Sezione I civile; sentenza 30 maggio 1983, n. 3708; Pres. Granata, Est. Cantillo, P. M. Ferraiuolo(concl. conf.); Gilardoni (Avv. Gilardoni) c. Fall. soc. Nazzarri (Avv. Gambino, Panzarani);Talamoni (Avv. Cappalunga) c. Fall. soc. Nazzarri. Conferma App. Milano 25 luglio 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 12 (DICEMBRE 1983), pp. 3071/3072-3075/3076Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176933 .
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3071 PARTE PRIMA 3072
Con l'unica differenza, rispetto alla implicita o esplicita auto
rizzazione all'incasso nel rapporto di conto corrente bancario, della sopravvivenza del mandato in rem propriam alla dichiara
zione di fallimento e all'estinzione dello stesso rapporto di conto
corrente, seppure ai limitati effetti recuperato» a favore della
massa, di cui si è parlato. Onde appare anche sotto questo profilo non decisivo della
controversia il punto concernente la non opponibilità al fallimen
to dei patti aggiunti contenuti nelle lettere-modulo.
Dalle premesse fin qui svolte bisogna ora trarre le conclusioni
in merito al quinto motivo di censura in esame.
Esso appare, per quanto di ragione, fondato nel senso ohe se, da un lato, non si può condividere la tesi del ricorrente sull'ob
bligo della banca di svolgere per la società un mero servizio
cassa senza acquisire al proprio patrimonio le somme riscosse, dall'altro si deve escludere, per le ragioni esposte, che sia sorto
un obbligo autonomo della banca di restituire l'equivalente alla
Simelettronica e si deve, pertanto, escludere l'estinzione del suo
credito per compensazione legale. L'estinzione — come si è già precisato — è avvenuta per
effetto dell'atto solutorio del terzo.
Tale conclusione apre la via non all'esame di una domanda
restitutoria senza onere di proporre l'azione revocatoria di paga
mento, come il ricorrente pretenderebbe, bensì all'esame del sesto
ed ultimo motivo di censura, col quale il ricorrente denuncia il
vizio di omessa pronuncia sulla domanda di revoca del pagamen to (erroneamente definito effetto della compensazione legale), da
lui, in via subordinata, proposta. Nessun dubbio sussiste sulla fondatezza di quest'ultima censura,
non essendo rinvenibile traccia alcuna di una siffatta pronuncia nella decisione impugnata.
Anche il sesto motivo, seconda parte, pertanto, deve essere
accolto.
I primi quattro, per le ragioni esposte, rimangono assorbiti.
La sentenza della Corte d'appello di Lecce va, conseguentemen
te, cassata, con rinvio della causa, anche per la decisione sulle
spese di questo grado del giudizio, alla Corte d'appello di Bari, che dovrà attenersi ai principi di diritto sopra enunciati.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 30 mag
gio 1983, n. 3708; Pres. Granata, Est. Cantillo, P. M. Ter
raiuolo (conci, conf.); Gilardoni (Aw. Gilardoni) c. Fall,
soc. Nazzarri (Avv. Gambino, Panzarani); Talamoni (Aw.
Cappalunga) c. Fall. soc. Nazzarri. Conferma App. Milano 25
luglio 1980.
Obbligazioni in genere — Imputazione di pagamenti — Debito
meno garantito — Nozione (Cod. civ., art. 1193).
Tra due debiti pecuniari scaduti, riguardanti l'uno il prezzo dovuto in esecuzione di un contratto preliminare di vendita di
un immobile, l'altro il prezzo dovuto per un contratto definiti vo di compravendita, la circostanza che in quest'ultimo nego
zio, avente efficacia reale, e non nel primo, di natura obbliga
toria, si sia avuto il trasferimento del bene al debitore, non è
idonea a far qualificare come meno garantito, ai fini del
criterio di imputazione dei pagamenti, il debito nascente dal
contratto traslativo. (1) »
(1) Contra Cass. 1° giugno 1974, n. 1572, Foro it., Rep. 1975, voce
Obbligazioni in genere, n. 36, secondo cui l'espressione « meno garanti to », contenuta nel disposto dell'art. 1193 c.c., non è da intendersi in senso rigorosamente tecnico e quindi con riferimento alle tipiche forme
di garanzia reale e personale; pertanto in quella locuzione « possono rientrare l'ipotesi della minore speditezza e maggiore dispensiosità della attuazione del credito ».
