sezione I civile; sentenza 30 marzo 1999, n. 3097; Pres. R. Sgroi, Est. Ferro, P.M. Cafiero (concl.conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Giacobbe) c. Soc. Hotel Kraft (Avv. Moreschini,Antonucci). Cassa App. Firenze 16 dicembre 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 4 (APRILE 1999), pp. 1143/1144-1153/1154Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195371 .
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1143 PARTE PRIMA
edilizia), convertito, con modificazioni, nella 1. 4 dicembre 1993
n. 493, come sostituito dall'art. 2, comma 60, 1. 23 dicembre
1996 n. 662 (misure di razionalizzazione della finanza pubblica). Secondo la ricorrente la disposizione in questione sarebbe le
siva della competenza statutaria regionale in materia urbanisti
ca dal momento che, prevedendo, in luogo del silenzio-assenso
conseguente all'inutile decorso del termine per l'emanazione della
concessione edilizia, l'intervento sostitutivo del presidente della
giunta regionale mediante la nomina di un commissario ad acta
comporta l'espunzione dell'istituto del silenzio-assenso, oltreché
dall'ordinamento statale, anche da quello delle regioni che, co
me la regione Friuli-Venezia Giulia, hanno specificamente disci
plinato l'istituto, in forza della riconosciuta speciale autonomia
(art. 84 1. 19 novembre 1991 n. 52 recante «norme regionali in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica»).
Inoltre, sempre secondo la regione, sarebbe assolutamente il
legittimo il 18° comma del novellato art. 4 in quanto impositivo di onere di adeguamento alla nuova normativa anche nei con
fronti delle regioni a statuto speciale, sostanziando una tenden
ziale parificazione della potestà legislativa esclusiva a quella con
corrente.
2. - Preliminarmente deve essere esaminato, in quanto assor
bente, il profilo del ricorso che investe principalmente l'art. 4, 18° comma, d.l. 5 ottobre 1993 n. 398, convertito, con modifi
cazioni, nella 1. 4 dicembre 1993 n. 493, come introdotto dal
l'art. 2, comma 60, 1. 23 dicembre 1996 n. 662.
Infatti la lesione della posizione della regione ricorrente (a statuto speciale) deriva essenzialmente dalla norma anzidetta, che in modo onnicomprensivo ed indiscriminato pone le regioni a statuto speciale, le province autonome di Trento e di Bolzano
e le regioni ordinarie sullo stesso piano nell'obbligo di adegua mento delle «proprie normazioni ai principi contenuti nel pre sente articolo in tema di procedimento», cioè — come definito
nella rubrica dell'articolo stesso — di «procedure per il rilascio
della concessione edilizia».
In tale maniera il legislatore statale interviene in materia ur
banistica nel campo dei procedimenti per il rilascio delle con
cessioni edilizie, con una serie di norme analitiche e di dettaglio che (in sostituzione di precedente disciplina statale applicabile in assenza di legislazione regionale: v. d.l. n. 398 del 1993, con
vertito in 1. n. 493 del 1993) scandiscono le fasi e le cadenze
procedimentali degli uffici comunali competenti, prevedendo,
altresì, i termini per il rilascio e le conseguenze del decorso del
termine, con obblighi per l'amministrazione comunale e regio
nale, ed in modo particolareggiato l'istituto della denuncia di
inizio di attività. Anche se le anzidette nuove norme statali non hanno alcun
effetto abrogativo della preesistente disciplina regionale in ma
teria, tuttavia comportano per le regioni (così indicate accanto
alle province autonome) un obbligo generico ed indiscriminato
di adeguamento ai principi della stessa legge statale, con una
l'art. 32, 3° comma, 1. 28 febbraio 1985 n. 47, introdotto dall'art. 2, comma 44, 1. 662/96, qualifica come rifiuto il silenzio delle amministra zioni preposte ai vincoli storico-artistico, paesaggistico, idrogeologico, protratto per centottanta giorni: per altri tipi di vincoli, il 1° comma dell'art. 32 1. 47/85, come modificato dall'art. 2, comma 43, 1. 662/96, prevede il silenzio-assenso dopo centoventi giorni. Il 2° comma dello stesso art. 32, come inserito dall'art. 39, 7° comma, 1. 23 dicembre 1994 n. 724, prevede che per le domande di condono di abusi non com
portanti aumenti di superficie e di volume, il parere di competenza del l'amministrazione preposta al vincolo s'intende rilasciato entro cento venti giorni.
L'esistenza del vincolo paesaggistico e storico-artistico è ostativa al l'abilitazione dell'attività edificatoria mediante denuncia di inizio attivi
tà, ai sensi dell'art. 4, 8° comma, 1. 493/93, come sostituito dall'art.
2, comma 60, 1. 662/96. In dottrina, Gualandi, II ruolo de! silenzio-assenso in campo urbani
stico ed edilizio, in Riv. giur. urbanistica, 1996, 189; Boscolo, Silenzio rifiuto su istanza di concessione e sopravvenienza di nuova disciplina urbanistica, in Urbanistica e appalti, 1997, 794; Zucca, Condono edili zio e silenzio-assenso, in Riv. giur. edilizia, 1997, I, 203; Lombardo, Il nuovo procedimento di rilascio della concessione edilizia, id., 1998, II, 115; Morbidelli, Modelli di semplificazione amministrativa nell'ur banistica, nell'edilizia, nei lavori pubblici (ovvero della strada verso una sostenibile leggerezza delle procedure), in Riv. giur. urbanistica, 1998, 287; Nitti, Piani regolatori approvati con il silenzio-assenso, in Nuova rass., 1998, 88.
Il Foro Italiano — 1999.
sostanziale parificazione della diversa potestà legislativa esclusi
va spettante in materia alla regione ricorrente a statuto speciale. Né può ammettersi che con una formula, sia pure di obbligo
di adeguamento ai principi della legge statale (costituenti un
limite della legislazione per le regioni ordinarie), si possa inter
ferire — per di più intervenendo su un assetto normativo pree sistente che ciascuna delle regioni a statuto speciale si era legit timamente dato in modo completo — sulla competenza prima ria ed esclusiva in materia urbanistica delle regioni e delle
province ad autonomia speciale (cfr., nella specie, art. 4 dello
statuto di autonomia della regione Friuli-Venezia Giulia) suscet
tibile di limiti derivanti da principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato o da norme fondamentali delle riforme
economico-sociali.
In altri termini la competenza primaria delle regioni a statuto
speciale non può essere declassata negli stessi limiti più ristretti
della competenza concorrente delle regioni di diritto comune.
3. - Sulla base delle predette considerazioni (con riferimento
all'art. 4 dello statuto di autonomia della regione Friuli-Venezia
Giulia) il ricorso è fondato con conseguente dichiarazione di
illegittimità costituzionale del citato 18° comma, limitatamente
alla parte in cui prevede l'obbligo di adeguamento anche per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento
e Bolzano.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 4, 18° comma, d.l. 5 ottobre 1993
n. 398 (disposizioni per l'accelerazione degli investimenti a so
stegno dell'occupazione e per la semplificazione dei procedimenti in materia edilizia), convertito, con modificazioni, nella 1. 4 di
cembre 1993 n. 493, come introdotto dall'art. 2, comma 60,
1. 23 dicembre 1996 n. 662 (misure di razionalizzazione della
finanza pubblica), nella parte in cui prevede l'obbligo di ade
guamento anche per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione i civile; sentenza 30 marzo
1999, n. 3097; Pres. R. Sgroi, Est. Ferro, P.M. Cafiero
(conci, conf.); Min. finanze (Aw. dello Stato Giacobbe) c.
