sezione I civile; sentenza 5 dicembre 1996, n. 10849; Pres. Rocchi, Est. Verucci, P.M. Carnevali(concl. conf.); Cornacchia ed altri (Avv. Giacobbe) c. Soc. Centro studi Manieri (Avv. Pezzano) ealtro. Cassa App. Roma 25 maggio 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 11 (NOVEMBRE 1997), pp. 3337/3338-3343/3344Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191509 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 5 dicem
bre 1996, n. 10849; Pres. Rocchi, Est. Verucci, P.M. Car
nevali (conci, conf.); Cornacchia ed altri (Avv. Giacobbe) c. Soc. Centro studi Manieri (Avv. Pezzano) e altro. Cassa
App. Roma 25 maggio 1993.
Filiazione — Mantenimento — Adempimento — Convivente
«more uxorio» — Contributo dell'altro genitore — Atto di
spositivo simulato — Dichiarazione di simulazione — Am
missibilità (Cod. civ., art. 1415, 2031). Successione ereditaria — Disposizione simulata — Impugnazio
ne del legittimario — Prova della simulazione con ogni mez
zo — Ammissibilità — Condizioni (Cod. civ., art. 555, 1417).
Con riguardo a pregressa e conclusa convivenza more uxorio, il genitore adempiente all'obbligo di mantenimento dei figli ha diritto di agire per il rimborso di quanto da lui già erogato a titolo di contributo dovuto dall'altro genitore e, in qualità di terzo, è legittimato afar dichiarare la simulazione assoluta
di un contratto di cessione di beni, concluso dal proprio part ner al fine di distrarre i beni stessi dalla funzione di parteci
pazione al mantenimento dei figli. (1) Il legittimario è ammesso a provare con ogni mezzo, in quanto
terzo, la simulazione del negozio dispositivo posto in essere
dal de cuius solo quando contestualmente all'azione di di
chiarazione della simulazione proponga domanda di riduzio
ne per la reintegrazione della quota ereditaria. (2)
Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 31 gen naio 1984, Lucia Cornacchia ed i figli Anna, Pierluigi e Rober
to Manieri convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Ro
ma, la s.r.l. Centro studi Antonio Manieri, Iole Persia ed i figli di questa Antonella, Silvia ed Anton Giulio Manieri. Premesso
che Anna, Pierluigi e Roberto erano figli naturali e che Anto
nella, Silvia ed Anton Giulio erano figli legittimi del medesimo, in quanto nati dal matrimonio con la Persia, gli attori espone vano che, con atto notaio Colapietro del 29 settembre 1959,
Luigino Manieri aveva costituito la s.p.a. Centro studi Antonio
Manieri, avente ad oggetto la gestione di tre istituti scolastici
e con capitale ripartito tra lo stesso Manieri, la moglie ed il
fratello di costei. Con successivo atto notaio Colapietro del 3
novembre 1959, il Manieri aveva ceduto alla società, non anco
ra iscritta nel registro delle imprese, la proprietà e la gestione del complesso scolastico per il prezzo di lire 900.000, che il Ma
nieri dichiarava essere stato già versato, ma contrariamente alla
realtà, atteso che nel bilancio al 30 settembre 1960 era stato
(1) Il Supremo collegio è giunto all'affermazione di cui alla massima facendo coerente applicazione del consolidato principio giurisprudenziale in materia di mantenimento, alla stregua del quale il genitore che abbia
integralmente adempiuto l'obbligo di mantenimento dei figli, anche per la quota facente carico all'altro genitore, è legittimato ad agire iure
proprio per il rimborso di detta quota (cfr. Cass. 23 marzo 1995, n.
3402, Foro it., Rep. 1995, voce Matrimonio, n. 145; 28 giugno 1994, n. 6215, id., 1994, I, 3029; 12 marzo 1992, n. 3019, id., 1993, I, 1635, con nota di E. Quadri; Trib. Catania, ord. 14 dicembre 1992, ibid., 1636). In questa direzione si è affermato, che nel comportamento del
genitore adempiente deve ravvisarsi un caso di gestione di affari, pro duttiva a carico dell'altro genitore degli effetti di cui all'art. 2031 c.c.
(cfr. Cass. 16 marzo 1990, n. 2199, id., Rep. 1990, voce cit., n. 154; 11 luglio 1990, n. 7211, ibid., n. 155; 21 giugno 1984, n. 3660, id., Rep. 1984, voce cit., n. 125).