Questa linea interpretativa è avallata, in dottrina, da Grasso, in Codice civile annotato, a cura di Perlingieri, Torino, 1980, IV, 30,
sub art. 1193; mentre è contestata da D'Aloisio, Brevi note sull'impu tazione del pagamento, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1975, 1616,
1621, secondo cui «l'art. 1193 si riferisce alla garanzia in senso
proprio, la quale è costituita da uno dei tassativi metodi di garanzia personale e reale, dal privilegio o da altra cautela (art. 1179 c.c.) ».
-Il convincimento ora espresso dalla corte circa la ratio dei criteri di
imputazione dei pagamenti ex art. 1193, che consisterebbe nella loro funzione strumentale di individuazione del debito, è condiviso da Di
Majo, Pagamento (dir. priv.), voce dell'Enciclopedia del diritto, Milano,
1981, XXXI, 567, a giudizio del quale «l'imputazione è pur sempre uno strumento destinato all'individuazione dei debiti che si intendono
estinguere ». Per quanto riguarda il pagamento discusso in sentenza,
Giorgianni, Pagamento, voce del Novissimo digesto, Torino, 1956, XII,
Svolgimento del processo. — L'avv. Marco Gilardoni e il sig. Domenico Talamoni stipularono con l'ing. Nazzarri due contratti, con il primo dei quali (del 21 dicembre 1968) si obbligarono a
vendergli due appartamenti e due boxes di un edificio in Valtour
nanche (Cervinia) per il prezzo, rispettivamente, di lire 22.300.000
e lire 3.700.000, da corrispondersi secondo certe modalità; con il
secondo (del 28 luglio 1969) gli vendettero definitivamente altri
due boxes nello stesso fabbricato per il prezzo di lire 4.000.000.
L'ing. Nazzarri, dopo aver corrisposto gran parte del prezzo, fu dichiarato fallito e il curatore, nel termine assegnatogli dal
giudice ex art. 72 1. fall., manifestò la volontà di subentrare nel
contratto preliminare, dichiarandosi pronto a pagare il residuo
prezzo al momento della stipula del contratto definitivo. Essendo
insorta controversia in ordine alle somme dovute, il fallimento
convenne i venditori innanzi al Tribunale di Milano per ottenere
sentenza costitutiva del trasferimento degli immobili di cui al
preliminare e dichiarativa di quello degli immobili oggetto della
vendita del luglio 1969, dicendosi pronto a pagare la somma di
lire 3.525.912 (o quella diversa somma che fosse accertata dovuta) in relazione al preliminare, posto che per il prezzo relativo al
contratto definitivo i venditori dovevano insinuarsi al passivo del
fallimento.
I convenuti proposero domanda riconvenzionale di risoluzione
dei contratti per inadempimento e di risarcimento dei danni, da
liquidarsi in separata sede; in subordine, chiesero la condanna
del fallimento a pagare lire 8.111.225 e gli interessi nella misura
del 7 % annuo dalla data dei singoli debiti al saldo effettivo,
sempre oltre il risarcimento dei danni, compreso l'importo del
l'i.n.v.i.m.
II tribunale, dopo una sentenza non definitiva del 27 marzo
1977 riguardante la competenza (che è problema non piti in
discussione), con sentenza definitiva del 1° giugno 1978 accolse le
domande del fallimento, dichiarando — quanto alla vendita del
luglio 1969 — che i due boxes di cui alla scrittura erano di
ventati di proprietà del Nazzarri, e quindi del fallimento, e che il
residuo prezzo doveva essere richiesto mediante domanda di
insinuazione al passivo; dichiarava trasferiti, poi, allo stesso
fallimento gli immobili di cui al preliminare, stabilendo che la
somma di lire 3.525.912, oltre agli interessi di lire 1.314.741, dovesse essere interamente versata ai convenuti prima della
trascrizione della sentenza nei registri immobiliari.
