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sezione I civile; sentenza 3 settembre 1994, n. 7629; Pres. Sensale, Est. Vitrone, P.M. Lanni...

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sezione I civile; sentenza 3 settembre 1994, n. 7629; Pres. Sensale, Est. Vitrone, P.M. Lanni (concl. conf.); Ciliberto (Avv. Boschi) c. Secreti (Avv. Frattali Clementi). Conferma App. Catanzaro, sez. min., 19 gennaio 1993 Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1995), pp. 2199/2200-2203/2204 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193352 . Accessed: 28/06/2014 13:38 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 13:38:05 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 3 settembre 1994, n. 7629; Pres. Sensale, Est. Vitrone, P.M. Lanni(concl. conf.); Ciliberto (Avv. Boschi) c. Secreti (Avv. Frattali Clementi). Conferma App.Catanzaro, sez. min., 19 gennaio 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1995), pp. 2199/2200-2203/2204Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193352 .

Accessed: 28/06/2014 13:38

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2199 PARTE PRIMA 2200

mo (in tal senso v. la citata sentenza di queste sezioni unite

5592/93, Foro it., Rep. 1993, voce Navigazione aerea (ordina

mento), n. 6), tale carattere non coinvolga anche il profilo tem

porale della fattispecie, nel senso che l'ente pubblico prowede rebbe discrezionalmente in proposito anche per quanto concer

ne il quando senza che sia possibile configurare, in favore

dell'impresa sovvenzionata, un danno risarcibile da ritardo. Al

riguardo soccorre, peraltro, un recente precedente di queste se

zioni unite (sent. 3 novembre 1993, n. 10830, ibid., voce Giuris dizione civile, n. 119), secondo il quale, in materia di sovven zioni alle imprese esercenti il pubblico servizio di trasporto in

regime di concessione, mentre le controversie attinenti alla spet tanza e alla quantificazione del beneficio sono devolute alla giu risdizione amministrativa, non essendo configurabili al riguar do se non interessi legittimi del concessionario, una volta che

l'erogazione sia stata disposta... sorge un rapporto obbligatorio fra pubblica amministrazione e beneficiario, regolato dalle nor

me del codice civile e soggetto alla cognizione del giudice ordi

nario, cui vanno, pertanto, devolute le controversie aventi ad

oggetto la corresponsione di interessi e rivalutazione sulle som

me di cui alla sovvenzione riconosciuta ma erogata in ritardo.

Tale principio non solo si attaglia al caso in esame, ma è

applicabile a fortiori, postoché, nella specie, non solo è stata

disposta la sovvenzione, ma è stato riconosciuto (e liquidato) anche il risarcimento del danno da ritardo nel pagamento, sia

pure nella misura minima di cui al 1° comma dell'art. 1224

c.c., essendo stata ritenuta non provata la ulteriore componente dello stesso diritto costituita dal maggior danno di cui al capo verso della norma citata, maggior danno che è ora oggetto della

domanda giudiziale. Ben può concludersi, quindi, con la richia

mata sentenza delle sezioni unite, che «si tratta... di una con

troversia civilistica sul danno moratorio che appartiene alla giu risdizione del giudice ordinario».

3. - Con l'unico motivo del ricorso incidentale l'Apam dedu

ce violazione degli art. 91 e 353 c.p.c., dolendosi che la corte

d'appello, nell'affermare la giurisdizione del giudice ordinario e nel rimettere la causa al tribunale, non abbia provveduto sulle

spese, rinviando la relativa pronuncia «al definitivo».

La censura è fondata. In realtà la corte milanese ha chiuso

il processo davanti a sé, sicché non avrebbe potuto rimettere

ad un momento successivo la pronuncia sulle spese. 4. - Il ricorso della regione va dunque rigettato e va dichiara

ta la giurisdizione del giudice ordinario. Va invece accolto il

ricorso incidentale dell'Apam e la sentenza impugnata deve es

sere, in relazione a tale censura, cassata, con rinvio della causa

ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Cor

te d'appello di Milano.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 3 settem

bre 1994, n. 7629; Pres. Sensale, Est. Vitrone, P.M. Lanni

(conci, conf.); Ciliberto (Avv. Boschi) c. Secreti (Avv. Frat

tali Clementi). Conferma App. Catanzaro, sez. min., 19 gen naio 1993.

