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sezione I civile; sentenza 4 maggio 1993, n. 5184; Pres. Favara, Est. Grieco, P.M. (concl. conf.);Soc. La vigile San Marco (Avv. D'Ayala Valva, Moschetti) c. Min. finanze (Avv. dello Stato LaPorta). Cassa Comm. trib. centrale 15 novembre 1988, n. 7621Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 6 (GIUGNO 1993), pp. 1823/1824-1827/1828Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188090 .
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1823 PARTE PRIMA 1824
Il motivo è fondato in base e nei limiti dei rilievi che seguono.
Con il contratto di somministrazione di energia elettrica per
l'illuminazione privata — come quello tra le parti — l'ente si
obbliga verso corrispettivo di un prezzo, alla erogazione conti
nuativa di energia elettrica (art. 1559 c.c.). A norma dell'art. 11 delle condizioni generali del contratto
(cui fa specifico riferimento il motivo di ricorso) l'ente può so
spendere la fornitura per ogni inadempienza dell'utente, anche
relativa a precedenti forniture cessate, addebitando le spese, ecc.
La cennata condizione generale del contratto non deroga alla
norma dell'art. 1565 c.c., per cui se la parte che ha diritto alla
somministrazione è inadempiente e l'inadempimento è di lieve
entità, il somministrante non può sospendere l'esecuzione del
contratto senza dare congruo preavviso. La norma dell'art. 1565 c.c., allargando la sfera di applica
zione dell'art. 1460 c.c. a vantaggio del somministrante, gli con
sente la sospensione dell'erogazione anche se l'inadempimento sia di lieve entità, salvo congruo preavviso.
Rettamente, il tribunale accogliendo il primo motivo di ap
pello ha escluso che l'inadempimento dell'utente dovesse rive
stire carattere di gravità per legittimare la sospensione della for
nitura.
Ciò posto, vanno riassunti i fatti rilevanti.
La lettera dell'Enel, pervenuta allo Scotti il 23 marzo 1985, fu preceduta da richieste in loco all'interessato di consentire
l'immediato accesso al locale, al fine della regolarizzazione, ri
chieste che incontrarono la viva resistenza dello Scotti.
Con la lettera predetta l'Enel preavverti — senza precisare
giorno ed ora dell'accesso — che sarebbe stato regolarizzato il complesso di misura, installando un contatore per l'energia attiva ed un interruttore limitatore dei prelievi di potenza; che
l'ufficio commerciale era a disposizione per qualsiasi chiarimento
dovesse occorrere.
La interruzione della erogazione avvenne il 25 marzo 1985
alle ore 16 durante le ore di chiusura dell'esercizio.
La circostanza non è contestata. Figura nella narrativa della
sentenza impugnata e trova conferma in relazione alla questio ne della liquidazione del danno.
La circostanza costituisce specifico profilo di censura («L'ab normità ... è stato ritenuto . . . legittimo e corretto il potere dell'Enel di sospendere e subdolamente interrompere dall'ester
no, profittando della chiusura pomeridiana, l'erogazione di ener
gia . . .») e rappresenta, sotto il profilo del vizio di motivazio
ne, punto decisivo della controversia.
Invero in base agli accertamenti e valutazioni del giudice del
merito:
a) Va ritenuto il diritto dell'Enel di installare il limitatore
di potenza (ex norme Cei e condizioni generali del contratto
di somministrazione di energia elettrica).
b) Le condizioni generali del contratto (art. 8) imponevano all'utente di consentire all'Enel, com'era suo diritto, di accede
re ai propri impianti ed apparecchi e pretestuosa fu quindi la
resistenza dello Scotti, edotto dai dipendenti dell'Enel; preavvi sato con la lettera pervenuta il 23 marzo 1985; in grado, volen
do, di chiedere ed ottenere informazioni ulteriori.
c) Il preavviso (ex art. 1565 c.c.) non richiede forme partico lari e la indicazione della data non è di per sé requisito indi
spensabile del preavviso. La lettera del 23 marzo 1985 preavvisa un nuovo accesso al
fine della installazione dei menzionati apparecchi. Ed un acces so durante l'orario di apertura dell'esercizio, ancorché non pre ceduto dalla comunicazione del giorno e dell'ora dell'accesso, avrebbe mantenuta inalterata la valenza di congruo preavviso della lettera predetta e legittimato la interruzione della fornitu
ra, ove ancora opposta dall'utente ingiustificata resistenza.
