sezione I civile; sentenza 30 novembre 1985, n. 5985; Pres. Granata, Est. Senofonte, P. M.Valente (concl. conf.); Unioncamere (Avv. P. Guerra, Pesce) c. Min. finanze (Avv. dello StatoFiumara). Conferma App. Trieste 6 dicembre 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 9 (SETTEMBRE 1986), pp. 2233/2234-2237/2238Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180655 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo — deducendo la violazione dell'art. 119 t.u. 30 marzo 1957 n. 361 in relazione agli art. 2109 e 1362 c.c. (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) — assume il ricorrente: che il tribunale ha erroneamente attribuito al lavora tore (a titolo di ferie straordinarie ex art. 119 t.u. n. 361/57) le
giornate di lunedi, martedì e mercoledì; che, non potendosi considerare il sabato giorno festivo a tutti gli effetti, ben poteva essere calcolato — anche detto giorno — come giorno di ferie;
che, pertanto, in occasione delle elezioni, per « ferie straordina
rie » vanno calcolati i giorni di sabato, lunedi e martedì'.
Il motivo è infondato. Con numerose sentenze (Cass. 2618/ 80, Foro it., 1981, I, 1234; 4233/80 e 6191/80, id., Rep. 1980, voce Elezioni, nn. 64, 21; 1509/81, id., Rep. 1981, voce cit., n.
69; 983/82, id., Rep. 1982, voce cit., n. 102) questa Corte
suprema ha già risolto il problema relativo alla incidenza delle
festività, cadenti nel periodo delle operazioni elettorali, sulle ferie
straordinarie, previste dall'art. 119 t.u. 30 marzo 1957 n. 361, nel
senso che non solo la domenica, ma anche le altre giornate non
lavorative non vanno imputate nei tre giorni di ferie retribuite,
spettanti ai lavoratori in occasione delle elezioni, e danno perciò
luogo al corrispondente prolungamento del periodo feriale ordina
rio o all'indennità sostitutiva delle ferie non godute.
Non si ha motivo di discostarsi da tale indirizzo giurispruden ziale. Poiché, infatti, a norma dell'art. 12 preleggi, nell'interpretazio ne delle norme giuridiche non si può attribuire ad esse altro senso
oltre da quello fatto proprio dalle parole usate, assume carattere
preliminare l'esame del significato dell'art. 119 citato in narrativa.
Il dato testuale definisce come ferie i giorni obbligatoriamente concessi ai lavoratori per svolgere funzioni elettorali, indipenden temente dalla natura festiva o non dei giorni stessi, accollando il
relativo onere retributivo ai datori di lavoro « senza pregiudizio »
delle ferie spettanti in tale periodo per legge e per disciplina contrattuale. Il che vuol dire semplicemente che al lavoratore
spettano tre giorni di ferie retribuite in aggiunta alle ferie delle
quali normalmente gode per legge o per contratto. Le c.d. ferie
elettorali, ai determinati effetti, sono equiparate alle ferie legali e
contrattuali, perché cosi stabilisce la disposizione di legge in
esame, in un testo, che non consente una interpretazione diversa.
Dunque al termine « ferie » non si può dare altro significato che quello del codice civile o del contratto di lavoro ed arbitra
riamente la ricorente pretende di attribuire al detto termine il
significato di permesso retribuito per far consistere il diritto del
lavoratore, anziché nei tre giorni di ferie retribuite, nella dispensa dal lavoro con retribuzione.
Oltretutto non si comprenderebbe perché il legislatore, se
avesse voluto concedere un permesso retribuito, un'assenza dal
lavoro senza la perdita della normale retribuzione, abbia invece
prescritto tre giorni di ferie retribuite, senza pregiudizio delle
ferie spettanti ai sensi di legge o di accordi sindacali o aziendali.
