sezione I civile; sentenza 30 luglio 1984, n. 4541; Pres. Santosuosso, Est. Di Salvo, P. M. Benanti(concl. parz. diff.); Cicolani e Lotti (Avv. Manfredonia) c. Min. finanze (Avv. dello StatoAngelini Rota). Cassa Comm. trib. centrale 20 ottobre 1980, n. 3011Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 6 (GIUGNO 1985), pp. 1773/1774-1779/1780Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178548 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
potendosi negare che i « servizi » e le « gestioni speciali non
aventi una diretta relazione con la funzione creditizia » altro non
sono che le « distinte attività di carattere autonomo » di cui alla
generale norma del codice civile.
La decisione del tribunale è, comunque, conforme a diritto, anche se carente e parzialmente erronea nella motivazione.
Nessun ostacolo deriva all'appldcabilità del contratto collettivo
dei dipendenti da aziende esercenti circoli e società sportive dalla
mancata iscrizione delle parti alle rispettive organizzazioni sinda
cali stipulanti quel contratto, essendo stato accertato dalla senten
za impugnata che le disposizioni del contratto collettivo stesso
furono esplicitamente recepite nei contratti individuali di lavoro.
Ne deriva che il ricorso va, limitatamente al Padello e al Meo,
rigettato. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 22 no
vembre 1984, n. 6014; Pres. Sandulli, Est. Pannella, P.
M. Dettori (conci, conf.); Esattoria delle imposte dirette di
Trieste (Avv. Fabrio, Cuccagna) c. Pahor. Cassa Pret. Roma
5 dicembre 1981.
Riscossione delle imposte — Esecuzione esattoriale — Uso della
lingua slovena — Nullità — Rilevabilità ad istanza di parte (Cod. proc. civ., art. 157; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602,
disposizioni sulla riscossione delle imposte sui redditi, art. 45,
53; 1. 14 marzo 1977 n. 73, ratifica ed esecuzione del trattato
tra la repubblica italiana e la repubblica socialista federativa di
Jugoslavia, con allegati, nonché dell'accordo tra le stesse parti, con allegati, dell'atto finale e dello scambio di note, firmati ad
Osimo, il 10 novembre 1975, art. 1, 2; trattato: art. 8).
Nell'esecuzione coattiva esattoriale nei confronti di appartenente al gruppo etnico jugoslavo, la nullità derivante dal mancato uso
della lingua slovena non è rilevabile d'ufficio dal pretore, ma,
quando il vizio concerne il pignoramento presso terzi, può essere fatto valere soltanto ad istanza di parte. (1)
Motivi della decisione. — Fra le varie questioni sollevate dalla
ricorrente con i tre motivi di ricorso, quella di cui al terzo
motivo presenta carattere preliminare ed assorbente, in quanto diretta a negare la potestas decidendi del pretore su un problema di ordine giuridico non rilevabile di ufficio.
Sostiene l'esattoria che, anche ammessa l'esistenza di una
irregolarità formale delle cartelle esattoriali e dell'avviso di mora
(corrispondenti al titolo esecutivo ed al precetto), la relativa nullità non poteva essere rilevata di ufficio dal giudice; e che,
(1) La decisione cassata Pret. Roma 5 dicembre 1981 è riprodotta in Foro it., 1982, I, 1814, con note di P. Carrozza, Il prudente atteggiamento della corte in tema di « garanzie linguistiche » nel processo e le sue conseguenze sulla condizione giuridica della mino ranza slovena, e di G. Tiberini, La protezione della minoranza slovena a Trieste. Nei confronti dello stesso cittadino appartenente alla minoranza slovena, in relazione ad un procedimento penale intentato contro di lui, è stata pronunciata decisione di infondatezza sulla
questione sollevata riguardo all'art. 137 c.p.p. nella parte in cui prevede l'uso obbligatorio della lingua italiana, ma nel contempo la corte ha riconosciuto la non applicabilità della sanzione prevista dal l'art. 137, 3° comma, citato, in quanto si tratta di ipotesi di «minoranza riconosciuta» (Corte cost. 11 febbraio 1982, n. 28, ibid., annotata anche da G.V. Marchianò, in Giur. it., 1982, I, 1, 1387; S.
Bartole, E. Palici Di Suni, in Giur. costit., 1982, I, 249, 808; Mor, in Le regioni, 1982, 388). Nell'aggrovigliata vicenda è poi inter venuto Trib. Trieste 3 maggio 1982 (Foro it., 1982, II, 342), che ha confermato l'irrogazione dell'ammenda, di cui all'art. 137, 3° comma, c.p.p., non ritenendosi vincolato dalla decisione costituzionale sulla base di argomentazioni davvero sorprendenti, contestate da A.
Pizzorusso, Postilla in tema di tutela della minoranza slovena, ibid., Ili, 455, che replica altresì' alla richiamata nota di Tiberini. In
adeguamento a Corte cost. 11 febbraio 1982, n. 28, si veda invece Pret. Trieste 20 maggio 1982, id., 1982, II, 455.