In dottrina, v. A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, Milano, 1984, I, 568; E. Quadri, La nuova legge sul divorzio, Napoli, 1987, I, 147, ove si sottolinea che «il carattere iure proprio della pretesa del
genitore con cui il figlio continua a vivere si presenta (...) quale logica conseguenza della considerazione unitaria, da parte dell'ordinamento, di tale gruppo e delle sue esigenze».
(2) Il principio si inserisce in una copiosa giurisprudenza; conforme
mente, Cass. 29 ottobre 1994, n. 8942, Foro it., Rep. 1994, voce Suc cessione ereditaria, n. 94; 1° dicembre 1993, n. 11873, ibid., n. 97, e Corriere giur., 1994, 324, con nota di M. Porcari; Trib. Roma 3 ottobre 1992, Foro it., Rep. 1993, voce Simulazione civile, n. 18, e Giur. merito, 1993, 333, con nota di A. Granzotto; Cass. 4 aprile 1992, n. 4140, Foro it., Rep. 1992, voce Successione ereditaria, n. 80; Trib. Napoli 30 aprile 1990, id., Rep. 1991, voce Simulazione civile, n. 27, e Giur. merito, 1991, 503, con nota di L. Razza; Cass. 6 agosto 1990, n. 7909, Foro it., Rep. 1990, voce Successione ereditaria, n. 96; 23
Il Foro Italiano — 1997.
dichiarato che l'attività non aveva ancora inizio. Essendo nel
frattempo deceduto il Manieri, gi attori chiedevano che il tribu nale adito dichiarasse la nullità dell'atto di cessione per simula zione assoluta e che il complesso scolastico era parte dell'attivo
ereditario, nonché condannasse i convenuti al risarcimeno dei danni in favore della Cornacchia per la mancata riscossione delle rendite del complesso scolastico.
Il Tribunale di Roma, con sentenza del 27 giugno 1990, riget tava la domanda, cui si erano opposti i convenuti.
L'impugnazione proposta dalla Cornacchia e da Anna, Pier
luigi e Roberto Manieri, nella resistenza delle altre parti, veniva
rigettata dalla Corte d'appello di Roma con sentenza del 25
maggio 1993. Osservava la corte, per quanto in questa sede rile
va, che non aveva fondamento la tesi, sostenuta dagli appellati, che i figli naturali non avevano alcun diritto da far valere, es
sendo passata in giudicato la sentenza con la quale le quote loro spettanti erano state commutate in denaro: la commutazio
ne, infatti, ha natura di atto divisionale, facendo cessare la co munione dei beni ereditari, con la conseguenza che, in caso di
mancata inclusione di un bene del del cuius si applica la norma
tiva in tema di divisione e, in particolare, l'art. 762 c.c.
La corte territoriale rilevava, inoltre, che gli appellanti, quali eredi del Manieri, gli erano subentrati nella posizione di parte contrattuale, onde incontravano, ai fini dell'azione di simula
zione assoluta, il limite probatorio di cui all'art. 1417 c.c., an
che in relazione all'applicabilità delle presunzioni: non dispo nendo di prova documentale contraria all'atto scritto, essi pro
spettavano l'illiceità del contratto di cessione, ma trattavasi di
tesi infondata, dal momento che l'operazione non integrava una
frode fiscale o comunque un mezzo per eludere gli obblighi tri
butari, trattandosi soltanto di parziale riduzione della progressi vità dell'imposta, realizzata mediante frazionamento di attività
facenti capo alla stessa persona fisica. La corte, ritenuti assor
biti gli altri motivi di impugnazione, affermava che il rigetto
dell'appello sulla simulazione del contratto comportava anche
quello sulla decisione in ordine alla domanda risarcitoria avan
zata dalla Cornacchia.
Per la cassazione di tale sentenza la Cornacchia, Anna, Ro
berto e Pierluigi Manieri hanno proposto ricorso, affidato a
due motivi. Resistono il Centro studi A. Manieri s.r.l., nonché
Antonella, Silvia e Anton Giulio Manieri e Jole Persia con con
troricorso. Le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunziando
violazione e falsa applicazione degli art. 1344, 1417, 1418, 2721,
2722, 2724, 2725 e 2729 c.c., nonché omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), i ricor
renti censurano la sentenza impugnata sotto i vari profili: a)
agosto 1986, n. 5141, id., Rep. 1988, voce Simulazione civile, n. 10, e Riv. giur. sarda, 1988, 49, con nota di Dorè; 11 ottobre 1986, n.
