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sezione I civile; sentenza 30 marzo 1999, n. 3097; Pres. R. Sgroi, Est. Ferro, P.M. Cafiero (concl....

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sezione I civile; sentenza 30 marzo 1999, n. 3097; Pres. R. Sgroi, Est. Ferro, P.M. Cafiero (concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Giacobbe) c. Soc. Hotel Kraft (Avv. Moreschini, Antonucci). Cassa App. Firenze 16 dicembre 1996 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 4 (APRILE 1999), pp. 1143/1144-1153/1154 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23195371 . Accessed: 28/06/2014 17:50 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.61 on Sat, 28 Jun 2014 17:50:41 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 30 marzo 1999, n. 3097; Pres. R. Sgroi, Est. Ferro, P.M. Cafiero (concl.conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Giacobbe) c. Soc. Hotel Kraft (Avv. Moreschini,Antonucci). Cassa App. Firenze 16 dicembre 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 4 (APRILE 1999), pp. 1143/1144-1153/1154Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195371 .

Accessed: 28/06/2014 17:50

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1143 PARTE PRIMA

edilizia), convertito, con modificazioni, nella 1. 4 dicembre 1993

n. 493, come sostituito dall'art. 2, comma 60, 1. 23 dicembre

1996 n. 662 (misure di razionalizzazione della finanza pubblica). Secondo la ricorrente la disposizione in questione sarebbe le

siva della competenza statutaria regionale in materia urbanisti

ca dal momento che, prevedendo, in luogo del silenzio-assenso

conseguente all'inutile decorso del termine per l'emanazione della

concessione edilizia, l'intervento sostitutivo del presidente della

giunta regionale mediante la nomina di un commissario ad acta

comporta l'espunzione dell'istituto del silenzio-assenso, oltreché

dall'ordinamento statale, anche da quello delle regioni che, co

me la regione Friuli-Venezia Giulia, hanno specificamente disci

plinato l'istituto, in forza della riconosciuta speciale autonomia

(art. 84 1. 19 novembre 1991 n. 52 recante «norme regionali in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica»).

Inoltre, sempre secondo la regione, sarebbe assolutamente il

legittimo il 18° comma del novellato art. 4 in quanto impositivo di onere di adeguamento alla nuova normativa anche nei con

fronti delle regioni a statuto speciale, sostanziando una tenden

ziale parificazione della potestà legislativa esclusiva a quella con

corrente.

2. - Preliminarmente deve essere esaminato, in quanto assor

bente, il profilo del ricorso che investe principalmente l'art. 4, 18° comma, d.l. 5 ottobre 1993 n. 398, convertito, con modifi

cazioni, nella 1. 4 dicembre 1993 n. 493, come introdotto dal

l'art. 2, comma 60, 1. 23 dicembre 1996 n. 662.

Infatti la lesione della posizione della regione ricorrente (a statuto speciale) deriva essenzialmente dalla norma anzidetta, che in modo onnicomprensivo ed indiscriminato pone le regioni a statuto speciale, le province autonome di Trento e di Bolzano

e le regioni ordinarie sullo stesso piano nell'obbligo di adegua mento delle «proprie normazioni ai principi contenuti nel pre sente articolo in tema di procedimento», cioè — come definito

nella rubrica dell'articolo stesso — di «procedure per il rilascio

della concessione edilizia».

In tale maniera il legislatore statale interviene in materia ur

banistica nel campo dei procedimenti per il rilascio delle con

cessioni edilizie, con una serie di norme analitiche e di dettaglio che (in sostituzione di precedente disciplina statale applicabile in assenza di legislazione regionale: v. d.l. n. 398 del 1993, con

vertito in 1. n. 493 del 1993) scandiscono le fasi e le cadenze

procedimentali degli uffici comunali competenti, prevedendo,

altresì, i termini per il rilascio e le conseguenze del decorso del

termine, con obblighi per l'amministrazione comunale e regio

nale, ed in modo particolareggiato l'istituto della denuncia di

inizio di attività. Anche se le anzidette nuove norme statali non hanno alcun

effetto abrogativo della preesistente disciplina regionale in ma

teria, tuttavia comportano per le regioni (così indicate accanto

alle province autonome) un obbligo generico ed indiscriminato

di adeguamento ai principi della stessa legge statale, con una

l'art. 32, 3° comma, 1. 28 febbraio 1985 n. 47, introdotto dall'art. 2, comma 44, 1. 662/96, qualifica come rifiuto il silenzio delle amministra zioni preposte ai vincoli storico-artistico, paesaggistico, idrogeologico, protratto per centottanta giorni: per altri tipi di vincoli, il 1° comma dell'art. 32 1. 47/85, come modificato dall'art. 2, comma 43, 1. 662/96, prevede il silenzio-assenso dopo centoventi giorni. Il 2° comma dello stesso art. 32, come inserito dall'art. 39, 7° comma, 1. 23 dicembre 1994 n. 724, prevede che per le domande di condono di abusi non com

portanti aumenti di superficie e di volume, il parere di competenza del l'amministrazione preposta al vincolo s'intende rilasciato entro cento venti giorni.

L'esistenza del vincolo paesaggistico e storico-artistico è ostativa al l'abilitazione dell'attività edificatoria mediante denuncia di inizio attivi

tà, ai sensi dell'art. 4, 8° comma, 1. 493/93, come sostituito dall'art.

2, comma 60, 1. 662/96. In dottrina, Gualandi, II ruolo de! silenzio-assenso in campo urbani

stico ed edilizio, in Riv. giur. urbanistica, 1996, 189; Boscolo, Silenzio rifiuto su istanza di concessione e sopravvenienza di nuova disciplina urbanistica, in Urbanistica e appalti, 1997, 794; Zucca, Condono edili zio e silenzio-assenso, in Riv. giur. edilizia, 1997, I, 203; Lombardo, Il nuovo procedimento di rilascio della concessione edilizia, id., 1998, II, 115; Morbidelli, Modelli di semplificazione amministrativa nell'ur banistica, nell'edilizia, nei lavori pubblici (ovvero della strada verso una sostenibile leggerezza delle procedure), in Riv. giur. urbanistica, 1998, 287; Nitti, Piani regolatori approvati con il silenzio-assenso, in Nuova rass., 1998, 88.

Il Foro Italiano — 1999.

sostanziale parificazione della diversa potestà legislativa esclusi

va spettante in materia alla regione ricorrente a statuto speciale. Né può ammettersi che con una formula, sia pure di obbligo

di adeguamento ai principi della legge statale (costituenti un

limite della legislazione per le regioni ordinarie), si possa inter

ferire — per di più intervenendo su un assetto normativo pree sistente che ciascuna delle regioni a statuto speciale si era legit timamente dato in modo completo — sulla competenza prima ria ed esclusiva in materia urbanistica delle regioni e delle

province ad autonomia speciale (cfr., nella specie, art. 4 dello

statuto di autonomia della regione Friuli-Venezia Giulia) suscet

tibile di limiti derivanti da principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato o da norme fondamentali delle riforme

economico-sociali.

In altri termini la competenza primaria delle regioni a statuto

speciale non può essere declassata negli stessi limiti più ristretti

della competenza concorrente delle regioni di diritto comune.

