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Sezione I civile; sentenza 4 gennaio 1966, n. 50; Pres. Pece P., Est. Arienzo, P. M. Gedda (concl.conf.); Olivieri (Avv. Costa) c. Ente colonizzazione Maremma tosco-laziale (Avv. Astuti)Source: Il Foro Italiano, Vol. 89, No. 9 (SETTEMBRE 1966), pp. 1569/1570-1571/1572Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23156259 .
Accessed: 28/06/2014 08:50
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
zione e a prescindere dalla notifica, sicché il professionista, che ne sia colpito, perde la capacità di esercitare la pro fessione fin dalla data del provvedimento e gli atti proces
suali, che egli eventualmente compia dopo tale data, sono
radicalmente nulli e come tali inidonei a produrre effetti
di sorta in campo processuale. Ora, se è esatto che la sospensione di che trattasi, per
la sua stessa natura di provvedimento cautelare, sia ese
cutiva ed esplichi i suoi effetti anche in pendenza del ri
corso al Consiglio nazionale forense (ammissibile, secondo
la costante giurisprudenza del consiglio stesso, solo per difetto di giurisdizione e per eccesso di potere), non si può, invece condividere l'opinione della corte di Milano, quando afferma che gli effetti della sospensione decorrono dalla
data del provvedimento, indipendentemente dalla notifica
o altra forma di comunicazione all'interessato e che la no
tifica abbia la sola funzione di fissare il dies a quo per la
decorrenza del termine di impugnazione. Invero al detto provvedimento si deve riconoscere, a
giudizio di questa corte, carattere recettizio, quanto meno
per quanto attiene all'effetto, che esso produce, di inibire
all'interessato, in via provvisoria, l'esercizio della profes sione.
Sono recettizi gli atti che non operano se non siano
previamente portati a conoscenza del destinatario. Carat
tere distintivo dell'atto recettizio è, dunque, la necessità
della comunicazione.
Si discute, in dottrina, se la comunicazione sia da con
siderare elemento integrativo dell'atto, ovvero solo una
condizione di efficacia di esso (prevalente è la seconda opi
nione) : ma è incontroverso che, quando si tratti di atto
recettizio, gli effetti o taluni effetti di esso non si produ cono se non dal momento della comunicazione.
In linea generale si ritiene che siano recettizi gli atti
che non possono raggiungere i fini essenziali cui sono di
retti senza la cooperazione del destinatario, cooperazione che può essere ottenuta solo a seguito della comunicazione
dell'atto. Alla stregua di tale principio, sono da conside
rare, ad esempio, atti recettizi gli ordini, che non possono essere eseguiti dal destinatario se non siano portati a sua
conoscenza. Ma a questo proposito occorre avvertire che
gli ordini possono consistere sia in comandi che in divieti,
a seconda che impongano obblighi positivi (di dare o di
fare) ovvero obblighi negativi (di non fare) ; e si tratta,
in entrambe le ipotesi, di atti recettizi.
ERt Ciò posto, sembra evidente che la sospensione"cautelare dall'esercizio della professione, in quanto implica il divieto
di esercitare, per la durata della sospensione, l'attività
professionale, abbia carattere recettizio. Ne segue che essa
non può ritenersi operante se non dal momento in cui sia
portato a conoscenza (reale o presunta) del destinatario.
Ha, dunque, errato la corte d'appello nel ritenere che l'atto
di riassunzione del processo, compiuto dall'avv. Cermison
quale procuratore del Proserpio fosse invalido perchè suc
cessivo alla data del provvedimento di sospensione cautelare
del detto avvocato dall'esercizio della professione (15 di
cembre 1960). Cionondimeno, la pronuncia emessa dalla corte nel
senso che il processo, cancellato dal ruolo per inattività
delle parti, dovesse essere dichiarato estinto per difetto
di una valida riassunzione nel termine di legge, è giuridi camente corretta, se pure per ragioni diverse da quelle enun
ciate nella sentenza impugnata. Secondo quanto risulta dagli atti (che a questa corte è
consentito esaminare, poiché l'indagine è diretta a con
trollare la regolarità del processo), il provvedimento di
sospensione cautelare venne notificato all'avv. Cermison
il 28 dicembre 1960 (v. certificato del Consiglio dell'Ordine
degli avvocati e procuratori di Milano in data 6 maggio
1963, esibito dagli stessi ricorrenti), mentre la comparsa
di riassunzione venne notificata il giorno successivo, cioè
il 29 dicembre, come risulta dall'originale in atti.