Nemmeno si può sostenere, contro il significato letterale e
logico della norma, che secondo l'interpretazione storica il termi
ne di ferie retribuite si risolve in quello di permesso retribuito.
esso inerente. Peraltro, la giurisprudenza sul punto appare oscillante:
in senso positivo v., da ultimo, Cass. 16 ottobre 1985, n. 5104, cit.; 30
maggio 1985, n. 3280, cit. (incidenter)-, 6 febbraio 1985, n. 890, cit.; Pret. Torino 3 maggio 1984, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 69; in senso contrario v. Trib. Pisa 24 maggio 1983, id., 1984, I, 715, con nota di richiami.
Circa il raggio di operatività della norma in questione, si ricorda che la normativa medesima si applica, ex art. 50 1. 25 maggio 1970 n.
352, anche al referendum nonché, ex art. 51 1. 24 gennaio 1979 n. 18.
alle consultazioni per l'elezione del parlamento europeo (peraltro, secondo Cass. 15 novembre 1984, n. 5800, id., Rep. 1985, voce cit., n.
31, essendo il rinvio disposto nei limiti della compatibilità, il menzio nato diritto andrebbe commisurato alla minor durata delle elezioni
europee, riducendosi cosi da tre a due giorni) ed alle elezioni
amministrative, ex art. 3 1. 30 aprile 1981 n. 178 (a proposito delle
quali la Corte costituzionale con sent. 26 febbraio 1981, n. 35, id.,
1981, I, 1232 con nota di Messerini, aveva giudicato legittima
l'interpretazione prevalente, secondo la quale l'art. 119 t.u. cit. non
poteva trovare applicazione per via estensiva o analogica: v., da
ultimo, Cass. 3 gennaio 1984, n. 1, id., 1984, I, 53). Tra i contributi di dottrina si segnalano: Dondi, Ferie ai componen
ti del seggio elettorale: cenni a profili di incostituzionalità, in Giur.
piemontese, 1983, 243; Conti, Le c.d. ferie elettorali, in Dir. lav.,
1982, I, 215; Pera, Ufficio elettorale e ferie dei lavoratori, in Giust.
civ., ili981, I, 1536; Caravita, Svolgimento di funzioni presso gli uffici elettorali di sezione e (congruo) motivo di differenziazione del tratta
mento dedotto dalla diversità di posizione e funzione degli organi evi si riferiscono le operazioni elettorali, in Giur. costit., 1981, I, 241. [C Tedeschini]
Senza considerare che l'interpretazione storica ha carattere mera
mente ausiliario, non si possono da essa trarre le conseguenze che la ricorrente vorrebbe. L'art. 3 d.l. 3 maggio 1948 n. 690, stabiliva che i tre giorni di ferie retribuite, che i datori di lavoro
erano tenuti a concedere ai dipendenti, chiamati a svolgere funzioni elettorali, dovevano essere detratti dal periodo di ferie,
spettanti ai sensi di legge o di accordi sindacali o aziendali in
vigore, per modo che i giorni di astensione dal lavoro, coincidenti
con il periodo elettorale, dovevano essere considerati in conto
ferie.
L'espressione usata dall'art. 119 citato «senza pregiudizio delle
ferie spettanti », messa a raffronto con l'espressione usata nella
legge precedente, assume un significato totalmente opposto e con
trastante, tale da evidenziarne la portata innovativa, sicché, in
definitiva, l'interpretazione storica sorregge e non ripudia quella letterale e logica.
Pertanto, in armonia con i principi vigenti in subiecta materia, non computandosi nelle ferie elettorali le domeniche e gli altri
giorni festivi, cadenti nel periodo delle elezioni, il lavoratore che abbia partecipato alle funzioni elettorali, ha diritto ad un correla
tivo prolungamento delle ferie stesse per altri corrispondenti giorni lavorativi, contigui al periodo elettorale, ovvero alla perce zione della indennità sostitutiva per ferie non godute.
Tutto ciò, di certo, non si risolve, come pure assume la
ricorrente, in un trattamento di privilegio per quei dipendenti che, trovandosi a lavorare a settimana corta, hanno diritto a
maggiore recupero del periodo di riposo, rispetto agli altri dipen denti il cui orario settimanale di lavoro è distribuito nel più lungo arco.