La pronunzia, con la sentenza ora denunziata del 25 luglio 1980, è stata confermata dalla corte d'appello, tranne che per alcune statuizioni marginali.
Essa ha anzitutto osservato che, contrariamente a quanto soste
nuto dagli appellanti, la controversia non riguardava un terzo
contratto, intervenuto fra gli stessi e il condominio del fabbricato e riflettente un appartamento destinato ad abitazione del portiere: il Gilardoni, infatti, pur dando notizia del contratto, in primo grado non aveva denunziato specifiche inadempienze relative ad esso e non ne aveva chiesto la risoluzione, sicché tale richiesta, formulata in appello, costituiva domanda nuova, inammissibile ex art. 345 cp.c.
In ordine al contratto del luglio 1969, premesso che gli
appellanti non si erano doluti della sua qualificazione come vendita definitiva, la corte ha osservato che il negozio non poteva considerarsi ineseguito prima del fallimento solo perché non era stato stipulato l'atto pubblico di trasferimento, sicché, non essen do applicabile la disciplina di cui all'art. 72 1. fall., correttamente i primi giudici avevano statuito che per il residuo prezzo i
venditori dovessero insinuarsi al passivo del fallimento. Né si
configurava l'inadempimento che gli appellanti addebitavano sia
al Nazzarri che al fallimento per il mancato rimborso di somme
anticipate per rate del mutuo fondario gravante sull'immobile e
per spese condominiali: l'accollo del mutuo faceva parte del
prezzo di aoquisto e perciò per le rate relative i venditori dovevano del pari insinuarsi al passivo; le spese condominiali non facevano parte del sinallagma contrattuale e pertanto i
venditori, mentre dovevano seguire lo stesso procedimento per
quelle anteriori al fallimento, avevano diritto di ottenere inte
gralmente quelle successive, trattandosi di debito di massa.
Passando a considerare il contratto preliminare, del quale gli alienanti avevano domandato la risoluzione per inadempimenti anteriori o successivi al fallimento, quanto a questi ultimi la
corte, sulla premessa che l'avv. Gilardoni, con lettera del 20
luglio 1973, aveva comunicato al curatore che le somme ancora
321, 328, ne ravvisa il fondamento nella tutela « dell'interesse del creditore che è evidentemente che venga estinto il debito... meno
garantito »; contra, A. Natoli, L'attuazione del rapporto obbligatorio, (Milano, 1962, II, 170, secondo cui « la soluzione legale si indirizza nel senso dell'imputazione che vale in concreto a liberare il più possibile il debitore ».
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dovute ammontavano a complessive lire 5.364.096, di cui lire
2.300.000 per saldo del prezzo, lire 768.292 per spese condominia
li, lire 693.733 per interessi, lire 610.000 per scarto cartelle e
spese di impianto del mutuo, nonché lire 992.071 per rate mutuo, la corte ha condiviso l'opinione del tribunale quanto all'obbligo del fallimento di corrispondere questi ultimi importi; ed ha
osservato che erano altresì dovute le spese condominiali, even
tualmente quale debito di massa, ma, non configurandosi un
vincolo sinallagmatico fra tale obbligo, conseguenziale all'anticipa ta consegna dell'immobile, e l'obbligo del promittente di stipulare la vendita, l'asserito inadempimento non poteva essere valutato
come circostanza idonea a sorreggere la domanda di risoluzione, ancorché il tribunale — con statuizione non impugnata dalla
curatela — avesse subordinato la trascrizione della sentenza ex
art. 2932 c.c. anche al pagamento di dette spese. Quanto al saldo del prezzo di lire 2.300.000, era controverso
fra le parti se esso fosse dovuto in relazione al contratto
preliminare, e perciò dovesse essere corrisposto dal curatore
subentrato nel contratto, o fosse dovuto in relazione alla vendita
del luglio 1969, e perciò dovesse essere insinuato al passivo del
fallimento; e l'una e l'altra soluzione dipendevano dall'imputazio ne da dare ai pagamenti effettuati dal Nazzarri prima del
fallimento, se cioè andassero imputati al prezzo del preliminare ovvero a quello definitivo, ciò che sostenevano gli appellanti sul
rilievo che quest'ultimo debito doveva considerarsi meno garanti to rispetto all'altro, in conseguenza dell'avvenuto trasferimento
degli immobili oggetto della vendita.