Tutto ciò considerato, è di tutta evidenza che la interruzione della fornitura, dall'esterno, durante le ore di chiusura dell'e
sercizio, è fatto dalla cui valutazione (omessa dal giudice del
merito) potrebbe discendere diversa decisione.
In materia — come ha avvertito attenta dottrina — bisogna aver riguardo alle singole circostanze del caso. Si tratta di indi
viduare il limite, oltrepassato il quale, la parte cade nella ritor sione e nella mala fede.
S'impone pertanto da parte del giudice di rinvio nuovo esame
delle risultanze processuali. La questione del danno risarcibile rimane assorbita.
La sentenza va cassata, con rinvio ad altro giudice designato in altra sezione del Tribunale di Napoli.
Il Foro Italiano — 1993.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 4 maggio
1993, n. 5184; Pres. Favara, Est. Grieco, P.M. (conci, conf.);
Soc. La vigile San Marco (Avv. D'Ayala Valva, Moschet
ti) c. Min. finanze (Avv. dello Stato La Porta). Cassa Comm.
trib. centrale 15 novembre 1988, n. 7621.
Valore aggiunto (imposta sul) — Operazioni esenti — Attività
di vigilanza e di scorta valori — Nozione (D.p.r. 26 ottobre
1972 n. 633, istituzione e disciplina dell'imposta sul valore
aggiunto, art. 10).
Rientra nell'attività di vigilanza di cui all'art. 10, n. 26, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 — e gode della esenzione dall'Iva pre
vista da tale norma — il trasporto di valori effettuato dai
soggetti autorizzati a norma di legge a svolgere attività di vi
gilanza, allorché la finalità di vigilanza rappresenta la vera
ragione di richiesta della prestazione. (1)
(1) I. - In relazione al trattamento ai fini Iva delle prestazioni di
vigilanza e scorta, due sono i problemi che nella pratica si sono posti: uno attinente all'ambito oggettivo dell'esenzione prevista dall'art. 10
(prima n. 19, ora n. 26) d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, l'altro al suo
ambito soggettivo. La corte espressamente affronta e risolve — per la prima volta, a
quanto consta — il primo problema, lasciandosi però sfuggire alcune
considerazioni che, se non fossero dei meri obiter dicta, potrebbero essere utilizzate per trarre conclusioni anche in ordine al secondo di questi.
Intorno all'ambito oggettivo dell'esenzione, l'amministrazione finan
ziaria si era ripetutamente pronunciata, escludendo che nella nozione
di «attività di vigilanza» potesse rientrare anche il trasporto dei valori:
cosi ris. 28 luglio 1979, n. 362034, Repertorio della prassi amministrati
va e della giurisprudenza, Piacenza, 1986, II, 2345; circ. 1° ottobre
1982, n. 75/332893, Fisco, 1982, 4470, emanata sulla scorta della nota
dell'avvocatura dello Stato 20 luglio 1981, n. 16218; ris. 9 dicembre
1982, n. 371571, id., 1983, 238; circ. 26 luglio 1986, n. 49, id., 1986,
4941; pertanto, per il ministero delle finanze, le prestazioni di trasporto dovevano comunque considerarsi assoggettate a tributo, anche se svolte
per finalità di vigilanza. Nel senso opposto — e, quindi, nel senso condiviso ora dalla Supre
ma corte — si erano però pronunciate le sezioni unite della Commissio
ne tributaria centrale (v. dee. 21 ottobre 1991, n. 6999, Foro it., Rep. 1991, voce Valore aggiunto (imposta sul), n. 150, sulla quale, cfr., in
senso critico, G. D'Agostino, Servizi trasporto e scorta valori. Esen
zione ex art. 10, n. 26, d.p.r. 633/72. Compete, in Fisco, 1992, 1071), chiamate a comporre il contrasto insorto nell'ambito di tale collegio
dopo che alla pronuncia 15 novembre 1988, n. 7621, ora cassata, aveva
fatto seguito la dee. 18 novembre 1988, n. 7751, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 104 e Rass. tributaria, 1989, II, 460, con nota — sostan zialmente adesiva — di Giontella, La Commissione tributaria centrale
fa giustizia di un consolidato orientamento dell'amministrazione finan ziaria: trasporto e scorta valori sono esenti da Iva, in cui si sosteneva la tesi dell'esenzione delle prestazioni di trasporto effettuate nell'ambito
di un servizio di vigilanza (ma in tale ultima decisione l'esenzione veni
va affermata (anche) mercé il richiamo all'art. 12 d.p.r. 633/72 in tema di prestazioni accessorie, e, quindi, seguendo un iter argomentativo non
perfettamente coincidente con quello svolto dalla sentenza in epigrafe); nel senso della esenzione delle attività di trasporto in parola, si era anche pronunciata Comm. trib. centrale 21 settembre 1990, n. 6033, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 124, nonché Comm. trib. I grado Palermo 16 dicembre 1981, id., Rep. 1982, voce cit., n. 124.
