Sezione I civile; sentenza 5 agosto 1959, n. 2455; Pres. Lonardo P., Est. Arienzo, P. M. Cutrupia(concl. conf.); I.n.a. (Avv. Gasperoni) c. La Grotta (Avv. Libonati)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 11 (1960), pp. 1983/1984-1989/1990Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151107 .
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1983 PARTE PRIMA 1984
particolarmente, per tutte, nella motivazione, la sentenza n. 775 del 1953, dianzi citata), che la tutela della buona fede del terzo acquirente dall'erede apparente, stabilita
dal 2° comma dell'art. 534 cod. civ., non sia applicabile tutte le volte in cui l'errore del terzo sia dipeso dall'omis
sione, da parte sua, della normale diligenza in ordine
all'accertamento della reale situazione giuridica. Col secondo mezzo, come si è detto, il ricorrente
sostiene invece, che, anche nel caso previsto dal 2° comma
dell'art. 534, gli effetti della buona fede sono esclusi sol tanto dalla colpa grave, secondo quanto è espressamente stabilito dallo stesso codice civile, sia pure con diretto
riferimento ad altra fattispecie, negli art. 535, ult. comma, e 1147, 2° comma, avendo il principio enunciato in codeste norme carattere generale.
Il Collegio ritiene esatto il principio affermato dalla
Corte di merito. Tuttavia non si sofferma nell'esporre le
ragioni che ne suffragano la fondatezza (per cui è sufficiente
riportarsi alla pregressa giurisprudenza sulla buona fede di questa Corte, risultante da numerose sentenze anche successive a quella del 1953 sopramenzionata), per l'assor bente considerazione che la Corte fiorentina, pur avendo affermato in via generale che, nel caso previsto dall'art.
534, la buona fede del terzo non giova se l'errore è dipeso anche solo da colpa lieve, essa ritenne poi in concreto che nella specie l'errore del Lombardi era dipeso da colpa grave, in quanto il Lombardi stesso era incorso in « grave negligenza », per non aver svolto una sia pur « minima
indagine » nell'ambiente in cui il Magherini Graziani era vissuto nel 1945 ed in cui, essendo l'avveramento della condizione risolutiva universalmente noto, egli evrebbe
potuto assai agevolmente aver notizia di quell'avvera mento.
Pertanto sarebbe ultronea ogni altra discussione giuri dica, che, peraltro, neppure i difensori delle parti hanno creduto di sviluppare, su quel contrario principio da essi soltanto accennato come avente carattere generale.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 5 agosto 1959, n. 2455 ; Pres. Lonardo P., Est. Arienzo, P. M. Cutrupia (conci, conf.) ; i.n.a. (Avv. Gasperoni) c. La Grotta (Avv.
Libonati).
(Gassa App. Roma 20 luglio 1957)
Assicurazione (contratto) — Reticenze dell'assicu rato — Sinistro verificatosi prima dei tre mesi della loro conoscenza — Diritti dell'assicuratore
(Cod. civ., art. 1892). Assicurazione (contratto) — Reticenze dell'assicu
rato —- Dolo — Nozione (Cod. civ., art. 1892). Assicurazione (contratto) —- Reticenze dell'assicu
rato —- Clausola di incontestabilità — Malafede —
Nozione.
Assicurazione (contratto) — Reticenze dell'assicu rato — Onere dell'accertamento del rischio da
parte dell'assicurato — Insussistenza.
L'onere da parte dell'assicuratore di impugnare il contratto di assicurazione sussiste solo qualora sia decorso il ter mine di tre mesi dal giorno in cui è venuto a conoscenza delle inesattezze o reticenze dell'assicurato, e non quando tale termine non sia decorso, in quanto in tal caso non sus siste per l'assicuratore stesso alcun obbligo di pagare la somma assicurata. (1)
È sufficiente ad integrare il dolo nelle dichiarazioni inesatte o reticenti dell'assicurato, lo stato subiettivo del contraente
stesso, consistente nella volontarietà delle dichiarazioni inesatte o reticenti e nella coscienza della loro illiceità, senza che occorrano ulteriori caratterizzanti elementi obiettivi. (2)
Il concetto di malafede accolto nella clausola di incontesta
bilità delle polizze di assicurazioni delVI.n.a. si fonda sul
solo elemento subiettivo, così come il dolo di cui all'art.