3. - Sulla base delle predette considerazioni (con riferimento

all'art. 4 dello statuto di autonomia della regione Friuli-Venezia

Giulia) il ricorso è fondato con conseguente dichiarazione di

illegittimità costituzionale del citato 18° comma, limitatamente

alla parte in cui prevede l'obbligo di adeguamento anche per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento

e Bolzano.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 4, 18° comma, d.l. 5 ottobre 1993

n. 398 (disposizioni per l'accelerazione degli investimenti a so

stegno dell'occupazione e per la semplificazione dei procedimenti in materia edilizia), convertito, con modificazioni, nella 1. 4 di

cembre 1993 n. 493, come introdotto dall'art. 2, comma 60,

1. 23 dicembre 1996 n. 662 (misure di razionalizzazione della

finanza pubblica), nella parte in cui prevede l'obbligo di ade

guamento anche per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione i civile; sentenza 30 marzo

1999, n. 3097; Pres. R. Sgroi, Est. Ferro, P.M. Cafiero

(conci, conf.); Min. finanze (Aw. dello Stato Giacobbe) c.

Soc. Hotel Kraft (Aw, Moreschini, Antonucci). Cassa App. Firenze 16 dicembre 1996.

CORTE DI CASSAZIONE;

Concessioni governative (tassa sulle) — Tassa sulle società —

Controversia di rimborso — Competenza territoriale (Cod.

proc. civ., art. 25; r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rap

presentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamen

to dell'avvocatura dello Stato, art. 8). Concessioni governative (tassa sulle) — Tassa sulle società —

Contrasto con la normativa comunitaria — Conseguenze —

Rimborso — «Ius superveniens» — Irrilevanza (Direttiva 17

luglio 1969 n. 69/335/Cee del consiglio, concernente le impo ste indirette sulla raccolta di capitali, art. 10, 12; d.l. 19 di

cembre 1984 n. 853, disposizioni in materia di imposta sul

valore aggiunto e di imposte sul reddito e disposizioni relative

all'amministrazione finanziaria, art. 3; I. 17 febbraio 1985 n.

17, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 19 di

cembre 1984 n. 853, art. 1; 1. 23 dicembre 1998 n. 448, misu

re di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo, art. 11).

Concessioni governative (tassa sulle) — Tassa sulle società —

Contrasto con la normativa comunitaria — Rimborso — Ter

mine triennale di decadenza (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 641,

disciplina delle tasse sulle concessioni governative, art. 13).

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

In materia di rimborso della tassa di concessione governativa sull'iscrizione nel registro delle imprese non trova applicazio ne l'art. 8 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, a tenore del quale sussiste, per le controversie tributarie, la competenza del tri

bunale civile del luogo dove risiede l'ufficio dell'avvocatura

dello Stato nel cui distretto si trova l'ufficio che ha liquidato la tassa o la sovrattassa controversa; sussiste quindi, ai sensi

dell'art. 25 c.p.c., la competenza del tribunale del luogo ove

hanno sede gli uffici della tesoreria provinciale che deve prov vedere al rimborso dell'imposta, in quanto luogo di adempi mento dell'obbligazione dedotta in giudizio. (1)

La tassa di concessione governativa per l'iscrizione delle società

nel registro delle imprese, dovuta — ai sensi dell'art. 3 d.l.

19 dicembre 1984 n. 853, convertito nella l. 17 febbraio 1985

n. 17, e successive modificazioni — dalle società per ogni an

no solare successivo all'iscrizione, è illegittima per contrasto

con gli art. 10 e 12 della direttiva 17 luglio 1969 n. 69/335/Cee

del consiglio; l'amministrazione finanziaria è pertanto tenuta

a restituirla senza che a ciò osti lo ius superveniens rappresen tato dall'art. 11 I. 23 dicembre 1998 n. 448. (2)

Alla domanda di rimborso della tassa di concessione governati va pagata in contrasto con la direttiva 17 luglio 1969 n.

69/335/Cee del consiglio si applica il termine di decadenza triennale previsto dall'art. 13 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 641, decorrente dal momento del pagamento, nonostante che, a

tale data, la medesima direttiva non fosse stata ancora corret

tamente trasposta nell'ordinamento interno. (3)

Svolgimento del processo. — Con citazione notificata ii 29

novembre 1995 l'Hotel Kraft s.p.a. conveniva in giudizio da

vanti al Tribunale di Firenze l'amministrazione delle finanze dello

Stato per sentirla condannare alla restituzione della somma com

plessiva di lire 82.000.000 (oltre interessi anche ai sensi dell'art.

1224, 2° comma, c.c.) dalla società stessa pagata a titolo di

tassa di concessione governativa per l'iscrizione nel registro del

le imprese, negli anni dal 1985 al 1992, ai sensi dell'art. 3 d.l.

19 dicembre 1984 n. 853 convertito nella 1. 17 febbraio 1985

n. 17 (e successive modificazioni), ritenuta indebitamente corri

sposta in contrasto con l'art. 10 della direttiva Cee 17 luglio 1969 come interpretato e applicato dalla Corte di giustizia della

comunità con la sentenza 2 febbraio 1988. L'amministrazione

convenuta resisteva alla domanda, opponendo: l'incompetenza territoriale dell'adito Tribunale di Firenze per essere invece com

petente l'autorità giudiziaria di Roma; l'improponibilità della

domanda di rimborso tardivamente avanzata in relazione al ter

mine di decadenza di cui all'art. 13, 2° comma, d.p.r. 26 otto

bre 1972 n. 641; la legittimità, almeno parziale, anche alla stre

gua dell'ordinamento comunitario, della corresponsione della

tassa, per essere questa, almeno in parte, rispondente al requisi to della funzione remunerativa in rapporto al servizio prestato. Con sentenza 23 aprile-4 maggio 1996, il giudice unico del Tri

bunale di Firenze accoglieva la domanda dell'Hotel Kraft s.p.a. e condannava l'amministrazione finanziaria al rimborso in fa

vore dell'attrice della somma richiesta perché non dovuta, con

gli ulteriori oneri accessori. Proponeva appello l'amministrazio

ne, deducendo: che, per quanto pagato in eccesso rispetto agli

importi stabiliti dall'art. 10 d.l. 11 luglio 1992 n. 333, converti

to nella I. 8 agosto 1992 n. 359, devono trovare applicazione

(1) Giurisprudenza costante: v. Cass. 27 agosto 1998, n. 8522, Foro

it., 1998, I, 2763, con nota di richiami, cui adde Cass. 2 giugno 1998, n. 5390, id., Mass., 606; più di recente, v. Cass. 16 novembre 1998, nn. 11513, 11514, ibid., 1206; 13 novembre 1998, nn. 11476, 11477,

ibid., 1205; 12 novembre 1998, nn. 11413, 11414, ibid., 1196; 11 no

vembre 1998, nn. 11376, 11377, ibid., 1191; 10 novembre 1998, n. 11295,

ibid., 1181; 22 ottobre 1998, n. 10498, ibid., 1097; 8 ottobre 1998, n.

9948, ibid., 1037; 29 settembre 1998, n. 9702, ibid., 1003; 25 settembre

1998, n. 9603, ibid., 992; 29 maggio 1998, n. 5339, Corriere trib., 1998, 2763.

(2) Pacifica la giurisprudenza sulla prima parte della massima (i.e.

sull'illegittimità della tassa di cui all'art. 3, 18° e 19° comma, d.l. 853/84); sull'irrilevanza dello ius superveniens rappresentato dall'art. 11 1. 23

dicembre 1998 n. 448 ai fini dell'obbligo restitutorio della stessa, non

risultano precedenti della Suprema corte.