Il tribunale aveva ritenuto che il saldo dovuto riguardasse la
vendita definitiva, cioè che i pagamenti precedenti dovessero
imputarsi al preliminare. E questa soluzione, sia pure con una
diversa motivazione, è stata seguita dalla corte d'appello, la
quale, dopo avere escluso che il credito per il prezzo inerente ad un contratto definitivo di vendita possa dirsi più o meno ga rantito del credito derivante da un contratto preliminare, ha
fatto riferimento alle scadenze delle singole rate del prezzo di
entrambi i contratti, accertando che il Nazzarri avrebbe dovuto
pagare ai venditori lire 17.700.000 prima dell'atto notarile e
lire 5.300.000 al momento del rogito e che, alla stregua di
quanto chiesto dallo stesso Gilardoni, al momento del falli
mento aveva effettuato pagamenti per complessive lire 20.700.000.
Tali pagamenti andavano imputati anzitutto ai debiti scaduti, consistenti nelle rate del prezzo che dovevano essere pagate
prima del rogito, e perciò per lire 15.700.000 ai debiti derivanti dal contratto preliminare e per lire 2.000.000 a quelli derivanti dal contratto definitivo, mentre l'ulteriore somma di lire 3.000.000
doveva essere imputata ad estinzione degli importi da pagare al
momento del rogito, cioè di debiti non ancora scaduti, i quali ammontavano a lire 4.200.000 per il contratto preliminare e a lire 1.100.000 per quello definitivo.
Il problema di imputazione all'uno o all'altro negozio era
pertanto circoscritto — ha soggiunto la corte — alla somma suddetta e andava risolto secondo i criteri di cui all'art. 1193, 2°
comma, c.c., che, sebbene testualmente dettati per i debiti scadu
ti, si applicano anche per quelli non scaduti, non potendosi ammettere che per questi l'imputazione debba essere sempre proporzionale. In base a tali criteri la somma doveva essere
imputata al prezzo del preliminare, che costituiva il debito più oneroso per il debitore, essendo gravato di interessi del 7 % a
semestre, con la conseguenza che il residuo prezzo dovuto per tale contratto era di lire 1.200.000; e poiché, in mancanza di altri
elementi, doveva seguirsi il calcolo degli interessi effettuato dal
fallimento, le prestazioni corrispettive che quest'ultimo era tenuto ad adempiere, ammontavano a complessive lire 3.418.304, somma inferiore a quella offerta dalla curatela.
Circa gli asseriti inadempimenti anteriori al fallimento, la corte ha escluso, in via di principio, che la risoluzione del contratto, non chiesta prima del fallimento, possa essere fatta valere nei confronti della curatela; ma ha nondimeno esaminato il merito della domanda, osservando che il Nazzarri aveva pagato, nel modo suddetto, pressoché interamente il prezzo del preliminare, in parte anche anticipatamente (per la somma da corrispondere al momento del rogito), sicché un inadempimento poteva configurar si solo quanto agli importi dovuti per scarto cartelle, spese di
impianto del mutuo, interessi e rate del mutuo stesso. Avuto
riguardo all'ammontare di tali debiti, però, l'inadempimento non
poteva considerarsi grave, agli effetti dell'art. 1455 c.c.; né era
provato che il contratto definitivo non fosse stato stipulato per colpa del Nazzarri, sicché i venditori non potevano neppure dolersi della circostanza che erano obbligati a corrispondere l'i.n.v.i.m., frattanto istituita.