Soc. Hotel Kraft (Aw, Moreschini, Antonucci). Cassa App. Firenze 16 dicembre 1996.
CORTE DI CASSAZIONE;
Concessioni governative (tassa sulle) — Tassa sulle società —
Controversia di rimborso — Competenza territoriale (Cod.
proc. civ., art. 25; r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rap
presentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamen
to dell'avvocatura dello Stato, art. 8). Concessioni governative (tassa sulle) — Tassa sulle società —
Contrasto con la normativa comunitaria — Conseguenze —
Rimborso — «Ius superveniens» — Irrilevanza (Direttiva 17
luglio 1969 n. 69/335/Cee del consiglio, concernente le impo ste indirette sulla raccolta di capitali, art. 10, 12; d.l. 19 di
cembre 1984 n. 853, disposizioni in materia di imposta sul
valore aggiunto e di imposte sul reddito e disposizioni relative
all'amministrazione finanziaria, art. 3; I. 17 febbraio 1985 n.
17, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 19 di
cembre 1984 n. 853, art. 1; 1. 23 dicembre 1998 n. 448, misu
re di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo, art. 11).
Concessioni governative (tassa sulle) — Tassa sulle società —
Contrasto con la normativa comunitaria — Rimborso — Ter
mine triennale di decadenza (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 641,
disciplina delle tasse sulle concessioni governative, art. 13).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
In materia di rimborso della tassa di concessione governativa sull'iscrizione nel registro delle imprese non trova applicazio ne l'art. 8 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, a tenore del quale sussiste, per le controversie tributarie, la competenza del tri
bunale civile del luogo dove risiede l'ufficio dell'avvocatura
dello Stato nel cui distretto si trova l'ufficio che ha liquidato la tassa o la sovrattassa controversa; sussiste quindi, ai sensi
dell'art. 25 c.p.c., la competenza del tribunale del luogo ove
hanno sede gli uffici della tesoreria provinciale che deve prov vedere al rimborso dell'imposta, in quanto luogo di adempi mento dell'obbligazione dedotta in giudizio. (1)
La tassa di concessione governativa per l'iscrizione delle società
nel registro delle imprese, dovuta — ai sensi dell'art. 3 d.l.
19 dicembre 1984 n. 853, convertito nella l. 17 febbraio 1985
n. 17, e successive modificazioni — dalle società per ogni an
no solare successivo all'iscrizione, è illegittima per contrasto
con gli art. 10 e 12 della direttiva 17 luglio 1969 n. 69/335/Cee
del consiglio; l'amministrazione finanziaria è pertanto tenuta
a restituirla senza che a ciò osti lo ius superveniens rappresen tato dall'art. 11 I. 23 dicembre 1998 n. 448. (2)
Alla domanda di rimborso della tassa di concessione governati va pagata in contrasto con la direttiva 17 luglio 1969 n.
69/335/Cee del consiglio si applica il termine di decadenza triennale previsto dall'art. 13 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 641, decorrente dal momento del pagamento, nonostante che, a
tale data, la medesima direttiva non fosse stata ancora corret
tamente trasposta nell'ordinamento interno. (3)
Svolgimento del processo. — Con citazione notificata ii 29
novembre 1995 l'Hotel Kraft s.p.a. conveniva in giudizio da
vanti al Tribunale di Firenze l'amministrazione delle finanze dello
Stato per sentirla condannare alla restituzione della somma com
plessiva di lire 82.000.000 (oltre interessi anche ai sensi dell'art.
1224, 2° comma, c.c.) dalla società stessa pagata a titolo di
tassa di concessione governativa per l'iscrizione nel registro del
le imprese, negli anni dal 1985 al 1992, ai sensi dell'art. 3 d.l.
19 dicembre 1984 n. 853 convertito nella 1. 17 febbraio 1985
n. 17 (e successive modificazioni), ritenuta indebitamente corri
sposta in contrasto con l'art. 10 della direttiva Cee 17 luglio 1969 come interpretato e applicato dalla Corte di giustizia della
comunità con la sentenza 2 febbraio 1988. L'amministrazione
convenuta resisteva alla domanda, opponendo: l'incompetenza territoriale dell'adito Tribunale di Firenze per essere invece com
petente l'autorità giudiziaria di Roma; l'improponibilità della
domanda di rimborso tardivamente avanzata in relazione al ter
mine di decadenza di cui all'art. 13, 2° comma, d.p.r. 26 otto
bre 1972 n. 641; la legittimità, almeno parziale, anche alla stre
gua dell'ordinamento comunitario, della corresponsione della
tassa, per essere questa, almeno in parte, rispondente al requisi to della funzione remunerativa in rapporto al servizio prestato. Con sentenza 23 aprile-4 maggio 1996, il giudice unico del Tri
bunale di Firenze accoglieva la domanda dell'Hotel Kraft s.p.a. e condannava l'amministrazione finanziaria al rimborso in fa
vore dell'attrice della somma richiesta perché non dovuta, con
gli ulteriori oneri accessori. Proponeva appello l'amministrazio
ne, deducendo: che, per quanto pagato in eccesso rispetto agli
importi stabiliti dall'art. 10 d.l. 11 luglio 1992 n. 333, converti
to nella I. 8 agosto 1992 n. 359, devono trovare applicazione
(1) Giurisprudenza costante: v. Cass. 27 agosto 1998, n. 8522, Foro
it., 1998, I, 2763, con nota di richiami, cui adde Cass. 2 giugno 1998, n. 5390, id., Mass., 606; più di recente, v. Cass. 16 novembre 1998, nn. 11513, 11514, ibid., 1206; 13 novembre 1998, nn. 11476, 11477,
ibid., 1205; 12 novembre 1998, nn. 11413, 11414, ibid., 1196; 11 no
vembre 1998, nn. 11376, 11377, ibid., 1191; 10 novembre 1998, n. 11295,
ibid., 1181; 22 ottobre 1998, n. 10498, ibid., 1097; 8 ottobre 1998, n.
9948, ibid., 1037; 29 settembre 1998, n. 9702, ibid., 1003; 25 settembre
1998, n. 9603, ibid., 992; 29 maggio 1998, n. 5339, Corriere trib., 1998, 2763.
(2) Pacifica la giurisprudenza sulla prima parte della massima (i.e.
sull'illegittimità della tassa di cui all'art. 3, 18° e 19° comma, d.l. 853/84); sull'irrilevanza dello ius superveniens rappresentato dall'art. 11 1. 23
dicembre 1998 n. 448 ai fini dell'obbligo restitutorio della stessa, non
risultano precedenti della Suprema corte.
Sull'art. 11 1. n. 448, v. App. Firenze 3 marzo 1999, e Trib. Trento
4 marzo 1999, in questo fascicolo, parte prima, con osservazioni di
M. Annecchino.
(3) Giurisprudenza oramai pacifica: cfr. Trib. Palermo 2 marzo 1999, Foro it., 1999, I, 1007, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 1999.
le norme di cui al 2° e al 3° comma dell'art. 61 d.l. 30 settem
bre 1993 n. 331, convertito in 1. 19 ottobre 1993 n. 427 incidenti
sulla competenza dell'ufficio del registro tasse e concessioni go vernative di Roma; che l'art. 13 del ricordato d.p.r. 26 ottobre
1972 n. 641 stabilisce un termine di decadenza triennale per l'a
zione di ripetizione delle imposte non dovute; che la competen za territoriale spettava al Tribunale di Roma ai sensi dell'art.