Sulla tutela della minoranza slovena cfr. S. Bartole, Uso della
lingua slovena nelle assemblee elettive e riserva dì legge, in Le regioni,
1983, 251 (in nota a T.A.R. Friuli-Venezia Giulia 23 settembre 1982, n.
197, Foro it., Rep. 1983, voce Regione, n. 340). Circa l'iter dei progetti di legge relativi alla tutela delle minoranze linguistiche, v. Rubrica
parlamentare, voce Regione, n. 2, a cura di R. Moretti, in Foro it.,
1985, V, 108. Sulla protezione del gruppo ladino nella provincia di Bolzano, cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 1984, n. 439, ibid., Ili, 16, con nota
di richiami.
Il Foro Italiano — 1985.
non essendo stata proposta opposizione agli atti esecutivi nel
termine processuale previsto a pena di decadenza (art. 617 c.p.c.), sarebbe scattata la regola giuridica dell'ult. comma dell'art. 157
c.p.c.: «rinuncia a far valere la nullità»; mentre si sarebbe
verificata l'ulteriore preclusione derivante dall'applicazione della
disposizione dell'ult. comma dell'art. 156 c.p.c. circa il « raggiun
gimento dello scopo dell'atto », dimostrato dalla « lettera » scritta
dal dott. Samo Pahor al Pretore di Roma.
La censura è condivisibile ma induce a qualche chiarificazione.
Nell'esecuzione coattiva esattoriale la potestà decisionale del
pretore quale giudice dell'esecuzione non è pari a quella a lui
conferita dalla legge processuale civile in presenza di disposizioni
speciali derogative, previste dal d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602
sulla riscossione delle imposte dirette. Cosi', per quanto riguarda
l'opposizione contro gli atti esecutivi dell'esattore il pretore è
privo di giurisdizione, spettando all'intendente di finanza ogni decisione al riguardo in via amministrativa (art. 53).
Da questa premessa discende che — nella fattispecie in esame —
il Pretore di Roma non aveva il potere di decidere sulla esistenza
o meno della « regolarità formale » delle cartelle esattoriali e
dell'avviso di mora, costituenti i titoli esecutivi ed il precetto nella speciale procedura esecutiva, di modo che il potere cogniti vo di lui rimaneva limitato all'esame della nullità e dell'inefficacia
del pignoramento presso terzi, eseguito giusta le disposizioni degli art. 543 ss. c.p.c., in mancanza di disposizioni speciali derogative (art. 45, 3° comma, d.p.r. n. 602/73).
Ebbene per la dichiarazione di nullità dell'atto processuale suddetto non era dato prescindere dall'opposizione di chi allegava
l'irregolarità formale di esso.
Ciò perché, anche a voler ritenere obbligatoria la notifica della traduzione in lingua slovena dell'atto di pignoramento, scritto in
lingua italiana giusta la regola dell'art. 122 c.p.c., tale irregolarità di forma non poteva che esser fatta valere dal dott. Samo Pahor, in mancanza di disposizione legislativa idonea ad attribuire al
giudice il potere di rilevarla di ufficio (art. 157, 1° comma, c.p.c.). Né, d'altronde, è pensabile che, senza un'espressa disposizione
di legge, si debba considerare che il mancato accompagnamento della traduzione in lingua slovena di un atto processuale per i cittadini italiani appartenenti al gruppo etnico jugoslavo, equival ga al mancato uso della lingua italiana nel medesimo atto, allo
scopo di farne discendere un'unica nullità rilevabile di ufficio. Da quanto sopra deriva che l'anomala decisione avente conte
nuto definitivo e decisorio del pretore va cassata, con la conse
guenza che dev'essere ripresa la procedura di pignoramento presso terzi iniziata dall'esattoria di Trieste contro il dott. Pahor.
Ogni altra questione, posta con il primo ed il secondo motivo, resta assorbita. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 30 luglio 1984, n. 4541; Pres. Santosuosso, Est. Di Salvo, P. M. Benanti (conci, parz. diff.); Cicolani e Lotti (Avv. Manfredo
nia) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Angelini Rota). Cassa Comm. trib. centrale 20 ottobre 1980, n. 3011.
Tributi in genere — Avviso di accertamento — Motivazione insufficiente — Illegittimità — Poteri della Commissione tribu taria centrale — Rinvio per il giudizio estimativo (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 634, disciplina dell'imposta di registro, art. 48, 49; d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, revisione della disciplina del
contenzioso tributario, art. 21, 26, 29). Tributi in genere — Contenzioso tributario — Commissione
tributaria centrale — Poteri — Avviso di accertamento —
Difetto di motivazione — Rinvio alla commissione tributaria di II grado (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 29).