Dunque la riassunzione avvenne quando era già dive
nuto operante il divieto, per l'avv. Cermison, di esercitare
la professione forense. Essendo stato privato, se pure prov
visoriamente, dello ius postularteli, egli eia divenuto incapace
di compiere l'atto di impulso processuale necessario per
porre termine allo stato di quiescenza determinato dalla
cancellazione della causa dal ruolo. Nè ha rilevanza che
in ipotesi la procura ad litem gli sia stata rilasciata prima della comunicazione del provvedimento di sospensione e
che egli abbia, prima di tale momento, consegnato la
comparsa di riassunzione all'ufficiale giudiziario per la
notifica, poiché la capacità doveva sussistere nel momento
in cui l'atto di riassunzione del processo venne compiuto, cioè al momento della notifica della comparsa. Il rilascio
della procura (che avrebbe potuto avvenire anche in un
momento successivo : v. art. 125, 2° comma, cod. proc. civ.) e la consegna della comparsa all'ufficiale giudiziario erano
meri atti preparatori. Quello che importa è che lo ius po stulandi non sussisteva al momento della notificaceli'atto di riassunzione.
L'avv. Cermison avrebbe potuto intervenire presso l'uf
ficiale giudiziario, quando ebbe notizia del provvedimento di sospensione, per evitare che fosse compiuto un atto
nullo, o comunque, quando ebbe in restituzione l'originale della comparsa, con la relazione di notifica, avrebbe potuto rilevare la invalidità dell'atto compiuto e far sì che si prov vedesse alla riassunzione del processo in forma processuale
valida, entro il termine di legge. Pertanto, corretta la motivazione nei sensi di cui sopra,
a norma dell'art. 384, 2° comma, cod. proc. civ., si deve
rigettare il ricorso, con la condanna dei ricorrenti alla per dita del deposito.
Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 4 gennaio 1966, n. 50 ; Pres.
Pece P., Est. Arienzo, P. M. Gedda (conci, conf.) ;
Olivieri (Avv. Costa) c. Ente colonizzazione Maremma
tosco-laziale (Avv. Astuti).
(Conferma App. Roma 17 luglio 1962)
Agricoltura — Itiforma fondiaria Beni in comu
nione « pro indiviso » -— Espropriazione in tlanno
di imo solo dei comproprietari — Esistenza di
beni ili proprietà esclusiva — Irrilevanza (Legge 21 ottobre 1950 n. 841, norme per la espropriazione,
bonifica, trasformazione ed assegnazione di terreni ai
contadini, art. 4 ; legge 12 maggio 1951 n. 333, norme
interpretative e integrative della legge 21 ottobre 1950
n. 841, art. 8).
Agricoltura - Itiforma fondiaria — lteni in conni
nione « pro indiviso » — Espropriazione -— Mo
dalità (Legge 21 ottobre 1950 n. 841, art. 4 ; legge 12 maggio 1951 n. 333, art. 8 ; cod. civ., art. 727).
È legittima Vespropriazione per la riforma fondiaria di
beni in comunione pro indiviso, nei limiti del valore
della quota ideale del comproprietario espropriato, anche
se questi disponga di beni in proprietà esclusiva. (1)
Nel caso di espropriazione di ben,i ancora indivisi, si ve
rifica per imperio della legge una divisione, nella quale la determinazione concreta della quota di scorporo, da
calcolarsi sull'intera proprietà indivisa, è rimessa alla
scelta dell'ente, non essendovi alcun obbligo di osservare
le norme civilistiche disciplinanti la divisione dei beni
immobili. (2)
(1-2) Sulla prima massima non constano precedenti editi.
Sulla seconda massima, in senso conforme, sulla possibilità di procedere all'espropriazione dei terreni indivisi, a scelta del
l'ente in deroga alle norme civilistiche, fino all'esaurimento del
valore della quota ideale spettante al comproprietario sull'intera
proprietà indivisa, e salvo l'obbligo di imputare la porzione
espropriata alla quota del condomino assoggettato alle leggi di riforma, cfr. Corte cost. 23 marzo 1966, n. 24, retro, 741 ; 12 luglio 1965, n. 71, Foro it., 1965, I, 1570; 25 maggio 1957,
Il Foro Italiano — Volume LXXXlX — Parte /-101.
