Sezione I civile; sentenza 30 giugno 1959, n. 2049; Pres. Cataldi P., Est. Azara, P. M. Pedace(concl. diff.); Organizzazione Forlani (Avv. Merolla, Menichini) c. S. p. a. Lancia (Avv. Correra)Source: Il Foro Italiano, Vol. 82, No. 9 (1959), pp. 1483/1484-1485/1486Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150155 .
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1483 PARTE PRIMA 1484
vincolistica, successiva alla cessazione dello stato di guerra,
specialmente in materia di riparazione dei danni subiti
dagli alberghi in dipendenza degli eventi bellici, ed in tema
di accollo dei maggiori oneri relativi alla manutenzione.
Va infatti ricordato cbe il decreto legge 6 dicembre
1946 n. 424, nel disciplinare per primo la ipotesi dell'« al
bergo danneggiato in dipendenza degli eventi bellici », con
cesse al conduttore, nel caso cbe il locatore non avesse
provveduto alle necessarie riparazioni, la facoltà di proce dere direttamente alla esecuzione di tali riparazioni, previa autorizzazione del collegio arbitrale (previsto dalla legge), ma subordinò tale facoltà alla condizione cbe « il complesso dei lavori non avesse superato il terzo della primitiva con
sistenza dell'immobile » (art. 18). Ora è chiaro che il presupposto per l'applicazione di
detta norma tuttora in vigore, è che l'albergo o la pensione o la locanda danneggiata occupi interamente o in preva lenza l'edificio danneggiato, dappoiché diversamente man cherebbe qualsiasi ragione logica o giuridica, che possa giustificare la norma stessa, posto che, ove l'edificio sia
danneggiato nella sua interezza e l'albergo occupi solo una
parte minima di esso, sarebbe sommamente illogico, oltreché
iniquo, il permettere che il conduttore di una minima parte possa sostituirsi al proprietario e provvedere direttamente, ma a spese e quindi in danno di esso proprietario, all'ese
cuzione di opere di riparazione, che riflettano la parte maggiore dell'immobile, sulla quale esso conduttore non
può vantare alcun diritto di godimento o di uso.
Una ulteriore applicazione del principio ricordato si trova infine nel decreto legisl. 16 aprile 1948 n. 540, là dove nell'art. 3 (norma poi ripetuta nel successivo decreto
legisl. 29 maggio 1951 n. 358, art. 4) è sanzionato per i conduttori « di alberghi, pensioni o locande, che, non occu
pando l'intero immobile, lo godono in comune con altri inqui lini » l'obbligo di rivalere il proprietario locatore delle spese « per il servizio di pulizia e di portierato, per il funziona mento dell'ascensore, per la fornitura dell'acqua e della
luce, ecc. » : obbligo questo, già fissato dalla legislazione vincolistica relativa agli immobili urbani in genere (art. 6 decreto legisl. 23 dicembre 1947 n. 1461).
Se i rilievi sin qui esposti sono esatti, agevole si addi mostra la soluzione del problema-chiave dell'attuale con troversia.
Fermo cioè il principio, sin qui richiamato, in virtù del quale per poter decidere correttamente la questione se ad una determinata controversia in materia di locazione di immobili destinati ad uso di albergo sia da applicarsi la legislazione vincolistica relativa agli immobili urbani in
genere, oppure quella speciale alberghiera, è necessario aver riguardo anche al criterio della situazione « obiettiva », e della « entità » dell'immobile locato, patente si rivela
l'errore, nel quale è incorsa la Corte di Torino, là dove ha ritenuto di applicare alla controversia attuale la legisla zione speciale alberghiera, senza curarsi di accertare preli minarmente quella situazione di fatto, che, dedotta dal
l'appellante Società locatrice ricorrente odierna, se vera, avrebbe dovuto invece necessariamente portare ad una soluzione della causa completamente opposta a quella adottata dalla sentenza impugnata. Una volta invero che si accertasse in punto di fatto che l'albergo locato agli odierni resistenti occupa soltanto una parte dell'intero
stabile, destinato per la parte prevalente ad uso diverso da quello di albergo, e che le riparazioni attengono alla stabilità dell'intero edificio nel quale è posto l'albergo, pienamente applicabile alla specie deve ritenersi l'art. 10
legge del 1950 n. 253. Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 30 giugno 1959, n. 2049 ; Pres. Cataldi P., Est. Azara, P. M. Pedace (conci, diff.) ;
Organizzazione Forlani (Avv. Merolla, Menichini) c. S. p. a. Lancia (Avv. Correrà).