5947, Foro it., 1987, I, 1175, e Giur. it., 1987, I, 1, 1866, con nota di G. Azzariti.
Circa la strumentalità dell'azione di simulazione rispetto all'azione di riduzione, v. App. Milano 19 settembre 1968, Foro pad., 1970, IV, 99, secondo la quale, qualora sia prescritta l'azione di riduzione, è inam missibile l'azione proposta dal legittimario leso per ottenere la dichiara zione della simulazione di un atto di vendita. Tale sentenza è stata fa vorevolmente commentata da A. Stolfi (in Riv. dir. proc., 1969, 146) secondo il quale, relativamente alla liberalità dissimulata dal defunto in negozi traslativi a titolo oneroso, l'azione dichiarativa della simula zione e l'azione di riduzione stanno tra loro in rapporto di mezzo a
fine, e quindi «non si può ricorrere al mezzo se non è possibile raggiun gere il fine».
La dottrina è complessivamente orientata nel senso fatto proprio dal la Suprema corte; oltre agli autori citati supra, v. M. T- Latella, In tema di prova della simulazione, in Foro pad., 1992, I, 100; M. Casel
la, Simulazione, voce dell'Enciclopedia del diritto, Milano, 1990, XLII, 593; C. Ramella, Ancora sulla posizione dell'erede legittimario nell'a
zione di simulazione, in Giur. it., 1986, I, 2, 266; L. Ferri, Legittima ri, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, 178; G. Az
zariti, Legittimario non erede e azione di riduzione, in Giust. civ., 1991, I, 714, il quale ha più volte affermato che è da considerarsi terzo solo il legittimario che essendo erede abbia accettato l'eredità con bene ficio di inventario ex art. 564 c.c. In tema di azione di riduzione, v.
Porcari, op. cit.; C. Z. Buda, Questioni in tema di azione di riduzio ne, in Giur. merito, 1994, 640; M. G. Uglietti, Reintegrazione della
quota di riserva dei legittimari. Azione di riduzione, in Nuova giur. civ., 1989, I, 755.
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3339 PARTE PRIMA 3340
la corte territoriale non ha tenuto conto, quanto agli effetti ri
guardanti l'ammissibilità della prova per testi e presunzioni, della
posizione diversa della Cornacchia rispetto a quella dei figli, dal momento che, non rivestendo la qualità di erede del Manie
ri, è da considerare terzo rispetto all'atto del quale è stata chie
sta la dichiarazione di simulazione, tanto più che essa aveva
agito anche quale genitore esercente la potestà sui figli minori
ed era, quindi, portatrice di un'autonoma situazione giuridica;
b) Anna, Pierluigi e Roberto, figli naturali riconosciuti da Lui
gino Manieri, hanno agito come eredi legittimari, essendo evi
dente che, ove fosse ritenuta la simulazione dell'atto, ne derive
rebbe la reintegrazione della quota di riserva; c) in quanto tali,
hanno fatto valere un diritto personale ed assunto posizione di terzi: di questa problematica non v'è traccia nella sentenza
impugnata, onde sussiste anche il vizio motivazionale denuncia
to; d) nell'atto di appello erano state indicate talune circostanze
da cui emergeva l'esistenza di un principio di prova scritta, le
gittimante il ricorso alla prova testimoniale anche in relazione
all'art. 2724, n. 1, c.c.: la corte d'appello non si è fatta carico
di ciò, senza alcuna motivazione al riguardo; e) è erronea l'af
fermazione secondo cui il contratto in questione non sarebbe
illecito, giacché il compimento di atti diretti fittiziamente a fra
zionare il patrimonio del contribuente, allo scopo di ridurre l'o
nere fiscale, è fattispecie inquadrabile nell'art. 1344 c.c., oltre
che nell'art. 1418, con riferimento all'art. 52 Cost.; f) è stato
omesso l'esame della problematica, pur ampiamente prospetta
ta, sull'ammissibilità della prova per testi e presunzioni anche
sotto il profilo dell'impossibilità morale e materiale di procu rarsi una prova scritta, ai sensi dell'art. 2724, n. 2, c.c., sebbe
ne la ricorrenza di tale ipotesi sia evidente, posto che i figli naturali del Maniero non erano ancora nati all'epoca della sti
pulazione del contratto che si assume simulato.