Il fallimento, poi, si era sempre dichiarato disposto a pagare, all'atto del perfezionamento del contratto, tanto il residuo prezzo
e i relativi interessi, quanto le altre somme di cui sopra; e questa offerta aveva rinnovato in corso di giudizio, anche con riferimen
to all'eventuale maggiore somma che fosse stata determinata dal
giudice. Pertanto l'inadempimento della curatela, anche a volerlo
ritenere esistente, sicuramente non rivestiva caratteri di gravità; né era rilevante la circostanza che in corso di causa l'esposizione debitoria del fallimento fosse aumentata in relazione alla soprav venuta scadenza di altre rate del mutuo e relativi interessi, sia
perché il fallimento si era impegnato a pagare anche queste ulteriori somme e sia perché la domanda di risoluzione del
contratto preclude l'adempimento della controparte, con la conse
guenza che, nella specie, l'aggravamento del debito non poteva essere imputato alla curatela.
Infine, avendo gli appellanti dedotto l'inefficacia dell'offerta di
adempimento, la corte ha osservato che questa può essere fatta in
giudizio anche dal procuratore e non deve essere necessariamente
reale, purché idonea a manifestare l'intento di adempiere; senza
dire che il pagamento del prezzo residuo era convenzionalmente
previsto al momento del rogito, sicché la somma di lire 1.200.000
non doveva essere offerta al momento della domanda.
Avverso la sentenza il Gilardoni ha proposto ricorso in base a
nove motivi, fatti propri dal Talamone con ricorso incidentale.
Resiste la curatela fallimentare con controricorso. Le parti hanno
depositato memorie.
Motivi della decisione. — {Omissis). 3. - Con il primo motivo i
ricorrenti denunziano la violazione dell'art. 1193 c.c. e censurano
la sentenza nella parte in cui ha imputato i pagamenti eseguiti dal Nazzarri all'adempimento del debito per il prezzo convenuto
con il contratto preliminare relativo alla vendita degli apparta
menti; sostengono che fra tale obbligazione e quella attinente al
prezzo del contratto di vendita definitivo relativo ai boxes doves
se essere considerata meno garantita quest'ultima, a motivo del
già avvenuto trasferimento degli immobili, e non la prima,
rispetto alla quale esso alienante poteva tutelarsi rifiutando la
stipulazione del contratto definitivo.
Anche questa censura è infondata.
Essa muove, intanto, da una premessa non esatta, in quanto la
corte d'appello non ha ritenuto meno garantito il debito nascente
dal contratto preliminare, bensì ha affermato che il carattere
preliminare o definitivo del negozio costitutivo dell'obbligazione è
del tutto irrilevante rispetto al criterio di imputazione in oggetto, che ha riguardo alla maggiore o minore facilità di attuazione
coattiva del credito, sotto il quale profilo la posizione del
promittente non è migliore di quella del venditore, e viceversa.
Questa conclusione, poi, con le precisazioni di cui appresso,
merita consenso.
Nel diritto delle obbligazioni l'espressione « debito garantito »
designa l'obbligazione assistita da una garanzia reale o personale
(privilegio, pegno, ipoteca, fideiussione, ecc.) che la rafforza, in
quanto diretta ad assicurarne l'esatto adempimento; e poiché le
parole dell'enunciato normativo debbono essere intese, se diver
samente non risulti dal contesto, secondo il significato tecnico-giu ridico che esse hanno nella materia, non è contestabile che l'art.