(Cassa App. Napoli 17 ottobre 1957)
Mediazione e mediatore —- Sostituzione fraudolenta di una parte nell'aiiare — Diritto del mediatore alla provvigione — Sussistenza — Decorrenza della prescrizione (Cod. civ., art. 1755, 2950, 2941).
Il mediatore lia diritto alla provvigione anche se le parti che hanno concluso l'affare sostituiscano fraudolentemente altri a sè nella stipulazione del contratto ; in tal caso la prescri zione decorre dalla data in cui il mediatore ha scoperto la frode. (1)
La Corte, ecc. — Nel respingere l'appello, proposto dalla Organizzazione Forlani, la Corte napoletana ha rile vato che il diritto alla provvigione doveva essere esercitato
dall'appellante entro l'anno dal momento in cui essa si accorse che sul suolo de quo stava sorgendo un capannone e non, come sosteneva l'appellante, dal momento in cui essa si rese conto che il capannone costruito era della Lancia.
Insorgendo contro siffatta statuizione, la ricorrente
lamenta, con l'unico motivo, che la Corte di merito abbia esaminato il solo comportamento della Forlani e lo abbia
qualificato inerte, non essendosi questa preoccupata di
accertare, appena vide sorgere la fabbrica, se il capannone predetto era costruito per conto della Società Lancia. Se condo la ricorrente, la Corte di appello non ha, però, consi derato il comportamento doloso della Lancia che fece figu rare, quale acquirente, la S.i.f.a., impedendo, così, ad essa ricorrente di accertarsi, mediante esame dei registri immobi
liari, che il fondo in questione era stato effettivamente
acquistato dalla Lancia. La ricorrente, pertanto, denunzia violazione dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., in relazione
agli art. 2934, 2935, 2941, n. 8, 2950 cod. civ., per insuf ficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo.
Il ricorso è fondato. Perchè il mediatore acquisti il diritto alla provvigione,
non è necessario il suo concorso fino alla stipulazione del
contratto, essendo sufficiente che egli abbia collaborato alla conclusione dell'affare, e che esista un rapporto di cau salità fra l'opera da lui svolta e la conclusione del contratto stesso. Pertanto, il mediatore ha diritto alla provvigione anche se le parti, che hanno concluso l'affare, sostituiscano altri a se stesse nella stipulazione del contratto definitivo.
Ciò posto, si rileva che il termine di prescrizione del diritto del mediatore al pagamento della provvigione (art. 2950 cod. civ.) comincia a decorrere dalla data di conclu sione dell'affare, a meno che non si dimostri che il media tore non fu a conoscenza di essa per la frode dei soggetti nell'affare intermediato. In tal caso, ai sensi dell'art. 2941, n. 8, cod. civ., la prescrizione decorre dalla data in cui il mediatore viene a scoprire la frode del proprio debitore.
Nel caso particolare, i sopra esposti principi non sono stati rettamente applicati dalla impugnata sentenza, la
quale, mentre riconosce che « la Lancia poco scrupolosa mente non informò la Forlani di aver fatto acquistare
(1) Sul diritto alla provvigione anche in caso di sostituzione fraudolenta di una parte, si vedano, in senso conforme, Cass. 23 marzo 1957, n. 985 (Foro it., Rep. 1957, voce Mediazione, n. 16) ; 25 maggio 1956, n. 1767 (id., Rep. 1956, voce cit., n. 41) ; e 10 luglio 1952, n. 2115 (id., Rep. 1952, voce cit., n. 25). In dottrina, sempre in senso conforme, M. Stolfi, Mediazione, in Commentario, a cura di A. Scialoja e G. Branca, 1953, pag. 29 ; Carraro, La mediazione, Padova, 1952, pag. 207 ; Butera Commento, Libro dette obbligazioni, parte II, pag. 185.
