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Sezione I civile; sentenza 5 agosto 1959, n. 2455; Pres. Lonardo P., Est. Arienzo, P. M. Cutrupia...

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Sezione I civile; sentenza 5 agosto 1959, n. 2455; Pres. Lonardo P., Est. Arienzo, P. M. Cutrupia (concl. conf.); I.n.a. (Avv. Gasperoni) c. La Grotta (Avv. Libonati) Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 11 (1960), pp. 1983/1984-1989/1990 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23151107 . Accessed: 28/06/2014 12:59 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.178 on Sat, 28 Jun 2014 12:59:32 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 5 agosto 1959, n. 2455; Pres. Lonardo P., Est. Arienzo, P. M. Cutrupia(concl. conf.); I.n.a. (Avv. Gasperoni) c. La Grotta (Avv. Libonati)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 11 (1960), pp. 1983/1984-1989/1990Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151107 .

Accessed: 28/06/2014 12:59

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1983 PARTE PRIMA 1984

particolarmente, per tutte, nella motivazione, la sentenza n. 775 del 1953, dianzi citata), che la tutela della buona fede del terzo acquirente dall'erede apparente, stabilita

dal 2° comma dell'art. 534 cod. civ., non sia applicabile tutte le volte in cui l'errore del terzo sia dipeso dall'omis

sione, da parte sua, della normale diligenza in ordine

all'accertamento della reale situazione giuridica. Col secondo mezzo, come si è detto, il ricorrente

sostiene invece, che, anche nel caso previsto dal 2° comma

dell'art. 534, gli effetti della buona fede sono esclusi sol tanto dalla colpa grave, secondo quanto è espressamente stabilito dallo stesso codice civile, sia pure con diretto

riferimento ad altra fattispecie, negli art. 535, ult. comma, e 1147, 2° comma, avendo il principio enunciato in codeste norme carattere generale.

Il Collegio ritiene esatto il principio affermato dalla

Corte di merito. Tuttavia non si sofferma nell'esporre le

ragioni che ne suffragano la fondatezza (per cui è sufficiente

riportarsi alla pregressa giurisprudenza sulla buona fede di questa Corte, risultante da numerose sentenze anche successive a quella del 1953 sopramenzionata), per l'assor bente considerazione che la Corte fiorentina, pur avendo affermato in via generale che, nel caso previsto dall'art.

534, la buona fede del terzo non giova se l'errore è dipeso anche solo da colpa lieve, essa ritenne poi in concreto che nella specie l'errore del Lombardi era dipeso da colpa grave, in quanto il Lombardi stesso era incorso in « grave negligenza », per non aver svolto una sia pur « minima

indagine » nell'ambiente in cui il Magherini Graziani era vissuto nel 1945 ed in cui, essendo l'avveramento della condizione risolutiva universalmente noto, egli evrebbe

potuto assai agevolmente aver notizia di quell'avvera mento.

Pertanto sarebbe ultronea ogni altra discussione giuri dica, che, peraltro, neppure i difensori delle parti hanno creduto di sviluppare, su quel contrario principio da essi soltanto accennato come avente carattere generale.

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 5 agosto 1959, n. 2455 ; Pres. Lonardo P., Est. Arienzo, P. M. Cutrupia (conci, conf.) ; i.n.a. (Avv. Gasperoni) c. La Grotta (Avv.

Libonati).

(Gassa App. Roma 20 luglio 1957)

Assicurazione (contratto) — Reticenze dell'assicu rato — Sinistro verificatosi prima dei tre mesi della loro conoscenza — Diritti dell'assicuratore

(Cod. civ., art. 1892). Assicurazione (contratto) — Reticenze dell'assicu

rato —- Dolo — Nozione (Cod. civ., art. 1892). Assicurazione (contratto) —- Reticenze dell'assicu

rato —- Clausola di incontestabilità — Malafede —

Nozione.

Assicurazione (contratto) — Reticenze dell'assicu rato — Onere dell'accertamento del rischio da

parte dell'assicurato — Insussistenza.

L'onere da parte dell'assicuratore di impugnare il contratto di assicurazione sussiste solo qualora sia decorso il ter mine di tre mesi dal giorno in cui è venuto a conoscenza delle inesattezze o reticenze dell'assicurato, e non quando tale termine non sia decorso, in quanto in tal caso non sus siste per l'assicuratore stesso alcun obbligo di pagare la somma assicurata. (1)

È sufficiente ad integrare il dolo nelle dichiarazioni inesatte o reticenti dell'assicurato, lo stato subiettivo del contraente

stesso, consistente nella volontarietà delle dichiarazioni inesatte o reticenti e nella coscienza della loro illiceità, senza che occorrano ulteriori caratterizzanti elementi obiettivi. (2)

Il concetto di malafede accolto nella clausola di incontesta

bilità delle polizze di assicurazioni delVI.n.a. si fonda sul

solo elemento subiettivo, così come il dolo di cui all'art.

