — che poiché ciò che si converte in ricorso per cassazione
è il ricorso alla commissione centrale, non c'è bisogno di alcun
atto diverso ed ulteriore rispetto a quest'ultimo, salva la richie
sta di esame che si pone come condizione necessaria — ed unica — per tale conversione;
— che la tesi seguita da altra dottrina — e fatta propria dal
procuratore generale — impone, per potere essere resa pratica bile, l'introduzione di una serie di atti da compiere in termini — evidentemente perentori — dei quali, solo arbitrariamente,
potrebbe fissarsi la decorrenza, per tacere, poi, del fatto, assor
bente, della mancanza di alcun dato ricavabile dalla disciplina esistente;
— che l'obbligo di osservare «per il resto tutte le norme del
codice di procedura civile per il procedimento davanti alla Cor
te di cassazione» si riferisce al compimento di attività diverse
ed ulteriori rispetto al c.d. ricorso convertito, in relazione al
quale la parte non deve compiere altri atti per la sua decisione
da parte della Corte di cassazione.
Nulla può, poi, ricavarsi in contrario dalla disposizione con
tenuta nell'art. 75, 2° comma, circa la necessità di una istanza di trasmissione del fascicolo alla cancelleria della Corte di cas
sazione a seguito della richiesta di esame a norma del successivo 3° comma dello stesso articolo: tale istanza di trasmissione si
affianca alla richiesta di esame — dalla quale si distingue per
scopo e natura — ma non permette di arguire che la prima
comporta necessariamente che la seconda debba essere presen tata alla Corte di cassazione.
Deve, poi, escludersi che per la c.d. conversione sia necessa rio il consenso di parti diverse dal ricorrente, costruendo la con
versione come una specie di ricorso per cassazione per saltum
analogo a quello previsto dall'art. 360, ultimo comma, c.p.c. Si oppone infatti a tale conclusione il dato normativo che
non prevede la partecipazione di altri soggetti alla richiesta di esame presentata alla commissione centrale, senza che possa ec
cepirsi che, in siffatto modo, le altre parti sono private di un
grado di giudizio: la parte che non è ricorrente innanzi alla com missione centrale non ha un interesse giuridicamente protetto alla trattazione del ricorso davanti al giudice inizialmente adito in sede di impugnazione.
Nella specie, poiché la richiesta di esame è stata tempestiva mente presentata dalla parte ricorrente, si è realizzata, sulla ba se delle precedenti considerazioni, la conversione del ricorso al la Commissione tributaria centrale in ricorso per cassazione av verso la decisione impugnata e questa corte è stata ritualmente
investita del potere di deciderlo. 2. - Con l'unico motivo di ricorso l'ufficio finanziario chiede
che venga respinta la richiesta di rimborso avanzata dalla banca
contribuente, per essere inammissibile il ricorso da quest'ultimo proposto, in quanto non preceduto dalla previa istanza di rim borso all'amministrazione finanziaria, ai sensi dell'art. 16, 3°
comma, d.p.r. n. 636 del 1972.
Il motivo di ricorso è inammissibile.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
È pacifico nella giurisprudenza di questa corte che l'art. 38
d.p.r. n. 602 del 1973, nell'individuare l'intendente di finanza
come organo competente a ricevere l'istanza di rimborso, fissa
una competenza funzionale ed inderogabile in favore di un or
gano del ministero delle finanze munito di attribuzioni (a rile
vanza esterna) autonome e distinte rispetto a quelle dell'ufficio
distrettuale delle imposte, con la conseguenza che l'inosservan
za della suddetta disposizione, con l'inoltro dell'istanza all'uffi
cio delle imposte, rende l'iniziativa del contribuente tamquam non esset, perché non investe l'autorità fornita del potere di
provvedere sulla richiesta di rimborso ed osta, per l'effetto, a
che il silenzio di quest'ufficio (privo di competenza) possa assu
mere la valenza di provvedimento negativo (Cass. 19 marzo 1996, n. 2322, id., Rep. 1996, voce Riscossione delle imposte, n. 178).
