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sezione I civile; sentenza 4 gennaio 2005, n. 122; Pres. Prestipino, Est. Rordorf, P.M. Maccarone...

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sezione I civile; sentenza 4 gennaio 2005, n. 122; Pres. Prestipino, Est. Rordorf, P.M. Maccarone (concl. conf.); Soc. Conceria Adige (Avv. Spallina, Piras, Giugni) c. Consorzio Leatherworld (Avv. Castaldi, Calamia), Soc. Fratelli Pinori (Avv. Nicolais, Cecchella, Ciappi, Marescalchi, Santarvecchi). Cassa App. Firenze 5 febbraio 2001 Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 11 (NOVEMBRE 2005), pp. 3115/3116-3119/3120 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23201155 . Accessed: 25/06/2014 01:08 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.31 on Wed, 25 Jun 2014 01:08:47 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 4 gennaio 2005, n. 122; Pres. Prestipino, Est. Rordorf, P.M. Maccarone(concl. conf.); Soc. Conceria Adige (Avv. Spallina, Piras, Giugni) c. Consorzio Leatherworld(Avv. Castaldi, Calamia), Soc. Fratelli Pinori (Avv. Nicolais, Cecchella, Ciappi, Marescalchi,Santarvecchi). Cassa App. Firenze 5 febbraio 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 11 (NOVEMBRE 2005), pp. 3115/3116-3119/3120Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201155 .

Accessed: 25/06/2014 01:08

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PARTE PRIMA

fruttuario, né usuario, né enfiteuta, né superficiario, né titolare

del diritto di abitazione, né, in genere, di un qualsiasi diritto

reale di godimento. Non essendo né proprietario, né titolare di altro diritto reale

di godimento di contenuto parzialmente analogo a quello di

proprietà il contribuente non poteva essere tenuto al pagamento

dell'imposta lei.

4.1. - Né è possibile, in questa sede di legittimità, rivalutare le

circostanze di fatto accertate dal giudice del merito.

Le censure in questo senso non possono perciò essere esami

nate nel merito; per farle valere utilmente sarebbe stato necessa

rio utilizzare — se ed in quanto ne sussistessero tutti i presup

posti di legge — il diverso mezzo dell'istanza di revocazione.

5. - Il secondo motivo — del resto parzialmente legato al

primo — è anch'esso infondato.

Proprio perché era titolare di un rapporto di locazione, e non

di un diritto reale, il contribuente sig. Patelli non era tenuto al

pagamento dell'Ici.

Non è neppure applicabile la norma per la quale nei casi di

locazione finanziaria il soggetto passivo dell'imposta è il locata

rio, perché (anche a prescindere da ogni problema di prova e di

esatto inquadramento della fattispecie concreta) si tratta — co

me ha giustamente sottolineato il giudice d'appello — di una

disposizione (esattamente il 2° comma dell'art. 3 d.leg. 30 di

cembre 1992 n. 504, come modificato dall'art. 18, 3° comma, 1.

23 dicembre 2000 n. 388) di carattere innovativo, in vigore dal

1° gennaio 1998, e perciò non applicabile ai periodi di imposta qui in contestazione.

6. - Infine il terzo motivo, assai succinto nelle argomentazio ni, è generico, e, in ogni caso, a sua volta infondato.

Il giudice d'appello ha ritenuto che il contribuente non fosse

soggetto passivo dell'imposta proprio perché aveva la posizione di semplice conduttore, e, in ogni caso, ha motivato esauriente

mente ed in maniera coerente in questo senso, esaminando anzi

con una certa ampiezza il contratto intercorrente tra il sig. Pa

telli e l'Istituto autonomo case popolari. 7. - Il ricorso perciò non può trovare accoglimento.

II

Fatto, svolgimento del processo e motivi del ricorso. — 1.1. -

Il comune di Tavarnelle Val di Pesa ricorre contro la sig. Marti

no Maria per la cassazione della sentenza specificata in epigra fe. La parte intimata non ha svolto alcuna attività difensiva.

