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sezione I civile; sentenza 4 maggio 1993, n. 5184; Pres. Favara, Est. Grieco, P.M. (concl. conf.);...

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sezione I civile; sentenza 4 maggio 1993, n. 5184; Pres. Favara, Est. Grieco, P.M. (concl. conf.); Soc. La vigile San Marco (Avv. D'Ayala Valva, Moschetti) c. Min. finanze (Avv. dello Stato La Porta). Cassa Comm. trib. centrale 15 novembre 1988, n. 7621 Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 6 (GIUGNO 1993), pp. 1823/1824-1827/1828 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23188090 . Accessed: 25/06/2014 06:09 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.214 on Wed, 25 Jun 2014 06:09:07 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 4 maggio 1993, n. 5184; Pres. Favara, Est. Grieco, P.M. (concl. conf.);Soc. La vigile San Marco (Avv. D'Ayala Valva, Moschetti) c. Min. finanze (Avv. dello Stato LaPorta). Cassa Comm. trib. centrale 15 novembre 1988, n. 7621Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 6 (GIUGNO 1993), pp. 1823/1824-1827/1828Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188090 .

Accessed: 25/06/2014 06:09

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1823 PARTE PRIMA 1824

Il motivo è fondato in base e nei limiti dei rilievi che seguono.

Con il contratto di somministrazione di energia elettrica per

l'illuminazione privata — come quello tra le parti — l'ente si

obbliga verso corrispettivo di un prezzo, alla erogazione conti

nuativa di energia elettrica (art. 1559 c.c.). A norma dell'art. 11 delle condizioni generali del contratto

(cui fa specifico riferimento il motivo di ricorso) l'ente può so

spendere la fornitura per ogni inadempienza dell'utente, anche

relativa a precedenti forniture cessate, addebitando le spese, ecc.

La cennata condizione generale del contratto non deroga alla

norma dell'art. 1565 c.c., per cui se la parte che ha diritto alla

somministrazione è inadempiente e l'inadempimento è di lieve

entità, il somministrante non può sospendere l'esecuzione del

contratto senza dare congruo preavviso. La norma dell'art. 1565 c.c., allargando la sfera di applica

zione dell'art. 1460 c.c. a vantaggio del somministrante, gli con

sente la sospensione dell'erogazione anche se l'inadempimento sia di lieve entità, salvo congruo preavviso.

Rettamente, il tribunale accogliendo il primo motivo di ap

pello ha escluso che l'inadempimento dell'utente dovesse rive

stire carattere di gravità per legittimare la sospensione della for

nitura.

Ciò posto, vanno riassunti i fatti rilevanti.

La lettera dell'Enel, pervenuta allo Scotti il 23 marzo 1985, fu preceduta da richieste in loco all'interessato di consentire

l'immediato accesso al locale, al fine della regolarizzazione, ri

chieste che incontrarono la viva resistenza dello Scotti.

Con la lettera predetta l'Enel preavverti — senza precisare

giorno ed ora dell'accesso — che sarebbe stato regolarizzato il complesso di misura, installando un contatore per l'energia attiva ed un interruttore limitatore dei prelievi di potenza; che

l'ufficio commerciale era a disposizione per qualsiasi chiarimento

dovesse occorrere.

La interruzione della erogazione avvenne il 25 marzo 1985

alle ore 16 durante le ore di chiusura dell'esercizio.

La circostanza non è contestata. Figura nella narrativa della

sentenza impugnata e trova conferma in relazione alla questio ne della liquidazione del danno.

La circostanza costituisce specifico profilo di censura («L'ab normità ... è stato ritenuto . . . legittimo e corretto il potere dell'Enel di sospendere e subdolamente interrompere dall'ester

no, profittando della chiusura pomeridiana, l'erogazione di ener

gia . . .») e rappresenta, sotto il profilo del vizio di motivazio

ne, punto decisivo della controversia.