Questo principio va però coordinato con le norme in tema
di impugnazione. In presenza di esplicita affermazione contenuta nella decisio
ne di primo grado circa la presentazione di istanza di rimborso
avanzata alla stessa conservatoria dei registri immobiliari di Pa
via deve ritenersi che la Commissione di primo grado di Pavia
ha ritenuto la ritualità di tale istanza presentata ad organo di
verso da quello legittimato a provvedere. La mancata impugnazione di questa pronuncia in sede di ap
pello — come risulta da un esame diretto degli atti che questa corte può compiere direttamente al fine di accertare l'ammissi
bilità del ricorso — determina il suo passaggio in giudicato e
comporta che la relativa questione non può essere riproposta,
per la prima volta, con il ricorso alla commissione centrale.
Ciò è sufficiente per il rigetto del ricorso.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 2 novem
bre 1998, n. 10958; Pres. De Tommaso, Est. Roselli, P.M.
Martone (conci, conf.); Azienda napoletana mobilità (Avv. De Luca Tamajo) c. Castagnola (Avv. De Felice). Confer ma Trib. Napoli 16 marzo 1996.
Lavoro (rapporto di) — Lavoro in festività infrasettimanali —
Compenso — Computo (Cost., art. 36; 1. 27 maggio 1949
n. 260, disposizioni in materia di ricorrenze festive, art. 5;
1. 31 marzo 1954 n. 90, modificazioni alla 1. 27 maggio 1949
n. 260, art. 2).
Neì compenso spettante al lavoratore subordinato nelle festività
infrasettimanali, compenso previsto dall'art. 5 I. n. 260 del
1949 nella misura della normale retribuzione di fatto giorna
liera, va incluso ogni elemento accessorio anche se corrispo sto su base annua ed ancorché legato all'effettiva prestazione di attività lavorativa. (1)
(1-3) I. - L'assetto della giurisprudenza lavoristica in materia di ripo so settimanale risulta sostanzialmente consolidato: la sent. 9895/98 in
epigrafe vale a palesare i principi interpretativi recepiti sull'argomento. Giova preliminarmente rammentare che il riposo settimanale, neces
sario dopo sei giorni consecutivi di lavoro per l'imprescindibile recupe ro delle energie psicofisiche, costituisce oggetto di un diritto irrinuncia
bile del dipendente, garantito dagli art. 36, 3° comma, Cost, e 2109
c.c.; la violazione di tale diritto risulta del resto penalmente sanzionata
(art. 27 1. 22 febbraio 1934 n. 370). Va ricordato ancora che la direttiva 93/104/Ce del consiglio del 23
novembre 1993, all'art. 5, ha espressamente vincolato gli Stati membri
a adottare «le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, per
ogni periodo di sette giorni, di un periodo minimo di riposo ininterrot
to di ventiquattro ore . . . comprende(nte) in linea di principio la do
menica». 11 diritto di che trattasi compete ad ogni dipendente, essendo per al
II Foro Italiano — 1999.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 6 ottobre
1998, n. 9895; Pres. Lanni, Est. Castiglione, P.M. Mele
(conci, conf.); Società editrice romana (Aw. Ghera, de Fran
cesco, Cosmelli) c. Baronciani e altri (Avv. D'Amati). Con
ferma Trib. Roma 13 giugno 1995.
Lavoro (rapporto di) — Turni di sette giorni consecutivi con
riposo compensativo — Compenso aggiuntivo (Cost., art. 36; cod. civ., art. 2109; 1. 22 febbraio 1934 n. 370, riposo dome
nicale e settimanale, art. 1, 3, 5).