Sull'art. 11 1. n. 448, v. App. Firenze 3 marzo 1999, e Trib. Trento

4 marzo 1999, in questo fascicolo, parte prima, con osservazioni di

M. Annecchino.

(3) Giurisprudenza oramai pacifica: cfr. Trib. Palermo 2 marzo 1999, Foro it., 1999, I, 1007, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 1999.

le norme di cui al 2° e al 3° comma dell'art. 61 d.l. 30 settem

bre 1993 n. 331, convertito in 1. 19 ottobre 1993 n. 427 incidenti

sulla competenza dell'ufficio del registro tasse e concessioni go vernative di Roma; che l'art. 13 del ricordato d.p.r. 26 ottobre

1972 n. 641 stabilisce un termine di decadenza triennale per l'a

zione di ripetizione delle imposte non dovute; che la competen za territoriale spettava al Tribunale di Roma ai sensi dell'art.

8 r.d. n. 1611 del 1933, essendo competente, per la riscossione

delle tasse sulle concessioni governative, e quindi anche alla lo

ro liquidazione, l'ufficio del registro per le tasse sulle concessio

ni governative di Roma ai sensi del d.m. 12 dicembre 1972 non

modificato, sul punto, dal d.m. 14 luglio 1988 né dal d.m. 20

gennaio 1992; che non ricorre una ipotesi di pagamento indebi

to, essendo nella presente ipotesi il titolo della prestazione pe cuniaria presente nella stessa forma dell'atto legislativo, onde

non possono ritenersi proponibili azioni civili di ripetizione ma

esperibili soltanto le speciali procedure previste in materia tri

butaria; che non sussiste contrasto tra la legislazione nazionale

e l'ordinamento comunitario, salva restando la competenza del

legislatore dello Stato in ordine alla forma e ai mezzi dell'attua

zione della direttiva comunitaria. L'Hotel Kraft s.p.a. si costi

tuiva in giudizio per chiedere la reiezione dell'impugnazione e

la conferma della sentenza impugnata. La Corte di appello di

Firenze, con sentenza 2/16 dicembre 1996, n. 1480, rigettava

l'appello condannando l'amministrazione appellante al rimbor

so in favore della controparte delle spese del grado. Per la cas

sazione di quest'ultima sentenza l'amministrazione delle finanze

dello Stato propone il presente ricorso con deduzione di quattro motivi. L'Hotel Kraft s.p.a. resiste con controricorso.

Motivi della decisione. — 1. - Col primo motivo l'ammini

strazione finanziaria ha denunciato «violazione degli art. 8 r.d.

30 ottobre 1933 n. 1611 e 2 d.m. 12 dicembre 1972; violazione

e falsa applicazione dell'art. 25 c.p.c.; incompetenza territoriale

funzionale del presidente del Tribunale di Firenze e del medesi

mo tribunale», con riferimento all'ipotesi di cui all'art. 360,

n. 2, c.p.c. La ricorrente ha censurato la sentenza della corte

fiorentina, sul punto, per non essere stato ritenuto che, ai sensi

dell'art. 8 r.d. n. 1611 del 1933, la competenza per territorio

doveva essere individuata in correlazione con il distretto in cui

«trovasi l'ufficio che ha liquidato la tassa o la sovrattassa con

troversa», il quale ufficio, nella fattispecie in esame, si identifi

cava, a norma dell'art. 2 d.m. 12 dicembre 1972, nell'ufficio

del registro per le tasse sulle concessioni governative di Roma.

Contro l'assunto dell'amministrazione ricorrente, è sufficiente

richiamare in questa sede i numerosi precedenti della giurispru denza di questa sezione (v. recentemente: Cass. 8522/98, Foro

it., 1998, I, 2763; 5742/98, id., Mass., 643, e 5390/98, ibid., 606) nei quali sono stati enunciati i seguenti principi da cui que

sto collegio non ritiene di doversi discostare: l'art. 8 citato r.d.

n. 1611 del 1933, il quale attribuisce la cognizione delle contro

versie tributarie al tribunale del luogo ove ha sede l'avvocatura

dello Stato nel cui distretto si trova l'ufficio che ha liquidato il tributo, pone un criterio di competenza speciale (come tale

prevalente su quello determinato in via generale dall'art. 25 c.p.c.) la cui applicazione postula il presupposto che il tributo al quale si riferisce la controversia sia stato oggetto di accertamento e

liquidazione da parte di un determinato ufficio finanziario; tale

condizione non ricorre nelle situazioni in cui, come nel caso

di specie, l'ammontare del tributo dovuto per l'iscrizione nel

registro delle società era prestabilito per legge e la corresponsio ne di esso è avvenuta direttamente ad opera del contribuente

nella misura dal medesimo determinata spontaneamente in con

formità all'indicazione legislativa, mediante versamento in con

to corrente postale; la portata dell'art. 2 d.m. 12 dicembre 1972

— il quale ha individuato nell'ufficio del registro per le tasse

sulle concessioni governative di Roma l'ufficio competente a

provvedere «alla riscossione, per tutto il territorio dello Stato,

delle tasse sulle concessioni governative e delle tasse di pubblico

insegnamento e di quelle relative all'istruzione superiore da cor

rispondersi a mezzo del servizio dei conti correnti postali» —

è stata ridimensionata dall'art. 1 d.m. 14 luglio 1988 il quale,

fermo restando quant'altro disposto dal citato d.m. del 1972,

ha stabilito che «al recupero anche in via supplementare della

tassa di concessione governativa per l'iscrizione nel registro del

le imprese» avrebbe provveduto «l'ufficio del registro nella cui

circoscrizione territoriale ha sede il domicilio fiscale dell'impre

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1147 PARTE PRIMA

sa», e successivamente — e in modo ancor più significativo —

dall'art. 1 d.m. 20 gennaio 1992 con cui è stato disposto che

«il rimborso di somme non dovute . . . versate sui conti corren

ti postali intestati all'ufficio del registro tasse governative di

Roma ... è disposto dalle competenti intendenze di finan

za . . .»; pertanto, alla stregua di tali disposizioni — le quali, avendo natura procedimentale, sono suscettibili di applicazione immediata anche in relazione a rapporti di diritto sostanziale

sorti in epoca antecedente all'entrata in vigore di esse — il luo

go di adempimento dell'obbligazione dedotta in giudizio, aven

te ad oggetto il rimborso del tributo in tesi indebitamente corri

sposto, risultava identificabile in coincidenza con la sede della

tesoreria provinciale locale. Conseguentemente, in applicazione dell'art. 25 c.p.c., deve essere riconosciuta, come è stata rico

nosciuta dalla corte fiorentina, la competenza territoriale del

giudice adito dalla società attrice.

2. - Si accede, a questo punto, all'esame della contestazione

della fondatezza nel merito della domanda della società attrice, che costituisce oggetto del terzo motivo col quale l'amministra

zione ricorrente ha dedotto, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., «violazione dell'art. 36, comma 8 e 8 bis, d.l. 69/89, converti

to, con modificazioni, in 1. 154/89; violazione dell'art. 12, par.

1, lett. e), della direttiva 69/335/Cee, nonché della sentenza della

Corte di giustizia delle Comunità europee 20 aprile 1993, cause

riunite C-71/91 e C-178/91 (id., 1993, IV, 169); omessa, insuf ficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo», e del

quarto motivo, intitolato a «ulteriore violazione delle norme e

della sentenza citata nel terzo motivo; violazione dell'art. 2697

c.c.; omessa motivazione su punto decisivo». Le censure for

mulate in questi motivi terzo e quarto, che esigono di essere

congiuntamente considerati, si palesano infondate e devono es

sere disattese.