1892 cod. civile ; conseguentemente l'assicuratore, per ef

fetto della clausola, trascorso il termine di contestabilità

perde il diritto al recesso per dichiarazioni inesatte o reti

centi senza dolo o colpa grave ed il diritto all'annullamento

nel caso di colpa grave, ma conserva il diritto all'impugna zione nel caso di malafede. (3)

L'assicuratore, pur dovendo usare la normale diligenza, non è tenuto ad un particolare comportamento positivo di ac

certamento del rischio che forma oggetto del contratto. (4)

La Corte, ecc. ■— Col ricorso incidentale, del quale va

disposta la riunione a quello principale e di cui per ragioni

logiche e giuridiche è preliminare l'esame, il La Grotta, de ducendo la violazione degli art. 1892 cod. civ. e 112 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., sul pre

supposto che l'art. 1892 preveda un caso di annullamento

del contratto che, dettato a tutela dell'assicuratore, non lo

dispenserebbe dal proporre la relativa azione, afferma che la sentenza impugnata avrebbe deciso extra petita ritenendo

proposta la domanda di annullamento con la richiesta di

rigetto dell'istanza dell'attore, in contrasto con l'asssunto dell'I.n.a. di non essere tenuto a proporre la domanda di

annullamento.

La censura è destituita di giuridico fondamento. L'onere dell'assicuratore, al fine di evitare la decadenza

sancita dall'art. 1892, 2° comma, cod. civ., di dichiarare, entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto l'inesattezza delle dichiarazioni o le reticenze dell'assicurato, di voler

esercitare l'impugnazione, sussiste sul presupposto della normale vitalità del contratto, che quel termine oltrepassi. L'onere suddetto, infatti, opera solo nel caso che il sinistro si verifichi oltre tale termine, e non per quello in cui il si nistro si verifichi prima che il termine sia decorso o, addi

rittura, prima che l'assicuratore abbia avuto conoscenza dell'inesattezza e reticenza delle dichiarazioni, rese con dolo o colpa grave.

In questi due ultimi casi, la decadenza dall'azione di annullamento del contratto non può venire in considera zione perchè non esiste l'obbligo dell'assicuratore di pagare la somma assicurata (art. 1892, 3° comma) in quanto, come è chiarito nella Relazione al libro delle obbligazioni (n. 220), « nel caso di dolo o di colpa grave l'assicurato ri mane scoperto di assicurazione durante il termine assegnato all'assicuratore per dichiarare di voler esercitare l'azione ».

L'assicuratore non deve necessariamente impugnare il contratto per non pagare la somma assicurata quando il

(1-4) In senso conforme alla prima massima, v. Cass. 31 ot tobre 1958, n. 3589, Foro it., 1959, I, 391 ; per ulteriori richiami, v. App. Milano 25 settembre 1956, id., 1957, I, 1799. Adde : Oass. 18 aprile 1958, n. 1270, id., Rep. 1958, voce Assicurazione (con tratto), il. 91 ; 31 ottobre 1958, n. 3589, ibid., n. 94.

Sulla nozione di dolo in materia di assicurazione, e in senso conforme alla seconda massima, v. Cass. 12 marzo 1958, n. 834, ibid., n. 71.

Sui rapporti fra la malafede, di cui alla clausola di incontesta bilità I.n.a., e il dolo di cui all'art. 1892 cod. civ., v. App. Roma 19 giugno 1957, ibid., n. 328 e in Assicurazioni. 1958, II, 107, con nota di Bianchi d'Espinosa, che, in senso difforme dalla sen tenza annotata, ha ritenuto che il dolo si concreti in una attività positiva, mentre la malafede si concreti nella semplice conoscenza della lesione dell'altrui diritto. Si veda inoltre la sent, cassata riassunta in Foro it., Rep. 1958, voce cit., n. 92. In dottrina il Salandra, Assicurazioni, in Commentario al cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, 1954, pag. 218, definisce il dolo come « intenzione di ingannare l'assicuratore » e la colpa grave come «crassa negligenza nelle dichiarazioni».