Invero in base agli accertamenti e valutazioni del giudice del

merito:

a) Va ritenuto il diritto dell'Enel di installare il limitatore

di potenza (ex norme Cei e condizioni generali del contratto

di somministrazione di energia elettrica).

b) Le condizioni generali del contratto (art. 8) imponevano all'utente di consentire all'Enel, com'era suo diritto, di accede

re ai propri impianti ed apparecchi e pretestuosa fu quindi la

resistenza dello Scotti, edotto dai dipendenti dell'Enel; preavvi sato con la lettera pervenuta il 23 marzo 1985; in grado, volen

do, di chiedere ed ottenere informazioni ulteriori.

c) Il preavviso (ex art. 1565 c.c.) non richiede forme partico lari e la indicazione della data non è di per sé requisito indi

spensabile del preavviso. La lettera del 23 marzo 1985 preavvisa un nuovo accesso al

fine della installazione dei menzionati apparecchi. Ed un acces so durante l'orario di apertura dell'esercizio, ancorché non pre ceduto dalla comunicazione del giorno e dell'ora dell'accesso, avrebbe mantenuta inalterata la valenza di congruo preavviso della lettera predetta e legittimato la interruzione della fornitu

ra, ove ancora opposta dall'utente ingiustificata resistenza.

Tutto ciò considerato, è di tutta evidenza che la interruzione della fornitura, dall'esterno, durante le ore di chiusura dell'e

sercizio, è fatto dalla cui valutazione (omessa dal giudice del

merito) potrebbe discendere diversa decisione.

In materia — come ha avvertito attenta dottrina — bisogna aver riguardo alle singole circostanze del caso. Si tratta di indi

viduare il limite, oltrepassato il quale, la parte cade nella ritor sione e nella mala fede.

S'impone pertanto da parte del giudice di rinvio nuovo esame

delle risultanze processuali. La questione del danno risarcibile rimane assorbita.

La sentenza va cassata, con rinvio ad altro giudice designato in altra sezione del Tribunale di Napoli.

Il Foro Italiano — 1993.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 4 maggio

1993, n. 5184; Pres. Favara, Est. Grieco, P.M. (conci, conf.);

Soc. La vigile San Marco (Avv. D'Ayala Valva, Moschet

ti) c. Min. finanze (Avv. dello Stato La Porta). Cassa Comm.

trib. centrale 15 novembre 1988, n. 7621.

Valore aggiunto (imposta sul) — Operazioni esenti — Attività

di vigilanza e di scorta valori — Nozione (D.p.r. 26 ottobre

1972 n. 633, istituzione e disciplina dell'imposta sul valore

aggiunto, art. 10).

Rientra nell'attività di vigilanza di cui all'art. 10, n. 26, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 — e gode della esenzione dall'Iva pre

vista da tale norma — il trasporto di valori effettuato dai

soggetti autorizzati a norma di legge a svolgere attività di vi

gilanza, allorché la finalità di vigilanza rappresenta la vera

ragione di richiesta della prestazione. (1)

(1) I. - In relazione al trattamento ai fini Iva delle prestazioni di

vigilanza e scorta, due sono i problemi che nella pratica si sono posti: uno attinente all'ambito oggettivo dell'esenzione prevista dall'art. 10

(prima n. 19, ora n. 26) d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, l'altro al suo

ambito soggettivo. La corte espressamente affronta e risolve — per la prima volta, a

quanto consta — il primo problema, lasciandosi però sfuggire alcune

considerazioni che, se non fossero dei meri obiter dicta, potrebbero essere utilizzate per trarre conclusioni anche in ordine al secondo di questi.