Nell'ipotesi di illegittimità dell'avviso di accertamento (nella spe cie, si contestava il mancato ricorso ai criteri stabiliti dalla
legge sull'imposta di registro per la determinazione dell'imponi bile e l'insufficienza della motivazione) correttamente la Com missione tributaria centrale, indicati i criteri da seguire nella
quantificazione della base imponibile, rimette il giudizio alla commissione tributaria di merito per la valutazione estimativa, che va individuata nella commissione di secondo grado. (1)
(1, 3) L'apparente contrasto tra le due affermazioni delle decisioni in epigrafe risulta composto ove si colga la differenza tra le due figure
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1775 PARTE PRIMA 1776
La Commissione tributaria centrale che dichiari l'illegittimità dell'avviso di accertamento per insufficienza di motivazione —
non potendo decidere il merito delle valutazioni estimativa —
deve rinviare la causa alla commissione di secondo grado
(nella specie, la Commissione tributaria centrale aveva rinviato la
causa alla commissione di primo grado, avendo dichiarato la nul
lità dell'avviso di accertamento). (2)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 9 agosto
1983, n. 5325; Pres. Sandulli, Est. Falcone, P. M. Cantagalli
(conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Palatiello) c.
Soc. Re.ca. (Avv. Paoletti, Ferreri). Conferma Comm. trib.
centrale 10 aprile 1980, n. 2824.
Tributi in genere — Avviso di accertamento — Motivazione
stampigliata — Declaratoria di nullità — Poteri della Commis
sione tributaria centrale — Rinvio per il giudizio estimativo —
Esclusione (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 26, 29). Fabbricati (imposta sul reddito dei) — Avviso di accertamento —
Motivazione stampigliata — Nullità — Fattispecie (D.p.r. 29
gennaio 1958 n. 645, t.u. delle leggi sulle imposte dirette, art.
37, 74).
Nell'ipotesi in cui venga accertata l'adozione di parametri di riferi mento per la determinazione del reddito non giustificata con
idonea motivazione (nella specie, la motivazione risultava da
una stampigliatura) correttamente la Commissione tributaria
centrale dichiara la nullità dell'accertamento, restando escluso
il rinvio alle commissioni tributarie di merito per il giudizio di sstimazione. (3)
È nullo l'avviso di accertamento la cui motivazione consista in
una stampigliatura identica per tutti gli anni nei quali si
contesti la misura del reddito dei fabbricati (anche in presenza di modificazioni della consistenza immobiliare) e dalla quale non risultino né i fabbricati in analoghe condizioni, né il
reddito prodotto da quest'ultimi, né il metodo di determinazio
ne del reddito p,er comparazione. (4)
della nullità e dell'illegittimità dell'accertamento che conducono l'una all'esclusione del giudizio di rinvio, l'altra alla prosecuzione del
giudizio per i profili estimativi: con riguardo alla prima ipotesi cfr. Comm. trib. centrale 12 luglio 1983, n. 1957, Foro it., Rep. 1983, voce Tributi in genere, n. 1045; 23 aprile 1980, n. 4828, id., Rep. 1980, voce cit., n. 990; Cass. 10 novembre 1979, n. 5789, id., 1980, I, 1034, con nota di richiami.
(2) Circa l'individuazione della commissione cui rinviare la causa
dopo l'annullamento della decisione da parte della Commissione tribu
taria centrale, Cass. 8 gennaio 1981, n. 139, Foro it., Rep. 1981, voce Tributi in genere, n. 984, ha ritenuto che il rinvio per il giudizio su
questioni estimative debba essere fatto alle commissioni di secondo
grado; conf. Cass. 5 marzo 1979, n. 1363, id., Rep. 1979, voce cit., n. 669.
Sui limiti della competenza funzionale della Commissione tributaria centrale e della corte d'appello sulle questioni di fatto v. sez. un. 31
marzo 1983, ni 2350, id., 1984, I, 1667, con nota di richiami.
In generale v., da ultimo in dottrina, G. Balena, La rimessione
della causa al primo giudice, Napoli, 1984.
(4) Non constano precedenti in termini; v., comunque, Comm.
trib. centrale 23 novembre 1970, n. 10274/15232, Foro it., Rep. 1971, voce Tributi in genere, n. 173, che ritiene inidonei a soddisfare il
requisito della motivazione gli avvisi di accertamento redatti su moduli a stampa (contra, Comm. trib. centrale 7 aprile 1975, n. 4494, id.,
Rep. 1975, voce cit., n. 323); vanno ricordate anche Comm. trib.
centrale 8 gennaio 1981, n. 68, id., Rep. 1981, voce cit., n. 387, a cui
dire « è irrilevante la compilazione a ciclostile dell'avviso di accerta
mento quando siano esposte in modo chiaro ed evidente le ragioni dell'an e del quantum » e Comm. trib. centrale 20 maggio 1983, n.
861, id., Rep. 1983, voce Ricchezza mobile (imposta), n. 197, secondo
cui sono illegittimi gli accertamenti in tema d'imposta di r.m. motivati solo con modelli preconfezionati.