Sulla quarta massima, in senso conforme : Trib. Roma 21 dicembre 1956, Foro it., Rep. 1957, voce cit., n. 30 ; App. Roma 20 febbraio 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 88. In senso contrario Trib. Macerata 25 aprile 1952, id., Rep. 1952, voce cit., nn. 121 123. In dottrina, v. Salandra, op. cit., pag. 224.

La presente sentenza è annotata da E. Simonetto, La malafede dell'assicurato nella clausola d'incontestabilità. L'art. 1892, 2° comma, cod. civ., in Assicurazioni, 1959, II, 260.

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1985 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1986

sinistro si sia verificato prima del decorso dei tre mesi dal

giorno in cui ha avuto conoscenza delle inesattezze e reti cenze delle dichiarazioni (art. 1892, 3° comma).

La ragione della norma consiste appunto nel non richie dere l'impugnazione per rifiutare il pagamento, perchè, se

l'impugnazione fosse sempre necessaria, basterebbe a rego lare il caso il 1° comma dello stesso articolo.

Dovendosi decidere circa la sorte del contratto nello

esposto caso si è sancita, a carico dell'assicurato, la perdita del diritto alla prestazione. Tanto più ciò si verifica allorché l'assicuratore raggiunga, come nella specie, la detta cono scenza dopo il sinistro : ne costituisce una conferma l'art. 1893 che dispone la parificazione dell'ipotesi del sinistro, occorso durante il termine di decadenza, a quella del sini stro avvenuto prima che l'assicuratore conoscesse la vera natura delle dichiarazioni.

Nei limiti dell'enunciato principio quindi, va corretta l'affermazione di diritto contenuta nella sentenza, che, peraltro, nonostante la errata premessa logica di ritenere necessaria l'impugnazione dell'assicuratore, ha affermato che in concreto l'istanza di annullamento del contratto fosse stata proposta ed ha proceduto all'esame del merito. Non avendo l'errore esercitato alcuna influenza sulla deci

sione, ne è sufficiente la rettifica.

Col primo motivo del ricorso principale l'I.n.a. lamenta che la sentenza impugnata non abbia pronunciato l'annul lamento del contratto sul presupposto che al termine mala

fede, previsto come limite di applicazione della clausola di

incontestabilità, contenuta nel contratto di assicurazione, dovesse attribuirsi il significato di dolo positivo e deduce che essa abbia erroneamente ritenuto la non operatività della clausola solo nel caso di dolo, escluso nella specie, attuato dall'assicurato con artifici e raggiri idonei a trarre in inganno l'assicuratore. Aggiunge il ricorrente che, ad

integrare il dolo di cui all'art. 1892, data la particolare disciplina disposta dagli art. 1892, 1893, sia sufficiente il

comportamento consapevole di reticenze e di mendacio

dell'assicurato, idoneo a falsare l'apprezzamento del rischio, senza che occorrano quei requisiti che caratterizzano il

dolo, quale vizio del consenso, e che, quindi, non dovrebbe diversamente intendersi il termine malafede, contenuto nella clausola.

Si solleva, a quanto risulta, per la prima volta dinanzi la Suprema corte, con riguardo al codice vigente, una deli cata questione di interpretazione del concetto di malafede, di cui alla clausola di incontestabilità contenuta nell'art. 2 delle condizioni generali della polizza I.n.a., sulla quale la

giurisprudenza di merito è scissa, in parte ispirandosi, come la sentenza impugnata, al principio, affermato da questa Corte vigendo il codice di commercio (art. 429), che ammet teva la contestabilità del negozio di assicurazione solo nel caso di dolus malus dell'assicurato, ed in parte riconoscendo tale possibilità anche nel caso di semplice dolo subiettivo, non caratterizzato, cioè, dall'obiettivo elemento dei raggiri e degli artifici qualificante il dolo, inteso come vizio del consenso.

La clausola di incontestabilità stabilisce che, decorsi sei mesi dall'emissione, la polizza non può essere impugnata per reticenze o dichiarazioni inesatte, rese dall'assicurato o dal contraente, « salvo il caso di malafede ». Siccome non

prevede il diritto al recesso nelle ipotesi dell'art. 1893, ed il diritto a chiedere l'annullamento nel caso di colpa grave, e poiché, sotto questo profilo, è più favorevole all'assicurato, non si può contestare la legittimità della clausola a norma dell'art. 1932 cod. civ., che sancisce la inderogabilità delle

disposizioni degli art. 1892, 1893. La clausola, peraltro, afferma il diritto dell'assicuratore

di contestare la polizza in caso di malafede dell'assicurato o del contraente. Sotto questo aspetto possono, al fine che ne occupa, prospettarsi due proposizioni : se al con

cetto di malafede si attribuisce il contenuto di dolo, inteso come vizio del consenso, non potrebbesi contestare la legit timità della clausola, perchè, anche se, per ipotesi, l'art.