1.2. - In fatto, la Martino ricorreva contro gli avvisi di accer

tamento lei per agli anni 1994, 1995, 1996 e 1997, emessi dal

comune di Tavarnelle Val di Pesa, per il possesso di un immobi

le per civile abitazione, realizzato su un suolo comunale sul qua le era stato concesso il diritto di superficie, a favore di una coo

perativa. La Martino sosteneva che fino a quando la costruzione

non era stata ultimata il soggetto passivo dell'imposta restava

l'ente proprietario del suolo. Il comune resisteva eccependo che

l'obbligo del pagamento del tributo nasceva con l'assegnazione, anche provvisoria, delle unità immobiliari e comunque dal mo

mento della loro utilizzazione. La commissione tributaria pro vinciale adita ha accolto il ricorso e la commissione regionale ha

confermato tale decisione, sul rilievo che l'obbligo del pagamen to del tributo nasce soltanto con la stipula del rogito notarile e

che non rileva la precedente utilizzazione dell'alloggio. 1.3. - A sostegno dell'odierno ricorso, il comune eccepisce:

a) la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 d.leg. 504/92, che indica come presupposto dell'Ici il possesso degli immobili;

b) la violazione del divieto di ultrapetizione (art. 112 c.p.c.), in quanto erroneamente il giudice a quo invece di limitarsi a ve

rificare se la Martino aveva il possesso dell'immobile, così co

me richiesto dalla parte appellante, ha rigettato l'appello sul

presupposto dell'insussistenza del diritto di proprietà;

c) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in or

dine alla valutazione delle prove acquisite, erroneamente rite

nute insufficienti a dimostrare la sussistenza del presupposto

impositivo. Diritto e motivi della decisione. — 2.1. - Il ricorso appare

fondato. I tre motivi addotti a sostegno del ricorso affrontano

sotto diverse angolazioni il medesimo problema (sussistenza del

presupposto d'imposta) e possono essere esaminati congiunta mente.

Il Foro Italiano — 2005.

2.2. - Come è noto, l'art. 1 d.leg. 504/92 stabilisce che «pre

supposto dell'imposta è il possesso di fabbricati, di aree fabbri

cabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qual siasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui pro duzione o scambio è diretta l'attività dell'impresa». Quindi, ap pare errata in diritto l'affermazione del giudice a quo che fa

coincidere la nascita dell'obbligo di pagare l'imposta con la sti

pula del rogito notarile di trasferimento della proprietà. In punto di fatto, poi, il giudice del merito ha raggiunto la

prova che la Martino aveva il possesso dell'immobile cui si rife

risce l'obbligazione tributaria. Infatti, è pacifico che «l'atto di compravendita sia stato preceduto dalla promessa di vendita e

che nel frattempo il costruttore abbia consentito al futuro acqui rente di utilizzare l'alloggio».

Pertanto, appare errata, in fatto ed in diritto, la conclusione

della commissione tributaria regionale, che ha escluso che la

Martino fosse tenuta al pagamento dell'Ici.

2.3. - Conseguentemente, il ricorso del comune deve essere

accolto. Non occorrono ulteriori accertamenti di fatto per deci

dere il merito della causa, ex art. 384 c.p.c., e, quindi, il ricorso

introduttivo del giudizio proposto dalla Martino deve essere re

spinto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 4 gen naio 2005, n. 122; Pres. Prestipino, Est. Rordorf, P.M.

Maccarone (conci, conf.); Soc. Conceria Adige (Avv. Spal

lina, Piras, Giugni) c. Consorzio Leatherworld (Avv. Ca

staldi, Calamia), Soc. Fratelli Pinori (Avv. Nicolais, Cec

chella, Ciappi, Marescalchi, Santarvecchi). Cassa App. Firenze 5 febbraio 2001.

Consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi — Società consortile — Soci — Obblighi di contri buzione — Atto costitutivo — Condizioni (Cod. civ., art.

2615 ter).

