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sezione I civile; sentenza 31 luglio 1986, n. 4899; Pres. Bologna, Est. Di Salvo, P. M. Tridico(concl. conf.); Min. finanze c. Soc. immob. Crea (Avv. Pileri, Picciaredda). Conferma Comm.trib. centrale 15 gennaio 1982, n. 7464Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 4 (APRILE 1987), pp. 1183/1184-1189/1190Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179903 .
Accessed: 28/06/2014 13:45
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PARTE PRIMA 1184
va di essere stato destinato a mansioni diverse, di essere stato
licenziato con lettera 7 ottobre 1981 e chiedeva che fosse disposta
reintegra nel posto di lavoro previa dichiarazione di illegittimità del recesso ai sensi dell'art. 2, 9° comma, 1. 230/62.
Il pretore accoglieva il ricorso con decisione riformata dal tri
bunale il quale — dopo aver precisato che dal Cassani non era
stato contestato l'assunto della società secondo la quale erano
stati effettuati lavori straordinari limitati nel tempo — riteneva
che la rilevanza delle mansioni alle quali è adibito il lavoratore
con contratto a termine è significativa solo nelle ipotesi della lett.
a) del 2° comma dell'art. 1 1. n. 230/62 ma non già nelle diverse
ipotesi di cui alle lett. b) e c). Per quanto riguarda in particolare le disposizioni di cui alla
lett. c) a parere del tribunale il lavoratore assunto a termine può essere impiegato in attività diverse da quelle che determinarono
l'assunzione anche se non sussista la necessità di sostituire altri
lavoratori e ciò in quanto la disciplina relativa alle mansioni ri
mane regolata dalla norma generale (art. 2103 c.c.) senza possibi lità di introdurre eccezioni che inciderebbero sui poteri
dell'imprenditore.
Aggiungeva inoltre che le mansioni per le quali il Cassani fu
assunto (elettricista) non erano diverse da quelle cui successiva
mente era stato adibito.
Avverso la decisione Massimo Cassani ha proposto ricorso per cassazione. Resiste il consorzio il quale ha altresì proposto ricor
so incidentale. Entrambi hanno presentato memoria.
Motivi della decisione. — I ricorsi debbono essere preliminar mente riuniti perché proposti contro la stessa sentenza.
Con il primo motivo del ricorso principale il ricorrente Cassani
denunzia violazione degli art. 1, lett. c), e 3 1. n. 230 del 1962, 2103 c.c. e deduce che il tribunale immotivatamente ha ritenuto
che nel contratto a termine sia consentito l'impiego del lavorato
re sostituto in mansioni diverse da quelle svolte dal sostituto ed
erroneamente, perché in contrasto con il criterio della distribu
zione dell'onere della prova nonché in mancanza di questa, ha
ritenuto che egli avesse sostituito altri lavoratori destinati alle opere straordinarie effettuate dall'azienda.
Il motivo è infondato. Non è vano ricordare che l'ambito della
presente indagine è ristretto al problema del se il lavoratore as
sunto a termine ex art. 1, lett. a), 1. n. 230/62 possa essere adibi
to a mansioni diverse da quelle inizialmente attribuitegli e non
comprende pertanto quello più ampio circa la sussistenza delle
condizioni legali perché sia consentita l'assunzione a termine po sto che, com'è stato rilevato dal tribunale, la carenza delle sud
dette condizioni mai era stata dedotta dal lavoratore.
Ne consegue che l'estraneità della suddetta indagine alla tema
tica presente rende del tutto inutile l'esame circa l'occasionalità
e la straordinarietà dei lavori eseguiti, sulle quali insistono in questa sede il consorzio con il fine di dimostrare la legittimità dell'as
sunzione del Cassani nonché il Cassani stesso col fine di dolersi
della violazione dei criteri di distribuzione dell'onere della prova circa la sussistenza di tutte le condizioni che giustificano sia l'ap
posizione del termine sia la proroga del contratto.
In proposito questa corte con la sentenza n. 2022/80 (Foro
it., 1980, I, 1926) richiamata dal tribunale (e dal ricorrente con
fini diversi) ha ritenuto che nella materia in esame non ha rilievo
l'impiego dei lavoratori assunti a termine in attività diverse da
quelle che ne determinarono l'assunzione richiedendosi, per la le
gittimità della clausola, l'obiettiva ricorrenza iniziale delle situa
zioni descritte dalla legge; il che non esclude che egli possa essere
temporaneamente adibito a mansioni diverse in quanto il divieto
si risolverebbe in una non prevista limitazione dei poteri del dato
re di lavoro di provvedere nel modo più conveniente all'organiz zazione dell'azienda. Essa non potrebbe essere giustificata dal
pericolo di elusione della legge dato che a carico del datore di
lavoro è posto l'onere di provare le obiettive situazioni che giusti ficano il contratto a termine.