Intorno all'ambito oggettivo dell'esenzione, l'amministrazione finan

ziaria si era ripetutamente pronunciata, escludendo che nella nozione

di «attività di vigilanza» potesse rientrare anche il trasporto dei valori:

cosi ris. 28 luglio 1979, n. 362034, Repertorio della prassi amministrati

va e della giurisprudenza, Piacenza, 1986, II, 2345; circ. 1° ottobre

1982, n. 75/332893, Fisco, 1982, 4470, emanata sulla scorta della nota

dell'avvocatura dello Stato 20 luglio 1981, n. 16218; ris. 9 dicembre

1982, n. 371571, id., 1983, 238; circ. 26 luglio 1986, n. 49, id., 1986,

4941; pertanto, per il ministero delle finanze, le prestazioni di trasporto dovevano comunque considerarsi assoggettate a tributo, anche se svolte

per finalità di vigilanza. Nel senso opposto — e, quindi, nel senso condiviso ora dalla Supre

ma corte — si erano però pronunciate le sezioni unite della Commissio

ne tributaria centrale (v. dee. 21 ottobre 1991, n. 6999, Foro it., Rep. 1991, voce Valore aggiunto (imposta sul), n. 150, sulla quale, cfr., in

senso critico, G. D'Agostino, Servizi trasporto e scorta valori. Esen

zione ex art. 10, n. 26, d.p.r. 633/72. Compete, in Fisco, 1992, 1071), chiamate a comporre il contrasto insorto nell'ambito di tale collegio

dopo che alla pronuncia 15 novembre 1988, n. 7621, ora cassata, aveva

fatto seguito la dee. 18 novembre 1988, n. 7751, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 104 e Rass. tributaria, 1989, II, 460, con nota — sostan zialmente adesiva — di Giontella, La Commissione tributaria centrale

fa giustizia di un consolidato orientamento dell'amministrazione finan ziaria: trasporto e scorta valori sono esenti da Iva, in cui si sosteneva la tesi dell'esenzione delle prestazioni di trasporto effettuate nell'ambito

di un servizio di vigilanza (ma in tale ultima decisione l'esenzione veni

va affermata (anche) mercé il richiamo all'art. 12 d.p.r. 633/72 in tema di prestazioni accessorie, e, quindi, seguendo un iter argomentativo non

perfettamente coincidente con quello svolto dalla sentenza in epigrafe); nel senso della esenzione delle attività di trasporto in parola, si era anche pronunciata Comm. trib. centrale 21 settembre 1990, n. 6033, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 124, nonché Comm. trib. I grado Palermo 16 dicembre 1981, id., Rep. 1982, voce cit., n. 124.

In dottrina, v. anche S. Di Ciaccia, Il servizio di trasporto e scorta valori è esente da Iva?, in Tributi, 1989, fase. 3, 97.

II. - Sul diverso problema — la cui soluzione non può non influire su quello appena trattato — dell'ambito soggettivo dell'esenzione de

qua, occorre ricordare che mentre il d.p.r. 633/72 originariamente pre vedeva (art. 10, n. 19) che l'esenzione competesse in caso di servizi di vigilanza effettuati da istituti di vigilanza (negli stessi termini, l'art.

10, n. 26, come disciplinato — dal 1° aprile 1979 — dal d.p.r. 29 gen naio 1979 n. 24), a seguito delle modifiche introdotte — con decorrenza 31 dicembre 1982 — dal d.l. 30 dicembre 1982 n. 953, convertito con

modificazioni nella 1. 28 febbraio 1983 n. 53, l'esenzione concerne ora «le prestazioni dei servizi di vigilanza o custodia di cui al r.d.l. 26 set tembre 1935 n. 1952».

La circostanza che tale r.d.l. disciplini il servizio delle guardie parti colari giurate e non anche degli istituti di vigilanza ha indotto l'ammini strazione finanziaria ad escludere che il beneficio dell'esenzione compe ta nel caso di prestazioni rese da tali ultimi soggetti: cosi ris. 4 maggio 1983, n. 341687, Fisco, 1983, 2579; 22 dicembre 1987, n. 460147, id., 1988, 974 (in argomento, v. anche ris. 16 novembre 1983, n. 343837, id., 1983, 5208).