Al fine di decidere sulla possibilità di porre a carico dei soci

del consorzio gli obblighi di contribuzione previsti dall'art. 2615 ter c.c., il giudice del merito deve esaminare l'atto co

stitutivo e lo statuto della società consortile al fine di indivi

duare la clausola statutaria che preveda esplicitamente detti

obblighi, nonché le condizioni, le modalità ed i limiti che lo

statuto ponga ali 'esercizio dei medesimi. ( 1 )

(I) Non si rinvengono precedenti in termini. La sentenza conferma la natura dei versamenti previsti dall'art. 2615 ter c.c.: essi sono lo stru mento per garantire alla società consortile i finanziamenti di volta in

volta necessari a coprire i costi di gestione dei servizi svolti dal consor

zio (e v. già Trib. Milano 18 novembre 1991, Foro it.. Rep. 1992, Con

sorzi in genere, n. 3, e Giur. it., 1992, I, 2, 225, secondo il quale «i

contributi in denaro previsti nelle società consortili a carico dei soci non si configurano quali corrispettivi di eventuali servizi prestati dal

consorzio, ma come prestazioni dovute dai soci per assicurare il fun zionamento della società consortile, la quale non producendo reddito ha

la necessità di poter disporre di un flusso continuativo di mezzi finan

ziari al fine di coprire i costi della gestione»). Essi possono essere ri

chiesti ai soci anche in fase di liquidazione del consorzio (sempre che lo preveda lo statuto) (Trib. Monza 23 febbraio 2001, Foro it., Rep. 2002, Consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, n. 11, e Società, 2002, 224, con nota di Casale).

Proprio questa inerenza ai costi del concreto servizio svolto dal con sorzio (e alla congruenza a tal fine del capitale della società consortile) fa sì che i relativi oneri finanziari siano interamente rimessi all'auto nomia statutaria, «sia nel senso» — si legge in motivazione — «che sif fatti obblighi sussistono solo in quanto espressamente previsti nell'atto

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — La Conceria Adige s.p.a., socia

del consorzio Leatherworld a r.l., con atto notificato il 22 otto

bre 1987 citò quest'ultimo in giudizio dinanzi al Tribunale di

Prato per far annullare, o dichiarare nulla, una deliberazione as

sunta dall'assemblea in data 14 settembre 1987, deliberazione

con la quale si era stabilito di ripartire pro quota tra tutti i soci

passività per complessive lire 630.303.577, derivanti dall'insol

venza di acquirenti di merce venduta all'estero dal consorzio

per conto di alcuni consorziati.

Il consorzio convenuto resistette alla domanda ed in suo aiuto

intervenne in causa la F.lli Pinori & C. s.r.l., consorziata per conto della quale era stata compiuta una delle operazioni da cui

erano scaturite le anzidette passività. Con sentenza emessa I'll dicembre 1995 il tribunale accolse

la domanda, poiché ritenne che la deliberazione assembleare

impugnata, ponendo a carico dei consorziati oneri non ricondu

cibili alle necessità di coprire i soli costi di gestione del consor

zio, esorbitasse dai limiti stabiliti in proposito dallo statuto so

ciale e dall'art. 2615 ter c.c.

Chiamata a pronunciarsi sui gravami separatamente proposti dal consorzio Leatherworld e dalla F.lli Pinori, la Corte d'ap

pello di Firenze, con sentenza depositata il 5 febbraio 2001, ha

però riformato la decisione di primo grado ed ha quindi respinto la domanda della Conceria Adige. Pur avendo ritenuto che le

vendite dalle quali erano scaturite le perdite formanti oggetto della deliberazione assembleare impugnata configurassero ope razioni unitarie (o «triangolari»), poste in essere dal consorzio

in proprio nome ma nell'interesse dei singoli consorziati, la

corte fiorentina ha infatti stimato legittima l'imposizione pro

quota a tutti i soci del consorzio di contributi volti a coprire le

perdite conseguenti a dette operazioni, non essendo dimostrato

che si era trattato di perdite conseguenti a contestazioni di mer

ce venduta nell'interesse esclusivo della F.lli Pinori e trattando

si comunque di un disavanzo derivante dall'attività istituzio

nalmente svolta dal medesimo consorzio, come tale destinato a

riverberarsi sul patrimonio di questo. Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Conceria Adige,

formulando cinque motivi di censura.