Camera di consiglio (procedimenti in) — Assunzione della pro va —

Delega ad un membro del collegio — Inammissibilità

(Cod. proc. civ., art. 738). Procedimento civile — Trattazione collegiale — Assunzione della

prova — Delega ad un membro del collegio — Vizio — Na

tura (Cod. proc. civ., art. 158, 161).

Competenza civile — Azione per la dichiarazione di paternità e maternità naturale di minore — Azione di condanna al pa

gamento di assegno di mantenimento e di rivalsa — Cumulo — Ammissibilità — Tribunale per i minorenni — Competen za (Cod. civ., art. 269; disp. att. cod. civ., art. 38; cod. proc. civ., art. 40).

Il Foro Italiano — 1995.

Nel giudizio avente ad oggetto la dichiarazione giudiziale di pa ternità e maternità naturale di figli minori, il quale è retto

dalle regole proprie del rito camerale, non è ammissibile la

delega da parte del collegio ad uno dei suoi componenti per

l'assunzione delle prove. (1) Nei giudizi a trattazione collegiale l'inosservanza del divieto di

delega dell'assunzione della prova a un membro del collegio dà luogo a una nullità assoluta per vizio di costituzione del

giudice, la quale soggiace al principio di conversione dei mo

il) La Suprema corte afferma il principio di cui alla massima ritenen do estensibili al rito camerale le soluzioni elaborate con riferimento al

processo del lavoro e argomentando dalla mancanza nei procedimenti in camera di consiglio della figura del giudice istruttore.

In giurisprudenza, è pacifico che nelle controversie in materia di la

voro in grado di appello le prove devono essere assunte dal collegio, che non può delegare il compito ad uno dei suoi componenti: cfr. Cass. 7 maggio 1979, n. 2608, Foro it., 1980, I, 786, con osservazioni di

Proto Pisani e Mass. giur. lav., 1980, 612, con nota di Silvetti; 14 settembre 1989, n. 3926, Foro it., Rep. 1989, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 270; 16 maggio 1991, n. 5517, id., Rep. 1991, voce

cit., n. 237; 26 novembre 1992, n. 12638, id., Rep. 1992, voce cit., n. 236; in dottrina, v. per tutti: C.M. Barone (V. Andrioli, G. Pezza

no, A. Proto Pisani), Le controversie in materia di lavoro, Bologna Roma, 1987, 878-879; Tarzia, Manuale del processo del lavoro, Mila

no, 1980, 222. Di segno opposto sono le (poco numerose, in relazione ai limiti di

ammissibilità del ricorso per cassazione ex art. Ili, 2° comma, Cost, in materia camerale) pronunce di legittimità rese sul punto con riferi mento ai procedimenti in camera di consiglio: v. Cass. 20 giugno 1978, n. 3027, Foro it., Rep. 1978, voce Filiazione, nn. 57, 63; 20 dicembre

1985, n. 6526, id., Rep. 1985, voce cit., n. 65; 21 marzo 1990, n. 2350,

id., Rep. 1990, voce cit., nn. 59, 78, 96, e Giust. civ., 1990, I, 1739 e Giur. it., 1991, I, 1, 1345, emanata in tema di immodificabilità della

composizione dell'organo giudicante, in cui si legge: «questa corte, con

specifico riferimento alla dichiarazione giudiziale di paternità naturale, ha ritenuto che il principio della immutabilità del giudice non è violato