1892 prevedesse il dolo nel senso soggettivo, la clausola, creando una condizione di maggior favore per l'assicurato, consentirebbe l'annullamento del contratto, come ha rite

nuto la sentenza impugnata, solo nel caso, più limitato, di dolo attuato con raggiri positivi (dolus malus) ; se, invece, al concetto di malafede si attribuisce il significato più ampio di cosciente comportamento, reticente o menzognero, volto ad ingannare l'assicuratore senza raggiri, per saggiare la legittimità della clausola, a norma dell'art. 1932, occorre stabilire il concetto di dolo, di cui all'art. 1892, chiaro essendo che, se questo fosse restrittivo, la clausola, creando una condizione meno favorevole all'assicurato, sarebbe contra legem.

Da un punto di vista generale, il dolo, quale vizio del

consenso, idoneo a produrre per l'art. 1439 cod. civ. l'an nullamento del contratto, si compone di un elemento su

biettivo, che è la volontà del contraente di ingannare l'altra

parte e di un elemento obiettivo, costituito da raggiri e atti positivi idonei ad ingannare una persona di normale

intelligenza ; il concetto di malafede, invece, ha più ampia portata, concretandosi nel solo elemento subiettivo, cioè, nella coscienza del mendacio, attuato con dichiarazione inesatta o reticente, e la consapevolezza di arrecar danno alla controparte.

Ciò posto, per risolvere il sollevato quesito, è necessario ricordare brevemente i precedenti, che soccorrono per la

interpretazione delle norme in vigore (art. 1892 e 1893). Nel sistema del codice di commercio (art. 429), le dichia

razioni false od erronee e qualunque reticenza di circostanze, conosciute dall'assicurato, anche su elementi non essenziali,

producevano sempre l'annullamento del contratto : l'even

tuale stato di buona fede da parte dell'assicurato provocava la sola conseguenza di esonerarlo dall'obbligo di corri

spondere i premi, che, nel caso di malafede, erano invece

dovuti.

Le critiche suscitate dal rigore del sistema, che condu

ceva all'annullamento del contratto anche nel caso di più lieve inesattezza delle dichiarazioni rese dall'assicurato, causata da errore scusabile, indussero gli assicuratori a

stipulare le c. d. clausole di incontestabilità, attribuendo

convenzionalmente al contratto, dopo un determinato

termine, una maggiore stabilità di durata, ed escludendo

dalla rinuncia alla impugnativa del contratto le sole ipotesi di malafede.

Notevole e grave contrasto sorse nell'interpretazione della clausola, finché la Suprema corte, con giurisprudenza divenuta costante, alla quale si è uniformata la sentenza

impugnata, affermò il principio che il contratto di assi

curazione fosse contestabile, oltre il termine della clausola, con l'azione di annullamento, solo nel caso che l'errore

dell'assicuratore, nella rappresentazione del rischio assi

curato, fosse stato determinato da raggiri e fraudolenti

artifici, attuati dal contraente al momento della conclu

sione del contratto.

Gli effetti assolutori della clausola, secondo questo indirizzo più favorevole all'assicurato, non sarebbero stati

operativi solo nel caso di un fraudolento e determinante

facere (dolus malus causarti dans, art. 1115 cod. civ. 1865 ; 1439 cod. vig.), restando escluso, nonostante il contrario

avviso della dominante dottrina, ogni altro comportamento dell'assicurato non caratterizzato dagli obiettivi elementi, costituito dal semplice contegno coscientemente inteso a

trarre in inganno l'assicuratore.

Il vigente codice, nel riordinare la materia, ha introdotto

notevoli innovazioni, ed ha riconosciuto le clausole di in

contestabilità (art. 1932) solo nel caso che esse contengano

disposizioni più favorevoli all'interessato di quelle dettate

dal sistema, altrimenti inderogabile, degli art. 1892, 1893.

Queste disposizioni, attenuando il rigore di quelle del

l'abrogato codice di commercio, prevedono, con compiuto riordinamento della materia, da un lato, l'annullamento

del contratto allorquando il contraente l'assicurazione abbia

reso, su circostanze essenziali per la determinazione della

volontà dell'assicuratore, dichiarazioni inesatte o reticenti

con dolo o colpa grave (art. 1892) e, dall'altro, il recesso

dal contratto se non ricorrono siffatti qualificanti elementi

(art. 1893). Con riguardo alla prima ipotesi, questa Suprema corte

ha affermato che la causa di annullamento del contratto,

Il Foro Italiano — Volume LXXXIII — Parte 1-127.