Sul punto, la giurisprudenza non sembra avere assunto una posizione univoca: v. Comm. trib. I grado Reggio Calabria 9 novembre 1989, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 105, nel senso fatto proprio dalle

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Il ricorso è proposto contro la

decisione della Commissione tributaria centrale del 15 novem

bre 1988 che sulla impugnazione dell'amministrazione finanzia

ria dello Stato e del contribuente — La vigile San Marco —

in parziale riforma di quanto affermato dalla commissione tri

butaria di secondo grado, secondo cui l'imposta Iva era appli cabile al servizio relativo all'apertura e chiusura di posti telefo

nici Sip ed al rimborso spese per vitto delle «guardie» ed impie

go degli automezzi, accolse il ricorso dell'ufficio Iva di Venezia

dichiarando soggetto ad imposta sia il corrispettivo per l'attivi

tà di trasporto dei 'valori' che le spese rimborsate per il vitto,

per l'uso del telefono e per l'impiego degli automezzi, da parte delle guardie dipendenti, effettuate nel corso del servizio di vi

gilanza ai valori.

In particolare, la Commissione tributaria centrale ritenne che

i servizi su menzionati, in quanto effettuati «in occasione» del

lo svolgimento del servizio di vigilanza e scorta ma non «per

lo svolgimento» dello stesso, non essendo indispensabili alla at

tività di vigilanza, costituivano operazioni distinte ed indipen

denti escluse dalla esenzione di cui all'art. 10 d.p.r 633/72.

Ricorre per cassazione «La vigile San Marco» sulla base di

due motivi. Resiste con controricorso l'amministrazione finan

ziaria. V'è memoria della ricorrente.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo, si denunzia

violazione e falsa applicazione dell'art. 10 d.p.r. 633/72, in re

lazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.; in subordine, omessa ed insuf

ficiente motivazione della decisione in relazione all'art. 360, n.

5, c.p.c. Assume la ricorrente che il servizio di trasporto e vigilanza

di valori si concreta in attività, strettamente connesse, in cui

le prestazioni concernono beni in movimento.

E, dunque, la normativa che esenta dall'imposta i servizi di

vigilanza effettuati da istituti autorizzati a svolgere esclusiva

mente tale attività non può essere interpretata in senso mera

mente letterale, scorporando, in una prestazione che è comples

sa, diverse componenti ma deve essere intesa unitariamente, va

lorizzando le finalità dei servizi.

Di conseguenza, l'affermazione della commissione secondo

cui a riprova della separazione tra le due attività (trasporto e

vigilanza) si porrebbe la considerazione che esse potrebbero es

sere svolte da soggetti diversi, non coglierebbe la peculiare ca

ratteristica del servizio e la sua specificità. Né, tra l'altro —

rileva ancora la ricorrente —, potrebbe trascurarsi il carattere

meramente accessorio dell'attività di trasporto nel contratto di

«scorta valori» sicché, per altro verso, resterebbe comunque esclu

sa la soggezione all'Iva ex art. 12 d.p.r. 633/72.

Ai fini dell'esenzione, poi, non sarebbe possibile scorporare

i costi dalle spese per il servizio né rilevare che la richiesta al

cliente sia stata effettuata a titolo di «rimborso».

Denunzia, infine, la ricorrente la insufficiente motivazione della

decisione laddove ha escluso che trasporto e spese necessarie

possano essere ricondotte nell'attività del servizio di vigilanza.

La censura è fondata avendo la Commissione tributaria cen

trale, nella decisione impugnata, erroneamente interpretato ed

applicato il dato normativo concernente la esenzione già previ

sta dall'art. 10, n. 26, d.p.r. 633/72 e successive modificazioni.

È opportuno rilevare che per l'art. 10, n. 26, d.p.r. 633/72,

dopo le disposizioni integrative e correttive di cui al d.p.r. n.