1892 cod. civile ; conseguentemente l'assicuratore, per ef
fetto della clausola, trascorso il termine di contestabilità
perde il diritto al recesso per dichiarazioni inesatte o reti
centi senza dolo o colpa grave ed il diritto all'annullamento
nel caso di colpa grave, ma conserva il diritto all'impugna zione nel caso di malafede. (3)
L'assicuratore, pur dovendo usare la normale diligenza, non è tenuto ad un particolare comportamento positivo di ac
certamento del rischio che forma oggetto del contratto. (4)
La Corte, ecc. ■— Col ricorso incidentale, del quale va
disposta la riunione a quello principale e di cui per ragioni
logiche e giuridiche è preliminare l'esame, il La Grotta, de ducendo la violazione degli art. 1892 cod. civ. e 112 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., sul pre
supposto che l'art. 1892 preveda un caso di annullamento
del contratto che, dettato a tutela dell'assicuratore, non lo
dispenserebbe dal proporre la relativa azione, afferma che la sentenza impugnata avrebbe deciso extra petita ritenendo
proposta la domanda di annullamento con la richiesta di
rigetto dell'istanza dell'attore, in contrasto con l'asssunto dell'I.n.a. di non essere tenuto a proporre la domanda di
annullamento.
La censura è destituita di giuridico fondamento. L'onere dell'assicuratore, al fine di evitare la decadenza
sancita dall'art. 1892, 2° comma, cod. civ., di dichiarare, entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto l'inesattezza delle dichiarazioni o le reticenze dell'assicurato, di voler
esercitare l'impugnazione, sussiste sul presupposto della normale vitalità del contratto, che quel termine oltrepassi. L'onere suddetto, infatti, opera solo nel caso che il sinistro si verifichi oltre tale termine, e non per quello in cui il si nistro si verifichi prima che il termine sia decorso o, addi
rittura, prima che l'assicuratore abbia avuto conoscenza dell'inesattezza e reticenza delle dichiarazioni, rese con dolo o colpa grave.
In questi due ultimi casi, la decadenza dall'azione di annullamento del contratto non può venire in considera zione perchè non esiste l'obbligo dell'assicuratore di pagare la somma assicurata (art. 1892, 3° comma) in quanto, come è chiarito nella Relazione al libro delle obbligazioni (n. 220), « nel caso di dolo o di colpa grave l'assicurato ri mane scoperto di assicurazione durante il termine assegnato all'assicuratore per dichiarare di voler esercitare l'azione ».
L'assicuratore non deve necessariamente impugnare il contratto per non pagare la somma assicurata quando il
(1-4) In senso conforme alla prima massima, v. Cass. 31 ot tobre 1958, n. 3589, Foro it., 1959, I, 391 ; per ulteriori richiami, v. App. Milano 25 settembre 1956, id., 1957, I, 1799. Adde : Oass. 18 aprile 1958, n. 1270, id., Rep. 1958, voce Assicurazione (con tratto), il. 91 ; 31 ottobre 1958, n. 3589, ibid., n. 94.
Sulla nozione di dolo in materia di assicurazione, e in senso conforme alla seconda massima, v. Cass. 12 marzo 1958, n. 834, ibid., n. 71.
Sui rapporti fra la malafede, di cui alla clausola di incontesta bilità I.n.a., e il dolo di cui all'art. 1892 cod. civ., v. App. Roma 19 giugno 1957, ibid., n. 328 e in Assicurazioni. 1958, II, 107, con nota di Bianchi d'Espinosa, che, in senso difforme dalla sen tenza annotata, ha ritenuto che il dolo si concreti in una attività positiva, mentre la malafede si concreti nella semplice conoscenza della lesione dell'altrui diritto. Si veda inoltre la sent, cassata riassunta in Foro it., Rep. 1958, voce cit., n. 92. In dottrina il Salandra, Assicurazioni, in Commentario al cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, 1954, pag. 218, definisce il dolo come « intenzione di ingannare l'assicuratore » e la colpa grave come «crassa negligenza nelle dichiarazioni».
Sulla quarta massima, in senso conforme : Trib. Roma 21 dicembre 1956, Foro it., Rep. 1957, voce cit., n. 30 ; App. Roma 20 febbraio 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 88. In senso contrario Trib. Macerata 25 aprile 1952, id., Rep. 1952, voce cit., nn. 121 123. In dottrina, v. Salandra, op. cit., pag. 224.