Riduttivamente il ricorrente legge l'inciso contenuto nella suc
citata decisione («in sostituzione di altri lavoratori») per inferire
l'impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse e ciò
in quanto con esso si è voluto solo significare il divieto a carico
del datore di lavoro di ricorrere all'assunzione a termine per col
mare un «vuoto di organico» e non già per dire che il lavoratore
assunto a termine debba necessariamente essere in continuazione
adibito alla stesse mansioni, rientrando sempre nei già ricordati
poteri imprenditoriali il diritto di risolvere i problemi organizzativi. Esso inciso quindi deve essere inteso nel senso generico di attri
Ii Foro Italiano — 1987.
buzione momentanea a mansioni svolte da altri prestatori com'è
reso palese dalla correlazione tra la decisione e le deduzioni dei
ricorrenti i quali, al fine di sostenere la tesi (poi rigettata) dell'il
legittimità dell'apposizione del termine, asserivano di essere stati
«utilizzati indifferentemente sia per lavori di costruzione che per
quelli di riparazioni navali eseguendo lavorazioni per cui vi è con
tinuità di impiego della manodopera al servizio dell'impresa». La suddetta possibilità di mutare le mansioni del lavoratore
nell'ipotesi di cui all'art. 1, lett. c), 1. n. 230/62 deve perciò esse
re riconosciuta al datore di lavoro in stretta relazione allo ius
variandi che — pur con i limiti di cui all'art. 2103 c.c. nuova
formula — compete al datore di lavoro.
D'altro canto la validità della soluzione accolta deriva dalla
considerazione che l'ipotesi in esame, disciplinando le assunzioni
a termine per vicende dell'azienda a carattere occasionale straor
dinario, postula la necessità di incrementare la forza lavorativa
già occupata e non già di provvedere a sostituzioni temporanee
necessitate, di cui alla lett. b), sicché le diverse finalità perseguite vietano — intanto — di accompagnare le due ipotesi suddette
come si finirebbe col fare se, aderendo alla tesi che qui si contra
sta, si volesse ritenere legittimo il mutamento di mansioni soltan
to nel caso — previsto dalla lett. b) — che sorga la necessità
di sostituire altro lavoratore.
Per di più vale la pena ricordare, com'è stato già deciso da
questa corte, che non sussiste l'obbligo del datore di lavoro di
destinare il sostituto all'identico posto o alle identiche mansioni
del sostituito richiedendo la norma solo un nesso eziologico fra
assenza ed assunzione (Cass. n. 408 del 1982, id., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 737). (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 31 luglio
1986, n. 4899; Pres. Bologna, Est. Di Salvo, P. M. Tridico
(conci, conf.); Min. finanze c. Soc. immob. Crea (Avv. Pileri,
Picciaredda). Conferma Comm. trib. centrale 15 gennaio 1982, n. 7464.
Tributi in genere — Commissione tributaria centrale — Poteri — Esenzione venticinquennale dall'imposta sul reddito dei fab
bricati — Accertamento — Questioni di fatto — Fattispecie Fabbricati (imposta sul reddito dei) — Esenzione venticinquenna
le — Uso abitativo — Accertamento — Contenuto (L. 2 di
cembre 1967 n. 1212, interpretazione autentica dell'art. 1 1. 6
ottobre 1962 n. 1493, art. unico).
La Commissione tributaria centrale può esaminare se gli elementi
di fatto e di diritto, che risultano dagli atti del procedimento e che sono riconosciuti dalle parti (quali l'ubicazione, la strut
tura e l'entità del fabbricato e delle singole unità immobiliari, nonché la classificazione catastale ed i contratti di locazione
stipulati), legittimano l'applicazione della richiesta esenzione dal
l'imposta sui fabbricati, in quanto ciò comporta la soluzione
di questioni di diritto e non prevede indagini di stima quanti tativa. (1)
(1) La sentenza richiama come precedente specifico Cass. 19 settembre
1978, n. 4195, Foro it., Rep. 1978, voce Tributi in genere, n. 688 (ma nutriamo qualche dubbio al riguardo, poiché dalla lettura della sentenza in Giust. civ., 1978, I, 1957, si desume che oggetto della controversia fosse «l'esenzione decennale delle imposte dirette sui redditi, prevista dal l'art. 8 1. 29 luglio 1957 n. 635, in favore delle nuove attività artigiane e delle nuove piccole industrie sorte nelle località economicamente de
presse indicate dalla stessa legge» !); v., inoltre, Cass. 14 maggio 1981, n. 3175, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 850, sempre in merito all'accer tamento circa il diritto all'esenzione venticinquennale in ipotesi di «iriodi ficazioni strutturali apportate all'edificio successivamente alla sua costruzione ed utilizzazione» (peraltro con una soluzione del tutto oppo sta a quella prescelta della decisione in epigrafe); sulla competenza della Commissione tributaria centrale «ad esaminare, in punto di fatto [ . . .], se nell'edificazione di un fabbricato per civili abitazioni vi sia stato un
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ai fini del riconoscimento dell'esenzione venticinquennale dall'im
posta sul reddito dei fabbricati, è rilevante esclusivamente la
destinazione originaria all'uso abitativo della costruzione e non
anche l'eventuale utilizzazione di parte dei locali ad uso diver
so, senza alcuna trasformazione della struttura della co
struzione. (2)
Svolgimento del processo. — La s.p.a. immob. Crea, proprie taria di un immobile sito in via Ugo Bassi n. 21 Bologna, chiede
va il beneficio dell'esenzione venticinquennale. La richiesta veniva in primo tempo accolta dall'ufficio; succes
eccesso di volumetria rispetto a quella massima consentita dal regolamen to edilizio, con conseguente violazione delle norme urbanistiche», v. Cass. 30 marzo 1983, n. 2290, id., Rep. 1983, voce cit., n. 933, e, più in gene rale, sulla possibilità di verificare la sussistenza di una delle violazioni indicate dall'art. 15 1. 6 agosto 1967 n. 765, v. Comm. trib. centrale 26 marzo 1985, n. 2957, id., Rep. 1985, voce cit., n. 911; la competenza della commissione a verificare la sussistenza della suddetta esenzione per immobili considerati di lusso è ribadita da Comm. trib. centrale 6 luglio 1983, n. 1787, ibid., n. 921.