24 del 29 gennaio 1979, «le prestazioni di servizi di vigilanza

effettuati direttamente da istituti autorizzati ad esercitare esclu

sivamente tale attività» erano esenti dall'imposta.

predette risoluzioni ministeriali; contra, Comm. trib. I grado Torino

3 aprile 1985, id., Rep. 1985, voce cit., n. 110 e Bollettino trib., 1985,

1695, con nota di Gentilli, Sull'esenzione accordata alle prestazioni

dei servizi di vigilanza, che afferma che la norma di cui all'art. 10,

n. 26, d.p.r. 633/72, deve essere interpretata nel senso che l'esenzione

compete non solo alle prestazioni svolte dalle guardie giurate in pro

prio, ma anche a tutte le attività di vigilanza e custodia svolte dalle

guardie giurate comunque organizzate nelle varie forme previste dalla

legge e anche a favore degli istituti di vigilanza che ne organizzano il servizio stesso (tale ultimo orientamento sembra essere condiviso dal

la sentenza in epigrafe, li dove parla di «esenzione a favore degli istituti

autorizzati ad esercitare, con guardie giurate», l'attività di vigilanza).

In dottrina, sul punto, v. F. Tesauro, Osservazioni sulla portata del

la norma di esenzione dall'Iva dei servizi di vigilanza, in Bollettino trib.,

1983, 1049.

Il Foro Italiano — 1993.

Con il d.l. 30 dicembre 1982 n. 953, il n. 26 dell'art. 10 fu

soppresso. In sede di conversione, con l'art. 5 1. 28 febbraio 1983 n.

53 sono state apportate modificazioni al d.p.r. 633/72 e l'esen

zione dell'imposta è stata accordata, previa sostituzione del n.

26 dell'art. 10 d.p.r. 633/72, alle «prestazioni dei servizi di vigi lanza o custodia di cui al r.d.l. 26 settembre 1935 n. 1952».

Quest'ultimo provvedimento legislativo disciplinò il servizio delle

«guardie particolari giurate».

Orbene, è agevole costatare che il testo normativo — di per sé — non risolve i quesiti introdotti dalla vicenda che è stata

oggetto di esame della Commissione tributaria centrale la cui

decisione è impugnata innanzi alla corte di legittimità. È necessario, allora, per affermare o escludere la applicabili

tà dell'esenzione alle prestazioni dell'istituto ricorrente e/o per

determinarne i limiti, individuare la reale portata della norma.

Un'analisi effettuata con riferimento alle singole componenti

del servizio prestato dagli istituti, farebbe prendere atto della

pluralità di «cause» ed indurrebbe all'affermazione che la fatti

specie è riconducibile — nel più ampio quadro dei contratti ati

pici — nell'ambito dei contratti misti. La diversità delle «cau

se» preluderebbe alla loro fusione con la conseguenza di dover

individuare la disciplina applicabile alla stregua del criterio del

la «prevalenza». Tuttavia, individuare la disciplina applicabile in ragione della

«prevalenza» riconosciuta all'una o all'altra delle figure che com

pongono il contratto atipico non apporta elementi risolutivi alla

individuazione dei limiti della esenzione perché occorrerà sem

pre stabilire se la restrizione della agevolazione ai soggetti, al

lorché svolgono «servizio di vigilanza o custodia», comporti,

effettivamente, la non considerazione di quelle componenti che,

in via ordinaria, danno consistenza ad una figura tipica.

In definitiva, se — come sostiene la ricorrente — l'attività

di vigilanza costituisce l'unico reale scopo del contratto mentre

le modalità o le circostanze in cui la vigilanza si attua sono

affatto insignificanti. Ed invero, la distinzione posta dalla Commissione tributaria

centrale a base della interpretazione del dato normativo — pre

stazioni realizzate «in occasione» del servizio di vigilanza o cu

stodia distinte dalle prestazioni «necessarie allo svolgimento»

di quel servizio — è anche essa insufficiente a delineare i limiti

della esenzione nel senso che è, comunque, necessario accertare

se le attività svolte, nella fattispecie, da «La vigile San Marco»

s.r.l. siano riconducibili all'una o all'altra ipotesi («in occasio

ne»; «necessarie allo svolgimento»). Perché l'elemento da acquisire, essendo insufficiente l'affer

mazione che certe prestazioni effettuate per assicurare il servi

zio di vigilanza vanno considerate svolte «in occasione» e non

per «lo svolgimento» dell'attività, è, per l'appunto, la colloca

zione di quelle prestazioni (trasporto, ecc.).