La presente sentenza è annotata da E. Simonetto, La malafede dell'assicurato nella clausola d'incontestabilità. L'art. 1892, 2° comma, cod. civ., in Assicurazioni, 1959, II, 260.
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1985 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1986
sinistro si sia verificato prima del decorso dei tre mesi dal
giorno in cui ha avuto conoscenza delle inesattezze e reti cenze delle dichiarazioni (art. 1892, 3° comma).
La ragione della norma consiste appunto nel non richie dere l'impugnazione per rifiutare il pagamento, perchè, se
l'impugnazione fosse sempre necessaria, basterebbe a rego lare il caso il 1° comma dello stesso articolo.
Dovendosi decidere circa la sorte del contratto nello
esposto caso si è sancita, a carico dell'assicurato, la perdita del diritto alla prestazione. Tanto più ciò si verifica allorché l'assicuratore raggiunga, come nella specie, la detta cono scenza dopo il sinistro : ne costituisce una conferma l'art. 1893 che dispone la parificazione dell'ipotesi del sinistro, occorso durante il termine di decadenza, a quella del sini stro avvenuto prima che l'assicuratore conoscesse la vera natura delle dichiarazioni.
Nei limiti dell'enunciato principio quindi, va corretta l'affermazione di diritto contenuta nella sentenza, che, peraltro, nonostante la errata premessa logica di ritenere necessaria l'impugnazione dell'assicuratore, ha affermato che in concreto l'istanza di annullamento del contratto fosse stata proposta ed ha proceduto all'esame del merito. Non avendo l'errore esercitato alcuna influenza sulla deci
sione, ne è sufficiente la rettifica.
Col primo motivo del ricorso principale l'I.n.a. lamenta che la sentenza impugnata non abbia pronunciato l'annul lamento del contratto sul presupposto che al termine mala
fede, previsto come limite di applicazione della clausola di
incontestabilità, contenuta nel contratto di assicurazione, dovesse attribuirsi il significato di dolo positivo e deduce che essa abbia erroneamente ritenuto la non operatività della clausola solo nel caso di dolo, escluso nella specie, attuato dall'assicurato con artifici e raggiri idonei a trarre in inganno l'assicuratore. Aggiunge il ricorrente che, ad
integrare il dolo di cui all'art. 1892, data la particolare disciplina disposta dagli art. 1892, 1893, sia sufficiente il
comportamento consapevole di reticenze e di mendacio
dell'assicurato, idoneo a falsare l'apprezzamento del rischio, senza che occorrano quei requisiti che caratterizzano il
dolo, quale vizio del consenso, e che, quindi, non dovrebbe diversamente intendersi il termine malafede, contenuto nella clausola.
Si solleva, a quanto risulta, per la prima volta dinanzi la Suprema corte, con riguardo al codice vigente, una deli cata questione di interpretazione del concetto di malafede, di cui alla clausola di incontestabilità contenuta nell'art. 2 delle condizioni generali della polizza I.n.a., sulla quale la
giurisprudenza di merito è scissa, in parte ispirandosi, come la sentenza impugnata, al principio, affermato da questa Corte vigendo il codice di commercio (art. 429), che ammet teva la contestabilità del negozio di assicurazione solo nel caso di dolus malus dell'assicurato, ed in parte riconoscendo tale possibilità anche nel caso di semplice dolo subiettivo, non caratterizzato, cioè, dall'obiettivo elemento dei raggiri e degli artifici qualificante il dolo, inteso come vizio del consenso.
La clausola di incontestabilità stabilisce che, decorsi sei mesi dall'emissione, la polizza non può essere impugnata per reticenze o dichiarazioni inesatte, rese dall'assicurato o dal contraente, « salvo il caso di malafede ». Siccome non
prevede il diritto al recesso nelle ipotesi dell'art. 1893, ed il diritto a chiedere l'annullamento nel caso di colpa grave, e poiché, sotto questo profilo, è più favorevole all'assicurato, non si può contestare la legittimità della clausola a norma dell'art. 1932 cod. civ., che sancisce la inderogabilità delle
disposizioni degli art. 1892, 1893. La clausola, peraltro, afferma il diritto dell'assicuratore
di contestare la polizza in caso di malafede dell'assicurato o del contraente. Sotto questo aspetto possono, al fine che ne occupa, prospettarsi due proposizioni : se al con
cetto di malafede si attribuisce il contenuto di dolo, inteso come vizio del consenso, non potrebbesi contestare la legit timità della clausola, perchè, anche se, per ipotesi, l'art.