La norma (l'art. 119) è di portata generale e nella sua
interpretazione non risulta affatto in contrasto con 0 principio sancito dall'art. 3 Cost., ed a riguardo neppure può ritenersi influenzata dagli effetti che operano all'esterno in modo diverso in dipendenza dell'espresso richiamo della contrattazione colletti va sul punto della regolamentazione delle ferie normali. Infatti la diversità degli effetti è soltanto apparente ed in sostanza non
genera trattamenti differenziali tra i lavoratori nel godimento al diritto ai tre giorni di ferie straordinarie, in quanto si riconnette alla distribuzione dell'orario di lavoro nell'arco della settimana, che avviene precisamente in base alle esigenze del lavoro ed alla conduzione delle varie trattative contrattuali che interessano sin
gole categorie di lavoratori dipendenti.
Né il riconoscimento del diritto ai giorni di ferie oltre la misura normale, nelle speciali ricorrenze e per i fini determinati, a tutti i lavoratori dipendenti impegnati nell'esercizio di particola re pubblico servizio può costituire violazione dell'art. 36 Cost, inteso ad assicurare il giusto e proporzionato compenso al lavora
tore, in quanto esso, non comportando ovviamente una diminu zione o un pregiudizio al bene tutelato dalla norma costituzionale
in questione, semmai produce una più vantaggiosa e non sicura mente vietata applicazione del relativo principio (v. Corte cost.
124/82, id., 1983, I, 869; 40/81, id., 1981, I, 1231). Per le suddette considerazioni, il ricorso deve essere rigettato.
(Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 30 no vembre 1985, n. 5985; Pres. Granata, Est. Senofonte, P. M. Valente (conci, conf.); Unioncamere (Aw. iP. Guerra, Pesce) c. Min. finanze (Aw. dello Stato Fiumara). Conferma App. Trieste 6 dicembre 1982.
Dogana — Riscossione — Ingiunzione di pagamento — Opposi zione — Inammissibilità per decorso del termine di decadenza — Fattispecie (D.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, t.u. delle disposi zioni legislative in materia doganale, art. 82).
È inammissibile l'opposizione ad ingiunzione, emessa per il recu
pero di imposte doganali, che sia proposta oltre il termine di decadenza di quindici giorni previsto dall'art. 82 t.u. 23 gen naio 1973 n. 43, termine da considerarsi non contrastante con il precetto costituzionale di cui all'art. 113 Cost, (nella specie, la Cassazione ha anche precisato che quel termine non trova
applicazione soltanto per le controversie nelle quali si neghi
Il Foro Italiano — 1986.
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2235 PARTE PRIMA 2236
l'esistenza del potere di imposizione in astratto e nei confronti della generalità dei cittadini). (1)
II
TRIBUNALE DI VENEZIA; sentenza 2 novembre 1984; Pres.
Chiozzi, Est. Gionfrida; Martin e altro (Avv. Forlati) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Martelli).
Fabbricazione (imposte di) — Ingiunzione di pagamento —
Opposizione — Inammissibilità per decorso del termine di decadenza — Rilevabilità d'ufficio (Cod. civ., art. 2269; d.m. 8
luglio 1924, t.u. delle disposizioni di carattere legislativo con cernenti l'imposta di fabbricazione degli spiriti, art. 31; d.m. 8 luglio 1924, t.u. delle disposizioni di carattere legislativo con cernenti l'imposta di fabbricazione dello zucchero, art. 15; d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 82).
È rilevabile d'ufficio l'inammissibilità dell'opposizione ad ingiun zione fiscale, emessa per il recupero di imposte di fabbricazio ne, perché proposta oltre il termine di decadenza di quindici
giorni previsto dalla normativa vigente in materia. (2)
I
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 36, 37 e 82
d.p.r. 43/73, in relazione all'art. 2 t.u. 639/10 e agli art. 4 e 5 1.