2.1. - L'art. 74 della tariffa allegata al d.p.r. 26 ottobre 1972

n. 641 assoggettava l'iscrizione nel registro delle imprese al pa

gamento di una tassa di concessione governativa il cui ammon

tare, in seguito alle variazioni in aumento apportate all'entità

originaria, venne a risultare di lire 81.000; con il 18° e 19° com

ma dell'art. 3 d.l. 19 dicembre 1984 n. 853, convertito nella

1. 17 febbraio 1985 n. 17, l'entità della tassa venne stabilita

in misura differenziata a seconda dei vari tipi di società, e ven

ne stabilito l'obbligo del pagamento della tassa sia per l'iscri

zione dell'atto costitutivo della società sia per gli anni successivi

entro la scadenza del 30 giugno; ancora successivamente con

il d.l. 30 maggio 1988 n. 173 la tassa di iscrizione e la tassa

annuale furono ulteriormente aumentate; la legge di conversio

ne 26 luglio 1988 n. 291 determinò l'ammontare della tassa,

per le società azionarie, in correlazione all'entità del capitale sociale, secondo un criterio di progressività; nuove modificazio

ni, in ordine alla determinazione della tassa, vennero introdotte

con il d.l. 2 marzo 1989 n. 69, convertito in 1. 27 aprile 1989

n. 154, ed ancora (questa volta in minus) con il d.l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito in 1. 8 agosto 1992 n. 359; infine, con

l'art. 61 d.l. 30 agosto 1993 n. 331, convertito in 1. 29 ottobre

1993 n. 427, è stata ulteriormente modificata la tassa dovuta

per l'iniziale iscrizione delle società, ed è stata abolita la tassa

prevista per la permanenza dell'iscrizione negli anni successivi; la soppressione della tassa è stata da ultimo consacrata nell'art.

138 della recente 1. 28 dicembre 1995 n. 549.

2.2. - A fronte della suesposta situazione normativa di diritto

interno, si è posto l'orientamento del diritto comunitario, espresso nella direttiva del consiglio Ce 17 luglio 1969 n. 335, dichiarata mente rivolta ad intervenire nella materia dell'imposizione indi

retta sulla raccolta di capitali, al fine di eliminare (attraverso le opportune armonizzazioni delle legislazioni degli Stati mem

bri) le discriminazioni, le doppie imposizioni, e ogni forma di disparità di regime tale da ostacolare la libera circolazione dei

capitali all'interno della Comunità. Vale la pena di ricordare,

incidentalmente, che l'adeguamento a tale direttiva, in materia

di tasse di concessione governativa, era stato imposto dal legis latore ordinario già in sede di delega al governo per la riforma

tributaria con l'art. 7 1. 9 ottobre 1971 n. 825. In particolare, la direttiva prevede la riscossione, per una sola volta, di una

imposta sui conferimenti di capitali, con carattere di uniformità

non solo nelle aliquote ma anche nella struttura; e nell'art. 10

stabilisce che oltre a tale imposta, gli Stati membri non applica no, relativamente a società, associazioni o enti che perseguano fini di lucro, alcuna altra imposizione sotto qualsiasi forma,

Il Foro Italiano — 1999.

con la precisazione che il divieto riguarda anche l'ipotesi della

costituzione di una società o l'aumento del suo capitale (lett.

a) e quella della immatricolazione o di qualsivoglia altra forma

lità preliminare all'esercizio di un'attività alla quale la società

o l'ente possa essere sottoposta in ragione della sua forma giu ridica (lett. c). In deroga al divieto di cui sopra agli Stati mem

bri resta consentita, in base all'art. 12, lett. e), della direttiva,

l'applicazione di diritti di carattere remunerativo: a chiarimento

di quest'ultima nozione, la Corte di giustizia Ce ha affermato

che l'onere imposto può ritenersi proporzionato al servizio reso

(e come tale legittimamente imposto) a condizione che il suo

ammontare non superi il costo effettivo delle operazioni in oc

casione della quale il diritto è percepito (v. sentenze 25 gennaio

1977, causa 46/76, id., 1977, IV, 431; 31 maggio 1979, causa

132/78, id., 1981, IV, 427). 2.3. - La stessa Corte di giustizia, facendo applicazione della

richiamata normativa in relazione alla tassa di concessione go vernativa prevista dal diritto italiano, con la sentenza 20 aprile

1993, cause C-71/91 e C-178/91, cit., ha affermato: che l'art.

10 della direttiva deve essere interpretato nel senso che, fatte

salve le disposizioni derogatorie del successivo art. 12, esso vie

ta un tributo annuale dovuto in ragione dell'iscrizione delle so

cietà di capitali, anche qualora il gettito di tale tributo contri

buisca al finanziamento del servizio incaricato della tenuta del

registro in cui sono iscritte le società; che l'art. 12 deve essere

interpretato nel senso che i diritti di carattere remunerativo di

cui al n. 1, lett. e), dello stesso articolo possono essere remune

rati riscosse come corrispettivo di operazioni imposte dalla leg

ge per uno scopo di interesse generale, come per esempio l'iscri

zione delle società di capitali; che in particolare, «il fatto che

11 tributo sia dovuto non soltanto all'atto dell'iscrizione della

società ma anche ogni anno successivo non può di per sé sot

trarre il tributo stesso al divieto di cui all'art. 10»; che «ogni diversa interpretazione priverebbe di efficacia pratica la disposi zione dell'art. 10 in quanto consentirebbe agli Stati membri di

imporre alle società di capitali un onere fiscale annuale il cui

unico presupposto è il mantenimento dell'iscrizione della socie

tà». Orbene, il contenuto decisorio delle sentenze interpretative della Corte di giustizia della Comunità è vincolante per il giudi ce italiano, come più volte ha riconosciuto la Corte costituzio

nale (v. Corte cost. 113/85, id., 1985, I, 1600; 389/89, id., 1991,

I, 1076, e 168/91, id., 1992, I, 660). La controversia deve per tanto essere definita in base alla citata sentenza 20 aprile 1993

della Corte di giustizia, senza bisogno di accedere ad applica zione diretta da parte del giudice italiano della normativa co

munitaria e quindi senza bisogno di procedere all'accertamento

della ricorrenza o meno delle condizioni per tale applicabilità

che, come è noto, viene riconosciuta (v. Corte cost. 168/91,

cit.) in presenza di prescrizioni, espresse in sede di direttiva co

munitaria, incondizionate e sufficientemente precise, alle quali lo Stato non abbia dato spontanea attuazione.

2.4. - La verifica in concreto della sussistenza o meno delle

condizioni di legittimità (cioè di compatibilità con l'ordinamen

to comunitario) del tributo previsto in subiecta materia dalla

legislazione italiana, risolventesi nella verifica della sussistenza

o meno di un rapporto diretto, ragionevolmente apprezzabile, tra l'ammontare della tassa e i costi amministrativi inerenti al

l'immatricolazione della società e al mantenimento dell'iscrizio

ne nel registro delle società, ha avuto soluzione negativa nelle

coeve sentenze delle sezioni unite di questa corte 12 aprile 1996, n. 3457 (id., Rep. 1996, voce Concessioni governative (tassa

sulle), n. 29), e n. 3458 (id., 1996, I, 1600), con le quali — in conformità all'orientamento già precedentemente formatosi

in decisioni della prima sezione pronunciate in tema di restitu

zione del tributo in argomento (Cass. 28 marzo 1994, n. 2992,

id., 1994, I, 1743; 23 novembre 1994, n. 9900, id., Rep. 1994, voce cit., n. 15, e 28 dicembre 1994, n. 11230, ibid., n. 16, citata nella sentenza della corte di Palermo qui impugnata) —