In dottrina, v. anche S. Di Ciaccia, Il servizio di trasporto e scorta valori è esente da Iva?, in Tributi, 1989, fase. 3, 97.
II. - Sul diverso problema — la cui soluzione non può non influire su quello appena trattato — dell'ambito soggettivo dell'esenzione de
qua, occorre ricordare che mentre il d.p.r. 633/72 originariamente pre vedeva (art. 10, n. 19) che l'esenzione competesse in caso di servizi di vigilanza effettuati da istituti di vigilanza (negli stessi termini, l'art.
10, n. 26, come disciplinato — dal 1° aprile 1979 — dal d.p.r. 29 gen naio 1979 n. 24), a seguito delle modifiche introdotte — con decorrenza 31 dicembre 1982 — dal d.l. 30 dicembre 1982 n. 953, convertito con
modificazioni nella 1. 28 febbraio 1983 n. 53, l'esenzione concerne ora «le prestazioni dei servizi di vigilanza o custodia di cui al r.d.l. 26 set tembre 1935 n. 1952».
La circostanza che tale r.d.l. disciplini il servizio delle guardie parti colari giurate e non anche degli istituti di vigilanza ha indotto l'ammini strazione finanziaria ad escludere che il beneficio dell'esenzione compe ta nel caso di prestazioni rese da tali ultimi soggetti: cosi ris. 4 maggio 1983, n. 341687, Fisco, 1983, 2579; 22 dicembre 1987, n. 460147, id., 1988, 974 (in argomento, v. anche ris. 16 novembre 1983, n. 343837, id., 1983, 5208).
Sul punto, la giurisprudenza non sembra avere assunto una posizione univoca: v. Comm. trib. I grado Reggio Calabria 9 novembre 1989, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 105, nel senso fatto proprio dalle
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Il ricorso è proposto contro la
decisione della Commissione tributaria centrale del 15 novem
bre 1988 che sulla impugnazione dell'amministrazione finanzia
ria dello Stato e del contribuente — La vigile San Marco —
in parziale riforma di quanto affermato dalla commissione tri
butaria di secondo grado, secondo cui l'imposta Iva era appli cabile al servizio relativo all'apertura e chiusura di posti telefo
nici Sip ed al rimborso spese per vitto delle «guardie» ed impie
go degli automezzi, accolse il ricorso dell'ufficio Iva di Venezia
dichiarando soggetto ad imposta sia il corrispettivo per l'attivi
tà di trasporto dei 'valori' che le spese rimborsate per il vitto,
per l'uso del telefono e per l'impiego degli automezzi, da parte delle guardie dipendenti, effettuate nel corso del servizio di vi
gilanza ai valori.
In particolare, la Commissione tributaria centrale ritenne che
i servizi su menzionati, in quanto effettuati «in occasione» del
lo svolgimento del servizio di vigilanza e scorta ma non «per
lo svolgimento» dello stesso, non essendo indispensabili alla at
tività di vigilanza, costituivano operazioni distinte ed indipen
denti escluse dalla esenzione di cui all'art. 10 d.p.r 633/72.
Ricorre per cassazione «La vigile San Marco» sulla base di
due motivi. Resiste con controricorso l'amministrazione finan
ziaria. V'è memoria della ricorrente.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, si denunzia
violazione e falsa applicazione dell'art. 10 d.p.r. 633/72, in re
lazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.; in subordine, omessa ed insuf
ficiente motivazione della decisione in relazione all'art. 360, n.
5, c.p.c. Assume la ricorrente che il servizio di trasporto e vigilanza
di valori si concreta in attività, strettamente connesse, in cui
le prestazioni concernono beni in movimento.