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1571 PARTE PRIMA 1572
La Corte, ecc. — Col primo motivo i ricorrenti dedu
cono la violazione dell'art. 4 legge 21 ottobre 1950 n. 841, art. 80 decreto pres. 30 agosto 1951 n. 951, art. 1100 e 1111
cod. civ., 115 cod. proc. civ., 42, 43, 44, 76, 77 Cost, con
riferimento all'art. 360 cod. proc. civ. e sostengono che, pur
potendosi espropriare beni di proprietà comune ed indivisi, occorre rispettare sempre i diritti dei terzi, i quali, per non
essere soggetti alla procedura di espropriazione, non deb
bono sottostare ai principi dettati dalla legge di riforma
fondiaria per il trasferimento della proprietà con la conse
guenza : a) clie l'esproprio dei beni indivisi si possa effet
tuare solo quando quelli di proprietà esclusiva non esau
riscono l'entità dell'esproprio ; b) che l'esproprio debba
comprendere tutti i beni indivisi fino ad esaurire il valore
della quota ideale del condomino espropriato e non limi
tarsi ad un singolo bene, a scelta indiscriminata dell'ente, con la concentrazione su di esso del valore della detta
quota ideale ; c) che la concreta determinazione della
quota ideale spettante al condomino, soggetto ad esproprio, debba essere fatta rispettando i valori che competono all'altro comunista. Aggiungono i ricorrenti di aver pro
spettato non una questione di sindacato delle valutazioni
legislative bensì di interpretazione degli art. 4 e 8 (legge 21 ottobre 1950 n. 841 e legge 12 maggio 1951 n. 333), che andava attuata con riferimento a tutti i possibili casi
e non soltanto all'ipotesi concreta, per cui non sarebbe
stata rilevante la circostanza, peraltro smentita dall'esi
bita documentazione non valutata dalla corte del merito,
che, nel caso di specie, i loro diritti non risultassero lesi.
Infine, i ricorrenti deducono l'omesso esame della questione di violazione dei principi ispiratori della riforma fondiaria
per essere stati espropriati beni che non dovevano essere
migliorati. Le doglianze sono infondate. Invero, la corte del merito
ha ritenuto, attraverso l'interpretazione letterale e logica delle norme invocate, art. 4 e 8 cit., di potere affermare
che è legittima l'espropriazione di beni in comune e indivisi
fino alla concorrenza di valore della quota ideale del con
domino espropriato e che necessariamente, in caso di espro
priazione di beni indivisi, si verifica per imperio della legge una divisione, la quale, ai fini dell'esproprio, deve contem
plare tutta la proprietà indivisa. Sulla base degli enunciati
principi, ha ritenuto legittimo nel caso concreto l'operato dell'ente Maremma avendo espropriato, su tutti i fondi
in comunione pro indiviso del comprensorio, quella parte
che, per concorde ammissione delle parti in causa, rimaneva
nei limiti della quota ideale spettante al condomino espro
priato. E, infine, ha osservato che le divisioni coattive e le
possibilità indiscriminate di scelta sono conseguenza diretta
dell'applicazione delle norme di legge, la cui valutazione di
carattere politico-economico esorbita dai poteri del giu dice, così respingendo l'assunto che l'espropriante non
potesse comprendere per intero, nella quota di scorporo di Olivieri Filemone, un appezzamento di terreno che
pro quota apparteneva anche a Pacchiarotti Geltrude, dante causa dei ricorrenti Olivieri.
Le conclusioni della corte d'appello trovano conforto
nelle norme di legge che regolano l'espropriazione per la
riforma fondiaria che, mentre pongono come unico limite
alla espropriabilità dei terreni in comunione il valore della
quota ideale del condomino espropriato (art. 8 legge 12
maggio 1951 n. 333), non contengono alcuna disposizione da cui possa dedursi l'obbligo di osservare, nella scelta dei
terreni costituenti la quota di scorporo, le norme di natura
privatistica disciplinanti la divisione dei beni immobili e la
n. 80, id., 1957, I, 921, con nota di richiami. Per qualche riferi
mento, si veda anche Trib. Roma 5 agosto 1961, id., Rep. 1962, voce Agricoltura, n. 64.