nell'ipotesi in cui il collegio che decide in camera di consiglio sull'am

missibilità dell'azione sia diversamente composto da quello di preceden ti fasi processuali... Il principio trae fondamento giuridico dalla riscon trata possibilità anche in tale procedimento camerale che un giudice componente del collegio possa essere delegato alla raccolta di elementi da sottoporre alla piena valutazione del collegio il quale poi, esaminan do l'intero materiale probatorio raccolto, lo valuta ai fini della decisio ne...». Di tali pronunce, assunte nella stessa materia della sentenza che

si riporta, quest'ultima non dà alcun conto. La figura del giudice dele

gato per l'istruttoria è assai diffusa nella pratica, in specie per quanto riguarda il processo davanti al tribunale per i minorenni; cfr. Pazé, Il processo minorile di volontaria giurisdizione tra prassi autoritarie e

incerte prospettive, in Questione giustizia, 1988, 61 ss., spec. 65 ss., 68 ss., il quale rinviene una prassi degenerativa del processo minorile nella perdita di collegialità; sottolineato come l'istruttoria collegiale avesse un significato di immediatezza di conoscenza e autorevolezza dell'orga no, rileva l'a.: «Si è invece presto generalizzata una prassi, modellata sui procedimenti contenziosi, di nomina di un giudice istruttore che

dispone ed assume ogni prova, assimilando il giudice "relatore" di cui all'art. 738 c.p.c. al giudice delegato nei procedimenti per l'applicazio ne di misure amministrative ...e nella fase di volontaria giurisdizione del procedimento di adottabilità... In tale linea il Consiglio superiore della magistratura (circolare 12 ottobre 1984, n. 7771) ha deliberato di ammettere l'impiego anche dei componenti privati, come singoli e non all'interno del collegio, in attività istruttorie per oggetto, fini e

cognizioni congrue alla loro specifica preparazione professionale, ratifi cando cosi il passaggio dalla collegialità alla monocraticità».

Si ricorda che l'art. 710 c.p.c., come modificato dalla 1. 29 luglio 1988 n. 331 che ha introdotto il rito camerale per il giudizio di modifica delle condizioni di separazione, prevede espressamente al 2° comma che il tribunale, allorquando provvede all'ammissione di mezzi istruttori, «può delegare per l'assunzione uno dei suoi componenti». Il legislatore ha cosi introdotto una figura assai simile a quella del giudice delegato all'istruzione del codice di rito del 1865 (cfr. Pagano, in Nuove leggi civ., 1989, 367 ss., 371) quale era andato configurandosi nella prassi. Chiovenda (Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1980, rist., 684, 713-714, 814) ricorda come la possibilità, prevista all'art. 208, di assunzione della prova all'udienza dal collegio fosse «lettera morta» essendo «invece commessa a un giudice delegato» (v. anche Cipriani, In memoria dell'udienza collegiale, in Foro it., 1994, I, 1888), rilevan done il contrasto coi valori della concentrazione e dell'oralità, i quali richiedono «in primo luogo... che il giudice del processo orale sia dall'i nizio della causa sino alla decisione costituito dalle stesse persone fisi che» dal che consegue che se «il giudice è collegiale, tutte le attività

processuali, le dichiarazioni, le prove devono svolgersi davanti al colle gio e non davanti al giudice delegato».

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

tivi di nullità in motivi di impugnazione e non può essere

dedotta per la prima volta in sede di legittimità. (2) Il tribunale per i minorenni, adito per la dichiarazione giudizia

le di paternità e maternità naturale, è competente a conoscere

anche della domanda accessoria di determinazione dell'asse

gno di mantenimento a carico del soggetto della cui genitura si tratta e di rimborso pro quota delle spese di mantenimento

sostenute per l'intero dall'altro genitore. (3)

Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 3 marzo

1980 Secreti Serafina chiedeva al Tribunale di Crotone la pro nunzia di ammissibilità dell'azione di dichiarazione giudiziale di paternità di Ciliberto Gregorio Antonio nei confronti della minore Secreti Cristina, nata il 7 settembre 1979.