La censura è fondata nei limiti di seguito precisati. È circostanza pacifica che la Cornacchia ha proposto doman
da di risarcimento dei danni, asseritamente derivatile dal man
cato percepimento delle rendite del complesso scolastico: non
rivestendo la qualità di erede del Manieri, essa deve considerar
si terzo rispetto all'atto del quale è stata chiesta la dichiarazione
di simulazione e non come parte, onde la prova per testimoni
e quella per presunzioni è per lei ammissibile senza limiti, ai
sensi e per gli effetti di cui all'art. 1417 c.c.
Questa corte, infatti, ha più volte affermato il principio se
condo cui il genitore esercente la potestà sui figli minori è legit timato ad agire iure proprio nei confronti dell'altro genitore
per il rimborso della quota su quest'ultimo gravante per il man
tenimento dei figli, atteso che detto obbligo sorge per effetto
della filiazione e che nel comportamento del genitore adempien te è ravvisabile un caso di gestione di affari, produttiva a carico
dell'altro genitore degli effetti di cui all'art. 2031 c.c. (Cass.
7211/90, Foro it., Rep. 1990, voce Matrimonio, n. 155; 2199/90,
ibid., n. 154; 3660/84, id., Rep. 1984, voce cit., n. 125, ed altre). A ciò si aggiunga che gli interessi su capitali del figlio
minore, come in genere i frutti dei beni del medesimo, spettano al genitore esercente la potestà direttamente, e non già quale
rappresentante del figlio, a norma dell'art. 324 c.c., dovendosi
conseguentemente escludere che, divenuto maggiorenne, il fi
glio medesimo sia legittimato ad agire per il pagamento dei sud
detti interessi relativi al periodo antecedente al raggiungimento della maggiore età (Cass. 5649/84, id., Rep. 1984, voce Potestà
dei genitori, n. 13). Dei suesposti principi il giudice di merito non ha tenuto alcun
conto, essendosi limitato ad affermare in modo apodittico che
dal rigetto dell'appello proposto dai figli naturali riconosciuti
dal Manieri discendeva «naturalmente» anche il rigetto dell'im
pugnazione proposta dalla Cornacchia avverso la pronuncia del
tribunale di rigetto della domanda risarcitoria: affermazione che
postula, all'evidenza, l'individuazione di un collegamento indis
solubile tra la posizione (e le domande) dei figli e quella della
madre, nel senso che il diritto fatto valere dalla seconda è con
dizionato al risarcimento di quello vantato dai primi. Ma, come
si è detto, non è così: quantomeno con la proposizione della
domanda risarcitoria, la Cornacchia ha agito per il riconosci
mento di un diritto proprio e, conseguentemente, non è ipotiz zabile alcun collegamento sostanziale tra le due posizioni, né
alcuna dipendenza sul piano probatorio in ordine alla domanda
di simulazione assoluta del contratto di cessione in data 3 no
li, Foro Italiano — 1997.
vembre 1959, atteso che la medesima Cornacchia non può che
ritenersi terzo agli effetti di cui all'art. 1417 c.c.
La tesi dei resistenti, secondo cui la Cornacchia potrebbe van
tare un proprio diritto solo in quanto fosse previamente accolta
la domanda dei figli di veder ricompresi nell'asse ereditario gli istituti scolastici, non può essere condivisa: per un verso, infat
ti, non tiene conto della circostanza che la Cornacchia ha la
mentato la lesione di un diritto personale ed autonomo e, per altro verso, si risolve in una sostanziale tautologia, finendo per disconoscere proprio la natura autonoma di quel diritto e —
in violazione dei principi sul regime probatorio in tema di simu
lazione — per negare alla radice la possibilità di dimostrare la
simulazione dell'atto, sol perché gli effetti dell'eventuale dichia
razione di essa potrebbero andare (entro limiti che dovrebbero
essere, se del caso, individuati) anche a favore dei figli. In particolare riferimento alla posizione di Anna, Pierluigi
e Roberto Manieri ed agli altri profili della censura, ma con
argomenti riferibili anche alla posizione della Cornacchia, i con
troricorrenti hanno dedotto l'inammissibilità della censura me
desima per mancanza di specificazione nel ricorso della prova
testimoniale, onde consentire la verifica sulla sua effettiva deci
sività: hanno sostenuto, al riguardo, che in entrambi i gradi del giudizio gli odierni ricorrenti non avevano dedotto alcuna
prova testimoniale, né invocato il procedimento presuntivo. L'eccezione è infondata. Per quanto riguarda l'effettiva de
duzione di prova testimoniale e per presunzioni, nella sentenza
impugnata si precisa che sia l'una che l'altra sono state «dedot
te in giudizio in larga misura»: trattasi di affermazione che, attenendo allo svolgimento del giudizio ed all'attività difensiva
delel parti, non è censurabile in sede di legittimità in difetto
di specifica doglianza; essa, quindi, fa venir meno il presuppo sto su cui poggia il rilievo dei resistenti.