8 r.d. n. 1611 del 1933, essendo competente, per la riscossione
delle tasse sulle concessioni governative, e quindi anche alla lo
ro liquidazione, l'ufficio del registro per le tasse sulle concessio
ni governative di Roma ai sensi del d.m. 12 dicembre 1972 non
modificato, sul punto, dal d.m. 14 luglio 1988 né dal d.m. 20
gennaio 1992; che non ricorre una ipotesi di pagamento indebi
to, essendo nella presente ipotesi il titolo della prestazione pe cuniaria presente nella stessa forma dell'atto legislativo, onde
non possono ritenersi proponibili azioni civili di ripetizione ma
esperibili soltanto le speciali procedure previste in materia tri
butaria; che non sussiste contrasto tra la legislazione nazionale
e l'ordinamento comunitario, salva restando la competenza del
legislatore dello Stato in ordine alla forma e ai mezzi dell'attua
zione della direttiva comunitaria. L'Hotel Kraft s.p.a. si costi
tuiva in giudizio per chiedere la reiezione dell'impugnazione e
la conferma della sentenza impugnata. La Corte di appello di
Firenze, con sentenza 2/16 dicembre 1996, n. 1480, rigettava
l'appello condannando l'amministrazione appellante al rimbor
so in favore della controparte delle spese del grado. Per la cas
sazione di quest'ultima sentenza l'amministrazione delle finanze
dello Stato propone il presente ricorso con deduzione di quattro motivi. L'Hotel Kraft s.p.a. resiste con controricorso.
Motivi della decisione. — 1. - Col primo motivo l'ammini
strazione finanziaria ha denunciato «violazione degli art. 8 r.d.
30 ottobre 1933 n. 1611 e 2 d.m. 12 dicembre 1972; violazione
e falsa applicazione dell'art. 25 c.p.c.; incompetenza territoriale
funzionale del presidente del Tribunale di Firenze e del medesi
mo tribunale», con riferimento all'ipotesi di cui all'art. 360,
n. 2, c.p.c. La ricorrente ha censurato la sentenza della corte
fiorentina, sul punto, per non essere stato ritenuto che, ai sensi
dell'art. 8 r.d. n. 1611 del 1933, la competenza per territorio
doveva essere individuata in correlazione con il distretto in cui
«trovasi l'ufficio che ha liquidato la tassa o la sovrattassa con
troversa», il quale ufficio, nella fattispecie in esame, si identifi
cava, a norma dell'art. 2 d.m. 12 dicembre 1972, nell'ufficio
del registro per le tasse sulle concessioni governative di Roma.
Contro l'assunto dell'amministrazione ricorrente, è sufficiente
richiamare in questa sede i numerosi precedenti della giurispru denza di questa sezione (v. recentemente: Cass. 8522/98, Foro
it., 1998, I, 2763; 5742/98, id., Mass., 643, e 5390/98, ibid., 606) nei quali sono stati enunciati i seguenti principi da cui que
sto collegio non ritiene di doversi discostare: l'art. 8 citato r.d.
n. 1611 del 1933, il quale attribuisce la cognizione delle contro
versie tributarie al tribunale del luogo ove ha sede l'avvocatura
dello Stato nel cui distretto si trova l'ufficio che ha liquidato il tributo, pone un criterio di competenza speciale (come tale
prevalente su quello determinato in via generale dall'art. 25 c.p.c.) la cui applicazione postula il presupposto che il tributo al quale si riferisce la controversia sia stato oggetto di accertamento e
liquidazione da parte di un determinato ufficio finanziario; tale
condizione non ricorre nelle situazioni in cui, come nel caso
di specie, l'ammontare del tributo dovuto per l'iscrizione nel
registro delle società era prestabilito per legge e la corresponsio ne di esso è avvenuta direttamente ad opera del contribuente
nella misura dal medesimo determinata spontaneamente in con
formità all'indicazione legislativa, mediante versamento in con
to corrente postale; la portata dell'art. 2 d.m. 12 dicembre 1972
— il quale ha individuato nell'ufficio del registro per le tasse
sulle concessioni governative di Roma l'ufficio competente a
provvedere «alla riscossione, per tutto il territorio dello Stato,
delle tasse sulle concessioni governative e delle tasse di pubblico
insegnamento e di quelle relative all'istruzione superiore da cor
rispondersi a mezzo del servizio dei conti correnti postali» —
è stata ridimensionata dall'art. 1 d.m. 14 luglio 1988 il quale,
fermo restando quant'altro disposto dal citato d.m. del 1972,
ha stabilito che «al recupero anche in via supplementare della
tassa di concessione governativa per l'iscrizione nel registro del
le imprese» avrebbe provveduto «l'ufficio del registro nella cui
circoscrizione territoriale ha sede il domicilio fiscale dell'impre
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1147 PARTE PRIMA
sa», e successivamente — e in modo ancor più significativo —
dall'art. 1 d.m. 20 gennaio 1992 con cui è stato disposto che
«il rimborso di somme non dovute . . . versate sui conti corren
ti postali intestati all'ufficio del registro tasse governative di
Roma ... è disposto dalle competenti intendenze di finan
za . . .»; pertanto, alla stregua di tali disposizioni — le quali, avendo natura procedimentale, sono suscettibili di applicazione immediata anche in relazione a rapporti di diritto sostanziale
sorti in epoca antecedente all'entrata in vigore di esse — il luo
go di adempimento dell'obbligazione dedotta in giudizio, aven
te ad oggetto il rimborso del tributo in tesi indebitamente corri
sposto, risultava identificabile in coincidenza con la sede della
tesoreria provinciale locale. Conseguentemente, in applicazione dell'art. 25 c.p.c., deve essere riconosciuta, come è stata rico
nosciuta dalla corte fiorentina, la competenza territoriale del
giudice adito dalla società attrice.
2. - Si accede, a questo punto, all'esame della contestazione
della fondatezza nel merito della domanda della società attrice, che costituisce oggetto del terzo motivo col quale l'amministra
zione ricorrente ha dedotto, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., «violazione dell'art. 36, comma 8 e 8 bis, d.l. 69/89, converti
to, con modificazioni, in 1. 154/89; violazione dell'art. 12, par.
1, lett. e), della direttiva 69/335/Cee, nonché della sentenza della
Corte di giustizia delle Comunità europee 20 aprile 1993, cause
riunite C-71/91 e C-178/91 (id., 1993, IV, 169); omessa, insuf ficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo», e del
quarto motivo, intitolato a «ulteriore violazione delle norme e
della sentenza citata nel terzo motivo; violazione dell'art. 2697
c.c.; omessa motivazione su punto decisivo». Le censure for
mulate in questi motivi terzo e quarto, che esigono di essere
congiuntamente considerati, si palesano infondate e devono es
sere disattese.