20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, nonché degli art. 24 e 113 Cost., in relazione agli art. 2728, 2727, 2907, 2908 e 2909 c.c., sostiene
che la decadenza derivante dall'inosservanza del termine previsto dall'art. 82 cit. non opera nei casi in cui il potere di accertamen
to non esista ovvero si sia estinto prima del suo esercizio, come
nella specie sarebbe avvenuto, essendo la merce andata dispersa
prima della notificazione dell'atto di accertamento (e della conte
stuale ingiunzione di pagamento), il quale sarebbe, pertanto, radicalmente nullo e, quindi, contestabile (mediante azione di
accertamento negativo) senza limiti di tempo, ai sensi dell'art. 113
Cost., non potendosi attribuirgli efficacia di giudicato.
(1-2) La perentorietà del termine di quindici giorni per l'opposizione ad ingiunzione in materia di imposte doganali e di fabbricazione è unanimemente affermata in giurisprudenza: cfr. Trib. Torino 2 feb braio 1984, Foro it., Rep. 1984, voce Fabbricazione (imposte di), n.
13; Cass. 12 febbraio 1981, n. 856, id., Rep. 1981, voce Dogana, n.
40; 6 gennaio 1981, n. 43, ibid., voce Fabbricazione (imposte di), n.
10; 4 febbraio 1980, n. 768, id., Rep. 1980, voce Riscossione delle
imposte, n. 144; 29 novembre 1979, n. 6271, id., Rep. 1979, voce cit., n. 93; 28 ottobre 1977, n. 4640, id., Rep. 1978, voce cit., n. 115, e in Giur. it., 1978, !, 1536, con nota di Fiorenza (sent, che ha ritenuto, an
che, l'ininfluenza del diverso termine di trenta giorni erroneamente indicato nell'ingiunzione); 15 luglio 1977, n. 3182, Foro it., Rep. 1980, voce cit-, n. 146; 12 ottobre 1976, n. 3378, id., il976, I, 886.
In materia, il giudice ordinario è stato ritenuto sfornito dei poteri di
sospensione dell'esecuzione: v. Cass. 12 ottobre 1974, n. 2815, id., Rep. 1975, voce Dogana, n. 78; 3 aprile 1974, n. 940, id., 1974, I, 2056.
L'eccezione di illegittimità costituzionale dell'identica norma sulla
perentorietà del termine di opposizione, contenuta nella previgente legge doganale (art. 24 1. 25 settembre ,1940 n. 1424), è stata ritenuta manifestamente infondata da Cass. 20 aprile 1974, n. 1099, id., Rep. 1974, voce cit., n. 54, e Cass. 20 gennaio 1972, n. 143, id., Rep. 1972, voce cit., n. 58.
Il termine di trenta giorni previsto dall'art. 3 r.d. 639/10 per tutte le
opposizioni a ingiunzione nelle materie ove non sia previsto un diverso termine è stato, invece, sempre ritenuto di natura meramente ordinato ria: v. Cass. 26 novembre 1981, n. 6232, id., Rep. 1981, voce Riscossione delle imposte, n. 113. Ovviamente, l'opposizione all'ingiun zione dinanzi all'a.g.o. deve essere limitata alla denunzia di vizi o motivi di illegittimità che investono l'ingiunzione come atto a sé stante e non può estendersi a contestazioni concernenti il merito della pretesa azionata, il cui esame sia riservato ad altre giurisdizioni: v. Cass. 10
luglio 1980, n. 4429, id., Rep. 1980, voce cit., n. 152, e in Giust. civ., 1980, I, 2090, con nota di M. Finocchiaro; nonché, per l'affermazione del principio generale dell'insussistenza di una potestà decisionale residua dell'a.g.o. nelle materie devolute alle commissioni tributai"
Cass., sez. un., 3 febbraio 1986, n. 661, Foro it., 1986, I, 1898, con nota di richiami.
La sospensione e la proroga dei termini processuali durante il
periodo feriale ex 1. 818/65 e 742/69 sono state ritenute applicabili anche ai giudizi di opposizione ad ingiunzione fiscale: v. Cass. 27 ottobre 1976, n. 3912, id., Rep. 1977, voce cit., n. 114.