Sull'ambito delle questioni di fatto e di diritto che possono formare
oggetto del giudizio davanti alla Commissione tributaria centrale (ad alla corte d'appello) v., indicativamente, Cass. 12 novembre 1984, n. 5690, id., 1985, I, 2356 e 31 marzo 1983, n. 2350, id., 1984, I, 1667, con note di richiami (rientra in tale competenza la questione relativa alla qualifica zione agraria o edificatoria di un suolo, ai fini dell'imposta di registro o dell'i.n.v.i.m.); Cass. 14 aprile 1980, n. 2412, id., 1980, I, 1579, con nota di richiami (circa la possibilità di esaminare anche di fronte ai giudi ci di terzo grado la natura dell'accertamento in rettifica operato dall'am
ministrazione). (2) Sul punto la giurisprudenza è costante: v. Cass. 17 aprile 1982,
n. 2338, Foro it., Rep. 1982, voce Registro, n. 201; 14 aprile 1980, n.
2417, id., Rep. 1980, voce Fabbricati (imposta sul reddito dei), n. 6; 21 luglio 1979, n. 4375, ibid., n. 9; 17 ottobre 1974, n. 2892, id., Rep. 1975, voce Registro, n. 138; 22 giugno 1974, n. 1890, id., Rep. 1974, voce cit., n. 428; 25 febbraio 1974, n. 551, ibid., n. 429; 12 maggio 1973, n. 1324, id., Rep. 1973, voce cit., n. 722; App. Torino 18 febbraio
1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 236; Trib. Messina 10 novembre 1983, id., Rep. 1985, voce cit., n. 247; per la giurisprudenza della Commissione tributaria centrale, v. dee. 11 novembre 1983, n. 3567, id., Rep. 1984, voce cit., n. 182; 28 agosto 1984, n. 7957, ibid., n. 189; 4 maggio 1984, n. 4230, ibid., voce Tributi in genere, n. 572; 9 luglio 1983, n. 1949, id., Rep. 1983, voce Fabbricati (imposta sul reddito dei), n. 19; 8 luglio 1982, n. 3709, ibid., voce Registro, n. 237; 2 luglio 1981, nn. 3533 e
3525, ibid., nn. 238, 239; 12 dicembre 1980, n. 3819, id., Rep. 1981, voce cit., n. 254; 28 novembre 1980, n. 3585, ibid., n. 255; 7 dicembre
1979, n. 12894, id., Rep. 1980, voce cit., n. 247; 14 febbraio 1978, n.
3008, id., Rep. 1979, voce Fabbricati (imposta sul reddito dei), n. 17; 28 novembre 1975, n. 15130, id., Rep. 1976, voce cit., n. 16; 30 ottobre
1975, n. 13344, ibid., n. 17; 28 novembre 1974, n. 1228, id., Rep. 1975, voce cit., n. 21; 5 novembre 1974, n. 28, ibid., voce Registro, n. 141; 15 luglio 1972, n. 11021, id., Rep. 1973, voce cit., n. 724.
Nel caso di specie, però, resta il dubbio sulla possibilità di superare un importante dato di fatto emerso nel procedimento, ossia la classifica
zione catastale dell'edificio, per cui si rivendicava l'esenzione, nelle cate
gorie A/10, C/1 e C/2 (ossia, come immobile destinato ad uffici), poiché la giurisprudenza, in ipotesi analoghe a quelle in esame, ha di solito nega to la sussistenza del beneficio (v., ad esempio, Cass. 12 aprile 1979, n.