2.1. - L'art. 74 della tariffa allegata al d.p.r. 26 ottobre 1972
n. 641 assoggettava l'iscrizione nel registro delle imprese al pa
gamento di una tassa di concessione governativa il cui ammon
tare, in seguito alle variazioni in aumento apportate all'entità
originaria, venne a risultare di lire 81.000; con il 18° e 19° com
ma dell'art. 3 d.l. 19 dicembre 1984 n. 853, convertito nella
1. 17 febbraio 1985 n. 17, l'entità della tassa venne stabilita
in misura differenziata a seconda dei vari tipi di società, e ven
ne stabilito l'obbligo del pagamento della tassa sia per l'iscri
zione dell'atto costitutivo della società sia per gli anni successivi
entro la scadenza del 30 giugno; ancora successivamente con
il d.l. 30 maggio 1988 n. 173 la tassa di iscrizione e la tassa
annuale furono ulteriormente aumentate; la legge di conversio
ne 26 luglio 1988 n. 291 determinò l'ammontare della tassa,
per le società azionarie, in correlazione all'entità del capitale sociale, secondo un criterio di progressività; nuove modificazio
ni, in ordine alla determinazione della tassa, vennero introdotte
con il d.l. 2 marzo 1989 n. 69, convertito in 1. 27 aprile 1989
n. 154, ed ancora (questa volta in minus) con il d.l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito in 1. 8 agosto 1992 n. 359; infine, con
l'art. 61 d.l. 30 agosto 1993 n. 331, convertito in 1. 29 ottobre
1993 n. 427, è stata ulteriormente modificata la tassa dovuta
per l'iniziale iscrizione delle società, ed è stata abolita la tassa
prevista per la permanenza dell'iscrizione negli anni successivi; la soppressione della tassa è stata da ultimo consacrata nell'art.
138 della recente 1. 28 dicembre 1995 n. 549.
2.2. - A fronte della suesposta situazione normativa di diritto
interno, si è posto l'orientamento del diritto comunitario, espresso nella direttiva del consiglio Ce 17 luglio 1969 n. 335, dichiarata mente rivolta ad intervenire nella materia dell'imposizione indi
retta sulla raccolta di capitali, al fine di eliminare (attraverso le opportune armonizzazioni delle legislazioni degli Stati mem
bri) le discriminazioni, le doppie imposizioni, e ogni forma di disparità di regime tale da ostacolare la libera circolazione dei
capitali all'interno della Comunità. Vale la pena di ricordare,
incidentalmente, che l'adeguamento a tale direttiva, in materia
di tasse di concessione governativa, era stato imposto dal legis latore ordinario già in sede di delega al governo per la riforma
tributaria con l'art. 7 1. 9 ottobre 1971 n. 825. In particolare, la direttiva prevede la riscossione, per una sola volta, di una
imposta sui conferimenti di capitali, con carattere di uniformità
non solo nelle aliquote ma anche nella struttura; e nell'art. 10
stabilisce che oltre a tale imposta, gli Stati membri non applica no, relativamente a società, associazioni o enti che perseguano fini di lucro, alcuna altra imposizione sotto qualsiasi forma,
Il Foro Italiano — 1999.
con la precisazione che il divieto riguarda anche l'ipotesi della
costituzione di una società o l'aumento del suo capitale (lett.
a) e quella della immatricolazione o di qualsivoglia altra forma
lità preliminare all'esercizio di un'attività alla quale la società
o l'ente possa essere sottoposta in ragione della sua forma giu ridica (lett. c). In deroga al divieto di cui sopra agli Stati mem
bri resta consentita, in base all'art. 12, lett. e), della direttiva,
l'applicazione di diritti di carattere remunerativo: a chiarimento
di quest'ultima nozione, la Corte di giustizia Ce ha affermato
che l'onere imposto può ritenersi proporzionato al servizio reso
(e come tale legittimamente imposto) a condizione che il suo
ammontare non superi il costo effettivo delle operazioni in oc
casione della quale il diritto è percepito (v. sentenze 25 gennaio
1977, causa 46/76, id., 1977, IV, 431; 31 maggio 1979, causa
132/78, id., 1981, IV, 427). 2.3. - La stessa Corte di giustizia, facendo applicazione della
richiamata normativa in relazione alla tassa di concessione go vernativa prevista dal diritto italiano, con la sentenza 20 aprile
1993, cause C-71/91 e C-178/91, cit., ha affermato: che l'art.
10 della direttiva deve essere interpretato nel senso che, fatte
salve le disposizioni derogatorie del successivo art. 12, esso vie
ta un tributo annuale dovuto in ragione dell'iscrizione delle so
cietà di capitali, anche qualora il gettito di tale tributo contri
buisca al finanziamento del servizio incaricato della tenuta del
registro in cui sono iscritte le società; che l'art. 12 deve essere
interpretato nel senso che i diritti di carattere remunerativo di
cui al n. 1, lett. e), dello stesso articolo possono essere remune
rati riscosse come corrispettivo di operazioni imposte dalla leg
ge per uno scopo di interesse generale, come per esempio l'iscri
zione delle società di capitali; che in particolare, «il fatto che
11 tributo sia dovuto non soltanto all'atto dell'iscrizione della
società ma anche ogni anno successivo non può di per sé sot
trarre il tributo stesso al divieto di cui all'art. 10»; che «ogni diversa interpretazione priverebbe di efficacia pratica la disposi zione dell'art. 10 in quanto consentirebbe agli Stati membri di
imporre alle società di capitali un onere fiscale annuale il cui
unico presupposto è il mantenimento dell'iscrizione della socie
tà». Orbene, il contenuto decisorio delle sentenze interpretative della Corte di giustizia della Comunità è vincolante per il giudi ce italiano, come più volte ha riconosciuto la Corte costituzio
nale (v. Corte cost. 113/85, id., 1985, I, 1600; 389/89, id., 1991,
I, 1076, e 168/91, id., 1992, I, 660). La controversia deve per tanto essere definita in base alla citata sentenza 20 aprile 1993
della Corte di giustizia, senza bisogno di accedere ad applica zione diretta da parte del giudice italiano della normativa co
munitaria e quindi senza bisogno di procedere all'accertamento
della ricorrenza o meno delle condizioni per tale applicabilità
che, come è noto, viene riconosciuta (v. Corte cost. 168/91,
cit.) in presenza di prescrizioni, espresse in sede di direttiva co
munitaria, incondizionate e sufficientemente precise, alle quali lo Stato non abbia dato spontanea attuazione.