A proposito della decorrenza della prescrizione, nello stesso senso Cass. 28 marzo 1954, n. 924 (Foro it., Rep. 1955, voce Prescrizione, n, 77) ; Carraro, op. cit., pag. 192,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
l'immobile dalla S.i.f.a. », non dà a tale condotta poco
scrupolosa la dovuta rilevanza, osservando che « il ritardo
della Forlani ad agire devesi ricondurre alla sua inerzia
come a causa determinata, « solo perchè, se essa fosse stata
più accorta e si fosse informata, appena vide sorgere la
fabbrica, avrebbe appreso che il suolo era stato comprato dalla S.i.f.a., e contemporaneamente avrebbe saputo che la
S.i.f.a. e la Lancia erano società collegate perchè, quanto a
quest'ultima circostanza, la Forlani ne fu subito edotta, come è emerso dalle sue stesse difese ».
Ma, la Corte di merito, così statuendo, non ha conside
rato se sia possibile equiparare la scoperta del dolo, di cui
trattasi nell'art. 2941, n. 8, cod. civ., alla semplice possi bilità della scoperta, così da ritenere il comportamento doloso della Lancia superato e vinto dalla pretesa inerzia
della Forlani nella scoperta di quel comportamento ; e,
comunque, non ha dato una logica motivazione di questa
pretesa inerzia, perchè non ha accertato quando la Forlani
vide sorgere la fabbrica, nè ha spiegato come e perchè essa
avesse l'obbligo di fare indagini per appurare ad opera di
chi o per conto di chi la fabbrica stessa veniva sorgendo.
(Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione III civile ; sentenza 9 giugno 1959, n. 1721 ; Pres.
Vela P., Est. Rossi, P. M. Gedda (conci, conf.) ; Fio
rillo (Avv. Del Pkete) c. Rettore del Seminario vesco
vile di Pozzuoli (Aw. Eusso).
(Conferma App. Napoli 26 agosto 1957)
Seminario — Rappresentanza in giudizio.
La rappresentanza in giudizio dei seminari spetta al vescovo, non al rettore. (1)
La Corte, ecc. — Col motivo di ricorso si ripropone in
questa sede la questione, già dibattuta innanzi ai Giudici
di merito, circa la rappresentanza in giudizio del Seminario, clie si nega dal ricorrente possa competere al Vescovo, come
invece affermato dall'impugnata sentenza.
Non si contesta clie, anteriormente alla promulgazione del codex iuris canonici, la rappresentanza giuridica, ne
goziale e processuale, dei seminari spettasse ai vescovi, avendo il Concilio tridentino Vincolato all'autorità del ve
scovo la creazione dei seminari, e a questo affidato la cura
e la formazione dei chierici, nonché l'amministrazione del
l'ente, quale administrator natus omnium honorum ecclesia
sticorum quae in sua diocesi inveniuntur, con l'assistenza di un
consiglio di quattro membri (« rationes autem reditum
huius seminari Episcopus annis singulis accipiat, praesen tibus duobus a capitulo et totidem a clero civitatis depu tatis » ; « omnia et singula quae ad felicem huius seminari
profectum necessaria et opportuna videbuntur, decernere et
providere valent »). Si ritiene però dal ricorrente, anche con l'autorità di
una corrente dottrinale, che, in seguito alle innovazioni
introdotte dal codex iuris canonici, tale rappresentanza deve
ritenersi devoluta al rettore del seminario, restando al ve
scovo solo un potere di vigilanza e di tutela, salva sempre la facoltà di sostituirsi anche in giudizio al rettore, così
(1) Vedi in conformità Cakon, in Giur. it., 1956, X, 2, 411 ; App. Napoli 26 agosto 1957, Foro it., Rep. 1958, voce Ente ec
clesiastico, n. 9 ; Cass. 25 febbraio 1952, id., Rep. 1952, voce
Seminario, n. 2 ; App. Bologna 14 maggio 1950, id., Rep. 1950, voce Ente ecclesiastico, n. 16 ; Cass. 20 giugno 1941, id., Rep. 1941, voce Seminario, nn. 2, 3; e sostanzialmente Cass. 15 maggio 1936, id., Rep. 1936, voce cit., nn. 1, 2.
Vedi in senso contrario Mazzacane, in Dir. eccles., 1955, II, 79 ; Trib. Napoli 25 febbraio 1955, Foro it., Rep. 1955, voce
Seminario, n. 3.
come per ogni altro organo sottoposto alla sua auctoritas, in caso di defectus o neglìgentia. Tale facoltà, legittimando l'intervento del vescovo nei giudizi relativi agli enti della
sua diocesi per diritto proprio, e non come rappresentante
degli enti stessi, non pregiudicherebbe l'autonomia della
quale i singoli enti sono forniti.