è stato affermato che «la direttiva e l'interpretazione che ne

ha dato la Corte di giustizia comportano . . . non l'abrogazione ma la mera disapplicazione diretta e immediata della norma dif

forme di diritto interno», e, ulteriormente, che non può essere

riconosciuto il preteso carattere remunerativo della tassa in que stione sia in considerazione dell'incongruità dell'importo di una

tassa annuale successiva all'iscrizione richiesta in misura pari a quella dovuta per la prima iscrizione (essendo evidente l'in

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sussistenza dei costi affrontati in sede di tassa annuale di rinno

vo allorché nessun atto societario deve essere depositato all'uf

ficio competente al di là della prova dell'avvenuto pagamento della tassa), sia in vista della macroscopica sproporzione tra

l'importo della tassa stessa e quello dei diritti applicati negli altri Stati membri della Comunità per formalità dello stesso ti

po, sia ancora perché «la periodicità annuale della tassa com

porta una reiterazione dell'obbligazione tributaria connessa alla

permanenza dell'iscrizione (non potendo la tassa annuale essere

assimilata ad una tassa di rinnovo in quanto l'iscrizione non

è soggetta a scadenza)», sia infine perché «la determinazione

concreta dell'ammontare della tassa si sottrae ad ogni logica di congruenza tra costo del servizio e onere tributario come è

reso palese sia dalla sproporzione tra l'entità delle tasse gravan ti sui vari tipi di società, sia dalle modificazioni succedutesi nel tempo a breve distanza l'una dall'altra, prive di qualsiasi razio

nale spiegazione in termini di almeno tendenziale corrispettività». 2.5. - Giova ricordare, a conforto della conclusione a cui so

no pervenute le sezioni unite, e che è stata recepita nella succes

siva giurisprudenza di questa sezione (v. ex pluribus, da ultimo, le già citate sentenze 8522/98 e 5742/98) che la sentenza della

Corte europea 20 aprile 1993 relativa alla tassa vigente nell'or

dinamento italiano viene, significativamente, richiamata nella

successiva sentenza 11 giugno 1996 della stessa Corte di giusti zia che, per converso, riconosce legittima l'imposizione, nell'or

dinamento olandese, di un tributo correlato all'iscrizione di

un'impresa nel registro di commercio, che, in un sistema in cui

non esiste un distinto registro per le società, vale altresì come

registrazione della persona giuridica, osservando: che il fatto

generatore dell'imposta non è, secondo la legge olandese, la re

gistrazione della società, o della persona giuridica titolare di

un'impresa, bensì la registrazione dell'impresa stessa; che tale

onere colpisce, in base ai rispettivi patrimoni, tutti gli enti che — al di fuori di taluni settori — esplicano attività economica

e perseguono scopi di lucro; che il tributo prescinde dalla forma

giuridica del soggetto titolare dell'impresa; che una società che

non esercita alcuna impresa non è soggetta all'imposta; che l'im

posta non può essere collegata a formalità alle quali possano essere assoggettate le società di capitali in ragione della loro

forma giuridica; che il tributo olandese controverso non è per tanto comparabile alla tassa di concessione governativa italiana.

2.6. - Dimostrata l'infondatezza della pretesa riconducibilità

della tassa di iscrizione annuale delle società nel relativo regi stro all'ambito dei diritti di carattere remunerativo di cui l'art.

12, par. 1, lett. e), della direttiva riconosce la legittimità, risulta

priva di pregio la critica che l'amministrazione ricorrente muo

ve all'impugnata sentenza in ordine alla prova (e all'onere della

prova) dell'insussistenza del connotato della remuneratività del

la tassa in questione in relazione alle caratteristiche della mede

sima. Né potrebbe l'impugnata sentenza essere considerata ca

rente sotto il profilo motivazionale, per non avere la corte di

merito dato espressa specifica spiegazione delle ragioni — emer

genti dalle espressioni dell'orientamento giurisprudenziale pre cedentemente riferito — per cui, in assenza di attività istrutto

ria in tal senso ad iniziativa di parte, e in difetto di presunzioni

poste dal diritto positivo, debbasi ritenere, sotto questo partico lare profilo, la tassa in questione incompatibile con l'ordina

mento comunitario.

2.7. - Le conclusioni a cui si perviene in relazione alla fatti

specie sub ìudice alla luce delle considerazioni suesposte non

possono subire modificazione per effetto dell'applicazione, in

vocata dall'amministrazione in sede di discussione orale, dello

ius superveniens rappresentato dall'art. 11 1. 23 dicembre 1998

n. 448 (misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo) ove si dispone: (1° comma) «L'art. 61, 1° comma,

d.l. 30 agosto 1993 n. 331, convertito, con modificazioni, dalla 1. 29 ottobre 1993 n. 427, va interpretato nel senso che la tassa

sulle concessioni governative per le iscrizioni nel registro delle

imprese, di cui all'art. 4 della tariffa annessa al d.p.r. 26 otto

bre 1972 n. 641, nel testo modificato dallo stesso art. 61, è

dovuta per gli anni 1985, 1986, 1987, 1988, 1989, 1990, 1991 e 1992, nella misura di lire 500.000 per l'iscrizione dell'atto co stitutivo e nelle seguenti misure forfetarie annuali per l'iscrizio

ne degli altri atti sociali, per ciascuno degli anni dal 1985 al

1992: omissis»; (2° comma) «Le società che negli anni indicati

al 1 ° comma hanno corrisposto la tassa sulle concessioni gover

II Foro Italiano — 1999.

native per l'iscrizione nel registro delle imprese e quella annua

le, ai sensi dell'art. 3, 18° e 19° comma, d.l. 19 dicembre 1984

n. 853, convertito, con modificazioni, dalla 1. 17 febbraio 1985

n. 17, possono ottenere il rimborso della differenza fra le som me versate e quelle dovute a norma del citato 1 ° comma, sem

pre che abbiano presentato istanza di rimborso nei termini pre visti dall'art. 13 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 641»; (3° comma)

«Sull'importo da rimborsare sono dovuti gli interessi nella mi

sura del tasso legale vigente alla data di entrata in vigore della

presente legge, a decorrere dalla presentazione dell'istanza». A

tenore delle disposizioni contenute nel 1° e nel 2° comma del

citato articolo, dichiaratamente interpretative e quindi applica bili con efficacia retroattiva ai rapporti tributari geneticamente

pregressi ma non ancora esauriti, non può essere attribuito il

significato di una conferma — che si porrebbe, ancora una vol

ta, in conflitto con l'ordinamento e con la giurisprudenza della

Comunità — della legittimità della tassa correlata alla perma nenza dell'iscrizione negli anni successivi alla prima iscrizione, con risultato di sostanziale vanificazione dell'esito dell'elabora

zione giurisprudenziale di cui si è detto e con effetto solo quan titativamente riduttivo del diritto al rimborso. Un'attenta e coor

dinata lettura del dato normativo emergente dall'inserzione, nella

disciplina già vigente e come sopra interpretata, delle ultime

disposizioni, con particolare riferimento alla distinzione tra le

diverse specie di tassa contemplate originariamente nel d.p.r. 1° marzo 1961 n. 121, conduce invece a riconoscere: che la tas

sa «per l'iscrizione dell'atto costitutivo» di cui è stata retroatti

vamente rideterminata l'entità è quella per la prima iscrizione

(la cui legittimità esula dalla problematica generale in discussio

ne) e non anche quella che veniva pretesa, negli anni indicati, e corrisposta, per il mero mantenimento dell'iscrizione, negli anni successivi, che, come si è visto, non resisteva alla verifica