2158, id., Rep. 1980, voce Fabbricati (imposta sul reddito dei), n. 12; Comm. trib. centrale 9 luglio 1983, n. 1949, id., Rep. 1983, voce cit., n. 22). Diversamente, la logica d'incentivazione alla diffusione delle case
di abitazione (peraltro, già seriamente messa in forse proprio dall'orien
tamento dominante su ricordato, che ritiene ininfluente il fatto che chi
fruisce dell'agevolazione fiscale possa liberamente decidere di mutare la
destinazione dell'edificio, per conseguire magari un reddito maggiore, senza
venir privato del beneficio fiscale) verrebbe del tutto compromessa, es
sendo affidata la concessione dell'esenzione dall'imposta ad una valuta
zione totalmente «esterna» (cioè, quella relativa all'astratta «attitudine
ad ospitare nuclei familiari»; poco importando, poi, la destinazione, in
concreto, attuata dal proprietario). Per il profilo relativo al rapporto tra superfice abitativa e superfice
destinata ad uffici e negozi, necessario per poter godere delle agevolazio ni dettate dalla 1. 408/49, e sull'esclusione da tali benefici delle vendite
isolate di negozi v., da ultimo, Corte cost., ord. 11 dicembre 1985, n.
325, id., 1986, I, 1734, con nota di richiami.
Sul tema generale dell'esenzione venticinquennale dall'imposta sul red
dito dei fabbricati, del diniego per violazione di norme urbanistiche e
della motivazione dei correlativi provvedimenti v., da ultimo, Cass. 7
maggio 1986, n. 3056 e 3 aprile 1986, n. 2277, ibid., 3031 e 3045, con
note di richiami; nonché Cass. 22 dicembre 1986, n. 7825 e 19 novembre
1986, n. 6803, in questo fascicolo, I, 1076. [S. di Paola]
Il Foro Italiano — 1987.
sivamente, invece, in base ad ulteriori accertamenti catastali, l'uf
ficio negava il beneficio fiscale ritenendo non verificate le condi
zioni indicate dalla 1. n. 1212 del 2 dicembre 1967.
La ditta proprietaria proponeva allora ricorso alla commissio
ne tributaria di I grado, la quale, con decisione del 31 maggio
1967, respingeva il gravame confermando l'accertamento del
l'ufficio. Contro tale decisione si appellava il contribuente alla commis
sione tributaria di II grado, sostenendo: a) che l'edificio era sta
to costruito per uso di abitazione, b) che l'ufficio non poteva
respingere la richiesta esenzione dopo averla concessa, c) che la
struttura dell'edificio era rimasta inalterata rispetto a quella ori
ginaria, anche se alcuni locali, desinati inizialmente ad abitazio
ne, erano stati utilizzati come uffici, senza peraltro che vi fosse
apportata modificazione alcuna.
La commissione di II grado accertava la rispondenza al vero
delle circostanze di fatto indicate dalla ditta ricorrente, e giudi cando nullo il provvedimento con il quale l'ufficio aveva denega to il beneficio dopo averlo in un primo tempo concesso, accoglieva il ricorso e concedeva l'esenzione venticinquennale dell'imposta fabbricati.
Avverso tale decisione l'ufficio proponeva ricorso alla Com
missione centrale tributaria la quale lo respingeva osservando:
a) che il beneficio dell'essenzione venticinquennale dall'imposta fabbricati spettava alla società immob. Crea perché risulta con
certezza che l'edificio era stato costruito per uso di abitazione;
b) perché era pacifico che vi era assoluta prevalenza dei locali
destinati ad abitazione rispetto a quelli destinati ad altri usi, in
quanto non risultava l'eventuale occasionale utilizzazione da par te dei locali ad uso diverso con trasformazione della struttura
della costruzione; c) perché, ancora, ai fini della concessione del
beneficio fiscale previsto dalla 1. 2 dicembre 1967 n. 1212, era
rilevante esclusivamente la destinazione originaria della costruzione.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione, fon
dato su un unico motivo, l'amministrazione delle finanze. Resiste
con controricorso la s.p.a Crea.
Motivi della decisione. — L'amministrazione ricorrente con l'u
nico motivo deduce omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 365, n. 5, c.p.c.).
Partendo dalla premessa che i principi di diritto affermati dalla
Commissione centrale tributaria sono corretti in quanto ai fini
della concessione del beneficio fiscale previsto dalla 1. 2 dicembre
1967 n. 1212, ciò che conta è esclusivamente la destinazione ori
ginaria della costruzione, mentre non rileva l'eventuale occasio
nale destinazione di parte dei locali ad uso diverso purché non
vi sia stata trasformazione della struttura della costruzione, l'am
ministrazione ricorrente sostiene che l'errore della Commissione
centrale sta nell'aver affermato apoditticamente che «risulta con
certezza che l'edificio era costruito per uso abitazione». Affer
mazione della quale non avrebbe dato dimostrazione e che sareb
be in contrasto con le allegazioni dell'ufficio finanziario.