A fondamento della tesi il ricorrente richiama le disposi zioni dei canoni 1649 e 1653 del codex iuris canonici clie, in
quanto collocati nel libro IY de proeessibus, devono essere
considerate norme specifiche relative alla legittimazione
processuale. Dispone infatti il can. 1649 : « nomine eorum
de quibus in canone 100, § 3 (personae morales sive colle
giales sive non collegiales), stat in iudicio rector vel admi
nistrator»; e il can. 1653, § 1 : « ordinarii locorum possunt nomine ecclesiae cattedrale aut mensae episcopalis stare
in iudicio », con la condizione « ut licite agant, debent
audire capitulum cathedralis vel consilium administrationis
eorumve consensum vel consilium habere ».
Dal coordinamento di tali disposizioni il ricorrente de
duce : 1) che le nuove norme hanno fissato il principio
generale che la rappresentanza delle persone giuridiche ec
clesiastiche spetta all'organo preposto alla loro ammini
strazione (rector vel administrator) ; 2) che, essendo deter
minati gli enti morali rappresentati dal vescovo, e non
essendo fra essi indicati i seminari, la rappresentanza pro cessuale di questi deve ritenersi regolata dalla norma avente
carattere generale. Siffatta norma contrasta con la giurisprudenza della
Corte di cassazione che, nel presupposto della piena ef
ficacia nell'ordinamento statuale delle norme canoniche
relative alla rappresentanza giuridica degli enti ecclesia
stici, ha ritenuto, anche dopo la promulgazione del codex
iuris canonici, spettare al vescovo e non al rettore la rap
presentanza in giudizio dei seminari, che, pur essendo enti
morali autonomi, sono privi di autonoma rappresentanza
(Cass, civ., sent. n. 1671 del 1936, Foro it., Rep. 1936, voce Seminario, nn. 1, 2 ; sent. n. 1835 del 1941, id., Eep. 1941, voce cit., nn. 2, 3 ; e sent. n. 501 del 1952, id., Eep. 1952, voce cit., n. 2).
Non ritiene questo Supremo collegio di dover mutare
tale indirizzo giurisprudenziale. La parola rector usata nel can. 1649 non autorizza affatto,
come esattamente rilevato dalla impugnata sentenza, la
illazione che si sia voluto indicare anche il rettore del semi
nario. Se, secondo lo stesso ricorrente, finalità della norma
è quella di fissare il principio generale che la rappresentanza in giudizio compete all'organo preposto alla sua ammini
strazione, resta ancora da stabilire, sia per il carattere
generico della norma che si riferisce a fattispecie diverse
e sia per la mancanza di uno specifico riferimento ai semi
nari, se veramente al rettore del seminario possa, secondo
le disposizioni del codex stesso, attribuirsi la qualifica di
capo dell'amministrazione del patrimonio dell'ente.
Or non pare che in base alle disposizioni del codex
iuris canonici possano riconoscersi al rettore del seminario
attribuzioni di carattere amministrativo. Il can. 1358 dispone che la gestione dei fondi che ali
mentano la vita dell'istituto (pro curanda re familiari) deve essere affidata ad un economo a rectore distinctus, re
stando cosi espressamente vietato il cumulo delle due fun
zioni, mentre il successivo can. 1359 esclude che il rettore
possa far parte del consiglio amministrativo. Al rector, lasciato cosi senza ingerenza nell'amministrazione del patri monio dell'ente, vengono invece affidate solo funzioni di
carattere spirituale (can. 1368), educativo (can. 1369) e
disciplinare (can. 1358 e 1360). D'altro canto non può accogliersi la tesi che al vescovo
sia riservato solo un potere di controllo sul seminario. Già
prima della promulgazione del codex, l'ingerenza del ve
scovo nell'amministrazione dei seminari era prevista dal
can. 18 della sess. XXIII de reform, del Concilio tridentino : « episcopi omnia et singula quae ad felicem et opportuna
profectum necessaria videntur decernere et providere va
lent ». La corrispondente norma del codex (can. 1357, § 1), secondo la quale « episcopi est omnia et singula quae ad rec
tam seminari] diocesani administrationem, regimen, profec
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