2.4. - La verifica in concreto della sussistenza o meno delle
condizioni di legittimità (cioè di compatibilità con l'ordinamen
to comunitario) del tributo previsto in subiecta materia dalla
legislazione italiana, risolventesi nella verifica della sussistenza
o meno di un rapporto diretto, ragionevolmente apprezzabile, tra l'ammontare della tassa e i costi amministrativi inerenti al
l'immatricolazione della società e al mantenimento dell'iscrizio
ne nel registro delle società, ha avuto soluzione negativa nelle
coeve sentenze delle sezioni unite di questa corte 12 aprile 1996, n. 3457 (id., Rep. 1996, voce Concessioni governative (tassa
sulle), n. 29), e n. 3458 (id., 1996, I, 1600), con le quali — in conformità all'orientamento già precedentemente formatosi
in decisioni della prima sezione pronunciate in tema di restitu
zione del tributo in argomento (Cass. 28 marzo 1994, n. 2992,
id., 1994, I, 1743; 23 novembre 1994, n. 9900, id., Rep. 1994, voce cit., n. 15, e 28 dicembre 1994, n. 11230, ibid., n. 16, citata nella sentenza della corte di Palermo qui impugnata) —
è stato affermato che «la direttiva e l'interpretazione che ne
ha dato la Corte di giustizia comportano . . . non l'abrogazione ma la mera disapplicazione diretta e immediata della norma dif
forme di diritto interno», e, ulteriormente, che non può essere
riconosciuto il preteso carattere remunerativo della tassa in que stione sia in considerazione dell'incongruità dell'importo di una
tassa annuale successiva all'iscrizione richiesta in misura pari a quella dovuta per la prima iscrizione (essendo evidente l'in
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sussistenza dei costi affrontati in sede di tassa annuale di rinno
vo allorché nessun atto societario deve essere depositato all'uf
ficio competente al di là della prova dell'avvenuto pagamento della tassa), sia in vista della macroscopica sproporzione tra
l'importo della tassa stessa e quello dei diritti applicati negli altri Stati membri della Comunità per formalità dello stesso ti
po, sia ancora perché «la periodicità annuale della tassa com
porta una reiterazione dell'obbligazione tributaria connessa alla
permanenza dell'iscrizione (non potendo la tassa annuale essere
assimilata ad una tassa di rinnovo in quanto l'iscrizione non
è soggetta a scadenza)», sia infine perché «la determinazione
concreta dell'ammontare della tassa si sottrae ad ogni logica di congruenza tra costo del servizio e onere tributario come è
reso palese sia dalla sproporzione tra l'entità delle tasse gravan ti sui vari tipi di società, sia dalle modificazioni succedutesi nel tempo a breve distanza l'una dall'altra, prive di qualsiasi razio
nale spiegazione in termini di almeno tendenziale corrispettività». 2.5. - Giova ricordare, a conforto della conclusione a cui so
no pervenute le sezioni unite, e che è stata recepita nella succes
siva giurisprudenza di questa sezione (v. ex pluribus, da ultimo, le già citate sentenze 8522/98 e 5742/98) che la sentenza della
Corte europea 20 aprile 1993 relativa alla tassa vigente nell'or
dinamento italiano viene, significativamente, richiamata nella
successiva sentenza 11 giugno 1996 della stessa Corte di giusti zia che, per converso, riconosce legittima l'imposizione, nell'or
dinamento olandese, di un tributo correlato all'iscrizione di
un'impresa nel registro di commercio, che, in un sistema in cui
non esiste un distinto registro per le società, vale altresì come
registrazione della persona giuridica, osservando: che il fatto
generatore dell'imposta non è, secondo la legge olandese, la re
gistrazione della società, o della persona giuridica titolare di
un'impresa, bensì la registrazione dell'impresa stessa; che tale
onere colpisce, in base ai rispettivi patrimoni, tutti gli enti che — al di fuori di taluni settori — esplicano attività economica
e perseguono scopi di lucro; che il tributo prescinde dalla forma
giuridica del soggetto titolare dell'impresa; che una società che
non esercita alcuna impresa non è soggetta all'imposta; che l'im
posta non può essere collegata a formalità alle quali possano essere assoggettate le società di capitali in ragione della loro
forma giuridica; che il tributo olandese controverso non è per tanto comparabile alla tassa di concessione governativa italiana.
2.6. - Dimostrata l'infondatezza della pretesa riconducibilità
della tassa di iscrizione annuale delle società nel relativo regi stro all'ambito dei diritti di carattere remunerativo di cui l'art.
12, par. 1, lett. e), della direttiva riconosce la legittimità, risulta
priva di pregio la critica che l'amministrazione ricorrente muo
ve all'impugnata sentenza in ordine alla prova (e all'onere della
prova) dell'insussistenza del connotato della remuneratività del
la tassa in questione in relazione alle caratteristiche della mede
sima. Né potrebbe l'impugnata sentenza essere considerata ca
rente sotto il profilo motivazionale, per non avere la corte di
merito dato espressa specifica spiegazione delle ragioni — emer
genti dalle espressioni dell'orientamento giurisprudenziale pre cedentemente riferito — per cui, in assenza di attività istrutto
ria in tal senso ad iniziativa di parte, e in difetto di presunzioni
poste dal diritto positivo, debbasi ritenere, sotto questo partico lare profilo, la tassa in questione incompatibile con l'ordina
mento comunitario.
2.7. - Le conclusioni a cui si perviene in relazione alla fatti
specie sub ìudice alla luce delle considerazioni suesposte non
possono subire modificazione per effetto dell'applicazione, in
vocata dall'amministrazione in sede di discussione orale, dello
ius superveniens rappresentato dall'art. 11 1. 23 dicembre 1998
n. 448 (misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo) ove si dispone: (1° comma) «L'art. 61, 1° comma,
d.l. 30 agosto 1993 n. 331, convertito, con modificazioni, dalla 1. 29 ottobre 1993 n. 427, va interpretato nel senso che la tassa
sulle concessioni governative per le iscrizioni nel registro delle
imprese, di cui all'art. 4 della tariffa annessa al d.p.r. 26 otto
bre 1972 n. 641, nel testo modificato dallo stesso art. 61, è
dovuta per gli anni 1985, 1986, 1987, 1988, 1989, 1990, 1991 e 1992, nella misura di lire 500.000 per l'iscrizione dell'atto co stitutivo e nelle seguenti misure forfetarie annuali per l'iscrizio
ne degli altri atti sociali, per ciascuno degli anni dal 1985 al
1992: omissis»; (2° comma) «Le società che negli anni indicati
al 1 ° comma hanno corrisposto la tassa sulle concessioni gover
II Foro Italiano — 1999.
native per l'iscrizione nel registro delle imprese e quella annua
le, ai sensi dell'art. 3, 18° e 19° comma, d.l. 19 dicembre 1984
n. 853, convertito, con modificazioni, dalla 1. 17 febbraio 1985
n. 17, possono ottenere il rimborso della differenza fra le som me versate e quelle dovute a norma del citato 1 ° comma, sem
pre che abbiano presentato istanza di rimborso nei termini pre visti dall'art. 13 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 641»; (3° comma)
«Sull'importo da rimborsare sono dovuti gli interessi nella mi
sura del tasso legale vigente alla data di entrata in vigore della
presente legge, a decorrere dalla presentazione dell'istanza». A
tenore delle disposizioni contenute nel 1° e nel 2° comma del
citato articolo, dichiaratamente interpretative e quindi applica bili con efficacia retroattiva ai rapporti tributari geneticamente
pregressi ma non ancora esauriti, non può essere attribuito il
significato di una conferma — che si porrebbe, ancora una vol
ta, in conflitto con l'ordinamento e con la giurisprudenza della
Comunità — della legittimità della tassa correlata alla perma nenza dell'iscrizione negli anni successivi alla prima iscrizione, con risultato di sostanziale vanificazione dell'esito dell'elabora
zione giurisprudenziale di cui si è detto e con effetto solo quan titativamente riduttivo del diritto al rimborso. Un'attenta e coor
dinata lettura del dato normativo emergente dall'inserzione, nella
disciplina già vigente e come sopra interpretata, delle ultime
disposizioni, con particolare riferimento alla distinzione tra le
diverse specie di tassa contemplate originariamente nel d.p.r. 1° marzo 1961 n. 121, conduce invece a riconoscere: che la tas
sa «per l'iscrizione dell'atto costitutivo» di cui è stata retroatti
vamente rideterminata l'entità è quella per la prima iscrizione
(la cui legittimità esula dalla problematica generale in discussio
ne) e non anche quella che veniva pretesa, negli anni indicati, e corrisposta, per il mero mantenimento dell'iscrizione, negli anni successivi, che, come si è visto, non resisteva alla verifica
del carattere di adeguata remuneratività costituente indefettibile
condizione per la legittima applicazione della stessa; che in mo
do del tutto autonomo opera la modificazione apportata con
l'unificazione delle tasse dovute per l'iscrizione degli «altri at
ti», cioè per gli atti, non direttamente correlati all'iscrizione (da essi ovviamente presupposta), per i quali venivano pretese sin
gole prestazioni pecuniarie che ora risultano dovute anche se
nessuna iscrizione di atti di tal genere venga effettuata; che, al di là di tale tassa unificata che trova la sua ragione di essere
nel servizio di pubblicità degli «altri atti», nessun'altra presta zione risulta a posteriori dovuta per gli anni indicati, fermo
restando il carattere indebito dei pagamenti al suddetto titolo
effettuati. E la previsione dell'individuazione di una differenza
in sede di rimborso non reca smentita alla esegesi che precede,
perché non postula necessariamente un raffronto quantitativo tra la tassa pagata e una tassa risultante dovuta alla stregua dello ius superveniens negli anni in considerazione, trovando
apprezzabile ragione di essere nell'eccedenza tra l'ammontare
di fatto complessivamente versato (comprensivo dei pagamenti indebitamente eseguiti di cui qui si tratta) e l'ammontare com
plessivamente dovuto in base all'applicazione del 1° comma co
me sopra circoscritta, non dilatato, immotivatamente, con la
surrettizia reintroduzione di quelle erogazioni che devono rite
nersi invece definitivamente espunte dall'ambito della legittimi tà in esito al lungo travaglio della giurisprudenza comunitaria
e statuale.