1892 prevedesse il dolo nel senso soggettivo, la clausola, creando una condizione di maggior favore per l'assicurato, consentirebbe l'annullamento del contratto, come ha rite
nuto la sentenza impugnata, solo nel caso, più limitato, di dolo attuato con raggiri positivi (dolus malus) ; se, invece, al concetto di malafede si attribuisce il significato più ampio di cosciente comportamento, reticente o menzognero, volto ad ingannare l'assicuratore senza raggiri, per saggiare la legittimità della clausola, a norma dell'art. 1932, occorre stabilire il concetto di dolo, di cui all'art. 1892, chiaro essendo che, se questo fosse restrittivo, la clausola, creando una condizione meno favorevole all'assicurato, sarebbe contra legem.
Da un punto di vista generale, il dolo, quale vizio del
consenso, idoneo a produrre per l'art. 1439 cod. civ. l'an nullamento del contratto, si compone di un elemento su
biettivo, che è la volontà del contraente di ingannare l'altra
parte e di un elemento obiettivo, costituito da raggiri e atti positivi idonei ad ingannare una persona di normale
intelligenza ; il concetto di malafede, invece, ha più ampia portata, concretandosi nel solo elemento subiettivo, cioè, nella coscienza del mendacio, attuato con dichiarazione inesatta o reticente, e la consapevolezza di arrecar danno alla controparte.
Ciò posto, per risolvere il sollevato quesito, è necessario ricordare brevemente i precedenti, che soccorrono per la
interpretazione delle norme in vigore (art. 1892 e 1893). Nel sistema del codice di commercio (art. 429), le dichia
razioni false od erronee e qualunque reticenza di circostanze, conosciute dall'assicurato, anche su elementi non essenziali,
producevano sempre l'annullamento del contratto : l'even
tuale stato di buona fede da parte dell'assicurato provocava la sola conseguenza di esonerarlo dall'obbligo di corri
spondere i premi, che, nel caso di malafede, erano invece
dovuti.
Le critiche suscitate dal rigore del sistema, che condu
ceva all'annullamento del contratto anche nel caso di più lieve inesattezza delle dichiarazioni rese dall'assicurato, causata da errore scusabile, indussero gli assicuratori a
stipulare le c. d. clausole di incontestabilità, attribuendo
convenzionalmente al contratto, dopo un determinato
termine, una maggiore stabilità di durata, ed escludendo
dalla rinuncia alla impugnativa del contratto le sole ipotesi di malafede.
Notevole e grave contrasto sorse nell'interpretazione della clausola, finché la Suprema corte, con giurisprudenza divenuta costante, alla quale si è uniformata la sentenza
impugnata, affermò il principio che il contratto di assi
curazione fosse contestabile, oltre il termine della clausola, con l'azione di annullamento, solo nel caso che l'errore
dell'assicuratore, nella rappresentazione del rischio assi
curato, fosse stato determinato da raggiri e fraudolenti
artifici, attuati dal contraente al momento della conclu
sione del contratto.
Gli effetti assolutori della clausola, secondo questo indirizzo più favorevole all'assicurato, non sarebbero stati
operativi solo nel caso di un fraudolento e determinante
facere (dolus malus causarti dans, art. 1115 cod. civ. 1865 ; 1439 cod. vig.), restando escluso, nonostante il contrario
avviso della dominante dottrina, ogni altro comportamento dell'assicurato non caratterizzato dagli obiettivi elementi, costituito dal semplice contegno coscientemente inteso a
trarre in inganno l'assicuratore.
Il vigente codice, nel riordinare la materia, ha introdotto
notevoli innovazioni, ed ha riconosciuto le clausole di in
contestabilità (art. 1932) solo nel caso che esse contengano
disposizioni più favorevoli all'interessato di quelle dettate
dal sistema, altrimenti inderogabile, degli art. 1892, 1893.
Queste disposizioni, attenuando il rigore di quelle del
l'abrogato codice di commercio, prevedono, con compiuto riordinamento della materia, da un lato, l'annullamento
del contratto allorquando il contraente l'assicurazione abbia
reso, su circostanze essenziali per la determinazione della
volontà dell'assicuratore, dichiarazioni inesatte o reticenti
con dolo o colpa grave (art. 1892) e, dall'altro, il recesso
dal contratto se non ricorrono siffatti qualificanti elementi
(art. 1893). Con riguardo alla prima ipotesi, questa Suprema corte
ha affermato che la causa di annullamento del contratto,
Il Foro Italiano — Volume LXXXIII — Parte 1-127.