I lavoratori che fruiscano de! riposo settimanale dopo sette o
più giorni di lavoro continuo hanno diritto ad un compenso
specifico, ulteriore ed aggiuntivo rispetto a quello destinato
a retribuire il lavoro prestato nella giornata di domenica; tale
compenso, ove non sia previsto dal contratto collettivo —
la cui interpretazione è di esclusiva competenza del giudice del merito — spetta, in base al principio di proporzionalità di cui all'art. 36 Cost., senza che sia richiesta la prova di
un danno. (2)
III
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 15 settem
bre 1997, n. 9176; Pres. Pontrandolfi, Est. Vigolo, P.M.
De Gregorio (conci, conf.); Soc. Pietra acciaierie e tubifici
(Avv. Schwarzenberg, Scirè) c. Botti e altri (Avv. Ventu
ra). Conferma Trib. Brescia 18 aprile 1994.
Lavoro (rapporto di) — Festività infrasettimanali — Rifiuto di
lavorare — Diritto alla retribuzione (L. 27 maggio 1949 n.
260, art. 1; 1. 31 marzo 1954 n. 90, art. 2).
Al lavoratore spetta la normale retribuzione prevista per i gior ni festivi infrasettimanali anche quando, pur essendovi obbli
gato in connessione con comprovate esigenze tecnico
produttive, abbia rifiutato di prestare la propria attività, stante
il diritto soggettivo di ogni dipendente di astenersi dall'ese
guire la prestazione nelle festività infrasettimanali. (3)
cune categorie di lavoratori consentita, come si vedrà, solo la deroga alle regole della coincidenza del riposo settimanale con la domenica e della fruizione del riposo dopo sei giorni consecutivi di lavoro, nel
rispetto di determinati limiti ed esigenze e fermo restando il ripristino del rapporto fra sei giorni di lavoro e uno di riposo.
II. - Il riposo settimanale, di durata di regola non superiore alle ven
tiquattro ore consecutive, va goduto di massima la domenica, così co me previsto dall'art. 2109 c.c.
Alcune eccezioni alla regola sono tuttavia previste e consentite dal l'art. 5 1. 22 febbraio 1934 n. 370 e dal d.m. 22 giugno 1935 e successi ve modificazioni: in tali evenienze il dipendente ha diritto ad uno speci fico compenso connesso alla maggiore penosità del lavoro espletato du
rante la domenica (per la tassatività di tali ipotesi derogatorie si è
espressamente pronunciato Cons. Stato, sez. VI, 19 luglio 1996, n. 959, Foro it., Rep. 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 947, e, per esteso, Cons.
Stato, 1996, I, 1202). Ed invero, benché l'art. 36, 3° comma, Cost., non contenga alcuna
precisazione circa il giorno da ritenersi destinato al riposo settimanale, si considera sussistente nell'ordinamento positivo un principio generale per il quale la domenica è normale giorno di astensione dal lavoro, atteso che in tale momento, nella comunità dove il lavoratore vive, è
organizzata l'utilizzazione del tempo libero ed in tale giorno il prestato re stesso può maggiormente dedicarsi alle tipiche forme di vita familia re e sociale ed ai relativi doveri.
Alla rinunzia ad usufruire delle iniziative collettive di utilizzazione della giornata domenicale corrisponde dunque il diritto del prestatore ad uno specifico compenso; infatti va constatato che la qualità del lavo
ro, ex art. 36 Cost., deve essere valutata non solo sotto il profilo dell'e
strinseco pregio oggettivo, ma anche con riguardo al maggior costo per sonale che la prestazione comporta per il lavoratore; di conseguenza in caso di lavoro domenicale, con fruizione di riposo compensativo, il datore di lavoro ha l'obbligo di corrispondere una specifica maggio razione concretantesi in una retribuzione differenziale.
Per la compiuta formulazione dei principi regolatori testé enunciati
rimane essenziale il contributo fornito da Cass., sez. un., 10 novembre
1982, n. 5923, Foro it., 1983, I, 1967, con osservazioni di M. De Luca; la medesima soluzione interpretativa, nei termini sopra illustrati, è stata
successivamente accolta da Cass., sez. un., 8 ottobre 1991, n. 10513,
id., 1991, I, 2689, con nota di richiami. V. anche Corte cost. 22 gen
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