Va ricordato che di recente le sezioni riunite della Commissione
tributaria centrale hanno stigmatizzato l'orientamento che non riteneva
necessaria l'indicazione — nell'accertamento di valore — degli elementi
posti a base dell'avviso di rettifica in tema di imposta di registro: v.
dee. 16 giugno 1983, n. 1343 e 26 aprile 1983, n. 503, id., 1983, III, 461 e 304, entrambe con note di richiami (ove si ventila la possibilità che il nuovo orientamento sia rivolto « contro la prassi instaurata dagli uffici del registro che negli avvisi di rettifica adoperano frasi stereoti
pate o moduli a stampa senza alcun riferimento al caso concreto »), nonché Comm. trib. centrale 21 maggio 1983, n. 913, id., Rep. 1983, voce Registro, n. 127; 1° giugno 1983, n. 1173, ibid., n. 128; 2
giugno 1982, nn. 3945 e 2939, ibid., nn. 129, 130; 19 maggio 1982, n.
2619, ibid., n. 131; 26 aprile 1982, nn. 1047, 1045, ibid., nn. 132,
133; 24 marzo 1982, n. 1565, ibid., n. 195; 19 marzo 1982, n. 2017,
Il Foro Italiano — 1985.
I
Motivi della decisione. — 1. - Con il primo mezzo del ricorso
si sostiene, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli art. 48 e 49 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 634, che la Commissione
tributaria centrale, avendo statuito l'illegittimità dell'accertamento
in contestazione, per inosservanza e violazione delle predette
norme, avrebbe dovuto pronunciare l'annullamento dell'accer
tamento stesso; con il secondo motivo, si censura la stessa
decisione per violazione e falsa applicazione degli art. 1, 10 e 35
d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, in quanto erroneamente essa
avrebbe affermato che le commissioni tributarie sono « organi
speciali di giurisdizione » mentre esse non potrebbero avere tale
natura perché a ciò osterebbe l'art. 102 Cost., che riserva ai
magistrati ordinari l'esercizio delle funzioni giurisdizionali e vieta
l'istituzione di giudici speciali o straordinari; di tali commissioni
andrebbe invece affermata soltanto la natura giurisdizionale e la
loro funzione « indirizzata unicamente alla applicazione della
legge in base all'obiettivo apprezzamento degli elementi di
giudizio (art. 10 d.p.r. 636/72) », quali giudici di cognizione dei
fatti dedotti in causa dalle parti (art. 35 d.p.r. cit.). Da tali
premesse i ricorrenti deducono che alle commissioni tributarie
sarebbe devoluto unicamente il sindacato di legittimità dell'atto
oggetto della controversia, con la conseguenza che, riconosciuta
l'illegittimità dell'atto amministrativo, non potrebbe « non conse
guire la pronuncia d'illegittimità dalla quale discende l'immediata
sanzione dell'annullamento » che, comunque, si dovrebbe ritenere
implicita; le commissioni tributarie non potrebbero, quindi, invo
cando il principio inquisitorio contenuto nell'art. 25 d.p.r. n.
636/72 sostituire il provvedimento impugnato. 1 due motivi del ricorso, poiché sostanzialmente prospettano la
stessa censura muovendo dall'esame della natura giuridica delle
commissioni tributarie e dai loro poteri (il secondo) e prospettan do (sia l'uno che l'altro) l'obbligo delle stesse di pronunciare l'annullamento dell'accertamento ritenuto illegittimo, con esclusio
ne del potere di disporre il rinvio alle commissioni di merito per una nuova valutazione del quantum imponibile, debbono essere
esaminati congiuntamente. Ritiene il collegio che i motivi prospettati non meritino acco
glimento. (Omissis) 3. - Da tali premesse consegue la soluzione dell'altra censura
formulata dai ricorrenti, secondo cui, premesso l'obbligo della
Commissione tributaria centrale di annullare l'accertamento ille
gittimo, dovrebbe escludersi il potere di rinviare il giudizio alle
commissioni di merito per la formulazione del giudizio estimativo. La soluzione della questione prospettata impone l'esame della
natura dei poteri attribuiti ai vari organi della giurisdizione tributaria. Questa giurisdizione ha per oggetto questioni di diritto
subiettivo, anche se si deve valutare l'esercizio da parte dell'am
ministrazione di criteri di discrezionalità, che non può essere
tecnica, perché la legge non lascia margini per l'esercizio della
discrezionalità amministrativa in senso proprio. Gli organi del
contenzioso esercitano, quindi, una giurisdizione di diritto obiet
tivo che, come si è visto, ha per oggetto il completo riesame del
merito amministrativo. Ai fini della decisione che questa Suprema corte deve adottare, non è però necessario seguire i ricorrenti
nella ulteriore qualificazione di questa giurisdizione per stabilire
se essa sia di annullamento ovvero sia una giurisdizione sul
rapporto, cioè sull'esistenza e la misura dell'obbligazione tributa
ria, problema sul quale la dottrina è divisa, ritenendo taluni che
essa debba essere così qualificata (ed in questo senso è la prassi
giurisprudenziale degli organi del contenzioso tributario e, talvol
ta, anche di questa corte che ha adottato, obiter dictu, tale
definizione senza, però, uno specifico approfondimento: Cass. 10
febbraio 1977, n. 605, Foro it., Rep. 1977, voce Tributi in genere,
1032); e sostenendo altri che essa debba essere qualificata come
giurisdizione sul merito dell'atto amministrativo impugnato.
ibid., n. 136; contra Comm. trib. centrale 2 aprile 1982, n. 1723, ibid., n. 134.