Con decreto del 3 settembre 1980 il tribunale dichiarava am

missibile l'azione e tale provvedimento veniva confermato dalla

corte d'appello con decreto del 20 aprile 1982.

Con atto di citazione notificato il 30 settembre 1982 la Secreti conveniva quindi in giudizio dinanzi al Tribunale di Crotone Ciliberto Gregorio Antonio per sentirlo dichiarare padre natu

rale della minore Secreti Cristina.

Il tribunale, con sentenza del 24 febbraio 1987, dichiarava

la propria incompetenza per materia a seguito dell'entrata in

vigore della 1. 4 maggio 1983 n. 184, che attribuiva alla compe tenza del tribunale dei minorenni l'azione di dichiarazione giu diziale di paternità nei confronti di minori.

Il giudizio veniva tempestivamente riassunto e il Tribunale

per i minorenni di Catanzaro, con sentenza del 5 aprile - 7 mag

gio 1991, accoglieva la domanda, dichiarando, peraltro, non

luogo a provvedere sulla richiesta di un assegno di mantenimen to a carico del genitore naturale.

Su gravame di entrambe le parti, la sezione per i minorenni

della Corte d'appello di Catanzaro, con sentenza del 24 novem

bre 1992 - 19 gennaio 1993, rigettava l'appello principale e, in

accoglimento dell'appello incidentale, condannava il Ciliberto

alla corresponsione di un assegno di mantenimento in favore

della figlia minore in misura di lire 250.000 mensili dall'11 otto

La modifica dell'art. 710 c.p.c. ha certamente posto le basi per legit timare una prassi ampiamente invalsa nell'ambito dei procedimenti ca merali; si aggiunga che, qualora si escludesse l'applicazione analogica della disposizione qualificandola norma eccezionale in quanto relativa alla composizione e costituzione del giudice, irragionevole sarebbe la differenza rispetto alla disciplina (necessaria assunzione collegiale delle

prove) applicabile ad ogni altro procedimento camerale. La decisione in rassegna afferma che il giudizio di merito relativo

all'azione per la dichiarazione giudiziale di genitura naturale innanzi al tribunale per i minorenni si svolge sempre nelle forme camerali; il

principio non è pacifico: v. nel senso che trovino applicazione le norme sul processo ordinario: Trib. min. Roma 15 giugno 1985 (in Ced Cass.) e Trib. min. Catania 9 marzo 1985, Foro it., Rep. 1985, voce Filiazio

ne, n. 73, e Giust. civ., 1985, I, 2603, con nota adesiva di A. Frnoc

chiaro, il quale ritiene che dalla semplice devoluzione di una contro versia al tribunale per i minorenni non può trarsi la conclusione che il rito da seguire sia quello camerale e che, quando l'azione esercitata è contenziosa, la medesima è disciplinata dalle norme generali contenu te nel codice di rito per la proposizione della normale azione di cognizione.

(2) Trattasi di principio che, dopo alcune oscillazioni (v. Cass. 7 maggio 1979, n. 2608, cit., secondo cui l'inosservanza del divieto di delega sa

rebbe sfornito di sanzione processuale e comunque l'assunzione della

prova da parte di un componente del collegio raggiungerebbe lo scopo «dell'acqusizione degli elementi probatori ritenuti indispensabili per de cidere la controversia, con tutte le garanzie della difesa»), è ormai paci fico in giurisprudenza: v. Cass. 11 dicembre 1987, n. 9225, Foro it.,

1988, I, 72, e Dir. lav., 1988, II, 266, con nota di Afeltra; 14 settem

bre 1989, n. 3926, Foro it., Rep. 1989, voce Lavoro e previdenza (con

troversie), n. 270; 7 maggio 1991, n. 5042, id., Rep. 1991, voce cit., n. 238, e Giur. it., 1992, I, 1, 542; 16 maggio 1991, n. 5517, Foro

it., Rep. 1991, voce cit., n. 237, e Arch, civ., 1991, 915; 26 novembre

1992, n. 12638, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 236; 14 novembre

1994, n. 9555, id., Mass., 903.