Resistono con separati controricorsi il consorzio Leather

world e la F.lli Pinori. Tutte le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione. — 1. - Il ricorso proposto dalla Con

costitutivo, sia nel senso che la loro valida pattuizione presuppone la necessità di determinare in quell'atto l'oggetto e la natura di detti ob

blighi o, quanto meno, di fissare i criteri della loro determinabilità». Di qui la necessità di un attento esame dell'atto costitutivo per risol

vere il problema posto alla corte, ossia a quali condizioni i soci del consorzio possano essere chiamati a far fronte alle perdite di gestione del consorzio medesimo attraverso la contribuzione di cui al 2° comma dell'art. 2615 ter c.c., la quale — specifica la corte — non implica al cuna assunzione di responsabilità illimitata dei soci nei confronti dei creditori del consorzio: nello stesso senso, v. Trib. Alba 5 giugno 1997, Foro it., Rep. 1997, Società, n. 783, e Società, 1997, 1181, con nota di De Anoelis, secondo cui «i soci di una s.r.l. consortile mantengono la

responsabilità limitata per le obbligazioni sociali, caratteristica del tipo di società prescelto; e non assumono il regime di responsabilità proprio dei consorzi neppure se l'atto costitutivo preveda a loro carico l'obbli

go di versare contributi in denaro» (a proposito delle perdite del con

sorzio, cfr. App. Milano 25 giugno 1996, Foro it.. Rep. 1998, voce

Consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, n. 7. secondo cui «poiché alle società consortili per azioni si applica la di

sciplina delle società per azioni, appaiono legittimi il diritto di recesso

per volontà del socio e la conseguente delibera di riduzione del capitale per perdite, attuata mediante il rimborso al socio delle proprie azioni»).

Anche sotto il profilo della norma statutaria che preveda i contributi in discorso la sentenza contiene spunti di rilievo, soprattutto nella parte in cui ammette che la concreta determinazione dei contributi dei soci

possa essere fatta — come era avvenuto nel caso di specie — dagli amministratori in rapporto alle perdite di volta in volta registrate dalla

società consortile, ma — aggiunge la corte, offrendo un esempio dei

«criteri di determinabilità» dei contributi de quibus, che devono assiste

re la norma statutaria relativa ai contributi medesimi — «occorre che si

tratti di perdite o costi imputabili al bilancio della società e che una sif

fatta previsione figuri espressamente nel contratto sociale, di modo che

l'obbligo del socio possa poi trovare nelle risultanze di quel bilancio

(con i relativi strumenti di controllo) la sua concreta determinazione».

In dottrina, v. Franchini Stufler, Obblighi e contributi nei consorzi, in Vita not., 2004, 1255.

Il Foro Italiano — 2005.

ceria Adige è volto a denunciare sia errori di diritto che vizi di

motivazione della sentenza impugnata. Gli errori di diritto, ricondotti alla previsione dell'art. 360, n.

3, c.p.c., ma sempre accompagnati anche dal richiamo al suc

cessivo n. 5 del medesimo articolo, sono riferiti alla violazione:

a) delle disposizioni del codice civile in tema di contratti di

vendita e di commissione, per avere la corte d'appello affermato

che le perdite conseguenti al mancato pagamento del prezzo della merce venduta dal consorzio per conto dei consorziati si

sarebbe riverberata sul patrimonio del consorzio medesimo

(primo motivo); b) delle disposizioni del codice in tema di so cietà personali e di società consortili, oltre che della 1. n. 240 del

1981 in tema di consorzi per il commercio estero, per non avere

la medesima corte considerato che l'addebito al patrimonio del

consorzio delle perdite derivanti da vendite effettuate nell'inte

resse dei singoli consorziati logicamente implicherebbe che al

medesimo patrimonio siano da imputare anche gli eventuali uti

li, e sarebbe quindi incompatibile sia con il tipo di società con sortile in concreto prescelto sia con le disposizioni della citata 1.