Sui requisiti necessari per soddisfare l'onere della motivazione degli avvisi di accertamento (id est, indicazione dei fatti su cui si basa l'accertamento in modo da consentire al contribuente di conoscere le
pretese dell'amministrazione nei loro elementi essenziali) v. da ultimo, nella motivazione, Cass. 7 febbraio 1984, n. 932, id., 1984, 1, 1597, con nota di richiami sul punto da integrare con Cass. 4 luglio 1983, n.
4464, id., Rep. 1983, voce Tributi in genere, n. 442; 19 giugno 1981, n. 4013, ibid., n. 444; App. Torino 5 ottobre 1982, ibid., n. 446; Comm. trib. centrale 12 maggio 1983, nn. 722 e 712, ibid., nn. 450, 451; 10 maggio 1982, n. 3966, ibid., n. 454.
Sui criteri di determinazione del reddito imponibile ai fini dell'im
posta sul reddito dei fabbricati v., da ultimo, Cass. 22 marzo 1984, n.
1925, id., 1984, I, 1563, con nota di richiami.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
È sufficiente, infatti, rilevare la diversa sfera di poteri attribuita
rispettivamente alle commissioni di primo e secondo grado, da
una parte, ed alla Commissione tributaria centrale ed alla corte
d'appello, dall'altra; le prime hanno una competenza piena, mentre le seconde hanno una competenza limitata alla violazione di legge ed alle questioni di fatto, escluse quelle relative a
valutazione estimativa ed alla misura delle pene pecuniarie. L'ambito di tale giurisdizione, pertanto — pur essendo più
ampio di quello attribuito a questa Suprema corte, perché invol
ge, oltre la cognizione dei fatti che attengono all'applicazione delle norme di procedura, anche quelle attinenti alla legge so
stanziale ivi compresa l'interpretazione dell'atto giuridico che è il
presupposto dell'imposizione o comunque è ad essa collegato —
esclude in ogni caso la valutazione estimativa, cioè tutte le
questioni concernenti la misurazione della base imponibile; che
deve essere effettuata non soltanto alla stregua delle norme
giuridiche che regolano la materia, ma, altresì, con l'ausilio di
regole di esperienza tratte da altre discipline che sono necessarie
per accertare l'esistenza della base imponibile e per quantificarla. Le commissioni tributarie di primo e secondo grado possono,
quindi, emettere decisioni di accertamento costitutivo, modifican
do nel quantum l'imposizione determinata dagli uffici con l'avviso
di accertamento. In proposito questa Suprema corte ha già avuto
modo di statuire (sent. 22 gennaio 1980, n. 4.93, id., Rep. 1980, voce Tributi locali, n. 88; 3 novembre 1981, n. 5787, id., Rep. 1981, voce cit., n. 366) che alla insufficienza di motivazione dell'atto di
accertamento può validamente sopperirsi attraverso la motivazione
delle pronunce delle commissioni tributarie, precisando che ad
una conclusione rigorosa come la pronuncia della nullità dell'av
viso stesso, che importa la nullità dell'imposizione, si può giunge re solo se per le lacune contenute nell'accertamento il contribuen
te non sia stato posto in grado di proporre le proprie difese in
sede giurisdizionale. La nullità dell'avviso di accertamento deve, pertanto, essere
pronunciata limitatamente ai casi di totale mancanza della moti
vazione ovvero nei casi ad essa equiparabili, quali l'esistenza di
una motivazione soltanto apparente di mero stile, che per la sua
genericità sarebbe applicabile a qualsiasi accertamento, essendo
priva di riferimenti al caso concreto; ipotesi questa che è stata
esclusa nella decisione impugnata.
4. - La Commissione tributaria centrale non può, invece, a
differenza delle commissioni di merito, esercitare tali poteri di
accertamento costitutivo della base imponibile sostituendo la
propria valutazione estimativa a quella contenuta nell'avviso di
accertamento, a causa della già esaminata limitazione di suoi
poteri di cognizione. Pertanto, l'unitarietà e la coerenza del
sistema dell'ordinamento degli organi del contenzioso tributario
esige che, ove l'insufficienza della motivazione dell'avviso di
accertamento venga dichiarata da essa, sia possibile — cosi come
10 è, quando essa venga dichiarata dalle commissioni di merito —
modificare il quantum dell'accertamento evitando il rimedio e
stremo dell'annullamento dell'atto di imposizione e, quindi, la
sottrazione di un cespite, di cui pure si è accertata l'esistenza,
all'imposizione tributaria; conseguenza questa che non sarebbe
compatibile con il principio della capacità contributiva (art. 53
Cost.). Lo strumento giuridico proprio di ogni sistema processuale è in
questo caso quello del rinvio dall'organo di giurisdizione di
legittimità o comunque di giurisdizione limitata, agli organi dotati di giurisdizione piena; principio che può considerarsi, quindi,
generale dell'ordinamento e del quale la disciplina contenuta nelle
singole norme non ne costituisce che una manifestazione nelle
singole fattispecie, senza però esaurirne ogni potenzialità.