(3) Nella sua prima parte la massima trova fondamento nell'art. 277, 2° comma, c.c., il quale espressamente prevede che nell'emanare la sen

tenza dichiarativa della filiazione naturale «il giudice può anche dare

i provvedimenti che stima utili per il mantenimento del figlio; v. Cass. 8 agosto 1989, n. 3635, Foro it., Rep. 1989, voce Filiazione, n. 73; 25 febbraio 1993, n. 2364, id., Rep. 1993, voce cit., nn. 46, 79 e Dir.

famiglia, 1993, 993; 23 luglio 1994, n. 6868, Foro it., Mass., 635; 6

agosto 1994, n. 7309, ibid., 685; Trib. min. Venezia 12 maggio 1987,

id., Rep. 1989, voce cit., n. 74, e Dir. famiglia, 1988, 942; v. anche

Il Foro Italiano — 1995.

bre 1982 al 30 settembre 1985, aumentate a lire 400.000 mensili

fino al 30 settembre 1989, a lire 500.000 mensili fino al 24 no

vembre 1992 e a lire 600.000 mensili per il periodo successivo,

oltre gli interessi legali per ogni annualità sulle somme maturate.

Osservava la corte che dalle risultanze della compiuta istru

zione era rimasta accertata l'esistenza di una relazione senti

mentale tra le parti che era durata sino all'epoca del concepi

mento, come poteva dedursi dalle dichiarazioni rese da mons.

Agostino, vescovo di Crotone, sentito quale teste, e dalla piena

consapevolezza della gravidanza da parte del convenuto e della

sua famiglia. Tali conclusioni erano state ulteriormente avvalo

rate dalla mancata proposizione àt\Y exceptio plurium concu

bentium e dai risultati della consulenza tecnica ematologica, che

aveva raggiunto una probabilità di paternità pari al 99,67%. Né rilevava, in senso contrario, la circostanza che nella specie fosse rimasto accertato che la gravidanza della Secreti si era

realizzata virgo intacta, essendo incontestata l'esistenza di rap

porti incompleti fra le parti, confermati dalla missiva di mons.

Agostino, depositata nel giudizio di appello. Andava accolto,

invece, l'appello incidentale, non potendo revocarsi in dubbio

che il giudice investito dell'accertamento della paternità natura

le potesse anche provvedere alla condanna del genitore naturale

alla corresponsione di un assegno di mantenimento nei confron

ti del figlio minore, ponendo la legge l'obbligo del mantenimen

to a carico di entrambi i genitori. Tale assegno, mancando la

prova specifica dei concreti bisogni dell'avente diritto e delle

reali condizioni e capacità economiche del soggetto obbligato, doveva essere liquidato in via equitativa, con riferimento alle

più elementari esigenze di vita della minore.

Contro la sentenza ricorre per cassazione Ciliberto Gregorio Antonio con tre motivi. Resiste con controricorso illustrato da

memoria Secreti Serafina, nella qualità di genitrice esercente la

potestà sulla figlia minore.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo viene denun

ciata la violazione e falsa applicazione degli art. 269, 273 e 274

c.c., 38 disp. att. c.c. e 68 1. 4 maggio 1983 n. 184, in relazione

Corte cost. 25 maggio 1987, n. 193, Foro it., 1988, I, 2802, con nota di Puccini, la quale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 38 disp. att. c.c. nella parte in cui, in caso di

minori, attribuisce la competenza al tribunale per i minorenni, rinve nendone il fondamento nel complesso dei poteri previsti dagli art. 277, 2° comma, c.c. e 11 1. adozione, demandati al giudice in tale ipotesi; per un'analisi critica di tale decisione, v. le osservazioni di Puccini e Civinini, I procedimenti in camera di consiglio, Torino, 1994, II, 810-811.