n. 240 (secondo motivo); c) delle disposizioni del codice in te

ma di onere della prova, per avere la corte territoriale ritenuto

che competesse all'attrice dimostrare la natura e l'imputabilità delle perdite di cui è causa (terzo motivo); d) delle disposizioni in tema d'interpretazione dei contratti e di rappresentanza indi

retta nel mandato, per non avere detta corte preso in considera

zione il regolamento interno della società consortile ed avere in

congruamente attribuito al consorzio la qualifica di rappresen tante indiretto delle imprese consorziate nei rapporti commer

ciali con i terzi (quarto motivo). Un vizio di motivazione su un

punto decisivo della controversia risiederebbe, infine, nel fatto

che il giudice d'appello non avrebbe spiegato — o non lo

avrebbe fatto in modo logico e sufficiente — le ragioni per le

quali ha ritenuto che le perdite derivanti da insolvenze dei

clienti di singoli consorziati si siano prodotte nella sfera giuridi ca del consorzio e perciò ricadano tra gli oneri di gestione che i

consorziati tutti sono chiamati a ripianare pro quota (quinto motivo).

2. - Il ricorso, nei limiti che si preciseranno, appare merite

vole di accoglimento. Le doglianze sopra sinteticamente riferite possono essere

esaminate in un medesimo contesto. Esse invero non tanto de

notano singole e specifiche violazioni o false applicazioni delle

norme di diritto richiamate nei primi quattro motivi, quanto

piuttosto pongono in evidenza gravi lacune ed incongruenze lo

gico-giuridiche da cui è viziata la motivazione della sentenza

impugnata. 2.1. - È bene premettere che, nelle società consortili costituite

a norma dell'art. 2615 ter c.c., pur quando si tratti (come iiella

specie) di società a responsabilità limitata, è sempre consentito

prevedere statutariamente l'obbligo dei soci di versare contri

buti in denaro, ulteriori rispetto ai conferimenti di capitale gra vanti su ciascuno di essi. Le ragioni da cui è giustificata siffatta

previsione, divergente rispetto alla regola altrimenti posta dal

l'art. 2345, 1° comma, c.c. per le società azionarie (regola che, al tempo dei fatti di causa, era richiamata anche per le società a

responsabilità limitata dall'art. 2478, l9 comma, nel testo allora

vigente), risiedono nella necessità di conciliare la causa mutua

listica propria del consorzio con la struttura della società di ca

pitali in cui il consorzio viene calato: donde, appunto, la possi bilità di assicurare un mezzo di finanziamento più flessibile, e

perciò meglio adatto alle esigenze insite nella causa mutualistica

ed alla presumibile variabilità dei costi di gestione del servizio

consortile, rimettendone la scelta e la concreta determinazione

all'autonomia statutaria.

Poiché la citata disposizione dell'art. 2615 ter non contiene

alcuna precisa indicazione circa i limiti e le modalità d'imposi zione ai soci degli obblighi di contribuzione ivi menzionati, è soltanto nell'atto costitutivo (o nello statuto che lo integra) che

tali indicazioni andranno di volta in volta ricercate sia nel senso

che siffatti obblighi sussistono solo in quanto espressamente

previsti nell'atto costitutivo, sia nel senso che la loro valida

pattuizione presuppone la necessità di determinare in quell'atto

l'oggetto e la misura di detti obblighi o, quanto meno, di fissare

i criteri della loro determinabilità. Non v'è motivo per escludere

che l'atto costitutivo possa istituire obblighi di contribuzione

commisurati alle perdite di gestione di volta in volta registrate in un bilancio regolarmente approvato (non implicando ciò al

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PARTE PRIMA

cuna assunzione di responsabilità illimitata dei soci nei con fronti dei creditori sociali), o anche che possa rimettere agli amministratori oppure all'assemblea la facoltà di porre a carico

dei consorziati obblighi di ripianamento totale o parziale dei co

sti di gestione dell'impresa consortile; ma occorre che si tratti di

perdite o di costi imputabili al bilancio della società e che una

siffatta previsione figuri espressamente nel contratto sociale, di

modo che l'obbligo del socio possa poi trovare nelle risultanze

di quel bilancio (con i relativi strumenti di controllo) la sua con

creta determinazione.