In dottrina cfr. Dolfin, Ingiunzione fiscale, voce del Novissimo
digesto, appendice, 1983, IV, 245; Cocito, Il procedimento ingiunzio nale per la riscossione delle entrate tributarie - Rassegna di giurispru denza (1973-1982), in Ross, trib., 1983, II, 1263.
L'inesistenza (o caducazione) del potere di accertamento viene dedotta anche col secondo motivo, ma riferita all'art. 16 della convenzione di Ginevra del 15 gennaio 1959 (ratificata e resa esecutiva in Italia con la 1. n. 1517/62), che prevede la dispensa dal pagamento dei dazi doganali nei casi di perimento della merce per forza maggiore.
Il ricorso non è fondato, perché frutto di un fraintendimento di fondo, comune ai due mezzi di annullamento, che vengono, perciò, esaminati congiuntamente.
È acquisito alla giurisprudenza di legittimità che l'inutile decor so del termine previsto dall'art. 82 cit. per far opposizione all'ingiunzione doganale preclude al contribuente la possibilità di contestare la pretesa tributaria e rende, quindi, definitivo l'accer tamento contenuto nell'ingiunzione non (o tardivamente) opposta (Cass. 856/81, Foro it., Rep. 1981, voce Dogana, n. 40; n.
4640/77, id., Rep. 1977, voce Riscossione delle imposte, n. 115; n.
3561/74, id., Rep. 1974, voce Dogana, n. 56; n. 1099/74, ibid., n.
54; n. 143/72, id., Rep. 1972, voce cit., n. 98 e altre risalenti
pronunce tutte conformi. V. anche Cass. 43/81, id., Rep. 1981, voce Fabbricazione (imposte di), n. 10).
Questo orientamento la ricorrente dichiara di condividere, in linea di principio, ma ne propone un'interpretazione riduttiva,
allegando che esso non aderisce all'ipotesi in cui non si discute
dell'applicazione di una o di un'altra aliquota, ma dell'esistenza stessa del potere impositivo.
La tesi contiene un nucleo di verità, ma non può essere nella sua assolutezza accolta ed esige, pertanto, adeguati chiarimenti, in esito ai quali risulterà, con riferimento al caso concreto, priva di fondamento.
Questa corte ha, si, più volte affermato che i termini di decadenza propri del contenzioso tributario non si applicano nelle controversie in cui si contesti « in radice » l'esistenza del potere impositivo (poiché esse solo apparentemente sono di natura
tributaria, essendo soltanto apparente la potestà nell'esercizio della quale il tributo è stato imposto, e non sono, perciò, idonee ad evocare la disciplina del processo fiscale); ma ha, altresì, precisato che tali sono unicamente le controversie nelle quali si
neghi l'esistenza del potere di imposizione in astratto e nei confronti della generalità dei cittadini, in quanto non previsto dalla legge. Se la controversia ha, invece, per oggetto non la titolarità astratta del potere di cui trattasi, ma la sussistenza in concreto dei suoi presupposti e non se ne contesti, quindi, nel caso singolo, la fonte ma solo l'esercizio, la fattispecie ricade nell'orbita del processo tributario e tornano, dunque, applicabili i relativi termini di decadenza, con la conseguenza che la loro inosservanza cristallizza definitivamente il debito d'imposta (da ultimo, Cass. 4782/81, id., Rep. 1981, voce Entrata (imposta sulla), n. 17, in motivazione. Per la giurisprudenza, meno recente, v. Cass. 3823/69, id., 1969, I, 2721; n. 1298/66, id., 1966, I, 1839; n. 1550/65, id., Rep. 1966, voce Sentenza civile, n. 30, nonché, per una particolare applicazione del principio, Cass. 1544/82, id., 1982, I, 1591).