La conclusione cui si è pervenuti è ulteriormente rafforzata
dalla considerazione che l'ordinamento ha attribuito alle commis
sioni tributarie particolari poteri di indagini e di istruzione
probatoria che prescindono dalla iniziativa delle parti (art. 35 e
36 d.p.r. n. 636/72), in quanto il processo è dominato dal
principio inquisitorio.
Esattamente, quindi la Commissione tributaria centrale, avendo
stabilito che l'avviso di accertamento era stato notificato nel
termine di decadenza stabilito dalla legge; che esso non era
perfettamente aderente alle regole giuridiche che regolano il
tributo, ed era quindi illegittimo, ma non nullo, ha stabilito i
criteri che dovevano essere seguiti nell'effettuare la quantificazio ne della base imponibile ed ha rimesso il processo alla commis
sione di merito per la valutazione estimativa.
5. - L'adozione di tale provvedimento di remissione che, come
si è visto, è perfettamente aderente ai principi del sistema
processuale, non trova alcun ostacolo in singole norme che
disciplinano il rito tributario; anzi dall'interpretazione coordinata
11 Foro Italiano — 1985.
degli art. 29 e 26 d.p.r. 636/72, si desume che La Commissione
centrale deve rinviare alla competente commissione di merito
dotata di tutti i poteri di cognizione tutte le volte che in
conseguenza dell'accoglimento del ricorso per violazione di legge o per effetto dell'esame delle questioni di fatto ad essa devolute
si debba provvedere su questioni di valutazione estimativa o di
quantificazione delle pene pecuniarie (Cass. 5 marzo 1979, n.
1636, id., Rep. 1979, voce Tributi in genere, n. 669). Il provvedimento di rinvio non trova, in particolare, alcun
ostacolo nel disposto dell'art. 21 d.p.r. 636/72 (anche nella nuova
formulazione prevista dal d.p.r. 3 novembre 1981 n. 739) in
quanto questo prevede soltanto il divieto di rinnovazione dell'atto
impugnato affetto dal vizio di motivazione ovvero dell'atto no
tificato dopo la scadenza del termine stabilito a pena di decaden
za; ipotesi che non si verificano nel caso in esame perché la
notifica è stata effettuata — come ha accertato la Commissione
tributaria centrale e come si è già rilevato — entro il termine
prescritto e perché non è stata disposta la rinnovazione dell'atto
impugnato, ma soltanto il rinvio del processo alla commissione di
merito (e non all'ufficio) per il compimento della valutazione
estimativa resa necessaria dalla motivazione insufficiente, ma non
nulla, contenuta nell'avviso impugnato.
Elementi significativi per pervenire ad una diversa interpreta zione delle norme non si desumono, peraltro, nemmeno dalla
relazione ministeriale che accompagna il d.p.r. n. 739/81, la quale
spiega che il divieto di rinnovazione dell'atto viziato per difetto
di motivazione è parso necessario per non lasciare spazio ad
accertamenti innovativi e per non vanificare una garanzia fonda
mentale nell'interesse sia del contribuente sia della correttezza dei
rapporti tributari. Invero, il divieto cui essa fa cenno concerne la
rinnovazione dell'atto impugnato ad opera dell'ufficio, eventual
mente per effetto di un provvedimento delle commissioni tributa
rie, ma non riguarda l'accertamento dell'imponibile effettuato
dalle commissioni tributarie a seguito dell'uso dei poteri di
istruzione probatoria ad esse conferiti (art. 35 e 36 d.p.r. 636/72); nel corso di un giudizio avente per oggetto un avviso di accerta
mento non viziato da nullità costituita dalla mancanza assoluta di
motivazione o da una motivazione soltanto apparente, perché non
conforme ai criteri stabiliti dalle singole leggi di imposta, ovvero
perché concretizzantesi in mere affermazioni astratte senza con
creti riferimenti alla base imponibile, e, pertanto, priva di effetti vo contenuto.
Le conclusioni cui questo collegio è pervenuto non contrastano
con la precedente sentenza della Suprema corte 10 novembre
1979, n. 5789, (id., 1980, I, 1034), nella quale l'oggetto della
controversia tributaria non era « una questione di valutazione
estimativa, ma la legittimità dell'iscrizione a ruolo, in relazione alla nullità della notificazione dell'accertamento », né con la sen
tenza 9 agosto 1983, n. 5325 (id., 1985, I, 1775), la quale ha esami
nato una fattispecie in cui la Commissione tributaria centrale aveva
pronunciato la nullità dell'accertamento per la sostanziale mancanza
della motivazione; in tal caso, esistendo un vizio che atteneva alla
formazione del rapporto giuridico d'imposta (motivazione generica a mezzo di stampigliatura), essa non poteva restare sanata per effet
to dell'opposizione del contribuente.