E, dunque, la normativa che esenta dall'imposta i servizi di
vigilanza effettuati da istituti autorizzati a svolgere esclusiva
mente tale attività non può essere interpretata in senso mera
mente letterale, scorporando, in una prestazione che è comples
sa, diverse componenti ma deve essere intesa unitariamente, va
lorizzando le finalità dei servizi.
Di conseguenza, l'affermazione della commissione secondo
cui a riprova della separazione tra le due attività (trasporto e
vigilanza) si porrebbe la considerazione che esse potrebbero es
sere svolte da soggetti diversi, non coglierebbe la peculiare ca
ratteristica del servizio e la sua specificità. Né, tra l'altro —
rileva ancora la ricorrente —, potrebbe trascurarsi il carattere
meramente accessorio dell'attività di trasporto nel contratto di
«scorta valori» sicché, per altro verso, resterebbe comunque esclu
sa la soggezione all'Iva ex art. 12 d.p.r. 633/72.
Ai fini dell'esenzione, poi, non sarebbe possibile scorporare
i costi dalle spese per il servizio né rilevare che la richiesta al
cliente sia stata effettuata a titolo di «rimborso».
Denunzia, infine, la ricorrente la insufficiente motivazione della
decisione laddove ha escluso che trasporto e spese necessarie
possano essere ricondotte nell'attività del servizio di vigilanza.
La censura è fondata avendo la Commissione tributaria cen
trale, nella decisione impugnata, erroneamente interpretato ed
applicato il dato normativo concernente la esenzione già previ
sta dall'art. 10, n. 26, d.p.r. 633/72 e successive modificazioni.
È opportuno rilevare che per l'art. 10, n. 26, d.p.r. 633/72,
dopo le disposizioni integrative e correttive di cui al d.p.r. n.
24 del 29 gennaio 1979, «le prestazioni di servizi di vigilanza
effettuati direttamente da istituti autorizzati ad esercitare esclu
sivamente tale attività» erano esenti dall'imposta.
predette risoluzioni ministeriali; contra, Comm. trib. I grado Torino
3 aprile 1985, id., Rep. 1985, voce cit., n. 110 e Bollettino trib., 1985,
1695, con nota di Gentilli, Sull'esenzione accordata alle prestazioni
dei servizi di vigilanza, che afferma che la norma di cui all'art. 10,
n. 26, d.p.r. 633/72, deve essere interpretata nel senso che l'esenzione
compete non solo alle prestazioni svolte dalle guardie giurate in pro
prio, ma anche a tutte le attività di vigilanza e custodia svolte dalle
guardie giurate comunque organizzate nelle varie forme previste dalla
legge e anche a favore degli istituti di vigilanza che ne organizzano il servizio stesso (tale ultimo orientamento sembra essere condiviso dal
la sentenza in epigrafe, li dove parla di «esenzione a favore degli istituti
autorizzati ad esercitare, con guardie giurate», l'attività di vigilanza).
In dottrina, sul punto, v. F. Tesauro, Osservazioni sulla portata del
la norma di esenzione dall'Iva dei servizi di vigilanza, in Bollettino trib.,
1983, 1049.
Il Foro Italiano — 1993.
Con il d.l. 30 dicembre 1982 n. 953, il n. 26 dell'art. 10 fu
soppresso. In sede di conversione, con l'art. 5 1. 28 febbraio 1983 n.
53 sono state apportate modificazioni al d.p.r. 633/72 e l'esen
zione dell'imposta è stata accordata, previa sostituzione del n.
26 dell'art. 10 d.p.r. 633/72, alle «prestazioni dei servizi di vigi lanza o custodia di cui al r.d.l. 26 settembre 1935 n. 1952».
Quest'ultimo provvedimento legislativo disciplinò il servizio delle
«guardie particolari giurate».
Orbene, è agevole costatare che il testo normativo — di per sé — non risolve i quesiti introdotti dalla vicenda che è stata
oggetto di esame della Commissione tributaria centrale la cui
decisione è impugnata innanzi alla corte di legittimità. È necessario, allora, per affermare o escludere la applicabili
tà dell'esenzione alle prestazioni dell'istituto ricorrente e/o per
determinarne i limiti, individuare la reale portata della norma.