Vuol dire che, laddove l'accertamento sconta la corrispondenza tra fattispecie astratta e fattispecie concreta, nel senso che assume realizzata, nella situazione data, la rappresentazione normativa, e
questa realizzazione si contesta, non perché l'accertamento, cosi come strutturato, diverga dalla previsione legale (come quando, ad
esempio, proponga un presupposto d'imposta non contemplato dalla legge ovvero esiga, paradossalmente, il pagamento di un tributo non previsto dall'ordinamento in vigore), ma perché suppone accaduti, contrariamente al vero, fatti astrattamente ido nei ad integrare la fattispecie tributaria (come qui si deduce, non accaduti fatti esentativi), viene in discussione non già il potere di
imposizione in astratto, ma la sua spettanza (o, se si vuole, il suo
esercizio) nel caso concreto, poiché, nell'ipotesi considerata, la
divergenza sussiste non tra l'accertamento e la norma impositiva (da essa presupposta), ma tra l'accertamento e una specifica realtà storica dall'ufficio impositore affermata (o non appresa) e dal
contribuente, invece, negata (o asservita), con la conseguente attrazione della lite nel modulo procedimentale proprio delle controversie tributarie.
Alla stregua di questo indirizzo, fatto proprio, nella specie, dalla corte d'appello e che qui si conferma, il ricorso non può ritenersi fondato, proprio perché l'Unioncamere, deducendo solo che la merce era andata dispersa e non contestando, quindi, la sussistenza del potere impositivo in astratto, avrebbe dovuto far valere le sue ragioni proponendo l'opposizione nel termine peren torio previsto dall'art. 82 più volte citato (manifestamente non in contrasto, come il ricorrente sospetta, con l'art. 113, 1° comma, Cost., nell'economia del quale l'avverbio « sempre » traduce non
Il Foro Italiano — 1986.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
lo svincolo della tutela giurisdizionale dall'osservanza di qualsiasi
termine, ma l'ammissibilità della medesima contro tutti gli atti della p.a., senza, naturalmente, pregiudizio del potere riservato alla legge ordinaria di disciplinarne l'esercizio con adeguate determinazioni temporali).
Essendo, invece, il termine inutilmente decorso ed essendo, perciò, divenuta irretrattabile la pretesa fiscale, correttamente il
giudice di merito ha ritenuto inammissibile l'opposizione tardiva mente proposta.
Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. (Omissis)
II
Motivi della decisione. — In via pregiudiziale va rilevata d'ufficio (ai sensi dell'art. 2969 c.c., trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti) l'inammissibilità dell'opposizione per tardiva proposizione, avvenuta oltre il termine di decadenza di
quindici giorni delle notifiche dell'ingiunzione. In realtà, essendo stata l'ingiunzione notificata ad entrambi gli
intimati il 22 marzo 1977, l'opposizione risulta proposta il sedice simo giorno (7 aprile 1977).
:È noto che l'inutile decorso del termine di quindici giorni, definito perentorio dalla legge, per l'opposizione all'ingiunzione in
materia doganale e di imposte di fabbricazione (cfr. art. 82 d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43, per i diritti doganali; art. 31 d.m. 8 luglio 1924 sull'imposta di fabbricazione degli spiriti; art. 15 d.m. 8
luglio 1924 per l'imposta di fabbricazione dello zucchero), pre clude al contribuente ogni possibilità di contestare la pretesa tributaria rendendo definitivo ed incontestabile l'accertamento di
cui all'ingiunzione notificata (in tal senso cfr.: Cass. 12 febbraio
1981, n. 856, Foro it., Rep. 1981, voce Dogana, n. 40; 4 febbraio
1980, n. 7680, id., Rep. 1980, voce Riscossione delle imposte, n.
144). Per tali assorbenti cosiderazioni va dichiarata l'improponibilità
della domanda e, in accoglimento della riconvenzionale erariale,
va dichiarato l'obbligo degli opponenti di pagare l'importo dei
tributi preteso, con gli interessi di legge fino al saldo. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 29 novembre 1985, n. 5928; Pres. Gabrieli, Est. Taddeucci, P. M. Nicita {conci, conf.); Toso (Avv. Sardos Albertini) c. Soc. Assicurazioni generali (Avv. A. Bernardini, F. Romano). Cassa Trib. Trieste 16 luglio 1981.