del carattere di adeguata remuneratività costituente indefettibile

condizione per la legittima applicazione della stessa; che in mo

do del tutto autonomo opera la modificazione apportata con

l'unificazione delle tasse dovute per l'iscrizione degli «altri at

ti», cioè per gli atti, non direttamente correlati all'iscrizione (da essi ovviamente presupposta), per i quali venivano pretese sin

gole prestazioni pecuniarie che ora risultano dovute anche se

nessuna iscrizione di atti di tal genere venga effettuata; che, al di là di tale tassa unificata che trova la sua ragione di essere

nel servizio di pubblicità degli «altri atti», nessun'altra presta zione risulta a posteriori dovuta per gli anni indicati, fermo

restando il carattere indebito dei pagamenti al suddetto titolo

effettuati. E la previsione dell'individuazione di una differenza

in sede di rimborso non reca smentita alla esegesi che precede,

perché non postula necessariamente un raffronto quantitativo tra la tassa pagata e una tassa risultante dovuta alla stregua dello ius superveniens negli anni in considerazione, trovando

apprezzabile ragione di essere nell'eccedenza tra l'ammontare

di fatto complessivamente versato (comprensivo dei pagamenti indebitamente eseguiti di cui qui si tratta) e l'ammontare com

plessivamente dovuto in base all'applicazione del 1° comma co

me sopra circoscritta, non dilatato, immotivatamente, con la

surrettizia reintroduzione di quelle erogazioni che devono rite

nersi invece definitivamente espunte dall'ambito della legittimi tà in esito al lungo travaglio della giurisprudenza comunitaria

e statuale.

3. - Viene, a questo punto, preso in esame, e viene ricono

sciuto meritevole di accoglimento, il secondo motivo, avente ad

oggetto denuncia di «violazione dell'art. 13, 2° comma, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 641».

3.1. - La problematica relativa alla decadenza era stata af

frontata dalle sezioni unite, le quali, nelle ricordate sentenze,

avevano affermato: che nel vigente sistema tributario la restitu

zione delle tasse erroneamente pagate è soggetta alla decadenza

triennale dal giorno del pagamento, e a tale regime non sfugge la tassa in esame, trattandosi di disapplicazione del diritto in

terno, per contrasto con il prevalente ordinamento comunita

rio, il che però non comporta né l'abrogazione né l'incompati bilità della disposizione della legge italiana di cui al 2° comma dell'art. 13 d.p.r. n. 641 del 1972; che «non è condivisibile la tesi secondo cui nella fattispecie il pagamento non sarebbe erro

neo in quanto sarebbe stato effettuato nella piena consapevo lezza e volontarietà dell'adempimento di una norma tributaria»;

che «esclusa la carenza di potere tributario e ribadito che il

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1151 PARTE PRIMA 1152

giudice si limita a disapplicare il diritto interno configgente con

quello comunitario, il principio di decadenza per il ritardo con

cui si chiede il rimborso delle tasse indebitamente o erronea

mente pagate esplica integralmente la sua efficacia».

3.2. - In dichiarato dissenso da tale orientamento, la corte

fiorentina ha posto a fondamento della propria ratio decidendi

sul punto, da un lato la ritenuta insussistenza del potere imposi tivo derivante dal conflitto tra la normativa statuale e l'ordina

mento comunitario determinante la disapplicazione da parte del

giudice italiano delle norme di diritto interno, e, dall'altro, l'im

possibilità giuridica della decorrenza del termine di decadenza

prima della corretta trasposizione, ad opera del legislatore sta

tuale, del contenuto normativo della direttiva nel diritto inter

no. Con riferimento all'uno e all'altro profilo motivazionale,

la soluzione alla quale ha acceduto la corte di merito risulta

non rispondente a corretta interpretazione e applicazione dei

principi di diritto statale e di diritto comunitario che governano la materia in discussione.

3.3. - Il principio dell'applicabilità del termine di decadenza

di cui trattasi, come di quelli analogamente previsti da altre

disposizioni legislative (art. 38 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602,

art. 29 1. 29 dicembre 1990 n. 428, art. 21 d.leg. 31 dicembre

1992 n. 546) ad ogni ipotesi di rimborso di pagamento di tributi

non dovuti, quale che sia la situazione giuridicamente rilevante

da cui trae titolo il diritto alla ripetizione, appartiene ormai

a un consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità (v., ex plurimis, le recenti sentenze 8522/98, cit., e, con riferimento

all'art. 38 d.p.r. n. 602 del 1973, 7360/98, id., Mass., 820) che

si pone in coerenza con un orientamento normativo tendente

in linea generale a realizzare la più sollecita definizione dei rap

porti tra l'amministrazione e il contribuente, e, a tal fine, ad

assoggettare tal genere di richieste a termini brevi di decadenza

anziché all'ordinario più lungo termine di prescrizione previsto

per l'azione di ripetizione esperibile nell'ambito del diritto co

mune. Tale indirizzo appare rispondente sia alle esigenze del

l'interpretazione logica che non consentono di limitare la ricer

ca del contenuto del dato normativo al mero senso letterale del

le parole, sia a un criterio di interpretazione storica affidato

alla considerazione che in materia di tasse sulle concessioni go vernative le istanze di rimborso sono state sempre assoggettate a un regime di preclusione temporale. Giova rilevare, anzi, alla

luce di un ulteriore significativo argomento di carattere testuale

e comparatistico che conforta le suesposte conclusioni sul pun to: che l'art. 13 d.p.r. n. 641 del 1972 è stato dettato in attua

zione della delega legislativa conferita al governo, per la rifor

ma tributaria, con la già ricordata 1. 9 ottobre 1971 n. 825 il

cui art. 10 demandava al legislatore delegato la sola facoltà di

procedere all'unificazione dei termini di prescrizione e di deca

denza relativi ai vari tributi (art. 10, n. 9); che introducendo

nel 2° comma dell'art. 13 l'avverbio «erroneamente» che era

assente nella corrispondente disposizione contenuta nel d.p.r. 1° marzo 1961 n. 121, il legislatore delegato sarebbe incorso

in un eccesso della delega ricevuta, ove tale locuzione dovesse

intendersi limitativa delle ipotesi a cui si applica la decadenza

ivi prevista con la configurazione di una categoria di fattispecie che debbano da tale decadenza andare esenti in considerazione

dello stato soggettivo del solvens; che della norma così interpre tata potrebbe quindi essere revocata in discussione la legittimità

costituzionale; che per contro l'interpretazione accolta dalla giu

risprudenza e che qui riceve conferma risponde al principio se

condo cui l'alternativa astrattamente prospettabile tra due in

terpretazioni esige di essere sciolta a favore di quella che appaia conforme ai requisiti della compatibilità con i canoni costituzio

nali. Va rilevato, infine, che l'onere della proposizione dell'i

stanza di rimborso nel termine di cui all'art. 13 d.p.r. n. 641

del 1972 è stato confermato nel 3° comma dell'art. 11 della

ricordata recente 1. 23 dicembre 1998 n. 448. Ad escludere la

riconducibilità della fattispecie all'ipotesi di restituzione di tasse «erroneamente pagate», e ad escludere con essa l'applicabilità della norma decadenziale che qui viene in rilievo non vale, quindi, la constatazione che il pagamento è stato effettuato in adempi mento di un obbligo di legge e non in una condizione soggettiva

psicologica di errore, per tale intendendosi una falsa rappresen tazione della realtà influente sulla determinazione volitiva del

contribuente al pagamento. 3.4. - Né potrebbe ritenersi che tale norma, sia in considera

zione della durata del termine stabilito per la proposizione della

Il Foro Italiano — 1999.