Questa corte deve, infine, esaminare la questione concernente
l'identificazione del giudice di rinvio competente a riesaminare la
controversia di cui trattasi essendo necessario stabilire se esso debba essere individuato nella commissione tributaria di primo
grado o in quella d'i secondo grado. La questione non è stata sollevata in modo esplicito dalle parti,
ma essa può essere rilevata d'ufficio, trattandosi di competenza funzionale inderogabile.
Il rinvio alle commissioni di merito da parte della Commissio
ne tributaria centrale è previsto dagli art. 24 e 29 d.p.r. 26
ottobre 1972 n. 636.
L'art. 24, cpv., disciplina i casi di rinvio da parte della
commissione di secondo grado alla commissione di primo grado stabilendo che esso deve essere disposto quando sia emerso che
innanzi ad essa il contraddittorio non sia stato costituito regolar mente ovvero quando tale irregolarità concerna la composizione del collegio; trattasi, quindi, di vizi cosi radicali che determinano
l'inesistenza della decisione di primo grado. L'art. 29 dello stesso decreto ooneerne, invece, il rinvio disposto
dalla Commissione centrale in seguito all'accoglimento del ricorso, nelle ipotesi in cui si renda necessario rinnovare il giudizio su
questioni di valutazione estimativa ovvero relative alla misura
delle pene pecuniarie e stabilisce che il rinvio deve essere effettua
to ad altra sezione della commissione di secondo grado che aveva
già pronunciato o, in mancanza, ad altra commissione di secondo
grado.
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1779 PARTE PRIMA 1780
Il 2° comma dello stesso art. 29 dispone, poi, io ordine al
l'ipotesi in cui i vizi previsti dal precedente art. 24 ('irregolare costituzione del contraddittorio; irregolare composizione del
collegio) si siano verificati innanzi alle commissioni di primo
grado ma siano stati rilevati dalla Commissione centrale; stabili
sce che, in tal caso, il rinvio deve essere effettuato innanzi alla
commissione di primo grado, dato che la gravità del vizio
riscontrato ha fatto venir meno l'esistenza stessa del giudizio. Nella fattispecie in esame l'annullamento della decisione della
commissione di secondo grado è stato disposto, come ha rilevato
la stessa decisione impugnata perché la Commissione centrale ha
ritenuto necessario un nuovo accertamento per verificare la fon
datezza della pretesa dell'amministrazione alla luce del principio di legalità sancito dall'art. 23 Cost.
Pertanto, a differenza di quanto ritenuto dalla decisione in
esame, l'art. 24, che concerne il rinvio ad opera della commissio
ne di secondo grado, non è applicabile nella fattispecie; ove fossero stati riscontrati i vizi prima richiamati che determinano
l'inesistenza del provvedimento impugnato, sarebbe applicabile il
2° comma dell'art. 29, ma poiché, invece, il motivo del rinvio rientra nella previsione del 1° comma dell'art. 29 e non è in alcun modo riconducibile alle ipotesi richiamate dal 2° comma,
(mediante l'indicazione dell'art. 24) le quali sono tipiche ed
insuscettibili di estensione ad altre ipotesi diverse da quelle previste dalla norma, il rinvio deve essere disposto innanzi ad altra sezione della commissione di secondo grado.
Il criterio adottato per il rinvio conseguente all'annullamento, da parte della Commissione centrale, delle decisioni delle com
missioni di merito è del tutto analogo a quello previsto per la
giurisdizione civile (art. 383 c.p.c.) e penale (art. 543 c.p.p.) per cui può ritenersi che il rinvio ad un giudice di grado pari a
quello che ha pronunciato la sentenza annullata costituisca un
principio generale dell'ordinamento processuale che non può in
alcun modo ritenersi contrastante con la tutela del contraddittorio e del diritto di difesa, come ha, invece, ritenuto la sentenza
impugnata. Invero, l'art. 24 Cost, non esige che il giudizio di rinvio si
svolga anch'esso in doppio grado; esso, lungi dall'essere un
giudizio autonomo e totalmente avulso dai precedenti gradi di
merito e di legittimità svoltisi in precedenza, è una continuazione
degli stessi per cui l'unico giudizio viene ad articolarsi in un
numero di gradi superiori al consueto; solo per incidens può,
quindi, ricordarsi che la regola del doppio grado della cognizione di merito non ha rilevanza costituzionale e non inerisce per necessaria implicazione alla garanzia della difesa (Corte cost. n.
41/65, id., 1965, I, 1124; 117/73, id., 1973, I, 2682; 22/73, ibid., 1344).
La decisione impugnata deve, quindi, essere cassata limitata
mente a tale aspetto e, poiché non rientra nei poteri di questa corte disporre il rinvio direttamente innanzi alla commissione tributaria di merito, la controversia deve essere rimessa alla
Commissione tributaria centrale che si atterrà al principio di
diritto enunciato da questa Suprema corte. (Omissis)
II
Motivi della decisione. — (Omissis). Con di secondo motivo
l'amministrazione ricorrente censura la decisione impugnata di
nullità dell'accertamento, sostenendo che l'accertamento stesso
era sufficientemente motivato con i riferimenti ai criteri di
valutazione prescritti dalla legge e che nessun rilievo assumeva la
circostanza che la motivazione risultasse stampigliata anziché
manoscritta o dattiloscritta. Anche questo motivo di ricorso non merita accoglimento. La motivazione stampigliata sull'impugnato avviso di accerta
mento, premessa l'inattendibilità dei redditi dichiarati perché
esigui rispetto a quelli correnti, giustifica la rettificazione operata con l'espressione « tenuto conto della natura e della ubicazione
del fabbricato e considerata la consistenza e destinazione delle
singole unità immobiliari censite ».