Intervento in causa e litisconsorzio — Assicurazione obbligatoria r.c.a. — Chiamata in causa dell'assicuratore per ordine del
giudice — Ammissibilità — Conseguenze (Cod. proc. civ., art. 107, 270).
Quando la società assicuratrice della r.c. automobilistica non sia stata convenuta direttamente in giudizio dal danneggiato, il
giudice, ove lo ritenga opportuno, può ordinarne l'intervento in
causa; in tal caso si determina una situazione processuale di litisconsorzio necessario, che non può essere sindacata e non
può subire mutamenti per un diverso apprezzamento da parte del giudice dell'impugnazione. (1)
Motivi della decisione. — Con il primo motivo del ricorso —
impostato sulla falsa ed erronea applicazione degli art. 106, 269 e 270 c.p.c. — il Toso censura l'affermazione del tribunale secondo
(1) Nel senso che la valutazione dell'opportunità di ordinare l'inter vento in causa del terzo in base all'art. 107 c.p.c. rappresenta una prerogativa esclusiva e discrezionale del giudice di primo grado e l'eserci zio del relativo potere non può formare oggetto di sindacato da parte del igiudice d'appello, né tanto meno, da parte del giudice di legittimità, v., tutte sost. conf., Cass. 2 febbraio 1985, n. 712, Foro it., Mass., 158; 9 novembre 1984, n. 5670, id., Rep. 1984, voce Intervento in causa, n. 33; 26 giugno 1984, n. 3725, ibid., n. 36; 10 febbraio 1984, n. 1029, ibid., n. 35; 10 gennaio 1984, n. 189, ibid., n. 7; 9 luglio 1983, n. 4638, id., Rep. 1983, voce Impugnazioni civili, n. Ili; 29 aprile 1983, n. 2962, ibid., n. 110; 13 dicembre 1982, n. 6850, id., Rep. 1982, voce Intervento in causa, n. 44; 4 maggio 1982, n. 2746, ibid., voce Impugnazioni civili, n. 105; 5 marzo 1982, n. 1371, id., 1982, I, 2275, con nota di G. Costantino, e, ivi, ulteriori
riferimenti, cui adde Cass. 16 settembre 1981, n. 5133, id., Rep. 1981, voce Intervento in causa, n. 62, nel senso speculare che neppure il mancato esercizio del potere di ordinare l'intervento del terzo può formare oggetto di sindacato da parte del giudice d'appello.
cui il pretore avrebbe potuto autorizzare la chiamata del terzo, se
richiesta nella prima udienza, ai sensi dell'art. 106 c.p.c., ma non
avrebbe potuto disporre l'intervento del terzo iussu iudicis, ai
sensi dell'art. 107 c.p.c. nel corso del giudizio di primo grado; e
sostiene che, contrariamente all'avviso espresso dai giudici del
l'appello, quest'ultimo intervento coatto era giustificato dalla co
munanza di causa — ravvisabile quando il rapporto sostanziale
dedotto in giudizio è comune al terzo, o quanto meno connesso
per identità di titolo o di oggetto (o dell'uno e dell'altro insieme) con un altro rapporto tra l'attore e il convenuto, ed il terzo —
ed appariva altresì opportuno, nel superiore interesse della giusti
zia, per attuare economia di giudizi, evitare la possibilità di
giudicati contrastanti, consentire al terzo di prevenire effetti
patrimoniali pregiudizievoli ed alle parti originarie di estendere
nei suoi confronti la domanda.
Aggiunge il ricorrente che l'uso del potere discrezionale confe
rito dall'art. 107 c.p.c. al giudice di primo grado non è sindacabi
le nei gradi successivi del giudizio, ed è al riparo di un diverso
apprezzamento da parte del giudice dell'impugnazione; che l'eser
cizio in senso positivo di detto potere determina la instaurazione
di un litisconsorzio necessario di natura processuale, anche per gli effetti previsti dall'art. 331 c.p.c.