1193, 2° comma, c.c., nello stabilire ohe il pagamento va imputato al debito « meno garantito », testualmente si riferisce all'obbliga zione che, fra quelle scadute, o non è assistita da alcuna garanzia
oppure è assistita da una garanzia di minor forza rispetto a
quelle inerenti alle altre obbligazioni, per la sua natura giuridica,
per la concreta estensione quantitativa e temporale, per l'ordine
che occupa nella graduatoria delle cause di prelazione, o per una
diversa ragione. Il superamento di questo significato testuale viene argomentato
dai ricorrenti in base alla ratio del criterio, sul rilievo che esso è
dettato nell'esclusivo interesse del creditore: la locuzione « meno
garantito » dovrebbe essere intesa perciò in senso lato, compren sivo di ogni mezzo di tutela dell'interesse medesimo, e conse
guenzialmente il raffronto fra le obbligazioni dovrebbe riguardare, oltre alle garanzie, ogni altro elemento idoneo a rafforzare la
posizione del creditore, ancorché attinente non alle singole obbli
gazioni, ma all'intero rapporto.
Senonché l'equivoco che domina il discorso si coglie conside
rando che i criteri legali di imputazione, elencati nel 2° comma
dell'art. 1193 cit., hanno la funzione di rendere oggettivamente certo, in assenza di una dichiarazione esplicativa del solvens o, in
subordine, dell'accipiens (come si argomenta dall'art. 1195), a
quali dei rapporti obbligatori inter partes della medesima specie debbano essere riferiti i pagamenti, per modo che ad ogni atto solutorio segua puntualmente l'effetto di estinguere in tutto o in
parte una determinata obbligazione (v. sent. n. 474 del 1975, Foro it., 1975, I, 2287). In questa funzione strumentale di individuazione del debito da estinguere, indispensabile per la
produzione dell'effetto del pagamento, risiede la ratio immediata
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3075 PARTE PRIMA 3076
delle regole di imputazione, volte appunto a sopperire, come si è
detto, alla mancanza di una manifestazione di volontà delle parti al riguardo; la loro applicazione incide necessariamente su inte
ressi di entrambe le parti, e anche di terzi in rapporto con esse, con la conseguenza che le regole medesime, sebbene ancorate a
situazioni in cui l'estinzione prioritaria di uno dei debiti corri
sponde all'interesse del creditore (come per i criteri riferiti al
debito già scaduto o meno garantito) o all'interesse del debitore
(come per il criterio riferito al debito più oneroso), debbono
essere interpretate oggettivamente, in stretta aderenza alle situa
zioni considerate e privilegiando in ogni caso la definizione che
meglio consenta di individuare in modo diretto e sicuro l'obbli
gazione alla quale deve essere riferito il pagamento nel momento
in cui viene compiuto (la necessaria coincidenza temporale del
l'imputazione con il pagamento risulta anche dall'espressione
«quando paga», contenuta nel 1° comma dell'art. 1193 cit.).
Se è vero, dunque, che il criterio di imputazione in questione è
coerente al normale interesse del creditore di conseguire con
precedenza l'adempimento del credito meno presidiato, non è
esatto, invece, ohe l'ambito della regola possa essere determinato
con esclusivo riguardo all'interesse medesimo, laddove occorre
tenere in conto anzitutto la finalità dianzi sottolineata. E in
questa ottica almeno due altre considerazioni impongono di non
discostarsi dal significato tecnico della locuzione « meno garanti te ».
La prima è che il raffronto fra le obbligazioni sotto il profilo delle garanzie è richiesto dalla norma non solo per il criterio in
esame, ma anche per quello successivo, in quanto essa, nel
disporre che « tra più debiti ugualmente garantiti » l'imputazione
va fatta « al più oneroso per il debitore », subordina a tale
equivalenza, dunque all'inesistenza di un credito « meno garanti to », l'applicabilità dell'ulteriore criterio; e poiché questo corri
sponde, invece, all'interesse del debitore di liberarsi dell'obbliga
zione più gravosa, risulta evidente come la regola precedente debba essere intesa in modo oggettivo, senza che se ne possa
ampliare la portata in funzione dell'interesse del creditore.