Per quanto attiene la seconda parte — cumulabilità innanzi al tribu nale dei minori dell'azione ex art. 269 c.c. e dell'azione con cui l'altro

genitore naturale domanda in via di rivalsa la res tituzione di una quota parte delle somme utilizzate nel corso degli anni per il mantenimento

del figlio — si rinviene un solo precedente in Cass. 8 agosto 1989, n.

3635, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 73, che, per quanto è dato

arguire dalla massima, inquadra l'azione di rivalsa nell'ambito dei prov vedimenti di cui all'art. 277, 2° comma, c.c.; la decisi one in epigrafe

(che motiva calcando fedelmente tale massima) ritiene di non dover trarre argomenti in contrario dalla config urazione de:I diritto al rimbor so quale diritto esercitato sempre nel no me e nell'interesse proprio da un genitore naturale contro l'altro, affermando superata ogni questione dalla mancata eccezione di tarenza di leg ittimazione att iva del genitore che aveva agito solo nella veste di legale rappresentant e. Sull'obbligo di mantenimento quale obbligazione solidale gravante su entrambi i ge nitori, ognuno dei quali può essere obbligato a prestare l'intero, salvo

regresso per il rimborso della parte corrispondente al contributo facente

capo sull'altro genitore, v., per tutte, Cass. 20 aprile 1991, n. 4273,

id., Rep. 1991, voce Competenza civile, n. 51, e Giur. it., 1991, I,

1, 634, con nota di Lenti, in cui si afferma che la «lite» tra i due

soggetti maggiorenni genitori avente ad oggetto il contributo che l'uno deve versare all'altro, «va portata dinanzi al giudice ordinario, con pro cedimento ordinario contenzioso, che termina con sentenza».

La soluzione che, prima dell'integrale entrata in vigore della 1. 353/90,

poteva suscitare perplessità, in relazione alla deroga alla competenza del tribunale ordinario e all'assoggettamento a rito camerale di entram

be le cause cui dava luogo, rinviene oggi fondamento nell'art. 40 c.p.c., che consente la trattazione simultanea di cause soggette a riti diversi

stabilendo, nel conflitto tra rito ordinario e rito speciale la prevalenza del primo, e nelle ricadute della nuova disciplina dell'incompetenza (art. 38 c.p.c.) in tema di modifica della competenza per ragioni di connes

sione (sul punto, v. Proto Pisani, La nuova disciplina del processo

civile, Napoli, 1991, 20 ss.). [M.G. Civinini]

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2203 PARTE PRIMA 2204

all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., e si sostiene la nullità assoluta

della prova raccolta in primo grado da un componente del col

legio su delega di quest'ultimo, in violazione della regola gene rale della collegialità nel rito camerale; tale nullità, incidendo

sulla composizione dell'organo giudicante, dovrebbe ritenersi ri

levabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo, con sumando una violazione dell'art. 158 c.p.c.

La censura non ha fondamento poiché la questione, delinea

tasi originariamente nell'ambito delle controversie assoggettate al rito speciale del lavoro, viene risolta dalla più recente giuris

prudenza di legittimità, dopo alcune iniziali incertezze, nel sen

so che nelle controversie soggette al rito del lavoro è inammissi

bile la delega da parte del collegio ad uno solo dei suoi compo nenti per l'assunzione delle prove e di conseguenza l'inosservanza

del divieto si traduce in una nullità assoluta per vizio di costitu

zione del giudice ex art. 158 c.p.c., essendo l'atto istruttorio

compiuto da un giudice diverso da quello previsto; tuttavia, l'an

zidetta nullità soggiace al principio di conversione in motivo

di impugnazione a norma dell'art. 161, 1° comma, c.p.c., con

la conseguenza che essa, qualora non sia stata fatta valere con

l'atto di appello, non può essere dedotta per la prima volta

in sede di legittimità (Cass. 14 settembre 1989, n. 3926, Foro

it., Rep. 1989, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 270; 7 maggio 1991, n. 5042, id., Rep. 1991, voce cit., n. 238; 16

maggio 1991, n. 5517, ibid., n. 237; 26 novembre 1992, n. 12638, id., Rep. 1992, voce cit., n. 236).