Sulla base di quest'ultima considerazione, il Toso sostiene poi, con il secondo motivo del ricorso, che la mancata notificazione
dell'atto di appello proposto dalla soc. Assicurazioni generali al
commissario liquidatore della società assicuratrice La Centrale
(parte contumace in primo grado) avrebbe determinato la nullità
dell'intera seconda fase del giudizio e della sentenza conclusiva di
essa.
Le censure sopra richiamate sono assistite da giuridico fonda
mento. Giova, anzitutto, osservare, che nella fattispecie non ope rava alcuno dei limiti variamente individuati in sede dottrinaria, a contenimento dell'assoluta discrezionalità del potere del giudice di primo grado di ordinare, ex art. 107 c.p.c., l'intervento in
causa del terzo: non quelli derivanti da criteri di giurisdizione o
di competenza inderogabile e nemmeno quelli rinvenienti dalla
violazione del principio dispositivo della domanda, stante la
facoltà concessa all'assicurato dall'ultimo comma dell'art. 1917 c.c.
e che il Toso intese esercitare (una volta che, scaduti i termini di
cui all'art. 269 c.p.c. e posta in liquidazione coatta amministra
tiva la società assicuratrice La Centrale divenne per lui attuale la
esigenza di far valere l'obbligazione di garanzia per potere, even
tualmente insinuare nel passivo, il proprio credito).
L'unico elemento soggetto a valutazione preventiva da parte del giudice di primo grado, prima di esercitare discrezionalmente
il potere di chiamare o meno il terzo nella causa ex art. 107
c.p.c. — di cui le Assicurazioni generali lamentarono, in sede di
gravame, il difetto — sarebbe stato costituito dal preteso difetto
di una « comunanza di causa » rispetto a lui terzo, della
pretesa risarcitoria fatta valere dal danneggiato. Ma in ordine al
tema della comunanza di causa occorre considerare che tale
situazione ricorre anche quando il rapporto sostanziale dedotto
in giudizio sia connesso, per identità di soggetto con altro
rapporto tra l'attore o il convenuto ed il terzo (cfr. Cass. n. 3611
del 1980, Foro it., Rep. 1980, voce Intervento in causa, n. 56); e
che se un collegamento siffatto dovrebbe, di per sé, essere
ritenuto sussistente allorché l'assicurato danneggiante chiami in
giudizio l'assicuratore per trasferire nella di lui sfera patrimoniale le conseguenze depauperataci di una propria soccombenza nei
confronti del danneggiato, esso ha acquistato maggiore e più incisiva rilevanza a seguito della 1. n. 990 del 1969 sull'assicura
zione obbligatoria della responsabilità civile sui veicoli e natanti.
Non può ignorarsi, infatti, che in forza di tale normativa: a) anche l'azione risarcitoria esperita contro (il solo) responsabile civile è condizionata al decorso di sessanta giorni dalla richiesta
del risarcimento rivolta mediante lettera raccomandata con avviso
di ricevimento all'assicuratore (cfr. Cass. 23 giugno 1984, n. 4693,
id., Rep. 1984, voce Assicurazione (contratto), n. 210; 27 ottobre
1982, n. 5626, id., 1983, I, 687); b) il danneggiato può agire, subordinatamente all'osservanza di tale condizione, anche nei
confronti diretti della società assicuratrice, pur non essendo
questa legata a lui da vincoli contrattuali; c) correlativamente
l'assicuratore può intervenire, sua sponte, nel processo pendente tra il danneggiato ed il responsabile civile danneggiante, al fine di
prevenire l'efficacia riflessa di giudicati per sé sfavorevoli, o
perché frutto di collusione o di frode o perché ingiusti, propo nendo eccezioni e difese anche attinenti al rapporto risarcitorio, oltre che relative al rapporto assicurativo, e comunque all'occor
renza trascendenti l'ambito delle eccezioni e delle difese del
proprio assicurato.
Il Foro Italiano — 1986.
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