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1987 PARTE PRIMA 1988

prevista dall'art. 1892 cit., postula il simultaneo concorso

di tre essenziali requisiti : 1) una dichiarazione inesatta

od una reticenza dell'interessato ; 2) l'influenza di tale

dichiarazione o reticenza ai fini della reale rappresentazione del rischio ; 3) il dolo o la colpa grave dell'assicurato nel

rendere la dichiarazione inesatta o reticente.

Si pone ora il più particolare problema, per la soluzione

del quesito dedotto col ricorso, di determinare la nozione

di dolo, come recepito nell'art. 1892, e, cioè, se con essa

si è accolto il significato classico di dolo costituito dall'ele

mento soggettivo, dalla volontà di ingannare l'altro con

traente, e da quello oggettivo dell'impiego di fraudolenti

atti positivi idonei a trarre in inganno una persona di

normale diligenza e capacità (dolus malus, dolo commis

sivo), ovvero quello di dolo omissivo, caratterizzato dal

solo elemento psicologico. Questa seconda tesi, propugnata dall'unanime dot

trina, è confortata dalla previsione legale della reticenza

in malafede (art. 1892), accanto a quella di buona fede

(art. 1893) e, soprattutto, dalla equiparazione, quanto agli

effetti, della colpa grave al dolo, che conduce, in modo

inequivoco, a ritenere che nella previsione di legge rientri

il dolo soggettivo, altrimenti non potrebbe darsi logica

spiegazione della operatività, ai fini dell'annullamento del

contratto, della colpa grave e non anche del dolo sogget

tivo, che di quella è un quid maius, ai fini della risoluzione

contrattuale.

Che il dolo, previsto nell'art. 1892, venga in considera

zione, non come vizio del consenso, ma come semplice ele

mento psicologico del dichiarante, si deduce anche dalla

interpretazione data da questo Collegio ad altri casi in cui

la legge lo accomuna alla colpa grave. Ai fini dell'inadem

pimento delle obbligazioni (art. 1225, 1229 cod. civ.), la

opinione, ormai comune, accolta dalla giurisprudenza, è

quella che, combinando due teorie della dottrina germanica un tempo contrastanti, afferma che ad integrare il dolo

occorra la coesistenza della volontarietà del fatto e della

previsione o coscienza della sua illiceità : il dolo, in questo

caso, è volontà e rappresentazione intellettiva insieme, non

occorrendo nè l'intenzione di danneggiare l'altra parte, nè, tanto meno, la presenza di positivi raggiri (Cass. 14 gen naio 1946, n. 31, Foro it., Eep. 1946, voce Danni per ina

dempimento di contratto, nn. 4-6). Posta tale accezione del concetto di dolo nella esposta

ipotesi, in cui è equiparato, quanto agli effetti, alla colpa

grave, non può attribuirsi al dolo dell'assicurato un diverso

significato.

Consegue, da quanto esposto, che ad integrare il dolo

di cui all'art. 1892 basta lo stato subiettivo, consistente

nella volontarietà delle dichiarazioni inesatte o reticenti e

nella coscienza della loro illiceità, senza che occorrano ulte

riori caratterizzanti elementi oggettivi. Dall'enunciato principio si trae in dottrina la logica

illazione che non possa attribuirsi al termine malafede, della clausola di incontestabilità, il significato più restrit

tivo che richiede per il suo sostanziarsi, oltre all'elemento

subiettivo, anche quello oggettivo dei fraudolenti raggiri. In conseguenza, per effetto della clausola contenuta

nel contratto di assicurazione, trascorso il termine di con

testabilità, l'assicuratore perde il diritto al recesso dal

contratto nella ipotesi prevista dall'art. 1893 ed il diritto

a chiederne l'annullamento nel caso di colpa grave del

l'art. 1892, ma conserva il diritto all'impugnazione nel solo

caso di malafede, intesa come volontaria rappresentazione del rischio in modo diverso dalla realtà, da parte del con

traente, con la coscienza dell'illiceità del comportamento. Tali conclusioni sono ulteriormente confermate dalla

interpretazione del termine malafede contenuta nella clau

sola. E, invero, la clausola, creando, come sopra si è detto, condizioni più favorevoli all'assicurato con la rinunzia

dell'assicuratore al recesso e all'annullamento per colpa

grave, donde la legittimità della clausola stessa a norma

dell'art. 1932, deve essere interpretata, in mancanza di

chiari elementi contrari, con riguardo alla malafede, nello

stesso senso dell'art. 1892, dianzi precisato, perchè, ove

gli assicuratori avessero voluto restringerne il significato

al dolus malus, per offrire, anche sotto questo riflesso, una

situazione di maggior favore agli assicurati, dovrebbe tale

intenzione necessariamente risultare in modo non equivoco, date le concessioni già fatte dagli assicuratori in favore di

una maggiore vitalità del contratto.