Tale rilievo non può essere condiviso neppure sul piano giuri dico. È vero, infatti, che questa corte ha più volte ribadito che, ai fini dell'ammissibilità in sede di legittimità della censura sulla
pronuncia (o mancata pronuncia) del giudice di merito sull'am
missione e/o rilevanza della prova testimoniale richiesta, occor
re — anche in relazione al principio di autosufficienza del ricor
so e senza, quindi, poter sopperire con indagini, integrative —
che siano indicate le circostanze che formavano oggetto della
prova, onde consentire a questa corte il controllo sulla decisivi
tà dei fatti da provare (da ultimo, Cass. 3233/95, id., Rep. 1995, voce Cassazione civile, n. 107): ma ciò vale quando il giudice del merito non abbia fornito alcuna motivazione sulla mancata
ammissione di detto mezzo probatorio, ovvero ne abbia decre
tato l'irrilevanza, non quando — come nel caso di specie —
lo stesso giudice non abbia minimamente posto in discussione
non solo l'esistenza della richiesta istruttoria, ma neppure la
rilevanza del mezzo ai fini della decisione, limitandosi a negar ne l'ammissibilità in ragione di una presunta impossibilità pro cessuale ad avvalersene.
È appena il caso di rilevare, infine, che per la Cornacchia, terzo e non parte rispetto al contratto di cui è stata dedotta
la simulazione, non può operare la limitazione prevista dall'art.
2725 c.c., richiamata dai resistenti per i figli naturali ricono sciuti: non senza precisare che, comunque, tale limitazione non
potrebbe operare neppure per questi ultimi (ove fossero ritenu
to parte e non terzi: sul punto si tornerà appresso), giacché in tema di prova della simulazione di un negozio soggetto alla
forma scritta ad substantiam — o che, in ogni caso, dev'essere
provato per iscritto, avendo ricevuto tale forma per volontà delle
parti — occorre distinguere tra simulazione assoluta e relativa, con la conseguenza che nel primo caso la prova della simulazio ne soggiace solo alle normali limitazioni legali, fatta eccezione
per le ipotesi previste dall'art. 2724 c.c., in quanto, essendo
oggetto della prova non il negozio formale, ma l'inesistenza dello
stesso, non opera la limitazione dell'art. 2725 c.c., applicabile esclusivamente all'ipotesi di simulazione relativa (ex plurimis, Cass. 954/95, id., Rep. 1995, voce Simulazione civile, n. 4; 6764/90, id., Rep. 1990, voce cit., n. 11; 2998/88, id., Rep. 1988, voce cit., n. 15; 4339/83, id., Rep. 1983, voce cit., n. 8).
Dalle considerazioni che precedono discende che, in ordine alla posizione della Cornacchia ed alla sua possibilità di avva
lersi della prova per testimoni e presunzioni al fine di dimostra re la simulazione assoluta del contratto in questione, la senten
za impugnata non resiste alle critiche mosse dai ricorrenti.
Alla medesima conclusione non può pervenirsi, invece, con
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
riferimento agli altri profili della censura in esame ed alla posi zione di Anna, Pierluigi e Roberto Manieri.
Questi ultimi hanno agito per sentir dichiarare la nullità del
l'atto di cessione per simulazione assoluta e che il complesso scolastico fa parte dell'attivo ereditario: alla stregua del princi
pio ripetutamente affermato da questa corte, ai fini della do
manda diretta all'accertamento della simulazione degli atti com
piuti dal de cuius, il legittimario ha veste di terzo e non è, quin
di, soggetto alle limitazioni probatorie previste dall'art. 1417
c.c., soltanto quando, contestualmente all'azione di dichiara
zione della simulazione proponga, sulla premessa che l'atto si
mulato comporti una diminuzione della sua quota di riserva, una domanda di riduzione e non anche quando siasi limitato
a chiedere l'acquisizione al patrimonio ereditario di beni che
hanno formato oggetto del negozio asseritamente simulato, cui
ha partecipato il de cuius, in quanto l'erede si avvale di un
titolo che lo pone nell'identica posizione giuridica del suo dante
causa, ond'egli non è terzo rispetto all'atto simulato, ma parte a tutti gli effetti (Cass. 7666/95, id., Rep. 1995, voce cit., n.