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1987 PARTE PRIMA 1988
prevista dall'art. 1892 cit., postula il simultaneo concorso
di tre essenziali requisiti : 1) una dichiarazione inesatta
od una reticenza dell'interessato ; 2) l'influenza di tale
dichiarazione o reticenza ai fini della reale rappresentazione del rischio ; 3) il dolo o la colpa grave dell'assicurato nel
rendere la dichiarazione inesatta o reticente.
Si pone ora il più particolare problema, per la soluzione
del quesito dedotto col ricorso, di determinare la nozione
di dolo, come recepito nell'art. 1892, e, cioè, se con essa
si è accolto il significato classico di dolo costituito dall'ele
mento soggettivo, dalla volontà di ingannare l'altro con
traente, e da quello oggettivo dell'impiego di fraudolenti
atti positivi idonei a trarre in inganno una persona di
normale diligenza e capacità (dolus malus, dolo commis
sivo), ovvero quello di dolo omissivo, caratterizzato dal
solo elemento psicologico. Questa seconda tesi, propugnata dall'unanime dot
trina, è confortata dalla previsione legale della reticenza
in malafede (art. 1892), accanto a quella di buona fede
(art. 1893) e, soprattutto, dalla equiparazione, quanto agli
effetti, della colpa grave al dolo, che conduce, in modo
inequivoco, a ritenere che nella previsione di legge rientri
il dolo soggettivo, altrimenti non potrebbe darsi logica
spiegazione della operatività, ai fini dell'annullamento del
contratto, della colpa grave e non anche del dolo sogget
tivo, che di quella è un quid maius, ai fini della risoluzione
contrattuale.
Che il dolo, previsto nell'art. 1892, venga in considera
zione, non come vizio del consenso, ma come semplice ele
mento psicologico del dichiarante, si deduce anche dalla
interpretazione data da questo Collegio ad altri casi in cui
la legge lo accomuna alla colpa grave. Ai fini dell'inadem
pimento delle obbligazioni (art. 1225, 1229 cod. civ.), la
opinione, ormai comune, accolta dalla giurisprudenza, è
quella che, combinando due teorie della dottrina germanica un tempo contrastanti, afferma che ad integrare il dolo
occorra la coesistenza della volontarietà del fatto e della
previsione o coscienza della sua illiceità : il dolo, in questo
caso, è volontà e rappresentazione intellettiva insieme, non
occorrendo nè l'intenzione di danneggiare l'altra parte, nè, tanto meno, la presenza di positivi raggiri (Cass. 14 gen naio 1946, n. 31, Foro it., Eep. 1946, voce Danni per ina
dempimento di contratto, nn. 4-6). Posta tale accezione del concetto di dolo nella esposta
ipotesi, in cui è equiparato, quanto agli effetti, alla colpa
grave, non può attribuirsi al dolo dell'assicurato un diverso
significato.
Consegue, da quanto esposto, che ad integrare il dolo
di cui all'art. 1892 basta lo stato subiettivo, consistente
nella volontarietà delle dichiarazioni inesatte o reticenti e
nella coscienza della loro illiceità, senza che occorrano ulte
riori caratterizzanti elementi oggettivi. Dall'enunciato principio si trae in dottrina la logica
illazione che non possa attribuirsi al termine malafede, della clausola di incontestabilità, il significato più restrit
tivo che richiede per il suo sostanziarsi, oltre all'elemento
subiettivo, anche quello oggettivo dei fraudolenti raggiri. In conseguenza, per effetto della clausola contenuta
nel contratto di assicurazione, trascorso il termine di con
testabilità, l'assicuratore perde il diritto al recesso dal
contratto nella ipotesi prevista dall'art. 1893 ed il diritto
a chiederne l'annullamento nel caso di colpa grave del
l'art. 1892, ma conserva il diritto all'impugnazione nel solo
caso di malafede, intesa come volontaria rappresentazione del rischio in modo diverso dalla realtà, da parte del con
traente, con la coscienza dell'illiceità del comportamento. Tali conclusioni sono ulteriormente confermate dalla
interpretazione del termine malafede contenuta nella clau
sola. E, invero, la clausola, creando, come sopra si è detto, condizioni più favorevoli all'assicurato con la rinunzia
dell'assicuratore al recesso e all'annullamento per colpa
grave, donde la legittimità della clausola stessa a norma
dell'art. 1932, deve essere interpretata, in mancanza di
chiari elementi contrari, con riguardo alla malafede, nello
stesso senso dell'art. 1892, dianzi precisato, perchè, ove
gli assicuratori avessero voluto restringerne il significato
al dolus malus, per offrire, anche sotto questo riflesso, una
situazione di maggior favore agli assicurati, dovrebbe tale
intenzione necessariamente risultare in modo non equivoco, date le concessioni già fatte dagli assicuratori in favore di
una maggiore vitalità del contratto.