2.2. - Ciò premesso, e tornando all'esame del caso di specie,

appare evidente che il giudizio sulla legittimità della delibera zione assembleare della società consortile, impugnata dal socio, con cui era stata decisa la ripartizione tra tutti i consorziati delle

perdite derivanti dall'insolvenza di alcuni clienti, presupponeva — alla luce dei motivi d'impugnazione formulati — che fosse

anzitutto ben individuata la fonte dell'obbligo di contribuzione

posto a base di detta deliberazione; in secondo luogo che ne fos

sero identificati i limiti; infine che venisse accertato se le men

zionate perdite ed i contributi conseguentemente richiesti ai soci

rientrassero o meno entro quei limiti.

La fonte dell'obbligo contributivo di cui si tratta, come sopra chiarito, non poteva che risiedere in una clausola dell'atto co

stitutivo (o dello statuto) della società consortile, ed infatti è pa cifico tra le parti in causa che una siffatta clausola esiste. Ma, nella sentenza della Corte d'appello di Firenze qui impugnata,

pur facendosi a più riprese menzione di clausole statutarie, nes

suna disamina viene condotta sulla specifica clausola concer

nente gli obblighi contributivi dei consorziati nei confronti del

consorzio, limitandosi quel giudice ad affermare «l'esistenza di

un obbligo di versamento di contribuzioni in denaro che si ren

dano necessari per il funzionamento del consorzio». E, impro

priamente, il suddetto obbligo sembra venga fatto discendere di

rettamente dal disposto del citato art. 2615 ter, 2° comma, piut tosto che da una precisa previsione statutaria.

È possibile che il tenore della clausola statutaria in questione effettivamente corrisponda a quanto riportato nella memoria de

positata dinanzi a questa Corte di cassazione dalla difesa del

consorzio controricorrente; ma in tal caso avrebbe dovuto la

corte fiorentina interrogarsi sulla portata e sull'interpretazione di quella clausola, ed avrebbe dovuto chiedersi se gli obblighi contributivi ivi previsti andassero riferiti (non già ad arbitrarie ed incontrollabili determinazioni degli organi sociali, bensì) a

perdite di gestione effettivamente imputabili alla società con

sortile.

2.3. - Pur non avendo puntualmente svolto tale compito d'in

dividuazione della fonte giuridica dell'obbligazione controver

sa, la corte d'appello ha comunque poi sviluppato un ragiona mento che sembra dare per implicita la riferibilità dell'obbligo di contribuzione dei consorziati alle esigenze di ripianamento dei costi di gestione della società consortile, ed ha ritenuto che tale fosse la situazione verificatasi nella specie.

Muovendo da questo presupposto, la corte di merito avrebbe dovuto adeguatamene chiarire il proprio convincimento circa il

fatto che gli importi formanti oggetto della deliberazione as sembleare impugnata costituivano appunto delle perdite di ge stione riferibili alla società consortile, e non invece — come so stenuto dal socio impugnante

— eventi economici negativi pro dottisi unicamente nella sfera giuridica e patrimoniale di singoli soci consorziati. In tale ultimo caso, infatti, non sarebbe più possibile affermare che i contributi in questione sono destinati a

fronteggiare perdite di gestione del consorzio, e quindi ricadono nella previsione dello statuto, trattandosi invece di fatti ad esso estranei.

Anche sotto il profilo da ultimo indicato la sentenza impu gnata presenta però una motivazione alquanto contraddittoria.