E, invece, emerge il contrario da tutta l'economia

contrattuale, desunta dalla polizza e dalle dichiarazioni

che si richiedono dall'assicurato, che è volta a conferire al negozio un particolare fondamento di buona fede, richie

dendo dichiarazioni veritiere per l'espressa finalità che i

detti dati sono essenziali per la valutazione del rischio da

parte dell'assicuratore, e che il consenso di questo ultimo

è fondato sulla verità delle dichiarazioni.

Se, dunque, alla veridicità delle dichiarazioni del con

traente o dell'assicurato è riconosciuta tanta sostanziale

rilevanza per la rappresentazione del rischio e la forma

zione del consenso dell'assicuratore, non si può, senza

incorrere in aperta contraddizione, ritenere che il termine

malafede abbia il significato, più angusto, di dolo con fraudolenti macchinazioni, e non quello, più aderente alle

premesse logiche, di dolo soggettivo. Ulteriori considerazioni confermative si deducono dalla

natura intrinseca del contratto di assicurazione sulla vita,

radicato, come è noto, in modo particolare sulla buona

fede, che la tradizionale dottrina richiede in massimo

grado. Infatti, il rischio, il cui trasferimento costituisce

l'oggetto del contratto, è valutato dall'assicuratore, con

limitate possibilità di controllo obiettivo, sulla scorta

delle circostanze, soggettive e oggettive, dichiarate dal

l'assicurato, che determinano la maggior o minore possi bilità del verificarsi del sinistro e la presumibile sua entità.

Il codice vigente, a differenza di alcune moderne le

gislazioni straniere, non prevede, a carico dell'assicurato, un espresso obbligo legale precontrattuale di dare esatte

informazioni ; ma, ponendo a presupposto per la validità e

continuazione del contratto, la rispondenza tra il rischio

reale e quello rappresentato dall'assicurato, eleva il gene rico dovere di lealtà contrattuale ad uno specifico onere

del contraente di fornire dichiarazioni esatte e complete,

per l'acquisto e la continuazione del suo diritto.

Dalla particolare struttura e funzione del contratto di

assicurazione sulla vita, in cui l'esatta rappresentazione del rischio da parte dell'assicurato costituisce l'essenziale

presupposto per il valido obbligarsi dell'assicuratore, con

seguono due corollari. Il primo, affermato dalla dottrina

e condiviso anche dalla giurisprudenza (Cass. 24 settembre

1954, n. 3121, Foro it., Eep. 1954, voce Obbligazioni, n.

401), che conferma il concetto, già sostenuto, di malafede, che è sufficiente a costituire un comportamento doloso, atto ad invalidare il negozio, il semplice dolo omissivo,

integrato dal solo elemento subiettivo, costituito dal si lenzio o dalle reticenze del contraente dirette a violare

l'obbligo di completa informazione, oppure ad occultare callidamente fatti veri influenti nella valutazione del rischio ; ed il secondo che, come si vedrà in seguito, l'assi curatore non è tenuto ad un particolare comportamento

positivo per accertare l'entità del rischio.

L'esposta interpretazione, infine, aderente alla posi zione delle parti e alla particolare funzione del contratto, trova ulteriore conferma nella nozione di malafede, dedu

cibile, con carattere di generalità, nel nostro ordinamento

giuridico dall'art. 1147 cod. civ., norma applicabile, come ha riconosciuto ripetutamente questa Corte, anche fuori del possesso, la quale, come è noto, innovando il sistema, ai fini della buona fede, eleva ad unico essenziale costitu tivo elemento il momento subiettivo, senza il sussidio di alcun caratterizzante requisito obiettivo. Il concetto di

malafede, pertanto, quale si ricava, in via indiretta, dalla

citata norma, deve contenersi nel solo elemento psicologico della coscienza e volontarietà del mendacio.