E, invece, emerge il contrario da tutta l'economia
contrattuale, desunta dalla polizza e dalle dichiarazioni
che si richiedono dall'assicurato, che è volta a conferire al negozio un particolare fondamento di buona fede, richie
dendo dichiarazioni veritiere per l'espressa finalità che i
detti dati sono essenziali per la valutazione del rischio da
parte dell'assicuratore, e che il consenso di questo ultimo
è fondato sulla verità delle dichiarazioni.
Se, dunque, alla veridicità delle dichiarazioni del con
traente o dell'assicurato è riconosciuta tanta sostanziale
rilevanza per la rappresentazione del rischio e la forma
zione del consenso dell'assicuratore, non si può, senza
incorrere in aperta contraddizione, ritenere che il termine
malafede abbia il significato, più angusto, di dolo con fraudolenti macchinazioni, e non quello, più aderente alle
premesse logiche, di dolo soggettivo. Ulteriori considerazioni confermative si deducono dalla
natura intrinseca del contratto di assicurazione sulla vita,
radicato, come è noto, in modo particolare sulla buona
fede, che la tradizionale dottrina richiede in massimo
grado. Infatti, il rischio, il cui trasferimento costituisce
l'oggetto del contratto, è valutato dall'assicuratore, con
limitate possibilità di controllo obiettivo, sulla scorta
delle circostanze, soggettive e oggettive, dichiarate dal
l'assicurato, che determinano la maggior o minore possi bilità del verificarsi del sinistro e la presumibile sua entità.
Il codice vigente, a differenza di alcune moderne le
gislazioni straniere, non prevede, a carico dell'assicurato, un espresso obbligo legale precontrattuale di dare esatte
informazioni ; ma, ponendo a presupposto per la validità e
continuazione del contratto, la rispondenza tra il rischio
reale e quello rappresentato dall'assicurato, eleva il gene rico dovere di lealtà contrattuale ad uno specifico onere
del contraente di fornire dichiarazioni esatte e complete,
per l'acquisto e la continuazione del suo diritto.
Dalla particolare struttura e funzione del contratto di
assicurazione sulla vita, in cui l'esatta rappresentazione del rischio da parte dell'assicurato costituisce l'essenziale
presupposto per il valido obbligarsi dell'assicuratore, con
seguono due corollari. Il primo, affermato dalla dottrina
e condiviso anche dalla giurisprudenza (Cass. 24 settembre
1954, n. 3121, Foro it., Eep. 1954, voce Obbligazioni, n.
401), che conferma il concetto, già sostenuto, di malafede, che è sufficiente a costituire un comportamento doloso, atto ad invalidare il negozio, il semplice dolo omissivo,
integrato dal solo elemento subiettivo, costituito dal si lenzio o dalle reticenze del contraente dirette a violare
l'obbligo di completa informazione, oppure ad occultare callidamente fatti veri influenti nella valutazione del rischio ; ed il secondo che, come si vedrà in seguito, l'assi curatore non è tenuto ad un particolare comportamento
positivo per accertare l'entità del rischio.
L'esposta interpretazione, infine, aderente alla posi zione delle parti e alla particolare funzione del contratto, trova ulteriore conferma nella nozione di malafede, dedu
cibile, con carattere di generalità, nel nostro ordinamento
giuridico dall'art. 1147 cod. civ., norma applicabile, come ha riconosciuto ripetutamente questa Corte, anche fuori del possesso, la quale, come è noto, innovando il sistema, ai fini della buona fede, eleva ad unico essenziale costitu tivo elemento il momento subiettivo, senza il sussidio di alcun caratterizzante requisito obiettivo. Il concetto di
malafede, pertanto, quale si ricava, in via indiretta, dalla
citata norma, deve contenersi nel solo elemento psicologico della coscienza e volontarietà del mendacio.