È agevole rilevare come l'espressione sopra trascritta non
integri quella motivazione analitica che l'art. 37 t.u. 645/58 prescri ve a pena di nullità, in relazione al successivo art. 74, perché il
reddito del fabbricato, in ipotesi di denuncia di un canone di locazione asseritamente inferiore a quelli correnti per i fabbricati in analoghe condizioni, possa essere determinato comparativamen te a questi ultimi.
Il riferimento ai parametri utilizzati risulta infatti assoluta mente generico, dato che esso può essere legittimamente compiu to, assumendo il significato ed il valore preteso dalla norma, soltanto quando dia luogo ad una comparazione specifica e
Il Foro Italiano — 1985.
concreta con il reddito di altri immobili in analoghe condizioni
ed aventi analoghe caratteristiche.
L'adozione di una stampigliatura identica a quella adottata per motivare gli accertamenti per tutti gli anni (otto) per i quali vi
era stata contestazione, anche in presenza di modificazione della
consistenza immobiliare, e per giungere a risultati di reddito
imponibile diverso, se non rileva sul piano del mezzo tecnico con
il quale può essere scritta la motivazione, è indice della genericità della stessa in quanto utilizzabile quale che sia la situazione
concreta.
Il vero è che dall'avviso di accertamento non è dato desumere
quali siano i fabbricati in analoghe condizioni individuati dal
l'amministrazione, quale sia il reddito che essi correttamente
producono e, quindi, come sia stato determinato per comparazio ne con esso quello accertato a carico del contribuente.
E, in queste condizioni, non può non essere rilevato come la
tesi critica dell'amministrazione trascura completamente l'ovvio
rilievo che l'accertamento del tenore di quello di cui trattasi, mancando dell'indicazione di fatti specifici dai quali è desunto
l'imponibile maggiore di quello denunciato, si sottrae ad ogni
possibilità di controllo e non consente al contribuente di tutelare
adeguatamente il suo diritto di fronte alla pretesa fiscale.
Esattamente, pertanto, la decisione impugnata ne ha dichiarato
la nullità.
Il ricorso deve, in conclusione, essere respinto. (Omissis)
I
CORTE D'APPELLO DI ROMA; decreto 29 aprile 1985; Pres.
Pacifico, Est. Nicastro, P. M. Nappi (conci, conf.); Soc.
Molo del Sole.
CORTE D'APPELLO DI ROMA
Società — Società di capitali — Pendenza di ispezione giudiziaria
per denuncia di gravi irregolarità — Sede sociale — Trasferi
mento — Omologabilità (Cod. civ., art. 2409, 2436).
È omologabile la deliberazione con la quale l'assemblea di società
di capitali assoggettata ad ispezione giudiziaria a seguito di
denuncia di gravi irregolarità trasferisce la sede sociale. (1)
II
CORTE D'APPELLO DI TORINO; decreto 14 marzo 1984; Pres. Romagnoli, Est. Mancinelli, P. M. (conci, diff.); Soc. Paramatti industriale.
Società — Società di capitali — Pendenza di ispezione giudiziaria per denuncia di gravi irregolarità e di istanza di fallimento —
Sede sociale — Trasferimento — Omologabilità (Cod. civ., art.
2409, 2411, 2436; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del
fallimento, art. 6).
È omologabile la deliberazione con la quale l'assemblea di società di capitali, assoggettata ad ispezione giudiziaria a seguito di
denuncia di gravi irregolarità e nei confronti della quale pende istanza per la dichiarazione di fallimento, trasfsrise la sede sociale. (2)
III
TRIBUNALE DI RIETI; decreto 18 febbraio 1985; Pres. ed est.
Pernice, P. M. La Sala (conci, conf.); Soc. Molo del Sole.
IV
TRIBUNALE DI TORINO; decreto 11 gennaio 1984; Pres.
Mosetto, Est. Silva, P. M. Rizzo (conci, conf.); Soc. Paramatti industriale.
Società — Società di capitali — Pendenza di ispezione giudiziaria per denuncia di gravi irregolarità — Sede sociale — Trasferi mento — Omologabilità — Esclusione (Cod. civ., art. 2409, 2436).
Non è omologabile la deliberazione con la quale l'assemblea di società di capitali assoggettata ad ispezione giudiziaria a seguito di denuncia di gravi irregolarità trasferisce la sede sociale. (3)
(1-3) Non constano precedenti in termini. Per qualche riferimento si vedano peraltro Trib. Roma 19 febbraio 1976, Foro it., Rep. 1977, voce Società, n. 255 (per il quale l'assemblea di società sottoposta ad
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