Ed allora, l'unico criterio per la delimitazione dell'area di

esenzione è quello della finalità della richiesta del servizio che,

se ha riguardo anche al trasporto, è solo perché «in quel tem

po» occorre la vigilanza (o la scorta). In realtà, il richiedente del servizio domanda la vigilanza dei

valori — che può risolversi in attività di scorta — per un deter

minato tempo; ma è del tutto irrilevante, ai fini del riconosci

mento dell'esenzione, che in quel tempo si debba effettuare il

fisico spostamento dei valori da un luogo ad un altro. L'esigen

za del trasporto si atteggia, «in qualche misura», come il moti

vo della richiesta di vigilanza e scorta; epperciò giuridicamente

irrilevante. D'altra parte, che questo sia stato il principio che

ha guidato il legislatore traspare dal rilievo che il servizio di

vigilanza, attuato con la «scorta» dei valori attiene, di sicuro,

ad un servizio in movimento e se si è disposta la esenzione per

la vigilanza «con scorta», oltre che per la custodia, vuol dire

che la prima prestazione è esente anche per la componente che

attiene al trasporto.

Né, in contrario, vale l'obiezione che il trasporto potrebbe

essere effettuato da soggetto estraneo al rapporto di vigilanza

perché questo servizio — e non solo negli ultimi tempi — è

notoriamente svolto da istituti specializzati con attrezzature di

servizi e di personale (le cui esigenze attengono incontestabil

mente a quel servizio e godono, pertanto, del trattamento ad

esso accordato dal legislatore) e non può certo il legislatore aver

omesso di considerare la realtà inconfutabile che la vigilanza

che si attua necessariamente con la scorta dei valori è compiuta

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1827 PARTE PRIMA 1828

mente svolta nella sua interezza — in tutte le fasi — in ogni suo elemento, dal soggetto chiamato ad assicurare la vigilanza sui valori. Che siano trasportati, oppur no, ha insignificante rilevanza.

Va ribadito, quindi, che la limitazione della esenzione in fa

vore degli istituti autorizzati ad esercitare, con guardie giurate, tale attività non può essere riferita agli istituti in relazione al

l'attività diretta ad esercitare il solo «controllo» dei valori do

vendo, invece, ritenersi che resta «attività di vigilanza» anche

il trasporto di quei valori che i soggetti di cui al r.d.l. 1952/35

esercitano allorché la finalità di vigilanza rappresenta la vera

ragione di richiesta della prestazione, atteggiandosi, tutte le c.d.

prestazioni ulteriori, come elementi insignificanti ai fini dell'ap

plicazione dell'imposta perché è in sé insignificante, nella eco

nomia generale del contratto, il costo di quelle c.d. prestazioni ulteriori. Di esse, in realtà, quelle che nominalmente attengono al trasporto sono, in effetti, inerenti alla vigilanza (mezzi blin

dati, ecc.). Il secondo motivo — con cui si denunzia l'omesso esame del

le domande di riduzione dell'imponibile e di non applicazione delle sanzioni pecuniarie — è, all'evidenza, assorbito.

Il giudice di rinvio, nel nuovo esame che è chiamato ad effet

tuare, si atterrà ai principi esposti.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 21 aprile

1993, n. 4706; Pres. R. Sgroi, Est. Baldassarre, P.M. Di

Salvo (conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Pala

tiello) c. Bordoni. Conferma Comm. trib. centrale 24 otto

bre 1987, n. 7714.