Nò sembra, infine, che i principi già affermati da questa Corte, dai quali la presente decisione, discostandosene, dissente, possano validamente invocarsi, come ha ritenuto

l'impugnata sentenza, a sostegno dell'opposta tesi, perchè essi furono dettati sotto il vigore di un diverso ordinamento che regolava incompiutamente la materia, e perchè, come

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Page 5: Sezione I civile; sentenza 5 agosto 1959, n. 2455; Pres. Lonardo P., Est. Arienzo, P. M. Cutrupia (concl. conf.); I.n.a. (Avv. Gasperoni) c. La Grotta (Avv. Libonati)

1989 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1990

1 è dato dedurre dalla Kelazione ministeriale, nella rielabo

razione legislativa, si fece riferimento a quelle clausole di

incontestabilità che equiparavano la colpa grave al dolo, dal clie consegue clie il rigoroso concetto di dolo, classico

e positivo, non fu ritenuto aderente alla disciplina della

particolare materia.

Deve, quindi, concludersi che il concetto di malafede, accolto nella clausola di incontestabilità dall'art. 2 delle

polizze di assicurazione sulla vita dell'I.n.a., si fonda sul

solo elemento subiettivo senza il concorso di positivi caratterizzanti requisiti obiettivi ed ha lo stesso contenuto

del dolo di cui all'art. 1892.

Sotto questo profilo la sentenza impugnata va cassata, avendo accolto la nozione di malafede nel senso, più ri

stretto, di dolo integrato da callide macchinazioni idonee

a trarre in inganno l'assicuratore e, su questa errata pre messa di diritto, deciso il merito della controversia rilevando

che non fossero idonei a realizzare il dolo il silenzio e la

reticenza dell'assicurata in ordine alla malattia di cuore, e respingendo la prova dedotta dall'I.n.a. per dimostrarne

la preesistenza alla conclusione del contratto ed il com

portamento dell'assicurato, volto, con coscienza e volontà, ad occultare l'entità obiettiva del rischio assicurato.

In conseguenza la corte di rinvio dovrà rinnovare il

completo esame del merito, uniformandosi, per quanto attiene al primo motivo di gravame, ai seguenti principi di diritto : a) è sufficiente ad integrare il dolo, di cui al

l'art. 1892 lo stato subiettivo del contraente o dell'assicu

rato, consistente nella volontarietà delle dichiarazioni ine

satte o reticenti e nella coscienza della loro illiceità, senza

che occorrano ulteriori caratterizzanti elementi oggettivi ;

b) il concetto di malafede, accolto nella clausola di incon

testabilità dell'art. 2 della polizza di assicurazione del

l'I.n.a., si fonda sul solo elemento subiettivo, così come il

dolo di cui all'art. 1892. In conseguenza, per effetto di detta

clausola, trascorso il previsto termine di contest abilità, l'assicuratore perde il diritto al recesso nella ipotesi pre vista nell'art. 1893 ed il diritto a chiederne l'annullamento

nel caso di colpa grave dell'art. 1892, ma conserva il diritto

all'impugnazione nel caso di malafede, intesa come volon

taria rappresentazione del rischio in modo diverso dalla

realtà, da parte del contraente, con la coscienza dell'illi

ceità del comportamento, sempre che la dichiarazione, inesatta o reticente, abbia avuto influenza sulla determi

nazione dell'assicuratore.

La Corte di merito ha, poi, aggiunto che l'I.n.a. avrebbe

potuto, attraverso più diligente visita medica, accertare

la malattia dell'assicurata, facilmente diagnosticabile. Contro questa considerazione è diretta la censura del

secondo mezzo, col quale il ricorrente, deducendo la viola

zione dell'art. 1892 cod. civ., in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., afferma che, avendo il contraente l'obbligo di rendere dichiarazioni veritiere e complete per rappre sentare il rischio assicurato in modo conforme alla realtà, l'assicuratore non è tenuto ad accertare preventivamente, mediante visita medica, le condizioni fisiche dell'assicurato.

La fondatezza di questa critica, che non può conside

rarsi assorbita nell'accoglimento del primo motivo, dato

che tende ad affermare un principio relativo al comporta mento dell'assicurato, discende evidente dalle suesposte

premesse. Dalla funzione e struttura del contratto che tende ad

assicurare l'esatta rispondenza tra il rischio rappresentato dell'assicurato ed il rischio reale, e dall'onere, che ne con

segue a carico del contraente, di rendere dichiarazioni

esatte e complete, si trae, come già sopra detto, il corol

lario che l'assicuratore, pur dovendo usare, in ossequio al principio generale del nostro ordinamento dominante in

materia contrattuale, la normale diligenza non è tenuto

ad un particolare comportamento positivo di accertamento

del rischio, che forma oggetto del contratto.