Prima, infatti, vi si argomenta in senso conforme alle tesi difen sive della Conceria Adige, assumendo che le operazioni com merciali da cui scaturirono le predette perdite non si sostanzia vano in una duplice vendita (dal socio consorziato al consorzio, e poi da quest'ultimo all'acquirente estero), ma viceversa ave vano carattere unitario («triangolare»), sicché in esse il consor

zio assumeva la veste di commissionario percependo unica mente delle provvigioni. Poi, tuttavia, vi si afferma che l'insol venza degli acquirenti di alcune delle merci così vendute all'e stero ha generato perdite direttamente per il consorzio: perdite che, s'intende, non si ricollegano al mancato incasso delle anzi

II Foro Italiano — 2005.

dette provvigioni, bensì derivano dall'impossibilità di riscuotere il prezzo delle merci vendute.

Ma quest'ultima affermazione — evidentemente decisiva per la tenuta del ragionamento svolto — sembra scarsamente com

patibile, sul piano logico, con quanto subito prima argomentato:

perché, se dal carattere unitario delle menzionate operazioni commerciali deve desumersi che il consorzio non aveva mai as

sunto la veste di acquirente-rivenditore delle merci esportate per suo tramite, mal s'intende come possa poi gravare sul suo pa trimonio la perdita derivante dal mancato incasso del prezzo di

dette merci.

In altri termini, dall'affermazione secondo la quale la società

consortile ha assunto la veste di commissionario per la vendita

all'estero di merce prodotta da soci consorziati, è naturale de

durre la conseguenza che il capitale economico impegnato in

tale operazione fosse non già del consorzio-commissionario, bensì dei soci-committenti. Ma, allora, se ne dovrebbe logica mente dedurre che anche le perdite derivate dalla mancata re

munerazione di quel capitale, ossia dall'insolvenza degli acqui renti esteri delle merci in questione, erano destinate a riflettersi

sul patrimonio dei soci e non invece su quello della società con

sortile.

La corte d'appello non chiarisce questa contraddizione, ed

anzi, in un passaggio successivo dell'impugnata sentenza espres samente afferma che «neppure dal bilancio 1987 ... si riesce a

comprendere quale sia stata esattamente la ragione della per dita»; affermazione che — se è da riferire (come parrebbe lo

gico) al bilancio d'esercizio della società consortile — lascia

irrisolto l'interrogativo del come la stessa corte d'appello possa avere subito prima accertato che «le insolvenze su fatture ad

opera di società estere», a fronte delle quali sono stati delibe

rati i contestati contributi a carico dei soci consorziati, si sono

riverberate in perdite della società consortile, onde il loro ri

pianamento legittimamente sarebbe stato richiesto ai consor

ziati medesimi. 3. - L'insieme di tali lacune e contraddizioni ravvisabili nella

motivazione dell'impugnata sentenza impone, dunque, la cassa

zione della sentenza medesima, con conseguente rinvio della

causa ad altra sezione della Corte d'appello di Firenze, che

provvederà a riesaminare i termini della controversia e la risol

verà con adeguata motivazione in conformità ai principi sopra richiamati.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 22 di

cembre 2004, n. 23760; Pres. Sciarelli, Est. Picone, P.M.

Salzano (conci, conf.); Cicotero (Avv. Contaldi, Gallenca) c. Comune di Torino (Avv. Colarizi, Arnone). Conferma

App. Torino 13 febbraio 2003.

Impiegato degli enti locali — Dirigente — Cessazione dal l'incarico — Diritto ad incarico di tipo corrispondente a quello precedente — Esclusione — Fattispecie (Cod. civ., art. 2103; 1. 8 giugno 1990 n. 142, ordinamento delle autono

mie locali, art. 51; d.leg. 18 agosto 2000 n. 267, t.u. delle leg

gi sull'ordinamento degli enti locali, art. 109; d.leg. 30 marzo

2001 n. 165, norme generali sull'ordinamento del lavoro alle

dipendenze delle amministrazioni pubbliche, art. 19; d.p.r. 24

settembre 2004 n. 272, regolamento di disciplina in materia di

accesso alla qualifica di dirigente, ai sensi dell'art. 28, 5°

comma, d.leg. 30 marzo 2001 n. 165).

Il dirigente di un ente locale non ha, alla scadenza dell'incari co dirigenziale, il diritto di ricoprire un incarico di tipo cor

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