3. - Viene, a questo punto, preso in esame, e viene ricono
sciuto meritevole di accoglimento, il secondo motivo, avente ad
oggetto denuncia di «violazione dell'art. 13, 2° comma, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 641».
3.1. - La problematica relativa alla decadenza era stata af
frontata dalle sezioni unite, le quali, nelle ricordate sentenze,
avevano affermato: che nel vigente sistema tributario la restitu
zione delle tasse erroneamente pagate è soggetta alla decadenza
triennale dal giorno del pagamento, e a tale regime non sfugge la tassa in esame, trattandosi di disapplicazione del diritto in
terno, per contrasto con il prevalente ordinamento comunita
rio, il che però non comporta né l'abrogazione né l'incompati bilità della disposizione della legge italiana di cui al 2° comma dell'art. 13 d.p.r. n. 641 del 1972; che «non è condivisibile la tesi secondo cui nella fattispecie il pagamento non sarebbe erro
neo in quanto sarebbe stato effettuato nella piena consapevo lezza e volontarietà dell'adempimento di una norma tributaria»;
che «esclusa la carenza di potere tributario e ribadito che il
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1151 PARTE PRIMA 1152
giudice si limita a disapplicare il diritto interno configgente con
quello comunitario, il principio di decadenza per il ritardo con
cui si chiede il rimborso delle tasse indebitamente o erronea
mente pagate esplica integralmente la sua efficacia».
3.2. - In dichiarato dissenso da tale orientamento, la corte
fiorentina ha posto a fondamento della propria ratio decidendi
sul punto, da un lato la ritenuta insussistenza del potere imposi tivo derivante dal conflitto tra la normativa statuale e l'ordina
mento comunitario determinante la disapplicazione da parte del
giudice italiano delle norme di diritto interno, e, dall'altro, l'im
possibilità giuridica della decorrenza del termine di decadenza
prima della corretta trasposizione, ad opera del legislatore sta
tuale, del contenuto normativo della direttiva nel diritto inter
no. Con riferimento all'uno e all'altro profilo motivazionale,
la soluzione alla quale ha acceduto la corte di merito risulta
non rispondente a corretta interpretazione e applicazione dei
principi di diritto statale e di diritto comunitario che governano la materia in discussione.
3.3. - Il principio dell'applicabilità del termine di decadenza
di cui trattasi, come di quelli analogamente previsti da altre
disposizioni legislative (art. 38 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602,
art. 29 1. 29 dicembre 1990 n. 428, art. 21 d.leg. 31 dicembre
1992 n. 546) ad ogni ipotesi di rimborso di pagamento di tributi
non dovuti, quale che sia la situazione giuridicamente rilevante
da cui trae titolo il diritto alla ripetizione, appartiene ormai
a un consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità (v., ex plurimis, le recenti sentenze 8522/98, cit., e, con riferimento
all'art. 38 d.p.r. n. 602 del 1973, 7360/98, id., Mass., 820) che
si pone in coerenza con un orientamento normativo tendente
in linea generale a realizzare la più sollecita definizione dei rap
porti tra l'amministrazione e il contribuente, e, a tal fine, ad
assoggettare tal genere di richieste a termini brevi di decadenza
anziché all'ordinario più lungo termine di prescrizione previsto
per l'azione di ripetizione esperibile nell'ambito del diritto co
mune. Tale indirizzo appare rispondente sia alle esigenze del
l'interpretazione logica che non consentono di limitare la ricer
ca del contenuto del dato normativo al mero senso letterale del
le parole, sia a un criterio di interpretazione storica affidato
alla considerazione che in materia di tasse sulle concessioni go vernative le istanze di rimborso sono state sempre assoggettate a un regime di preclusione temporale. Giova rilevare, anzi, alla
luce di un ulteriore significativo argomento di carattere testuale
e comparatistico che conforta le suesposte conclusioni sul pun to: che l'art. 13 d.p.r. n. 641 del 1972 è stato dettato in attua
zione della delega legislativa conferita al governo, per la rifor
ma tributaria, con la già ricordata 1. 9 ottobre 1971 n. 825 il
cui art. 10 demandava al legislatore delegato la sola facoltà di
procedere all'unificazione dei termini di prescrizione e di deca
denza relativi ai vari tributi (art. 10, n. 9); che introducendo
nel 2° comma dell'art. 13 l'avverbio «erroneamente» che era
assente nella corrispondente disposizione contenuta nel d.p.r. 1° marzo 1961 n. 121, il legislatore delegato sarebbe incorso
in un eccesso della delega ricevuta, ove tale locuzione dovesse
intendersi limitativa delle ipotesi a cui si applica la decadenza
ivi prevista con la configurazione di una categoria di fattispecie che debbano da tale decadenza andare esenti in considerazione
dello stato soggettivo del solvens; che della norma così interpre tata potrebbe quindi essere revocata in discussione la legittimità
costituzionale; che per contro l'interpretazione accolta dalla giu
risprudenza e che qui riceve conferma risponde al principio se
condo cui l'alternativa astrattamente prospettabile tra due in
terpretazioni esige di essere sciolta a favore di quella che appaia conforme ai requisiti della compatibilità con i canoni costituzio
nali. Va rilevato, infine, che l'onere della proposizione dell'i
stanza di rimborso nel termine di cui all'art. 13 d.p.r. n. 641
del 1972 è stato confermato nel 3° comma dell'art. 11 della
ricordata recente 1. 23 dicembre 1998 n. 448. Ad escludere la
riconducibilità della fattispecie all'ipotesi di restituzione di tasse «erroneamente pagate», e ad escludere con essa l'applicabilità della norma decadenziale che qui viene in rilievo non vale, quindi, la constatazione che il pagamento è stato effettuato in adempi mento di un obbligo di legge e non in una condizione soggettiva
psicologica di errore, per tale intendendosi una falsa rappresen tazione della realtà influente sulla determinazione volitiva del
contribuente al pagamento. 3.4. - Né potrebbe ritenersi che tale norma, sia in considera
zione della durata del termine stabilito per la proposizione della
Il Foro Italiano — 1999.