Un'analisi effettuata con riferimento alle singole componenti
del servizio prestato dagli istituti, farebbe prendere atto della
pluralità di «cause» ed indurrebbe all'affermazione che la fatti
specie è riconducibile — nel più ampio quadro dei contratti ati
pici — nell'ambito dei contratti misti. La diversità delle «cau
se» preluderebbe alla loro fusione con la conseguenza di dover
individuare la disciplina applicabile alla stregua del criterio del
la «prevalenza». Tuttavia, individuare la disciplina applicabile in ragione della
«prevalenza» riconosciuta all'una o all'altra delle figure che com
pongono il contratto atipico non apporta elementi risolutivi alla
individuazione dei limiti della esenzione perché occorrerà sem
pre stabilire se la restrizione della agevolazione ai soggetti, al
lorché svolgono «servizio di vigilanza o custodia», comporti,
effettivamente, la non considerazione di quelle componenti che,
in via ordinaria, danno consistenza ad una figura tipica.
In definitiva, se — come sostiene la ricorrente — l'attività
di vigilanza costituisce l'unico reale scopo del contratto mentre
le modalità o le circostanze in cui la vigilanza si attua sono
affatto insignificanti. Ed invero, la distinzione posta dalla Commissione tributaria
centrale a base della interpretazione del dato normativo — pre
stazioni realizzate «in occasione» del servizio di vigilanza o cu
stodia distinte dalle prestazioni «necessarie allo svolgimento»
di quel servizio — è anche essa insufficiente a delineare i limiti
della esenzione nel senso che è, comunque, necessario accertare
se le attività svolte, nella fattispecie, da «La vigile San Marco»
s.r.l. siano riconducibili all'una o all'altra ipotesi («in occasio
ne»; «necessarie allo svolgimento»). Perché l'elemento da acquisire, essendo insufficiente l'affer
mazione che certe prestazioni effettuate per assicurare il servi
zio di vigilanza vanno considerate svolte «in occasione» e non
per «lo svolgimento» dell'attività, è, per l'appunto, la colloca
zione di quelle prestazioni (trasporto, ecc.).
Ed allora, l'unico criterio per la delimitazione dell'area di
esenzione è quello della finalità della richiesta del servizio che,
se ha riguardo anche al trasporto, è solo perché «in quel tem
po» occorre la vigilanza (o la scorta). In realtà, il richiedente del servizio domanda la vigilanza dei
valori — che può risolversi in attività di scorta — per un deter
minato tempo; ma è del tutto irrilevante, ai fini del riconosci
mento dell'esenzione, che in quel tempo si debba effettuare il
fisico spostamento dei valori da un luogo ad un altro. L'esigen
za del trasporto si atteggia, «in qualche misura», come il moti
vo della richiesta di vigilanza e scorta; epperciò giuridicamente
irrilevante. D'altra parte, che questo sia stato il principio che
ha guidato il legislatore traspare dal rilievo che il servizio di
vigilanza, attuato con la «scorta» dei valori attiene, di sicuro,
ad un servizio in movimento e se si è disposta la esenzione per
la vigilanza «con scorta», oltre che per la custodia, vuol dire
che la prima prestazione è esente anche per la componente che
attiene al trasporto.
Né, in contrario, vale l'obiezione che il trasporto potrebbe
essere effettuato da soggetto estraneo al rapporto di vigilanza
perché questo servizio — e non solo negli ultimi tempi — è
notoriamente svolto da istituti specializzati con attrezzature di
servizi e di personale (le cui esigenze attengono incontestabil
mente a quel servizio e godono, pertanto, del trattamento ad
esso accordato dal legislatore) e non può certo il legislatore aver
omesso di considerare la realtà inconfutabile che la vigilanza
che si attua necessariamente con la scorta dei valori è compiuta
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1827 PARTE PRIMA 1828
mente svolta nella sua interezza — in tutte le fasi — in ogni suo elemento, dal soggetto chiamato ad assicurare la vigilanza sui valori. Che siano trasportati, oppur no, ha insignificante rilevanza.
Va ribadito, quindi, che la limitazione della esenzione in fa
vore degli istituti autorizzati ad esercitare, con guardie giurate, tale attività non può essere riferita agli istituti in relazione al
l'attività diretta ad esercitare il solo «controllo» dei valori do
vendo, invece, ritenersi che resta «attività di vigilanza» anche
il trasporto di quei valori che i soggetti di cui al r.d.l. 1952/35
esercitano allorché la finalità di vigilanza rappresenta la vera
ragione di richiesta della prestazione, atteggiandosi, tutte le c.d.
prestazioni ulteriori, come elementi insignificanti ai fini dell'ap
plicazione dell'imposta perché è in sé insignificante, nella eco
nomia generale del contratto, il costo di quelle c.d. prestazioni ulteriori. Di esse, in realtà, quelle che nominalmente attengono al trasporto sono, in effetti, inerenti alla vigilanza (mezzi blin
dati, ecc.). Il secondo motivo — con cui si denunzia l'omesso esame del
le domande di riduzione dell'imponibile e di non applicazione delle sanzioni pecuniarie — è, all'evidenza, assorbito.