La seconda considerazione è che l'interpretazione della regola
correlata alla presenza, al numero e all'intensità delle garanzie è la
più rispondente alla finalità di rendere certa l'imputazione all'atto
del pagamento, in quanto il diritto di garanzia inerisce alla
singola obbligazione e la sua maggiore o minor forza può essere
in concreto stabilita in base ad elementi oggettivi ed evidenti, con
la conseguenza che l'individuazione del debito meno garantito (o,
all'opposto, l'uguaglianza dei debiti) risulta sicura anche fra
obbligazioni tutte garantite.
Ben diversamente accadrebbe se si adottasse un'esegesi disanco
rata dalle garanzie, perchè allora — occorrendo utilizzare il
diverso e generico concetto di « debito meno tutelato » — do
vrebbe darsi rilievo ad una quantità di elementi, non agevolmente
verificabili, relativi alla disciplina normativa o alle concrete
modalità delle singole obbligazioni cui va imputato il pagamento
(come il termine di prescrizione, l'esistenza di atti interrutivi
della medesima, la qualità del documento del debito, la presenza di un titolo esecutivo, ecc.). Non sarebbe agevole escludere, anzi,
neppure quei mezzi di reazione all'inadempimento cui allude il
ricorrente, che non riguardano direttamente l'obbligazione, ma
l'intero rapporto nel quale è inserita, e che non ne rafforzano o
agevolano l'attuazione coattiva, ma consentono al venditore di
sottrarsi, a sua volta, all'adempimento di una propria obbligazio
ne sinallagmatica; e in tal modo, a parte il palese sovvertimento
dell'enunciato normativo, che in nessun modo consente di pre
scindere dal riferimento alle singole obbligazioni, l'imputazione si
farebbe dipendere non da circostanze oggettive e certe al momen
to del pagamento, ma della mera possibilità per il creditore di
esperire i detti rimedi, con la conseguenza che lo scopo della
disposizione verrebbe sostanzialmente frustrato.
Le considerazioni svolte consigliano, quindi, di modificare l'o
pinione espressa da questa corte nella sent. n. 1572 del 1974, (id.,
Rep. 1975, voce Obbligazioni in genere, n. 36), con la quale si
ritenne possibile, al fine di inviduare il debito meno garantito,
prendere in considerazione, oltre alle garanzie, anche elementi
attinenti « alla minore speditezza o alla maggiore dispendiosità dell'attuazione »; e si deve affermare, invece, che la locuzione
« debito meno garantito » va interpretata nel suo significato
tecnico, con riguardo, cioè, alle garanzie reali e personali, ancor
ché atipiche, e perciò è tale, agli effetti del criterio di imputazio
ne in esame, il debito ohe, fra quelli scaduti, o non è assistito da
alcuna garanzia o è assistito da una garanzia di minor forza
rispetto a quelle inerenti agli altri, come si è in precedenza detto.
Pertanto, fra due debiti pecuniari scaduti, riguardanti l'uno il
prezzo dovuto in esecuzione di un contratto preliminare di
vendita di un immobile, l'altro il prezzo dovuto per un analogo
contratto definitivo, la circostanza che in questo negozio, avente efficacia reale, e non nel primo, avente natura obbligatoria, si è avuto il trasferimento del bene al debitore, non ha alcun rilievo ai fini del criterio di imputazione in oggetto, siccome è inidonea a qualificare come « meno garantito » il debito relativo al contrat to traslativo. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 20 maggio 1983, n. 3516; Pres. Santulli, Est. Menichino, P. M. Zema (conci, conf.); Bottero (Aw. Cabibbo) c. I.n.p.s. (Avv. Cotro neo, Maresca, Angelo). Cassa Trib. Torino 8 giugno 1981.
Previdenza sociale — Pensione — Integrazione al minimo — Di ritto alle differenze dei ratei — Prescrizione applicabile (Cod. civ., art. 2946; r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale, art. 129; 1. 12 agosto 1962 n. 1338, disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, art. 2).