domanda di rimborso dei tributi indebitamente versati (più bre
ve di quello prescrizionale operante in tema di indebito civile),
sia in considerazione del fatto che il momento iniziale della sua
decorrenza si pone in correlazione con il momento del paga
mento anziché con quello in cui la direttiva è stata «corretta
mente trasposta nel nostro ordinamento», risulti sotto i suindi
cati profili incompatibile con il diritto comunitario e debba,
per tale ragione, essere disapplicata. Invero, proprio la Corte
di giustizia delle Comunità, in una recente decisione relativa
appunto all'applicabilità dell'art. 13, 2° comma, d.p.r. 26 otto
bre 1972 n. 641, in fattispecie identiche a quella che ha dato
luogo al presente giudizio, ha riaffermato, in linea con i propri
precedenti, che il diritto comunitario non vieta a uno Stato mem
bro di opporre alle azioni di ripetizione di tributi riscossi in
violazione del diritto comunitario un termine nazionale di deca
denza triennale che deroga al regime ordinario dell'azione di
ripetizione dell'indebito tra privati, assoggettata a un termine
più favorevole, a condizione che l'applicazione di tale termine
risulti incidente in modo non difforme in relazione alle azioni
di ripetizione di tali tributi fondate sul diritto comunitario e
a quelle fondate sul diritto interno, e che non renda «pratica mente impossibile o eccessivamente difficile» l'esercizio dei di
ritti conferiti dall'ordinamento comunitario; e nello stesso con
testo ha dato risposta affermativa anche al quesito relativo alla
compatibilità con l'ordinamento comunitario della «decorrenza
del termine decadenziale da un momento antecedente alla cor
retta e compiuta trasposizione nell'ordinamento interno della
direttiva che ha riconosciuto tale diritto» (Corte giust. 15 set
tembre 1998, cause riunite C-279/96, C-280/96, C-281/96, id.,
1998, IV, 369, scaturenti da domanda di pronuncia pregiudizia le proposta alla corte a norma dell'art. 177 del trattato Cee
dal Tribunale di Genova). La citata recente sentenza della Cor
te di giustizia, del resto, si pone come momento culminante
di un orientamento progressivamente maturato nella giurispru denza comunitaria che ha riconosciuto, in reiterate occasioni,
compatibile con i principi del diritto europeo la sussistenza di
termini per la ripetizione di tributi riscossi in base a norme con
fliggenti con le norme comunitarie, diversi e più brevi di quelli stabiliti in via generale in materia di ripetizione di indebito, pur ché «ragionevoli», tali cioè da soddisfare la duplice esigenza della certezza dei rapporti tributari e della possibilità di far va
lere i diritti riconosciuti dall'ordinamento comunitario. V. in
proposito le sentenze 9 novembre 1989, causa 386/87; 17 luglio
1997, cause C-114, C-l 15/95; 17 luglio 1997, causa C-90/94
(id., Rep. 1997, voce Unione europea, n. 1163), e 2 dicembre
1997, causa C-I88/95, particolarmente significativa perché af
ferente proprio alla ripetibilità dei diritti riscossi da uno Stato
membro — la Danimarca — per la registrazione delle società
in contrasto con la direttiva Cee 69/335 prima del suo recepi mento nel diritto nazionale di quello Stato; 27 ottobre 1993, causa C-338/91 (id., Rep. 1996, voce cit., nn. 1285, 1286), al
trettanto significativa perché relativa ad un termine di un solo
anno, che pure è stato riconosciuto tale da circoscrivere, ma
non da escludere totalmente, la possibilità di far valere in giudi
zio, per il passato, il diritto del contribuente. E se è vero che
la stessa Corte di giustizia ebbe a stabilire, con la sentenza 25
luglio 1991, causa C-208/90 (id., 1993, IV, 324) — che viene
espressamente richiamata dalla corte di Firenze e invocata dalla
controricorrente — che «fino al momento della trasposizione corretta della direttiva, lo Stato membro inadempiente non può
eccepire la tardività di un'azione giudiziaria avviata nei suoi
confronti da un singolo al fine della tutela dei diritti che ad
esso riconoscono le disposizioni della direttiva» onde «un ter
mine di ricorso di diritto nazionale può cominciare a decorrere
solo da tale momento», è altrettanto vero che successivamente, in più occasioni, e da ultimo proprio con la sentenza 15 settem
bre 1998, cit., la stessa corte ha precisato che l'affermazione
in quella sede formulata trovava peculiare giustificazione nelle
«circostanze tipiche di detta causa, nelle quali la decadenza dai
termini arrivava a privare totalmente la ricorrente nella causa
principale della possibilità di far valere il suo diritto alla parità di trattamento in virtù di una direttiva comunitaria». A questo
punto, resta solo da prendere atto che l'unica prospettazione
rilevante, in senso impeditivo all'applicazione del termine di de
cadenza di cui trattasi, sarebbe quella di una situazione nella
quale il soggetto contribuente autore dell'indebito pagamento
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
fosse — almeno in tesi — posto nell'impossibilità di far valere
il suo diritto alla ripetizione, come — secondo la Corte di giu stizia — si era verificato nel caso di cui alla sentenza 25 luglio
1991, cit., e come — sempre secondo la stessa corte — non
si è verificato, invece, nei casi sottoposti al suo esame dal giudi ce genovese, del tutto corrispondenti, come si è detto, a quello che costituisce oggetto dell'attuale giudizio. Ma una prospetta zione di tal natura resta del tutto estranea alla presente materia
del contendere.
4. - In relazione alla censura accolta, riceve parziale accogli mento il ricorso, e riceve cassazione la sentenza impugnata. Con
segue il rinvio della causa, per nuovo esame da compiersi alla
luce dei criteri suesposti, ad altro giudice che viene indicato in
altra sezione della stessa corte di Firenze.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 30 mar
zo 1999, n. 3096; Pres. Iannotta, Est. Amatucci, P.M. Go
lia (conci, parz. diff.); Avenoso (Avv. Ventura, Inzitari) c. Cassa di risparmio di Biella e Vercelli (Avv. Ghia, Weig
mann). Cassa App. Torino 14 giugno 1996.
Contratti bancari — Interessi passivi — Capitalizzazione trime
strale — Uso negoziale — Integrazione del contratto — Esclu
sione (Cod. civ., art. 1283, 1374).
La capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte della ban
ca sui saldi di conto corrente passivi per il cliente non costi
tuisce uso normativo, ma uso negoziale, come tale inidoneo
ad operare automaticamente con effetto integrativo del con
tratto. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 16 marzo
1999, n. 2374; Pres. Rocchi, Est. Salmè, P.M. Gambardel
la (conci, conf.); Behare (Avv. Behare) c. Banco di Napoli
(Avv. Ghia). Cassa App. Milano 4 aprile 1995.
Contratti bancari — Interessi passivi — Capitalizzazione trime
strale — Uso negoziale — Nullità (Cod. civ., art. 1283).
È nulla la clausola, contenuta in un contratto bancario, che
prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti
dal cliente, in quanto basata su un uso negoziale e non su
una vera e propria norma consuetudinaria. (2)
(1-2) Per ripercorrere le tappe attraverso le quali si è articolata, con
esiti altalenanti, la vicenda decisa dalla pronuncia sub I, v. Trib. Ver
celli 21 luglio 1994, Foro it., 1995, I, 1662 (e Banca, borsa, ecc., 1995,
II, 352, con nota di E. Ntuk; Impresa, 1995, 754, con nota di B. Pe
trini; Giur. it., 1995, I, 2, 408, con nota di B. Inzitari, Convenzione di capitalizzazione trimestrale degli interessi e divieto d'anatocismo ex
art. 1283 c.c., e Contratti, 1995, 396, con nota di R.C. Delconte, Anatocismo e usi bancari), e App. Torino 14 giugno 1996, Foro it.,
Rep. 1997, voce Contratti bancari, n. 38 (per esteso, Banca, borsa,
ecc., 1997, lì, 136).