domanda di rimborso dei tributi indebitamente versati (più bre

ve di quello prescrizionale operante in tema di indebito civile),

sia in considerazione del fatto che il momento iniziale della sua

decorrenza si pone in correlazione con il momento del paga

mento anziché con quello in cui la direttiva è stata «corretta

mente trasposta nel nostro ordinamento», risulti sotto i suindi

cati profili incompatibile con il diritto comunitario e debba,

per tale ragione, essere disapplicata. Invero, proprio la Corte

di giustizia delle Comunità, in una recente decisione relativa

appunto all'applicabilità dell'art. 13, 2° comma, d.p.r. 26 otto

bre 1972 n. 641, in fattispecie identiche a quella che ha dato

luogo al presente giudizio, ha riaffermato, in linea con i propri

precedenti, che il diritto comunitario non vieta a uno Stato mem

bro di opporre alle azioni di ripetizione di tributi riscossi in

violazione del diritto comunitario un termine nazionale di deca

denza triennale che deroga al regime ordinario dell'azione di

ripetizione dell'indebito tra privati, assoggettata a un termine

più favorevole, a condizione che l'applicazione di tale termine

risulti incidente in modo non difforme in relazione alle azioni

di ripetizione di tali tributi fondate sul diritto comunitario e

a quelle fondate sul diritto interno, e che non renda «pratica mente impossibile o eccessivamente difficile» l'esercizio dei di

ritti conferiti dall'ordinamento comunitario; e nello stesso con

testo ha dato risposta affermativa anche al quesito relativo alla

compatibilità con l'ordinamento comunitario della «decorrenza

del termine decadenziale da un momento antecedente alla cor

retta e compiuta trasposizione nell'ordinamento interno della

direttiva che ha riconosciuto tale diritto» (Corte giust. 15 set

tembre 1998, cause riunite C-279/96, C-280/96, C-281/96, id.,

1998, IV, 369, scaturenti da domanda di pronuncia pregiudizia le proposta alla corte a norma dell'art. 177 del trattato Cee

dal Tribunale di Genova). La citata recente sentenza della Cor

te di giustizia, del resto, si pone come momento culminante

di un orientamento progressivamente maturato nella giurispru denza comunitaria che ha riconosciuto, in reiterate occasioni,

compatibile con i principi del diritto europeo la sussistenza di

termini per la ripetizione di tributi riscossi in base a norme con

fliggenti con le norme comunitarie, diversi e più brevi di quelli stabiliti in via generale in materia di ripetizione di indebito, pur ché «ragionevoli», tali cioè da soddisfare la duplice esigenza della certezza dei rapporti tributari e della possibilità di far va

lere i diritti riconosciuti dall'ordinamento comunitario. V. in

proposito le sentenze 9 novembre 1989, causa 386/87; 17 luglio

1997, cause C-114, C-l 15/95; 17 luglio 1997, causa C-90/94

(id., Rep. 1997, voce Unione europea, n. 1163), e 2 dicembre

1997, causa C-I88/95, particolarmente significativa perché af

ferente proprio alla ripetibilità dei diritti riscossi da uno Stato

membro — la Danimarca — per la registrazione delle società

in contrasto con la direttiva Cee 69/335 prima del suo recepi mento nel diritto nazionale di quello Stato; 27 ottobre 1993, causa C-338/91 (id., Rep. 1996, voce cit., nn. 1285, 1286), al

trettanto significativa perché relativa ad un termine di un solo

anno, che pure è stato riconosciuto tale da circoscrivere, ma

non da escludere totalmente, la possibilità di far valere in giudi

zio, per il passato, il diritto del contribuente. E se è vero che

la stessa Corte di giustizia ebbe a stabilire, con la sentenza 25

luglio 1991, causa C-208/90 (id., 1993, IV, 324) — che viene

espressamente richiamata dalla corte di Firenze e invocata dalla

controricorrente — che «fino al momento della trasposizione corretta della direttiva, lo Stato membro inadempiente non può

eccepire la tardività di un'azione giudiziaria avviata nei suoi

confronti da un singolo al fine della tutela dei diritti che ad

esso riconoscono le disposizioni della direttiva» onde «un ter

mine di ricorso di diritto nazionale può cominciare a decorrere

solo da tale momento», è altrettanto vero che successivamente, in più occasioni, e da ultimo proprio con la sentenza 15 settem

bre 1998, cit., la stessa corte ha precisato che l'affermazione

in quella sede formulata trovava peculiare giustificazione nelle

«circostanze tipiche di detta causa, nelle quali la decadenza dai

termini arrivava a privare totalmente la ricorrente nella causa

principale della possibilità di far valere il suo diritto alla parità di trattamento in virtù di una direttiva comunitaria». A questo

punto, resta solo da prendere atto che l'unica prospettazione

rilevante, in senso impeditivo all'applicazione del termine di de

cadenza di cui trattasi, sarebbe quella di una situazione nella

quale il soggetto contribuente autore dell'indebito pagamento

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

fosse — almeno in tesi — posto nell'impossibilità di far valere

il suo diritto alla ripetizione, come — secondo la Corte di giu stizia — si era verificato nel caso di cui alla sentenza 25 luglio

1991, cit., e come — sempre secondo la stessa corte — non

si è verificato, invece, nei casi sottoposti al suo esame dal giudi ce genovese, del tutto corrispondenti, come si è detto, a quello che costituisce oggetto dell'attuale giudizio. Ma una prospetta zione di tal natura resta del tutto estranea alla presente materia

del contendere.

4. - In relazione alla censura accolta, riceve parziale accogli mento il ricorso, e riceve cassazione la sentenza impugnata. Con

segue il rinvio della causa, per nuovo esame da compiersi alla

luce dei criteri suesposti, ad altro giudice che viene indicato in

altra sezione della stessa corte di Firenze.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 30 mar

zo 1999, n. 3096; Pres. Iannotta, Est. Amatucci, P.M. Go

lia (conci, parz. diff.); Avenoso (Avv. Ventura, Inzitari) c. Cassa di risparmio di Biella e Vercelli (Avv. Ghia, Weig

mann). Cassa App. Torino 14 giugno 1996.

Contratti bancari — Interessi passivi — Capitalizzazione trime

strale — Uso negoziale — Integrazione del contratto — Esclu

sione (Cod. civ., art. 1283, 1374).

La capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte della ban

ca sui saldi di conto corrente passivi per il cliente non costi

tuisce uso normativo, ma uso negoziale, come tale inidoneo

ad operare automaticamente con effetto integrativo del con

tratto. (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 16 marzo

1999, n. 2374; Pres. Rocchi, Est. Salmè, P.M. Gambardel

la (conci, conf.); Behare (Avv. Behare) c. Banco di Napoli

(Avv. Ghia). Cassa App. Milano 4 aprile 1995.

Contratti bancari — Interessi passivi — Capitalizzazione trime

strale — Uso negoziale — Nullità (Cod. civ., art. 1283).

È nulla la clausola, contenuta in un contratto bancario, che

prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti

dal cliente, in quanto basata su un uso negoziale e non su

una vera e propria norma consuetudinaria. (2)

(1-2) Per ripercorrere le tappe attraverso le quali si è articolata, con

esiti altalenanti, la vicenda decisa dalla pronuncia sub I, v. Trib. Ver

celli 21 luglio 1994, Foro it., 1995, I, 1662 (e Banca, borsa, ecc., 1995,

II, 352, con nota di E. Ntuk; Impresa, 1995, 754, con nota di B. Pe

trini; Giur. it., 1995, I, 2, 408, con nota di B. Inzitari, Convenzione di capitalizzazione trimestrale degli interessi e divieto d'anatocismo ex

art. 1283 c.c., e Contratti, 1995, 396, con nota di R.C. Delconte, Anatocismo e usi bancari), e App. Torino 14 giugno 1996, Foro it.,

Rep. 1997, voce Contratti bancari, n. 38 (per esteso, Banca, borsa,

ecc., 1997, lì, 136).