9; 8942/94, id., Rep. 1994, voce Successione ereditaria, n. 94;
7909/90, id., Rep. 1990, voce cit., n. 96; 853/86, id., Rep. 1986, voce Simulazione civile, n. 21; 4275/84, id., Rep. 1984, voce
Prova testimoniale, n. 8, e molte altre). Contrariamente all'as
sunto dei ricorrenti, quindi, non è sufficiente, al fine di acquisi re la posizione di terzo e non di parte, rivestire la qualità di
legittimario o, in quanto erede, chiedere che il bene oggetto del negozio rientri nell'asse ereditario, ma occorre che sia eser
citata un'azione di riduzione per la reintegrazione della quota: è sin troppo evidente, inoltre, che nessuna rilevanza può avere
il fatto che, comunque, l'azione di riduzione possa essere eser
citata in un secondo momento, atteso che tale domanda conser
va la propria autonomia rispetto a quella volta a far dichiarare
la simulazione e che in ordine a questa seconda va individuato
il regime probatorio applicabile.
Neppure potrebbe ritenersi che l'esercizio dell'azione di ridu
zione sia implicito nella richiesta che i beni oggetto dell'atto
simulato rientrino nel patrimonio ereditario e che, sul punto,
la corte d'appello si sia in qualche modo pronunciata: per un
verso, infatti, una richiesta può rappresentare soltanto il pre
supposto logico di un'eventuale azione di riduzione, ai fini del
calcolo della quota, ma non costituisce, di per se stessa, eserci
zio di un'azione siffatta; per altro verso, il giudice di merito
si è limitato ad osservare, a fronte di uno specifico rilievo delle
controparti, che i figli naturali riconosciuti conservavano, seb
bene fosse intervenuta una sentenza definitiva sulla commuta
zione delle quote, il diritto ex art. 762 c.c. di ottenere un even
tuale supplemento della divisione; affermazione, questa, astrat
tamente corretta, ma che non pone in discussione (al contrario,
evidenziandola) la differenza tra la domanda di reintegrazione
della legittima e di riduzione con quella di divisione — o di
supplemento di essa — della comunione ereditaria (sulla quale,
cfr. Cass. 4140/92, id., Rep. 1992, voce Successione ereditaria,
n. 80). In ordine alla doglianza relativa all'omessa considerazione,
da parte della corte territoriale, dell'applicabilità dell'art. 2724,
n. 1, c.c., è fondato il rilievo d'inammissibilità dedotto dai resi
stenti, sotto il profilo che nel ricorso non sono stati indicati
i documenti dai quali, in applicazione del principio di prova
scritta, appariva verosimile la simulazione del contratto di ces
sione. Si devono richiamare, al riguardo, le considerazioni svol
te dalla giurisprudenza di questa corte sull'autosufficienza del
ricorso per cassazione e sulla finalità cui tende la specificazione
del mezzo di prova dal quale si lamenta l'esclusione, ovvero
l'omessa valutazione, da parte del giudice di merito, dovendosi
anche precisare che, a differenza di quanto affermato con rife
rimento alla prova per testimoni e presunzioni, nella sentenza
impugnata è contenuta la netta affermazione che gli appellati
(odierni ricorrenti) non disponevano di prova contraria all'atto
scritto: ciò significa che il giudice di merito ha comunque com
piuto una valutazione della documentazione, disattendendone
il valore che gli appellanti intendevano attribuirle. Ne deriva
che, per trovare ingresso in sede di legittimità, la censura avreb
be dovuto contenere la specificazione dei documenti che rappre
senterebbero inizio di prova scritta contraria, con l'indicazione
delle ragioni per le quali da essi emergerebbe come verosimile
la simulazione del contratto di cessione: a tanto i ricorrenti non
hanno provveduto, l'esigenza indicata non potendo ritenersi sod
II Foro Italiano — 1997.
disfatta mediante il richiamo ad atti indicati nella citazione in
troduttiva del giudizio, della cui rilevanza effettiva nulla è dato
conoscere con riferimento alla disposizione prevista dall'art. 2724, n. 1, c.c.