Quanto al background giudiziario dalla pronuncia sub II, la sentenza
di primo grado, Trib. Milano 16 settembre 1991, Foro it., Rep. 1992,
voce cit., n. 63, può leggersi in Banca, borsa, ecc., 1992, II, 583.
La Suprema corte, fino al deposito delle due decisioni qui riprodotte, si mostrava univoca nel ritenere la sussistenza di usi normativi, che
consentivano, in deroga all'art. 1283 c.c., l'anatocismo nei rapporti ban
cari, sotto forma di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti
dai clienti alla banca: cfr. Cass. 18 dicembre 1998, n. 12675, Foro it.,
Mass., 1337; 17 aprile 1997, n. 3296, id., Rep. 1997, voce Interessi, n. 13; 1° settembre 1995, n. 9227, id., Rep. 1996, voce cit., n. 10 (per
esteso, Banca, borsa, ecc., 1997, II, 136); 20 giugno 1992, n. 7571,
Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 16 (per esteso, Banca, borsa, ecc.,
1993, II, 358); 30 maggio 1989, n. 2644, Foro it., 1989, I, 3127 (anno
II Foro Italiano — 1999.
I
Svolgimento del processo. — 1. - Girolamo Avenoso si oppo ne all'esecuzione promossa nei suoi confronti dalla Cassa di
risparmio di Vercelli (poi Cassa di risparmio di Biella e Vercelli
s.p.a. - Biverbanca) in forza di tre contratti di mutuo del 1978
e di un contratto di apertura di credito, assumendo, in relazio
ne ai primi, che gli interessi erano stati conteggiati al tasso con
venzionale anziché a quello legale ed assumendo, quanto al se
condo, che non era fondata la pretesa della banca di applicare l'anatocismo sugli interessi dovuti in conseguenza della risolu
zione. La cassa resistette.
tata da M. Costanza, Norme bancarie uniformi e derogabilità degli art. 1283 e 1284 c.c., in Giust. civ., 1989, I, 2037); 6 giugno 1988, n. 3804, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 9 (per esteso, Arch, civ., 1989, 40); 5 giugno 1987, n. 4920, Foro it., 1988, I, 2352 (annotata da V. Colussi, in Nuova giur. civ., 1987, I, 670); 19 agosto 1983, n.
5409, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 18; 15 dicembre 1981, n. 6631, id., Rep. 1982, voce cit., n. 6 (annotata da A. Marini, Anatocismo e usi bancari, in Riv. dir. comm., 1982, II, 89; M. Oro Nobili, Anato cismo ed usi bancari in tema di interessi di mora su rate scadute di
mutui, in Rass. giur. Enel, 1982, 626; A. Di Amato, Anatocismo e
prassi bancaria, in Giust. civ., 1982, I, 381). Talune voci di dissenso si erano levate, tuttavia, in seno alla giuris
prudenza di merito: v. Trib. Vercelli 21 luglio 1994, cit.; Pret. Roma 11 novembre 1996, Nuova giur. civ., 1998, I, 183, con nota di G. Gal
lo; Trib. Busto Arsizio 15 giugno 1998, Foro it., 1998, I, 2997, con nota di A. Palmieri; nonché, da ultimo, Trib. Monza 23 febbraio 1999, in questo fascicolo, parte prima.
Tra gli scritti dedicati all'argomento in esame, v. D. Dì Gravio, Gli interessi bancari e la capitalizzazione trimestrale, in Dir. fallim., 1991, I, 994; V. Farina, Recenti orientamenti in tema di anatocismo, in Rass. dir. civ., 1991, 757; D. Sinesio, L'anatocismo, in Dir. banc., 1990, I, 27; R. Lotito, Anatocismo e interessi bancari: orientamenti giuris prudenziali, in Riv. critica dir. privato, 1989, 127; G. Ruello, Anatoci
smo e «mora debendi» nel conto corrente bancario, in Banca, borsa,
ecc., 1986, I, 548.
* * *
Dopo le avvisaglie premonitrici di talune decisioni di merito, arriva no inesorabili i fulmini della Cassazione ad incenerire la pratica della
capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dai clienti alle banche.
Due pronunce della Suprema corte, rese da due distinti collegi e deposi tate a distanza di pochi giorni, pervengono alla medesima conclusione
(e, d'altro canto, l'estensore di Cass. 3096/99 non ignora Cass. 2374/99, anzi dichiara espressamente di aderire all'impostazione da essa seguita), invertendo decisamente rotta rispetto ad un orientamento all'apparenza collaudato e ancora in auge fino a pochi mesi orsono. Nonostante l'af
fermarsi di un nuovo clima culturale, l'avvento nel panorama legislati vo delle norme in tema di trasparenza bancaria (1. 154/92, il cui conte
nuto è stato sostanzialmente trasfuso nel testo unico delle leggi in mate
ria bancaria e creditizia, emanato con d.leg. 385/93) e di usura 0- 108/96), come pure il progressivo abbandono di alcuni schemi ormai logori (si
pensi all'atteggiamento di maggior rigore nella valutazione delle clauso
le di rinvio alle condizioni praticate usualmente sulla piazza, ancorché
contenute in contratti stipulati anteriormente all'entrata in vigore della
1. 154/92, riscontrabile in seno alla Suprema corte a partire da Cass. 29 novembre 1996, n. 10657, Foro it.. Rep. 1997, voce Interessi, n.
14, fino alle recenti Cass. 23 giugno 1998, n. 6247, id., Mass., 706, e 8 maggio 1998, n. 4696, ibid., 496), nulla sembrava muoversi sul
fronte dell'anatocismo. Per una sorta di effetto inerziale, rimbalzava
acriticamente di pronuncia in pronuncia l'affermazione per la quale i
rapporti bancari sono caratterizzati da usi che si caratterizzano per la
costante applicazione dell'anatocismo, sub specie di capitalizzazione tri
mestrale degli interessi dovuti dai clienti alla banca; di tali usi si dava
per scontato il carattere normativo («perché dotati dei caratteri obietti
vi della costanza, della generalità e della durata, e del carattere soggetti vo della opinio iuris, che sono propri della norma consuetudinaria»;
così, nella motivazione, Cass. 1° settembre 1995, n. 9227, id., Rep.
1996, voce cit., n. 10 [per esteso, Banca, borsa, ecc., 1997, II, 136]); detti usi permettevano la produzione di interessi anatocistici, prescin dendo in toto dalle limitazioni fissate dall'art. 1283 c.c., perché opera vano sul medesimo piano di quest'ultima norma, che del resto li richia
mava espressamente. Tutto ciò comportava la duplice conseguenza: a) della validità della pattuizione relativa alla capitalizzazione trimestrale
degli interessi passivi; b) dell'iscrizione di tale clausola nel regolamento
contrattuale, ai sensi dell'art. 1374 c.c.
Pur non ignorando altri supporti normativi, il Supremo collegio smonta
il meccanismo così congegnato, impegnandosi in una fine analisi tecni
ca sulla natura giuridica dell'uso. È, infatti, proprio la valenza norma
tiva dell'uso in questione ad essere contestata da Cass. 2374/99, quanto
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