Poiché l'amministrazione ricorrente denunzia il vizio di omessa
motivazione occorre precisare che i vizi di motivazione omessa,
insufficiente o contraddittoria, denunciabili con ricorso per cas
sazione ex art. 360, n. 5, c.p.c., sussistono solo quando nel ra
gionamento del giudice del merito sia riscontrabile il mancato
0 il deficiente esame di punti decisivi della controversia, prospet tati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero l'insanabile contrasto
tra le argomentazioni addotte, tale da non consentire l'identifica
zione del procedimento logico-giuridico posto a base della deci
sione. Detti vizi, pertanto, non possono consistere in un
apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello
preteso dalla parte, perché spetta soltanto al giudice del merito
individuare le fonti del proprio convincimento e all'uopo valuta
re le prove stesse, controllarne l'attendibilità e la concludenza,
scegliere fra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimo
strare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro
mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dalla legge.
Poiché il giudice del merito non è obbligato a discutere tutti
1 singoli elementi probatori, potendo scegliere quelli da lui ritenu
ti, anche implicitamente, più attendibili al fine di orientare la
(giusta) decisione, il mancato esame di uno o di alcuni di essi,
contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia non
costituisce vizio di omesso esame di un punto di vista come previ sto dall'art. 360, n. 5, c.p.c., occorrendo per questo che la risul
tanza processuale non esaminata sia tale da invalidare, con giudizio
di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia probatoria delle
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1187 PARTE PRIMA 1188
altre risultanze sulle quali il convincimento del giudice è fondato, sicché la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base.
Nel caso in esame tale vizio non sussiste; la s.p.a. Crea con
il controricorso ha eccepito che la censura sollevata tenderebbe
ad introdurre surrettiziamente un giudizio di valutazione estima
tiva, sottratto come tale alla cognizione della Commissione cen
trale e di questa corte. Ha rilevato infatti che l'indagine della
Commissione centrale non poteva che avere per effetto l'esame
della documentazione probatoria depositata nel corso dei prece denti gradi di giudizio e che la stessa non poteva esaminare diret
tamente la destinazione delle unità immobiliari ad uffici ovvero
ad abitazioni.
L'esame di tale eccezione impone l'esame dell'ambito di com
petenza attribuito alla Commissione tributaria centrale. La com
petenza della Commissione tributaria centrale, era individuata, nell'ordinamento precedente alla riforma del 1972, dall'art. 45
r.d. 8 luglio 1937 n. 1516, mediante rinvio alle singole leggi d'im
posta; la natura di tale competenza risultava configurata (allora non diversamente da oggi) come competenza «di legittimità», dal
l'art. 48 t.u. 24 agosto 1877 n. 4021; essa si concretizzava nel
l'annullamento della decisione con rinvio ad altra commissione
provinciale, corredato dall'enunciazione del principio di diritto
al quale questa doveva uniformarsi; invero, la competenza della
Commissione centrale era limitata alla decisione dei «ricorsi che
riguardino l'applicazione della legge», con espressa esclusione della
«estimazione delle somme dei redditi imponibili», perché in tale
materia le decisioni delle commissioni provinciali erano dichiara
te definitive. L'unica eccezione era prevista dal successivo art.
50, che attribuiva alla Commissione centrale il potere di conosce
re anche delle questioni di estimazione («esistenza e valutazione») dei redditi derivanti dall'impiego di capitali anche se dal titolo
non risultava alcun interesse.
Esulavano, pertanto, dalla competenza della Commissione cen
trale tutte quelle questioni che si risolvevano in base a regole di
varie tecniche divenute regole della comune esperienza e che in
volgevano problemi relativi all'esistenza ed alle dimensioni del
presupposto. La Commissione centrale poteva invece conoscere
dell'interpretazione dei contratti e dei negozi giuridici, in quanto
importasse l'applicazione di regole di diritto.
In materia di imposta indiretta sugli affari la competenza della
Commissione centrale era di secondo grado, limitatamente alle
«controversie relative all'applicazione della legge» decise in pri mo grado dalla commissione provinciale; era, invece, esclusa per le «controversie che si riferiscono alla determinazione del valore»
per le quali la decisione di secondo grado della commissione pro vinciale era dichiarata definitiva (art. 29 r.d.l. 7 agosto 1936 n.
1639), e, di conseguenza, nei loro confronti era ammissibile solo
il ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. Ill Cost.
L'ambito della competenza della Commissione centrale (e del
giudice ordinario) comprendeva che quindi, oltre la violazione
di legge, anche le questioni di fatto la cui soluzione richiedeva
l'applicazione di concetti e norme giuridiche; tale tipo di questio ni fu definito di «estimazione complessa» e contrapposto al con
cetto «d'estimazione semplice», il quale importava una valutazione
estimativa rimessa alla competenza esclusiva delle commissioni
di merito.