Va poi considerato che al giudizio contenzioso di dichiarazio

ne giudiziale di paternità naturale nei confronti di minori si ap

plica il rito camerale e non quello delle controversie di lavoro,

e pertanto, in mancanza di disposizioni specifiche al riguardo, debbono applicarsi nella specie le norme del processo ordinario

di cognizione, coordinate con quelle che regolano il giudizio dinanzi al giudice speciale funzionalmente competente (Cass. 27

gennaio 1992, n. 864, ibid., voce Filiazione, n. 66). Ne consegue che, anche se in ipotesi volesse ritenersi estesa

al giudizio di dichiarazione giudiziale di paternità nei confronti di minori la disciplina speciale dettata per le controversie di

lavoro, tanto più che anche il rito camerale non conosce la figu ra dell'istruttore, deve escludersi che la nullità della prova as

sunta da un solo componente del collegio per delega del colle

gio giudicante possa essere dedotta per la prima volta nel giudi zio di legittimità, quando sia mancata qualsiasi impugnazione sul punto contro la sentenza del primo giudice, viziata dalla

irrituale assunzione della prova testimoniale.

E, poiché nella specie non è stato proposto alcun motivo di

appello contro la sentenza del Tribunale per i minorenni di Ca

tanzaro, la censura deve ritenersi preclusa in questa sede.

(Omissis) Con il terzo motivo si deduce la violazione e la falsa applica

zione degli art. 269, 147 e 148 c.c. in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. sotto un duplice profilo: innanzi tutto, il giudice speciale avrebbe operato senza considerare che la competenza funzionale circa le determinazioni relative al mantenimento del

la minore riconosciuta giudizialmente come figlia naturale del Ciliberto appartiene al giudice onorario; inoltre, la sentenza im

pugnata ha determinato l'importo dell'assegno di mantenimen

to facendo ricorso a criteri equitativi che non sono ammissibili

in presenza di una disciplina normativa che stabilisce la misura

dell'onere rispettivo di ciascun genitore, concordandola all'am

montare delle rispettive sostanze e alle loro capacità di lavoro. Anche il terzo motivo di ricorso è destituito di fondamento

in ciascuna delle sue prospettazioni. Per quanto attiene alla competenza del tribunale per i mino

renni, investito dell'azione di dichiarazione jgiudiziale di pater nità nei confronti di un minore, non vi è dubbio che il medesi

mo tribunale è competente pure per i provvedimenti in materia di mantenimento, istruzione e educazione del figlio, ancorché

essi abbiano natura patrimoniale e riguardino il tempo anterio

re alla sentenza, come nell'ipotesi — che nella specie ricorre — di rimborso pro quota delle spese di mantenimento in favore

del genitore che le abbia sostenute per intero, in considerazione

del carattere strettamente conseguenziale di tali provvedimenti rispetto alla pronuncia dichiarativa del rapporto di filiazione

(Cass. 25 febbraio 1993, n. 2364, id., Rep. 1993, voce cit., n. 79). Né rileva che il diritto al rimborso di tali somme integri un

credito di cui è titolare iure proprio il genitore che abbia soste

nuto per intero l'onere del mantenimento del figlio dalla nascita

Il Foro Italiano — 1995.