Quanto al background giudiziario dalla pronuncia sub II, la sentenza

di primo grado, Trib. Milano 16 settembre 1991, Foro it., Rep. 1992,

voce cit., n. 63, può leggersi in Banca, borsa, ecc., 1992, II, 583.

La Suprema corte, fino al deposito delle due decisioni qui riprodotte, si mostrava univoca nel ritenere la sussistenza di usi normativi, che

consentivano, in deroga all'art. 1283 c.c., l'anatocismo nei rapporti ban

cari, sotto forma di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti

dai clienti alla banca: cfr. Cass. 18 dicembre 1998, n. 12675, Foro it.,

Mass., 1337; 17 aprile 1997, n. 3296, id., Rep. 1997, voce Interessi, n. 13; 1° settembre 1995, n. 9227, id., Rep. 1996, voce cit., n. 10 (per

esteso, Banca, borsa, ecc., 1997, II, 136); 20 giugno 1992, n. 7571,

Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 16 (per esteso, Banca, borsa, ecc.,

1993, II, 358); 30 maggio 1989, n. 2644, Foro it., 1989, I, 3127 (anno

II Foro Italiano — 1999.

I

Svolgimento del processo. — 1. - Girolamo Avenoso si oppo ne all'esecuzione promossa nei suoi confronti dalla Cassa di

risparmio di Vercelli (poi Cassa di risparmio di Biella e Vercelli

s.p.a. - Biverbanca) in forza di tre contratti di mutuo del 1978

e di un contratto di apertura di credito, assumendo, in relazio

ne ai primi, che gli interessi erano stati conteggiati al tasso con

venzionale anziché a quello legale ed assumendo, quanto al se

condo, che non era fondata la pretesa della banca di applicare l'anatocismo sugli interessi dovuti in conseguenza della risolu

zione. La cassa resistette.

tata da M. Costanza, Norme bancarie uniformi e derogabilità degli art. 1283 e 1284 c.c., in Giust. civ., 1989, I, 2037); 6 giugno 1988, n. 3804, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 9 (per esteso, Arch, civ., 1989, 40); 5 giugno 1987, n. 4920, Foro it., 1988, I, 2352 (annotata da V. Colussi, in Nuova giur. civ., 1987, I, 670); 19 agosto 1983, n.

5409, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 18; 15 dicembre 1981, n. 6631, id., Rep. 1982, voce cit., n. 6 (annotata da A. Marini, Anatocismo e usi bancari, in Riv. dir. comm., 1982, II, 89; M. Oro Nobili, Anato cismo ed usi bancari in tema di interessi di mora su rate scadute di

mutui, in Rass. giur. Enel, 1982, 626; A. Di Amato, Anatocismo e

prassi bancaria, in Giust. civ., 1982, I, 381). Talune voci di dissenso si erano levate, tuttavia, in seno alla giuris

prudenza di merito: v. Trib. Vercelli 21 luglio 1994, cit.; Pret. Roma 11 novembre 1996, Nuova giur. civ., 1998, I, 183, con nota di G. Gal

lo; Trib. Busto Arsizio 15 giugno 1998, Foro it., 1998, I, 2997, con nota di A. Palmieri; nonché, da ultimo, Trib. Monza 23 febbraio 1999, in questo fascicolo, parte prima.

Tra gli scritti dedicati all'argomento in esame, v. D. Dì Gravio, Gli interessi bancari e la capitalizzazione trimestrale, in Dir. fallim., 1991, I, 994; V. Farina, Recenti orientamenti in tema di anatocismo, in Rass. dir. civ., 1991, 757; D. Sinesio, L'anatocismo, in Dir. banc., 1990, I, 27; R. Lotito, Anatocismo e interessi bancari: orientamenti giuris prudenziali, in Riv. critica dir. privato, 1989, 127; G. Ruello, Anatoci

smo e «mora debendi» nel conto corrente bancario, in Banca, borsa,

ecc., 1986, I, 548.

* * *

Dopo le avvisaglie premonitrici di talune decisioni di merito, arriva no inesorabili i fulmini della Cassazione ad incenerire la pratica della

capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dai clienti alle banche.

Due pronunce della Suprema corte, rese da due distinti collegi e deposi tate a distanza di pochi giorni, pervengono alla medesima conclusione

(e, d'altro canto, l'estensore di Cass. 3096/99 non ignora Cass. 2374/99, anzi dichiara espressamente di aderire all'impostazione da essa seguita), invertendo decisamente rotta rispetto ad un orientamento all'apparenza collaudato e ancora in auge fino a pochi mesi orsono. Nonostante l'af

fermarsi di un nuovo clima culturale, l'avvento nel panorama legislati vo delle norme in tema di trasparenza bancaria (1. 154/92, il cui conte

nuto è stato sostanzialmente trasfuso nel testo unico delle leggi in mate

ria bancaria e creditizia, emanato con d.leg. 385/93) e di usura 0- 108/96), come pure il progressivo abbandono di alcuni schemi ormai logori (si

pensi all'atteggiamento di maggior rigore nella valutazione delle clauso

le di rinvio alle condizioni praticate usualmente sulla piazza, ancorché

contenute in contratti stipulati anteriormente all'entrata in vigore della

1. 154/92, riscontrabile in seno alla Suprema corte a partire da Cass. 29 novembre 1996, n. 10657, Foro it.. Rep. 1997, voce Interessi, n.

14, fino alle recenti Cass. 23 giugno 1998, n. 6247, id., Mass., 706, e 8 maggio 1998, n. 4696, ibid., 496), nulla sembrava muoversi sul

fronte dell'anatocismo. Per una sorta di effetto inerziale, rimbalzava

acriticamente di pronuncia in pronuncia l'affermazione per la quale i

rapporti bancari sono caratterizzati da usi che si caratterizzano per la

costante applicazione dell'anatocismo, sub specie di capitalizzazione tri

mestrale degli interessi dovuti dai clienti alla banca; di tali usi si dava

per scontato il carattere normativo («perché dotati dei caratteri obietti

vi della costanza, della generalità e della durata, e del carattere soggetti vo della opinio iuris, che sono propri della norma consuetudinaria»;

così, nella motivazione, Cass. 1° settembre 1995, n. 9227, id., Rep.

1996, voce cit., n. 10 [per esteso, Banca, borsa, ecc., 1997, II, 136]); detti usi permettevano la produzione di interessi anatocistici, prescin dendo in toto dalle limitazioni fissate dall'art. 1283 c.c., perché opera vano sul medesimo piano di quest'ultima norma, che del resto li richia

mava espressamente. Tutto ciò comportava la duplice conseguenza: a) della validità della pattuizione relativa alla capitalizzazione trimestrale

degli interessi passivi; b) dell'iscrizione di tale clausola nel regolamento

contrattuale, ai sensi dell'art. 1374 c.c.

Pur non ignorando altri supporti normativi, il Supremo collegio smonta

il meccanismo così congegnato, impegnandosi in una fine analisi tecni

ca sulla natura giuridica dell'uso. È, infatti, proprio la valenza norma

tiva dell'uso in questione ad essere contestata da Cass. 2374/99, quanto

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