Quanto al profilo di censura riguardante la disapplicazione dell'art. 2724, n. 2, c.c., è sufficiente, per rilevarne l'infonda
tezza, ribadire il principio più volte affermato da questa corte, secondo cui, per la ricorrenza dell'impossibilità morale o mate
rile di procurarsi la prova scritta non basta un generico assun
to, né una situazione astrattamente impeditiva, come quella de
rivante da posizioni di influenza o di autorità della persona dal
la quale lo scritto dovrebbe essere preteso, ovvero da vincoli
di amicizia, di parentela o di affinità nei confronti della parte interessata all'acquisizione della prova, ma occorre il concorso
di speciali e particolari circostanze confluenti e concorrenti a
determinarla (ex plurimis, Cass. 7976/94, id., Rep. 1994, voce
Prova testimoniale, n. 13, e 3750/92, id., Rep. 1992, voce cit., n. 8). I Manieri, invero, si sono limitati ad addurre la circostan
za che, all'epoca della stipulazione del contratto asseritamente
simulato, non erano ancora nati, nonché la loro qualità di figli naturali riconosciuti solo nel testamento, ma da tali elementi, di per se stessi considerati, non può automaticamente derivare
l'invocata impossibilità materiale o morale di procurarsi una
prova scritta: dovendosi anche aggiungere che, in ogni caso, i medesimi sono stati in grado di procurarsi (o, comunque, ve
nirne a conoscenza) la documentazione richiamata agli effetti
dell'art. 2724, n. 1, c.c.
Non possono trovare accoglimento, infine, gli argomenti ad
dotti dai ricorrenti per sostenere l'illiceità del contratto in que stione e la conseguente ammissibilità senza limiti della prova testimoniale anche nel caso in cui la domanda di simulazione
sia proposta dalle parti. In fattispecie del tutto analoga alla presente (ossia, atto di
recesso da una società, nel quale, per ragioni fiscali, era stato
indicato un valore della quota di liquidazione del socio receden
te inferiore a quello realmente convenuto), questa corte ha af
fermato, richiamando testualmente quanto enunciato nel par. 648 della relazione al codice civile, che l'art. 1417 va interpreta to nel senso che la libertà di prova è ammessa solo quando «la convenzione o la clausola occultata abbia un contenuto ille
cito tale da legittimare la parte a farne valere l'invalidità», pre cisando che un effetto del genere si verifica nel solo caso in
cui «la norma violata abbia carattere proibitivo (non, quindi, meramente ordinatorio) e sia posta, inoltu, '"tela di interessi
generali che si collochino al vertice della gei a dei valori
protetti dall'ordinamento giuridico: l'interesse dello a+-> alla
riscossione delle imposte, per il suo carattere settoriale, non rien
tra in tale categoria — come viene precisato nello stesso passo della relazione, sopra richiamato — e deve quindi escludersi
che l'occultamento del prezzo, determinando l'illiceità del con
tratto, integri i presupposti per il superamento delle restrizioni
sulla prova derivanti a carico dei contraenti secondo i principi
generali» (Cass. 11598/95, id., Rep. 1995, voce Società, n. 896).
Se, quindi, per ritenere che, a mente dell'art. 1417 c.c., la
prova per testi sia comunque ammissibile, non costituisce vali
do presupposto l'occultamento del prezzo effettivo e se, più in
generale, l'interesse dello Stato alla riscossione dei tributi non
si colloca al vertice dei valori dell'ordinamento, non si vede
come a tale livello possa essere posto il principio di progressivi
tà indicato dall'art. 53 Cost., il quale stabilisce soltanto un cri
terio informatore del sistema fiscale. Non si tratta, certamente,
di sminuire la portata del principio, ma di non attribuirgli, ai
fini che qui interessano, il rilievo assolutamente proibitivo che
la relazione al codice evidenzia per il superamento dei limiti
probatori.