Nò sembra, infine, che i principi già affermati da questa Corte, dai quali la presente decisione, discostandosene, dissente, possano validamente invocarsi, come ha ritenuto
l'impugnata sentenza, a sostegno dell'opposta tesi, perchè essi furono dettati sotto il vigore di un diverso ordinamento che regolava incompiutamente la materia, e perchè, come
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1989 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1990
1 è dato dedurre dalla Kelazione ministeriale, nella rielabo
razione legislativa, si fece riferimento a quelle clausole di
incontestabilità che equiparavano la colpa grave al dolo, dal clie consegue clie il rigoroso concetto di dolo, classico
e positivo, non fu ritenuto aderente alla disciplina della
particolare materia.
Deve, quindi, concludersi che il concetto di malafede, accolto nella clausola di incontestabilità dall'art. 2 delle
polizze di assicurazione sulla vita dell'I.n.a., si fonda sul
solo elemento subiettivo senza il concorso di positivi caratterizzanti requisiti obiettivi ed ha lo stesso contenuto
del dolo di cui all'art. 1892.
Sotto questo profilo la sentenza impugnata va cassata, avendo accolto la nozione di malafede nel senso, più ri
stretto, di dolo integrato da callide macchinazioni idonee
a trarre in inganno l'assicuratore e, su questa errata pre messa di diritto, deciso il merito della controversia rilevando
che non fossero idonei a realizzare il dolo il silenzio e la
reticenza dell'assicurata in ordine alla malattia di cuore, e respingendo la prova dedotta dall'I.n.a. per dimostrarne
la preesistenza alla conclusione del contratto ed il com
portamento dell'assicurato, volto, con coscienza e volontà, ad occultare l'entità obiettiva del rischio assicurato.
In conseguenza la corte di rinvio dovrà rinnovare il
completo esame del merito, uniformandosi, per quanto attiene al primo motivo di gravame, ai seguenti principi di diritto : a) è sufficiente ad integrare il dolo, di cui al
l'art. 1892 lo stato subiettivo del contraente o dell'assicu
rato, consistente nella volontarietà delle dichiarazioni ine
satte o reticenti e nella coscienza della loro illiceità, senza
che occorrano ulteriori caratterizzanti elementi oggettivi ;
b) il concetto di malafede, accolto nella clausola di incon
testabilità dell'art. 2 della polizza di assicurazione del
l'I.n.a., si fonda sul solo elemento subiettivo, così come il
dolo di cui all'art. 1892. In conseguenza, per effetto di detta
clausola, trascorso il previsto termine di contest abilità, l'assicuratore perde il diritto al recesso nella ipotesi pre vista nell'art. 1893 ed il diritto a chiederne l'annullamento
nel caso di colpa grave dell'art. 1892, ma conserva il diritto
all'impugnazione nel caso di malafede, intesa come volon
taria rappresentazione del rischio in modo diverso dalla
realtà, da parte del contraente, con la coscienza dell'illi
ceità del comportamento, sempre che la dichiarazione, inesatta o reticente, abbia avuto influenza sulla determi
nazione dell'assicuratore.
La Corte di merito ha, poi, aggiunto che l'I.n.a. avrebbe
potuto, attraverso più diligente visita medica, accertare
la malattia dell'assicurata, facilmente diagnosticabile. Contro questa considerazione è diretta la censura del
secondo mezzo, col quale il ricorrente, deducendo la viola
zione dell'art. 1892 cod. civ., in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., afferma che, avendo il contraente l'obbligo di rendere dichiarazioni veritiere e complete per rappre sentare il rischio assicurato in modo conforme alla realtà, l'assicuratore non è tenuto ad accertare preventivamente, mediante visita medica, le condizioni fisiche dell'assicurato.
La fondatezza di questa critica, che non può conside
rarsi assorbita nell'accoglimento del primo motivo, dato
che tende ad affermare un principio relativo al comporta mento dell'assicurato, discende evidente dalle suesposte
premesse. Dalla funzione e struttura del contratto che tende ad
assicurare l'esatta rispondenza tra il rischio rappresentato dell'assicurato ed il rischio reale, e dall'onere, che ne con
segue a carico del contraente, di rendere dichiarazioni
esatte e complete, si trae, come già sopra detto, il corol
lario che l'assicuratore, pur dovendo usare, in ossequio al principio generale del nostro ordinamento dominante in
materia contrattuale, la normale diligenza non è tenuto
ad un particolare comportamento positivo di accertamento
del rischio, che forma oggetto del contratto.