Il diritto alle differenze dei ratei di pensione per integrazione al trattamento minimo, in mancanza di un provvedimento di liquidazione dell'I.n.p.s., è soggetto all'ordinaria prescrizione decennale. (1)
Fatto. — Il sig. Bottero Battista (classe 1917), già titolare di
pensione dal 1° agosto 1955, con decorrenza 1° agosto 1958 divenne altresì' titolare di pensione statale. L'I .n.p.s., con effetto dal 1° no vembre 1967 revocò l'integrazione al trattamento minimo perché incompatibile con la pensione a carico dello Stato, ai sensi dell'art. 2 1. 1338/62.
Contro il provvedimento il Bottero non propose a suo tempo alcuna impugnazione in sede amministrativa.
Successivamente la Corte costituzionale, con sentenza n. 263 del 29 dicembre 1976 (pubblicata sulla G. U. n. 4 del 5 gennaio 1977; Foro it., 1977, I, 566), dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 1. 1338/62 e dell'art. 23 1. 30 aprile 1969 n. 153 nella parte in cui escludevano dal diritto al trattamento minimo i titolari di pensione diretta per invalidità a carico dell'I.n.p.s. che fossero anche titolari di pensione diretta a carico dello Stato.
Il 28 luglio 1978 il Bottero impugnò avanti al comitato provin ciale il provvedimento con cui a suo tempo l'istituto aveva revocato il trattamento minimo.
Non avendo avuto esito il ricorso il Bottero propose ricorso al comitato regionale, e, infine, con atto notificato il 23 dicembre 1980 convenne in giudizio l'I .n.p.s. davanti al Pretore di Torino chiedendo che fosse riconosciuto il suo diritto a percepire la pensione in misura integrata al trattamento minimo e la condan na dell'istituto a corrisponderli i ratei maturati dal 1° novembre 1967 (data della revoca dell'integrazione al minimo).
L'I.n.p.s., costituitosi in giudizio, non contestò il diritto alla integrazione al trattamento minimo per effetto della decisione della Corte costituzionale, e quindi con decorrenza 1° febbraio 1977.
Con sentenza 9-10 febbraio 1981 il pretore accolse parzialmente la domanda del Bottero dichiarando l'istituto tenuto a corrispon dere le differenze per integrazione al trattamento minimo con decorrenza 1° agosto 1968, affermando che si era maturata la
(1) La sentenza si pone nel medesimo orientamento interpretativo di Cass. 12 maggio 1978, n. 2338 e 2 giugno 1977, n. 2249, Foro it., 1979, I, 436, con nota di richiami e osservazioni di O. Mazzotta, che hanno distinto il caso del diritto a prestazioni pensionistiche da liquidare (sottoposto alla norma dell'art. 2946 c.c.) da quello in cui le prestazioni siano state già liquidate (regolato dall'art. 129 r.d.l. 1827/35 che ne prevede la prescrizione quinquennale).
In dottrina, tanto Mazzotta nella nota cit. quanto U. Novelli in nota a Cass. 2249/77, in Riv. giur. lav., 1977, III, 384, contestano l'orientamento della Cassazione sostenendo l'imprescrittibilità del diritto alla pensione quando manchi il provvedimento di liquidazione del l'I.n.p.s.
Con riferimento alla rendita I.n.a.i.l. per inabilità permanente, Cass. 14 dicembre 1983, n. 7387, in questo fascicolo, I, 2983, con nota di richiami di V. Ferrari, ha affermato che si prescrive in dieci anni il diritto alla rendita per inabilità permanente già istituita in suo favore.
In tema di integrazione al minimo della pensione, oltre a Corte cost. 29 dicembre 1976, n. 263, Foro it., 1977, I, 566, cit. dalla sentenza che si riporta, v. Corte cost. 27 maggio 1982, n. 102, id., 1982, I, 1489, con nota di richiami, e 26 febbraio 1981, n. 34, id., 1981, I, 1502, con nota di richiami e osservazioni di V. Ferrari.
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