Redditi (imposte sui) — Ilor — Collaboratore familiare — De duzioni (D.p.r. 29 settembre 1973 n. 599, istituzione e disci

plina dell'imposta locale sui redditi, art. 7).

La deduzione prevista, ai fini dell'Ilor, dall'art. 7 d.p.r. 29 set

tembre 1973 n. 599 può competere anche al collaboratore del

l'impresa familiare (nella specie, coniuge dell'imprenditore) che, prestando il proprio apporto di lavoro nella famiglia, in modo da soddisfare le esigenze domestiche e personali di

questa, solo indirettamente contribuisca all'attuazione dei fi ni di produzione e di scambio di beni e servizi propri del

l'impresa. (1)

(1) I. - La giurisprudenza tributaria è solita riconoscere al collabora tore dell'impresa familiare la deduzione prevista dall'art. 7 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 599, salvo l'accertamento in concreto delle condizioni

previste da tale norma («la deduzione si applica a condizione che il

soggetto presti la propria opera nell'impresa e tale prestazione costitui sca la sua occupazione prevalente»). Sul punto, v. Comm. trib. centrale 7 maggio 1991, n. 3593, Foro it., Rep. 1991, voce Redditi (imposte), n. 367 (per la quale lo svolgimento di un'attività di lavoro dipendente che richiede un impegno giornaliero di tre ore e che permette di dedi carsi all'attività nell'impresa familiare, che in termini di tempo e di

guadagno sia prevalente, non preclude il godimento della deduzione de

qua; analogamente, Comm. trib. 1 grado Reggio Emilia 16 gennaio 1987, Corriere trib., 1987, 866); Comm. trib. centrale 12 giugno 1990, n. 4596, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 570 (che ha escluso tale possibilità nel caso di un collaboratore familiare impiegato pubblico — nella spe cie, insegnante —; cosi anche Comm. trib. centrale 17 ottobre 1987, n. 7338, id., Rep. 1987, voce Tributi locali, n. 142); v. inoltre Comm. trib. I grado Belluno 20 febbraio 1981, id., Rep. 1981, voce cit., n. 215 e Fisco, 1981, 3175, con nota di Lambert.

II. - La sentenza in epigrafe — di cui non si rinvengono precedenti nella giurisprudenza della Suprema corte (v. però, per la giurisprudenza tributaria, in senso conforme, Comm. trib. centrale 7 novembre 1987, n. 8160, Foro it., Rep. 1988, voce Redditi (imposte), n. 522; 15 luglio 1987, n. 5619, id., Rep. 1987, voce Tributi locali, n. 145) — più specifi camente riconosce la spettanza della deduzione di cui all'art. 7 d.p.r.

Il Foro Italiano — 1993.

Svolgimento del processo. — Antonietta Bordoni — dopo aver

chiesto all'Intendente di finanza di Ancona il rimborso dell'Ilor

pagata per gli anni 1978 e 1979 sull'importo corrispondente alla

deduzione ex art. 7 d.p.r. 599/73, sostenendo che sono equiva lenti le prestazioni svolte prevalentemente nella famiglia e quel le svolte nell'impresa familiare — ricorreva avverso il silenzio

rifiuto al giudice tributario, vedendo accolto il ricorso da parte della commissione tributaria di primo grado, la cui decisione,

gravata dall'ufficio, era riformata dalla Commissione tributaria

di secondo grado di Ancona.

Infine la Commissione tributaria centrale, con la decisione

in epigrafe, ha accolto, in parte, il ricorso della contribuente.

La Commissione tributaria centrale, prendendo in esame un

punto che non è (e non era) in discussione, ha rilevato — e

si spiega cosi l'accoglimento parziale del ricorso — che i colla

boratori familiari sono titolari di un reddito d'impresa, prodot to in forma associata e che «esattamente l'impugnata decisione

ha concluso che il collaboratore familiare non può assimilarsi

al lavoratore subordinato od autonomo».