La distinzione dei giudizi in estimazione semplice e complessa era pacificamente accolta anche dalla giurisprudenza secondo la
quale costituivano controversia d'estimazione semplice, tutte quelle in cui, al fine dell'accertamento della sussistenza, dell'entità (e
quindi della quantità suscettibile di oscillare in astratto da zero
all'infinito) e, quindi, della natura del reddito imponibile si dove
va procedere soltanto alla determinazione di dati o di elementi
di puro fatto, senza che l'apprezzamento dei fatti implicasse la
risoluzione di questioni giuridiche attinenti all'interpretazione di
norme o di negozi giuridici ovvero alla determinazione dei criteri
di diritto sostanziale o processuale da applicare in concreto.
Costituivano, invece, questioni di estimazione complessa quelle la cui decisione implicava la disamina di questioni di diritto, o di fatto e di diritto insieme, come quando l'esame della situazio
ne concreta dovesse essere condotta mediante interpretazione di
una legge, d'un regolamento, di un negozio giuridico, alla scopo di stabilire la sussistenza o la natura del reddito o di cercare la
causa giuridica dell'imposizione (Cass. 1971 n. 1221, Foro it.,
Rep. 1971, voce Tributi in genere, n. 658). Erano quindi, que stioni di estimazione complessa quelle che si risolvevano in un
giudizio di valore, solo o connesso con le questioni di fatto che
Il Foro Italiano — 1987.
costituivano i presupposti strumentali indispensabili per l'appli cazione della legge; erano tali il giudizio sui vizi del processo di
accertamento, sull'appartenenza o meno del reddito ad una cate
goria sottratta al potere di imposizione, sull'individuazione della
prescrizione applicabile o di una decadenza nonché il giudizio diretto a controllare la motivazione di una decisione di merito,
sempre che il controllo si risolvesse, sia pure mediante una valu
tazione dei fatti diversa da quella viziata, nel ripristino del diritto
(Cass. 1969 n. 565, id., 1969, I, 2292). La compentenza di legittimità della Commissione centrale era,
quindi, in base a tali criteri molto più ampia della analoga com
petenza della Corte di cassazione che, secondo l'art. 360, n. 3,
c.p.c., è limitata alla «violazione o falsa applicazione delle norme
di diritto». La Commissione centrale, infatti, poteva conoscere, oltre che delle questioni di legittimità, anche di questioni di fatto
diverse da quelle di semplice estimazione.
Con la riforma del contenzioso tributario sono state apportate rilevanti modifiche in ordine all'organo innanzi al quale può es
sere proposto ricorso avverso le decisioni delle commissioni di
II grado, ma è rimasta immutata la natura delle censure formula
bili in tale sede. Gli art. 25, 26 e 40 d.p.r. n. 636 del 1972 stabili scono che il ricorso avverso le decisioni delle commissioni di II
grado può essere proposto in via alternativa, innanzi alla Com
missione centrale, ovvero innanzi alla corte d'appello nel cui di
stretto ha sede la commissione che ha emesso la decisione
impugnata. In entrambi i casi il ricorso può essere proposto «per violazione di legge e per questioni di fatto, escluse quelle relative
a valutazione estimativa ed alla misura delle pene pecuniarie». Il decreto delegato ha cosi usato una formula identica per deter
minare la competenza dei due organi competenti a conoscere del
la impugnazione; ha, quindi, unificato in una disciplina unitaria
le due diverse formule contenute nella legge delega (1. 9 ottobre
1971 n. 825) il cui art. 10, n. 14, stabiliva che il ricorso alla
Commissione centrale doveva essere previsto «per soli motivi di
legittimità» e quello innanzi alla corte d'appello «con esclusione, in ogni caso, delle questioni di semplice estimazione».
L'adozione da parte del legislatore delegato di un'unica formu
la per determinare la competenza della Commissione centrale e
della corte d'appello, formula che, peraltro, è diversa da quella
tradizionale, ha posto due diversi problemi. Il primo attiene all'interpretazione della norma delegante la cui
corretta attuazione condiziona la legittimità costituzionale delle
norme delegate, ed il secondo attiene alla delimitazione della com
petenza della Commissione centrale (e della corte d'appello) che,
secondo taluni, risulterebbe allargata rispetto al precedente ordi
namento.