Sull'applicabilità dell'art. 8 legge n. 333 del 1951, anche
agli espropri di beni indivisi in base alla legge 12 maggio 1950
n. 230, c. d. « legge Sila », si consulti Corte cost. 23 maggio 1964, n. 41, id., Rep. 1964, voce cit., n. 40 (nella motivazione, in extenso, in Giusi, civ., 1964, III, 149) ; Trib. Cosenza 27 aprile 1953, Foro it., 1953, I. 1095, annotata da Greco, in Giur it., 1953, I, 2, 785.
formazione delle porzioni ovvero ricavarsi il carattere sussi
diario dell'espropriabilità dei beni in comunione rispet to a
quelli di proprietà esclusiva. La riconferma dell'esattezza
di questa interpretazione si argomenta anche dall'ulteriore
disposizione dell'art. 8 cit., il quale, nel prevedere che la
porzione espropriata sarà imputata alla quota del condo
mino colpito dall'espropriazione, considera il giudizio di
divisione come successivo all'espropriazione. La determi
nazione concreta, a scelta dell'ente espropriante, della
quota oggetto dell'espropriazione che colpisca beni indivisi,
è stata riconosciuta, nel dichiarare la legittimità costitu
zionale dell'art. 8 cit., anche dalla Corte costituzionale
(23 maggio 1964, n. 41, Foro it., Rep. 1964, voce Agri
coltura, n. 40 ; 25 maggio 1957, n. 80, id., 1957, I, 921), la quale di recente, nel riesaminare la questione, contra
riamente a quanto assumono i ricorrenti nella memoria,
ha riconfermato il principio (12 luglio 1965, n. 71, id.,
1965, I, 1570). E, infine, la facoltà indiscriminata di scelta
degli immobili deriva dalla natura del decreto di esproprio come atto di legislazione delegata, per cui l'esercizio della
potestà di espropriale supera i limiti della attività ammi
nistrativa di espropriazione per pubblica utilità. La ma
teria della riforma fondiaria, infatti, non si esaurisce nella
valutazione di un determinato interesse pubblico ma si
estende alle scelte di carattere politico e sociale che ispi rano la speciale legislazione.
Le esposte considerazioni, congiunte a quelle di merito,
non censurabili in questa sede, che la quota espropriata a carico di Olivieri Filemone non eccedette la quota ideale
di sua spettanza, valgono a respingere tutte le censure
contenute nel primo motivo comprese quelle relative al
l'omesso esame di documenti comprovanti la lesione dei
diritti dei ricorrenti e alla pretesa violazione dei principi della riforma fondiaria per essere stati scorporati beni
non suscettibili di miglioramento. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione III civile ; sentenza 29 aprile 1965, n. 773 ; Pres.
Cannizzaro P., Est. Salerni, P. M. Silocchi (conci,
conf.) ; Cozzolino (Avv. Curzio) c. Iannuzzi (Avv. Co
fano, De Luca).
(Cassa App. Napoli 19 aprile 1962)
Obbligazioni e contralti — Animila mento — Errore
bilaterale — Requisito della riconoseibilità —
Irrilevanza (Cod. civ., art. 1429, 1431).
L'errore comune ai contraenti, quando sia essenziale, è causa
di annullabilità del contratto anche se non presenti il
requisito della riconoscibilità. (1)
(1) La sentenza leggesi in Foro it., 1965, I, 1778, con nota di richiami : ne riproduciamo la massima per pubblicare la nota di Mario Bessone.
* # *
Errore comune ed affidamento nella disciplina del
contratto.
1. —• Questa sentenza della Corte di cassazione ribadisce un orientamento giurisprudenziale da tempo consolidato.
In realtà, sono ormai numerose le decisioni che non ma nifestano alcuna incertezza sul regime di invalidità da attri buire al contratto stipulato da soggetti incorsi nel medesimo errore. E il principio secondo il quale l'essenzialità dell'errore è il solo requisito necessario all'annullamento di tale contratto,
pare assumere sempre più il valore di una vera e propria norma giurisprudenziale : infatti, le sentenze della Cassazione non si disco stano mai da questa ratio decidendi (1), ed i giu
(1) Y. Cass. 20 luglio 1962, n. 1970, Foro i7.,Rep. 1963, voce Obbli Dazioni e contratti, n. 376: 26 luglio 1960, il. 2161, id., Rep. 1960, voce
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