Non ha condiviso, invece, la decisione di secondo grado nella

parte in cui ha negato l'applicabilità della richiesta deduzione, osservando che l'attività economica dell'impresa familiare si svol

ge nell'ambito della famiglia, con pari dignità ed effetti, con

la conseguenza che il diniego darebbe luogo ad una ingiustifica ta discriminazione.

Il ministero delle finanze ricorre per cassazione sulla base di

un unico motivo, con atto ritualmente notificato all'intimata, che non resiste.

Motivi della decisione. — Il ministero ricorrente, denunzian

do violazione dell'art. 7 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 599, anche con riguardo all'art. 51 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, assume

che la deduzione di cui all'art. 7 ha natura personale, nel senso

che il contribuente ha diritto ad essa «a condizione... che presti la propria opera nell'impresa e tale prestazione costituisca la

sua occupazione prevalente», e che, pertanto, la casalinga non

ha diritto alla deduzione, pur se possiede un reddito di collabo ratrice dell'impresa familiare.

Osserva il collegio che la questione portata al suo esame ri

guarda periodi d'imposta anteriori all'entrata in vigore del d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917 e, in particolare, dell'art. 115, 2° com

ma, lett. c), in virtù del quale sono esclusi dall'imposta locale

sui redditi... «i redditi delle imprese familiari imputati ai fami liari collaboratori a norma del 4° comma dell'art. 5»; norma

quest'ultima che, disciplinando ai fini dell'Irpef l'imputazione del reddito ai familiari di cui all'art. 230 bis c.c., subordina

detta imputazione — e, in forza del richiamo contenuto nel

l'art. 115, l'esenzione dall'Ilor — alla prestazione in modo con

tinuativo e prevalente dell'attività di lavoro nell'impresa, pro porzionalmente alla quota di partecipazione agli utili del fami

liare contribuente.

Rileva inoltre che la contribuente non ha proposto impugna zione avverso il punto della decisione relativo alla negazione del diritto all'esenzione dall'Ilor, negazione tradotta, come si

599/73 anche al collaboratore dell'impresa familiare che — conforme mente alla previsione di cui all'art. 230 bis c.c. — presti la sua attività lavorativa nella famiglia (come la stessa sentenza ricorda, a seguito del l'entrata in vigore del d.l. 19 dicembre 1984 n. 853, convertito nella 1. 17 febbraio 1985 n. 17, l'unico apporto significativo agli effetti fiscali è ora quello destinato direttamente all'impresa).

In senso contrario è l'opinione del ministero delle finanze: v. ris. 26 marzo 1977, n. 7/789, inedita, ove si afferma che agli effetti dell'im

posta locale sui redditi, i redditi attribuiti ai collaboratori familiari pos sono essere decurtati della deduzione prevista dall'art. 7 d.p.r. 599/73 «solo se per il loro conseguimento l'attività sia prestata direttamente

nell'impresa e costituisca, inoltre, l'occupazione prevalente»; negli stes si termini è la nota 24 gennaio 1980, n. 7/874, Fisco, 1980, 650: sull'in

terpretazione ministeriale, v., in senso critico, Vinci-Gagliardi, Colla boratori di impresa familiare e Ilor: una risoluzione che non convince, id., 1981, 1625.

L'art. 7 d.p.r. 599/73 è stato trasfuso nell'art. 120 d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917: a seguito dell'entrata in vigore del d.p.r. n. 917 non si

pone comunque più un problema di ammissibilità della deduzione de

qua anche a beneficio dei collaboratori familiari atteso che il reddito di questi è stato definitivamente escluso dall'ambito applicativo dell'im

posta locale sui redditi (art. 115, 2° comma, lett. c): sull'applicazione retroattiva di tale disposizione, v. Cass. 10 agosto 1992, n. 9459, Foro it., 1992, I, 2358, con nota di richiami, e, più di recente, Cass. 30 marzo 1993, n. 3825, inedita.

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