La validità del contratto di assicurazione sulla vita è
condizionata alle dichiarazioni, esatte e complete, dell'assi
curato e non anche al comportamento positivo dell'assi
curatore diretto ad accertare le reali condizioni di salute
dell'assicurato. La visita, cui di solito è sottoposto l'assi
curato, è praticata nell'esclusivo interesse dell'assicuratore, non corrispondendo ad un particolare obbligo giuridico, non esime l'altra parte dall'onere di rendere, nella loro interezza e lealtà, le dichiarazioni che la legge le fa obbligo, e non la sottrae alle conseguenze di un comportamento in malafede.
Pertanto, con riguardo al secondo mezzo, devesi affer mare il principio, cui si atterrà la corte di rinvio : nei con tratti di assicurazione sulla vita l'assicuratore non ha alcun
obbligo giuridico di sottoporre l'assicurato ad accertamento
diagnostico. L'eventuale visita medica, disposta per accer tare le condizioni di salute dell'assicurato, non lo esime
dall'osservanza dell'obbligo legale di rappresentare, con dichiarazioni complete ed esatte, l'entità obicttiva del rischio e non lo sottrae alle conseguenze del suo comportamento in malafede.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE MJPREMA DI CASSAZIOSE.
Sezione II civile ; sentenza 4 luglio 1959, n. 2130 ; Pres.
Fi bui P., Est. Pratillo, P. M. Toro (conci, conf.) ; Di Giulian (Avv. Muratosi, Sartori) c. Fondazione Carlo Di Giulian (Avv. Rotati, Livi, Domini).
{Conferma App. Venezia 15 gennaio 1958)
Istituzione pubblica di assistenza e beneficenza —
Estremi — Fattispecie (L. 17 luglio 1890 n. 6972, sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, art. 1, 2 ; r. d. 30 dicembre 1923 n. 2841, riforma della
legge 17 luglio 1890 n. 6972, art. 1, 2). Istituzione pubblica <li assistenza e beneiicenza —
Patrimonio destinato a scopi di pubblica assi stenza e beneiicenza — Hiconoscimento statale — Natura — Norme applicabili (Cod. civ., art. 11,
12, 14, 15, 25 ; disp. attuaz. cod. civ., art. 2, 3 ; 1. 17
luglio 1890 n. 6972, art. 4, 44, 46, 50, 84 ; r. d. 5 febbraio 1891 n. S9, regolamento per l'amministrazione delle
istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, art. 1, 93 ; r. d. 30 dicembre 1923 n. 2841, art. 10, 25 ; 1. 3
giugno 1937 n. 847, istituzione dell'ente comunale di assistenza ; d. legisl. luog. 22 marzo 1945 n. 173, isti tuzione di comitati prov. di assistenza e beneficenza
pubblica, art. 4; 1. 26 aprile 1954 n. 251, modificazione
agli art. 10, 34, 36 del r. d. 30 dicembre 1923 n. 2841 e all'art. 6 t. u. 14 settembre 1931 n. 1175, art. 4; d.
pres. 19 agosto 1954 n. 968, decentramento dei ser
vizi del Ministero dell'interno, art. 13). Istruzione pubblica di assistenza e beneficenza —
Amministrazione —- Competenza dell'E.c.a. —
Rappresentanza legale prima del riconoscimento — Estensione (L. 17 luglio 1890 n. 6972, art. 4, 7, 49 ; 1. 3 giugno 1937 n. 847, art. 1).
Persona giuridica -r- Fondazione — Negozio di londa zione— Negozio di dotazione -— Rapporti — Valu
tazione del giudice. Istituzione pubblica di assistenza e beneiicenza —•
Negozio di londazione — Revoca — Art. 15 cod. civ. — Applicabilità (Cod. civ., art. 15).
Persona giuridica — Norme concernenti l'autoriz
zazione per l'acquisto di immobili e per l'accet
tazione di donazioni, eredità e legati — Limiti
(Cod. civ., art. 17; disp. attuaz. cod. civ., art. 5, 7).
Ha natura eli istituzione pubblica di assistenza e benefi cenza una fondazione di beni immobili e mobili, da eri
gersi in ente morale « da durare nei secoli » a vantaggio di
tutti i poveri nativi di un comune, e con lo scopo di creare due scuole professionali, una maschile per edilizia e
falegnameria, l'altra femminile per cucito e maglieria,
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