La norma della legge di delega consente, infatti, due diverse
interpretazioni. Si può ritenere: a) che essa abbia voluto diffe
renziare la competenza dei due organi attribuendo alla Commis
sione centrale la sola competenza di legittimità ed alla corte
d'appello una più ampia competenza. In questa ipotesi resterebbe
da definire se la competenza di legittimità debba essere rigorosa mente intesa, e, quindi, limitata a tale profilo, ovvero possano esservi ricomprese anche le questioni definite di estimazione com
plessa; b) che essa abbia voluto lasciare al legislatore delegato
ampia discrezionalità consentendogli anche di unificare l'ambito
della competenza dei due organi e ponendo soltanto un limite
minimo per la competenza della corte d'appello (l'esclusione del
le questioni di semplice estimazione perché riservate alle commis
sioni di I e II grado). In questo secondo caso resterebbe da definire l'ambito di di
screzionalità concesso al legislatore delegato onde stabilire se esso
fosse tale da consentire l'estensione della competenza dei due or
gani, oltre l'estimazione complessa, fino ad includervi talune fat
tispecie che, per l'innanzi, erano state ricomprese nel concetto
di estimazione semplice, quali le questioni inerenti all'esistenza
del cespite imponibile e, in genere, del presupposto tributario, nonché della classificazione o della natura del reddito e della sua
titolarità.
La soluzione accolta dal decreto delegato il quale, come si è
detto, ha attribuito alla Commissione centrale ed alla corte d'ap
pello la stessa competenza, è quella prospettata nella seconda del
le predette alternative; nel senso, cioè, che la determinazione della
competenza della corte d'appello mediante l'esecuzione delle que stioni di semplice estimazione, altro non è che l'indicazione di
un limite minimo oltre il quale il legislatore delegato ha anche
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
la facoltà discrezionale di determinare la competenza di tale
organo. La relazione ministeriale alla commissione parlamentare ha af
fermato che la semplice estimazione comprende sia le questioni estimative in senso stretto, che quelle di fatto non estimative, ma tuttavia risolvibili in via empirica, sicché le questioni di legit timità coincidono con quelle non estimative ma di più impegnati va soluzione.
Più problematica è stata, invece, la commissione parlamentare, la quale, dopo essersi prospettata le varie possibili interpretazioni della legge di delega, ha accolto la tesi suggerita dal governo sol
tanto perché più semplice ed idonea ad evitare altre difficoltà
nell'attuazione.
La soluzione prescelta dal legislatore delegato, dopo essersi po sto la problematica innanzi esposta, è stata sottoposta all'esame
della Corte costituzionale che ha dichiarato inammissibili le que stioni relative con sentenza 3 agosto 1976, n. 215 (id., 1976, I,
2057). Questa sentenza non ha, tuttavia, esaminato ex professo la questione, in quanto l'ha ritenuta assorbita dall'esame prelimi nare compiuto e conclusosi con il riconoscimento della legittimità costituzionale dell'esistenza stessa delle commissioni tributarie.
La Corte di cassazione ha, poi con sentenza 22 novembre 1977, n. 5086 (id., 1979, I, 803) dichiarato manifestamente infondata
la questione concernente la violazione dell'art. 76 Cost., propo sta sotto il profilo dell'eccesso della delega conferita con l'art.
10, n. 14,1. n. 825 del 1971, perché l'art. 26 del decreto delegato aveva ampliato la competenza della Commissione centrale tribu
taria e della corte d'appello rispetto al limite imposto dalla legge
delega. La sentenza ha, infatti, rilevato che «la normativa delega ta si è attenuta al criterio di discriminazione tra la competenza
piena delle commissioni tributarie di I e II grado e quella limitata
dei due organi (Commissione centrale e corte d'appello) di terza
istanza, dettato dal legislatore delegante, con la disposta sottra
zione a questi due ultimi organi delle questioni di estimazione
semplice nella più ampia accezione di questo termine; comprensi vo cioè non solo delle questioni di fatto attinenti al quantum
dell'imponibile, ma anche di quelle relative al presupposto del
l'imposta». E con più specifico riferimento alla questione concernente l'i
nosservanza dei limiti di competenza dei due organi, cosi come
indicati nell'art. 10, n. 14, ha rilevato che» «in base al criterio
di logica ermeneutica per cui il significato dell'art. 10, n. 14, del
la legge delegante deve essere ricercato con riferimento al sistema
normativo ed alla correlativa elaborazione giurisdizionale, risulta
che il legislatore delegante ha sostanzialmente recepito nel citato
art. 10, n. 14, i capisaldi dell'interpretazione giurisprudenziale della precedente normativa in ordine alla competenza della Com
missione centrale e dell'a.g.o., estesa anche a tutte le questioni di fatto, escluse quelle di estimazione semplice e che, pertanto, la normativa delegata è in linea con i criteri della delega quando attribuisce uguale competenza ai suddetti organi ed estende quel la della Commissione centrale alle questioni di fatto non attinenti
all'estimazione».
Alla Commissione centrale è stata, quindi, attribuita quella me
desima competenza sulla questione di estimazione complessa che
spetta ai giudici di merito.