La validità del contratto di assicurazione sulla vita è

condizionata alle dichiarazioni, esatte e complete, dell'assi

curato e non anche al comportamento positivo dell'assi

curatore diretto ad accertare le reali condizioni di salute

dell'assicurato. La visita, cui di solito è sottoposto l'assi

curato, è praticata nell'esclusivo interesse dell'assicuratore, non corrispondendo ad un particolare obbligo giuridico, non esime l'altra parte dall'onere di rendere, nella loro interezza e lealtà, le dichiarazioni che la legge le fa obbligo, e non la sottrae alle conseguenze di un comportamento in malafede.

Pertanto, con riguardo al secondo mezzo, devesi affer mare il principio, cui si atterrà la corte di rinvio : nei con tratti di assicurazione sulla vita l'assicuratore non ha alcun

obbligo giuridico di sottoporre l'assicurato ad accertamento

diagnostico. L'eventuale visita medica, disposta per accer tare le condizioni di salute dell'assicurato, non lo esime

dall'osservanza dell'obbligo legale di rappresentare, con dichiarazioni complete ed esatte, l'entità obicttiva del rischio e non lo sottrae alle conseguenze del suo comportamento in malafede.

Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE MJPREMA DI CASSAZIOSE.

Sezione II civile ; sentenza 4 luglio 1959, n. 2130 ; Pres.

Fi bui P., Est. Pratillo, P. M. Toro (conci, conf.) ; Di Giulian (Avv. Muratosi, Sartori) c. Fondazione Carlo Di Giulian (Avv. Rotati, Livi, Domini).

{Conferma App. Venezia 15 gennaio 1958)

Istituzione pubblica di assistenza e beneficenza —

Estremi — Fattispecie (L. 17 luglio 1890 n. 6972, sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, art. 1, 2 ; r. d. 30 dicembre 1923 n. 2841, riforma della

legge 17 luglio 1890 n. 6972, art. 1, 2). Istituzione pubblica <li assistenza e beneiicenza —

Patrimonio destinato a scopi di pubblica assi stenza e beneiicenza — Hiconoscimento statale — Natura — Norme applicabili (Cod. civ., art. 11,

12, 14, 15, 25 ; disp. attuaz. cod. civ., art. 2, 3 ; 1. 17

luglio 1890 n. 6972, art. 4, 44, 46, 50, 84 ; r. d. 5 febbraio 1891 n. S9, regolamento per l'amministrazione delle

istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, art. 1, 93 ; r. d. 30 dicembre 1923 n. 2841, art. 10, 25 ; 1. 3

giugno 1937 n. 847, istituzione dell'ente comunale di assistenza ; d. legisl. luog. 22 marzo 1945 n. 173, isti tuzione di comitati prov. di assistenza e beneficenza

pubblica, art. 4; 1. 26 aprile 1954 n. 251, modificazione

agli art. 10, 34, 36 del r. d. 30 dicembre 1923 n. 2841 e all'art. 6 t. u. 14 settembre 1931 n. 1175, art. 4; d.

pres. 19 agosto 1954 n. 968, decentramento dei ser

vizi del Ministero dell'interno, art. 13). Istruzione pubblica di assistenza e beneficenza —

Amministrazione —- Competenza dell'E.c.a. —

Rappresentanza legale prima del riconoscimento — Estensione (L. 17 luglio 1890 n. 6972, art. 4, 7, 49 ; 1. 3 giugno 1937 n. 847, art. 1).

Persona giuridica -r- Fondazione — Negozio di londa zione— Negozio di dotazione -— Rapporti — Valu

tazione del giudice. Istituzione pubblica di assistenza e beneiicenza —•

Negozio di londazione — Revoca — Art. 15 cod. civ. — Applicabilità (Cod. civ., art. 15).

Persona giuridica — Norme concernenti l'autoriz

zazione per l'acquisto di immobili e per l'accet

tazione di donazioni, eredità e legati — Limiti

(Cod. civ., art. 17; disp. attuaz. cod. civ., art. 5, 7).

Ha natura eli istituzione pubblica di assistenza e benefi cenza una fondazione di beni immobili e mobili, da eri

gersi in ente morale « da durare nei secoli » a vantaggio di

tutti i poveri nativi di un comune, e con lo scopo di creare due scuole professionali, una maschile per edilizia e

falegnameria, l'altra femminile per cucito e maglieria,

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