Il giudice di rinvio, nel nuovo esame che è chiamato ad effet
tuare, si atterrà ai principi esposti.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 21 aprile
1993, n. 4706; Pres. R. Sgroi, Est. Baldassarre, P.M. Di
Salvo (conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Pala
tiello) c. Bordoni. Conferma Comm. trib. centrale 24 otto
bre 1987, n. 7714.
Redditi (imposte sui) — Ilor — Collaboratore familiare — De duzioni (D.p.r. 29 settembre 1973 n. 599, istituzione e disci
plina dell'imposta locale sui redditi, art. 7).
La deduzione prevista, ai fini dell'Ilor, dall'art. 7 d.p.r. 29 set
tembre 1973 n. 599 può competere anche al collaboratore del
l'impresa familiare (nella specie, coniuge dell'imprenditore) che, prestando il proprio apporto di lavoro nella famiglia, in modo da soddisfare le esigenze domestiche e personali di
questa, solo indirettamente contribuisca all'attuazione dei fi ni di produzione e di scambio di beni e servizi propri del
l'impresa. (1)
(1) I. - La giurisprudenza tributaria è solita riconoscere al collabora tore dell'impresa familiare la deduzione prevista dall'art. 7 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 599, salvo l'accertamento in concreto delle condizioni
previste da tale norma («la deduzione si applica a condizione che il
soggetto presti la propria opera nell'impresa e tale prestazione costitui sca la sua occupazione prevalente»). Sul punto, v. Comm. trib. centrale 7 maggio 1991, n. 3593, Foro it., Rep. 1991, voce Redditi (imposte), n. 367 (per la quale lo svolgimento di un'attività di lavoro dipendente che richiede un impegno giornaliero di tre ore e che permette di dedi carsi all'attività nell'impresa familiare, che in termini di tempo e di
guadagno sia prevalente, non preclude il godimento della deduzione de
qua; analogamente, Comm. trib. 1 grado Reggio Emilia 16 gennaio 1987, Corriere trib., 1987, 866); Comm. trib. centrale 12 giugno 1990, n. 4596, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 570 (che ha escluso tale possibilità nel caso di un collaboratore familiare impiegato pubblico — nella spe cie, insegnante —; cosi anche Comm. trib. centrale 17 ottobre 1987, n. 7338, id., Rep. 1987, voce Tributi locali, n. 142); v. inoltre Comm. trib. I grado Belluno 20 febbraio 1981, id., Rep. 1981, voce cit., n. 215 e Fisco, 1981, 3175, con nota di Lambert.
II. - La sentenza in epigrafe — di cui non si rinvengono precedenti nella giurisprudenza della Suprema corte (v. però, per la giurisprudenza tributaria, in senso conforme, Comm. trib. centrale 7 novembre 1987, n. 8160, Foro it., Rep. 1988, voce Redditi (imposte), n. 522; 15 luglio 1987, n. 5619, id., Rep. 1987, voce Tributi locali, n. 145) — più specifi camente riconosce la spettanza della deduzione di cui all'art. 7 d.p.r.
Il Foro Italiano — 1993.
Svolgimento del processo. — Antonietta Bordoni — dopo aver
chiesto all'Intendente di finanza di Ancona il rimborso dell'Ilor
pagata per gli anni 1978 e 1979 sull'importo corrispondente alla
deduzione ex art. 7 d.p.r. 599/73, sostenendo che sono equiva lenti le prestazioni svolte prevalentemente nella famiglia e quel le svolte nell'impresa familiare — ricorreva avverso il silenzio
rifiuto al giudice tributario, vedendo accolto il ricorso da parte della commissione tributaria di primo grado, la cui decisione,
gravata dall'ufficio, era riformata dalla Commissione tributaria
di secondo grado di Ancona.
Infine la Commissione tributaria centrale, con la decisione
in epigrafe, ha accolto, in parte, il ricorso della contribuente.