La Commissione tributaria centrale può, quindi, esaminare se
gli elementi di fatto e di diritto che risultano dagli atti del proce dimento e che sono riconosciuti dalle parti (quali, l'ubicazione, le strutture e l'entità del fabbricato e delle singole unità immobi
liari, nonché la classificazione catastale e i contratti di locazione
stipulati) legittimano o meno, nella loro connessione, quali suoi
presupposti, l'applicazione della richiesta esenzione dall'imposta fabbricati in quanto corrispondono alla legge i criteri utilizzati
per la conseguente complessiva valutazione che viene effettuata
mediante la soluzione di questioni di diritto e senza indagini di
stima quantitativa. Nella sua competenza rientra, in particolare, la cognizione dei
fatti che si presentano come indispensabili e strumentalmente ne
cessari per la corretta applicazione delle norme tributarie e quindi
del criterio legale di accertamento (Cass. 1978 n. 4195, id., Rep.
1978, voce Tributi in genere, n. 688). Con specifico riferimento alla questione di cui trattasi questa
corte ha già ritenuto che, mentre rientra nei limiti dei poteri co
gnitivi della Commissione centrale l'esaminare se determinati ele
II Foro Italiano — 1987.
menti di fatto o di diritto costituiscono o meno legittimi presup
posti di operatività dell'esenzione venticinquennale dall'imposta sui fabbricati con riguardo ad un determinato edificio, quando ciò non comporti alcuna stima quantitativa, esula, invece, da tale
competenza ogni indagine su elementi tecnici o di esperienza lo
cale, quali sono l'accertamento se determinate unità immobiliari
sono destinate ad uffici o ad abitazioni nonché l'individuazione
della loro struttura la quale, oggettivamente considerata, deve es
sere funzionale all'uso abitativo (Cass. 1976 n. 4195 cit.). Nel caso in esame il giudizio della Commissione centrale era
stato sollecitato, in ordine al diritto del contribuente ad usufrui
re, ai sensi dell'art. 2 1. 2 dicembre 1967 n. 1212, dell'esenzione
dall'imposta sui fabbricati con riferimento ad un edificio del quale si contestava la prevalente destinazione ad uso abitativo.
La Commissione centrale, quindi, non poteva direttamente ef
fettuare tali indagini ma doveva necessariamente riferirsi all'ac
certamento effettuato dalla commissione di II grado. La decisione impugnata avendo un oggetto d'indagine cosi cir
coscritto ha adempiuto all'obbligo di motivare il proprio giudi zio. La motivazione, anche se succinta, è sufficiente a sorreggere la decisione impugnata in quanto da essa emerge l'iter argomen tativo seguito, il quale è immune da vizi logici e giuridici.
Quanto al principio di diritto applicato dalla decisione impu
gnata, rileva il collegio, che essa è pervenuta alla reiezione del
ricorso dell'ufficio affermando che, ai fini del riconoscimento del
diritto all'esenzione, è rilevante esclusivamente la destinazione ori
ginaria della costruzione, che nella specie era ad uso abitativo, e che non era rilevante l'eventuale occasionale utilizzazione di
parte dei locali ad uso diverso senza alcuna trasformazione della
struttura della costruzione.
Tale principio è conforme alla giurisprudenza di questa corte
secondo cui «ai fini particolari delle leggi in materia ed alle loro
espressioni formali, il criterio da seguirsi, per stabilire se un im
mobile urbano abbia o no, ai fini dell'esenzione in questione, i caratteri propri della casa di civile abitazione è quello della sua
normale destinazione risultante dalla intrinseca attitudine ad ospi tare nuclei familiari e non quello dell'uso cui esso venga effetti
vamente adibito il quale può non coincidere con la normale
destinazione» (Cass. 1982, n. 2338, id., Rep. 1982, voce Regi
stro, n. 201; Cass. 1980, n. 2417, id., Rep. 1980, voce Fabbricati
(imposta sul reddito dei), n. 6; Cass. 1973, n. 1324, id., Rep.
1973, voce Registro, n. 722). L'amministrazione ricorrente sostiene che il beneficio dell'esen
zione era stato legittimamente revocato dopo essere stato conces
so perché la prevalente destinazione ad uffici risultava dalla licenza
edilizia e dalla classificazione in A/10 in C/1 e in C/2 malgrado l'edificio fosse stato denunciato come destinato ad abitazioni.
L'obiezione non è però decisiva in quanto, come si è già avver
tito, l'esenzione di cui trattasi spetta al contribuente quando l'e
dificio o parte di esso, per la sua intrinseca struttura abbia
l'attitudine ad ospitare nuclei familiari al momento dell'ulti
mazione.
La classificazione catastale, cosi come ogni altro atto ammini
strativo, non è idonea ad escludere l'esistenza di tali requisiti an
che se essa viene effettuata in contraddittorio degli interessati
mediante accertamento sulle singole parti del fabbricato; essa, in
ogni caso, rappresenta solo un elemento concorrente, e se isolata
mente considerato insufficiente a fondare un giudizio, essendo
necessario il riferimento all'oggettiva struttura dell'immobile (Cass. 1980 n. 2417 cit.).
Il ricorso, pertanto, deve essere respinto. (Omissis)
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