(Cass. 8 agosto 1989, n. 3635, id., Rep. 1989, voce Competenza

civile, n. 19), poiché, essendo mancata sul punto qualsiasi im

pugnazione, deve ritenersi coperta dal giudicato la legittimazio ne attiva della Secreti, ancorché abbia agito solo nella sua qua lità di genitrice esercente la potestà sulla figlia minore e non

pure nella concorrente qualità di creditrice in proprio. Il secondo profilo di censura, relativo all'arbitrario ricorso

alla liquidazione equitativa dell'assegno di mantenimento incom

bente sul genitore naturale è, invece, infondato per difetto di

interesse, in base alla considerazione che l'interesse all'impu

gnazione sorge solo nel caso di concreta soccombenza su un

capo della sentenza, contenente una statuizione pregiudizievole che è suscettibile di rimozione solo attraverso la proposizione di un mezzo di gravame.

Nella specie, il ricorrente propone una censura in via del tut

to astratta, senza affermare, sulla base di elementi oggettivi di

riscontro, che la determinazione del giudice di merito effettuata

equitativamente comporta per lui un pregiudizio patrimoniale, essendo superiore all'importo che sarebbe stato possibile deter

minare accertando il reale ammontare delle sostanze rispettive delle parti e la loro capacità di lavoro.

E, non essendo tutelato dalla legge un interesse meramente

teorico alla esattezza delle pronunce giurisdizionali, anche tale

articolazione alternativa del terzo motivo di ricorso non può trovare accoglimento.

In conclusione, perciò, il ricorso proposto da Ciliberto Gre

gorio Antonio è destituito di fondamento e deve essere respinto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 1° agosto

1994, n. 7160; Pres. Salafia, Est. Milani, P.M. Martone

(conci, conf.); Elli e altro (Avv. Lais, Cavallone) c. Sac

chetti. Conferma App. Milano 17 aprile 1992.

Contratto in genere, atto e negozio giurìdico — Società per azioni — Aumento di capitale — Sottoscrizione — Intestazione ad un terzo — Atto pubblico — Necessità — Esclusione (Cod.

civ., art. 782, 809, 1411, 2022).

La sottoscrizione di un aumento di capitale da parte del socio,

con intestazione delle corrispondenti azioni in capo ad un ter

zo, non è soggetta alla forma dell'atto pubblico, costituendo

contratto a favore di terzo e non donazione. (1)

(1) Non constano precedenti in termini. La sentenza (riprodotta an che in Società, 1995, 54, con osservazioni di A. Montesano) qualifica come contratto a favore di terzo l'accordo con il quale una società

per azioni si impegna — nei confronti del socio di maggioranza, che sottoscrive un aumento di capitale e libera le azioni corrispondenti —

ad intestare una parte di tali azioni al direttore generale, a parziale compenso dell'opera da questi prestata e al fine di incentivarne l'attivi tà per il futuro. La Cassazione non ravvisa gli estremi della donazione diretta dei titoli, dal socio di maggioranza al direttore generale, e per tanto esclude la nullità dell'attribuzione per difetto del requisito dell'at to pubblico di cui all'art. 782 c.c.

La peculiarità del caso si ricollega all'applicabilità ai titoli azionari, oggetto dell'attribuzione a favore del terzo, del regime di circolazione dei titoli di credito. In particolare, viene in rilievo l'art. 2022, 2° com

ma, c.c. (sulle problematiche sollevate dalla disciplina della circolazione dei titoli di credito, sotto il profilo della rilevanza dell'intestazione pre vista da tale disposizione, v. Masi, In tema di forma e circolazione nei titoli di credito, in Banca, borsa, ecc., 1989, I, 378 ss.; R. Lener, Titoli di credito, in Riv. dir. civ., 1987, II, 253; Spada, Titoli di credi

to, id., 1986, I, 378), che disciplina le modalità con le quali azioni di nuova emissione possono essere intestate in capo ad un'altra persona.

Facendo leva su tale disposizione i giudici di primo grado (Trib. Mi lano 3 gennaio 1991, Foro it., Rep. 1991, voce Donazione, n. 9, e So cietà, 1991, 1075, con nota di Ronco) e quelli di appello ricostruiscono la fattispecie come ipotesi di donazione indiretta dei titoli, assimilabile

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