La Commissione tributaria centrale, prendendo in esame un
punto che non è (e non era) in discussione, ha rilevato — e
si spiega cosi l'accoglimento parziale del ricorso — che i colla
boratori familiari sono titolari di un reddito d'impresa, prodot to in forma associata e che «esattamente l'impugnata decisione
ha concluso che il collaboratore familiare non può assimilarsi
al lavoratore subordinato od autonomo».
Non ha condiviso, invece, la decisione di secondo grado nella
parte in cui ha negato l'applicabilità della richiesta deduzione, osservando che l'attività economica dell'impresa familiare si svol
ge nell'ambito della famiglia, con pari dignità ed effetti, con
la conseguenza che il diniego darebbe luogo ad una ingiustifica ta discriminazione.
Il ministero delle finanze ricorre per cassazione sulla base di
un unico motivo, con atto ritualmente notificato all'intimata, che non resiste.
Motivi della decisione. — Il ministero ricorrente, denunzian
do violazione dell'art. 7 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 599, anche con riguardo all'art. 51 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, assume
che la deduzione di cui all'art. 7 ha natura personale, nel senso
che il contribuente ha diritto ad essa «a condizione... che presti la propria opera nell'impresa e tale prestazione costituisca la
sua occupazione prevalente», e che, pertanto, la casalinga non
ha diritto alla deduzione, pur se possiede un reddito di collabo ratrice dell'impresa familiare.
Osserva il collegio che la questione portata al suo esame ri
guarda periodi d'imposta anteriori all'entrata in vigore del d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917 e, in particolare, dell'art. 115, 2° com
ma, lett. c), in virtù del quale sono esclusi dall'imposta locale
sui redditi... «i redditi delle imprese familiari imputati ai fami liari collaboratori a norma del 4° comma dell'art. 5»; norma
quest'ultima che, disciplinando ai fini dell'Irpef l'imputazione del reddito ai familiari di cui all'art. 230 bis c.c., subordina
detta imputazione — e, in forza del richiamo contenuto nel
l'art. 115, l'esenzione dall'Ilor — alla prestazione in modo con
tinuativo e prevalente dell'attività di lavoro nell'impresa, pro porzionalmente alla quota di partecipazione agli utili del fami
liare contribuente.
Rileva inoltre che la contribuente non ha proposto impugna zione avverso il punto della decisione relativo alla negazione del diritto all'esenzione dall'Ilor, negazione tradotta, come si
599/73 anche al collaboratore dell'impresa familiare che — conforme mente alla previsione di cui all'art. 230 bis c.c. — presti la sua attività lavorativa nella famiglia (come la stessa sentenza ricorda, a seguito del l'entrata in vigore del d.l. 19 dicembre 1984 n. 853, convertito nella 1. 17 febbraio 1985 n. 17, l'unico apporto significativo agli effetti fiscali è ora quello destinato direttamente all'impresa).
In senso contrario è l'opinione del ministero delle finanze: v. ris. 26 marzo 1977, n. 7/789, inedita, ove si afferma che agli effetti dell'im
posta locale sui redditi, i redditi attribuiti ai collaboratori familiari pos sono essere decurtati della deduzione prevista dall'art. 7 d.p.r. 599/73 «solo se per il loro conseguimento l'attività sia prestata direttamente
nell'impresa e costituisca, inoltre, l'occupazione prevalente»; negli stes si termini è la nota 24 gennaio 1980, n. 7/874, Fisco, 1980, 650: sull'in
terpretazione ministeriale, v., in senso critico, Vinci-Gagliardi, Colla boratori di impresa familiare e Ilor: una risoluzione che non convince, id., 1981, 1625.
L'art. 7 d.p.r. 599/73 è stato trasfuso nell'art. 120 d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917: a seguito dell'entrata in vigore del d.p.r. n. 917 non si
pone comunque più un problema di ammissibilità della deduzione de
qua anche a beneficio dei collaboratori familiari atteso che il reddito di questi è stato definitivamente escluso dall'ambito applicativo dell'im
posta locale sui redditi (art. 115, 2° comma, lett. c): sull'applicazione retroattiva di tale disposizione, v. Cass. 10 agosto 1992, n. 9459, Foro it., 1992, I, 2358, con nota di richiami, e, più di recente, Cass. 30 marzo 1993, n. 3825, inedita.
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