Quanto all'argomento, contenuto nelle note di udienza depo
sitate dai ricorrenti, secondo cui non si potrebbe in ogni caso
dubitare del carattere illecito dell'operazione quando sia simu
lata, atteso che l'amministrazione fiscale sarebbe legittimata a
far valere la simulazione del negozio posto in essere proprio
allo scopo di violare una norma imperativa, è agevole osservare
che si potrebbe, al più, configurare una elusione fiscale e non
una frode alla legge: diversamente opinando, si finirebbe per
considerare illecita qualsiasi operazione con la quale, anche a
fini di riduzione del carico fiscale, il patrimonio venga ripartito
tra una persona fisica ed una persona giuridica. Trattasi, al con
trario, di strumenti largamente adoperati e, nella maggior parte
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3343 PARTE PRIMA 3344
dei casi, legittimi: le eventuali conseguenze sanzionatone, sul
piano fiscale, non possono farsi derivare da un contratto in
frode alla legge. In conclusione, il primo motivo di ricorso va accolto nei limi
ti precisati e, conseguentemente, cassata la sentenza impugnata con rinvio ad altro giudice, che si designa in diversa sezione
della Corte d'appello di Roma, il quale si atterrà ai principi di diritto enunciati, con riferimento alla posizione di Lucia Cor
nacchia, in tema di ammissibilità della prova per testi e presun
zioni, provvedendo anche sulle spese della presente fase di legit timità. Non può essere accolta, invero, la richiesta, avanzata
in via subordinata dagli odierni resistenti, di definire il giudizio a mente dell'art. 384, 1° comma, c.p.c. (nuovo testo), stante
la necessità di ulteriori accertamenti di fatto.
Resta assorbito il secondo mezzo del ricorso, con il quale si denunzia omessa motivazione sugli altri motivi di appello pro
posti avverso la sentenza di primo grado: la corte territoriale,
infatti, ha espressamente ritenuto assorbiti tali motivi, il cui esame
è, conseguentemente, demandato al giudice di rinvio.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 4 no
vembre 1996, n. 9523; Pres. La Torre, Est. Evangelista, P.M. Amirante (conci, conf.); Statuti ed altri (Avv. D'An
tona, Panici) c. Regione Lazio; Regione Lazio c. Statuti ed
altri. Cassa Trib. Rieti 7 febbraio 1994.
Amministrazione dello Stato e degli enti pubblici in genere (rap
presentanza in giudizio) — Avvocatura dello Stato — Regio ni a statuto ordinario — Patrocinio facoltativo — Specifico mandato — Esclusione (R.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, testo
unico delle leggi sulla rappresentanza e difesa in giudizio del
lo Stato e sull'ordinamento dell'avvocatura dello Stato, art.
43, 45, 47; d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, attuazione della dele
ga di cui all'art. 1 1. 22 luglio 1975 n. 382, norme sull'ordina
mento regionale e sull'organizzazione della pubblica ammini
strazione, art. 107; 1. 3 aprile 1979 n. 103, modifiche dell'or
dinamento dell'avvocatura dello Stato, art. 10).
L'avvocatura dello Stato abbisogna di specifico mandato nell'e
sercizio del patrocinio in favore delle regioni a statuto ordi
nario, ancorché agisca nell'ambito del patrocinio «facoltati vo» di cui all'art. 107 d.p.r. 616/77, e non è, di conseguenza, onerata della produzione del provvedimento del competente
organo regionale di autorizzazione del legale rappresentante ad agire o resistere in giudizio. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 3 ot tobre 1996, n. 8648; Pres. La Torre, Est. Evangelista, P.M.
Amirante (conci, conf.); Regione Puglia (Aw. Volpe) c. Mau
lucci (Avv. Cipriani, Pannarale). Dichiara inammissibile ri
corso avvers'o Pret. Bari, ord. 7 aprile 1992.
Impugnazioni civili in genere — Regione — Irregolare costitu
zione in giudizio — Termine breve per impugnare — Decor
renza dalla notificazione fatta personalmente alla parte — Fat
tispecie (Cod. proc. civ., art. 170, 285, 286, 326; r.d. 30 otto
bre 1933 n. 1611, art. 43, 45, 47; d.p.r. 24 luglio 1977 n.
616, art. 107; 1. 3 aprile 1979 n. 103, art. 10).
(1) La sentenza leggesi in Foro it., 1997,1, 114, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 1997.
Qualora il giudice abbia dichiarato irregolare la costituzione in
giudizio della regione a statuto ordinario per carenza di ius
postulandi in capo all'avvocatura dello Stato, cui non sia con
ferito mandato in base a specifica delibera, la notifica ai fini dell'impugnazione dev'essere effettuata alla parte personal
mente, con la conseguenza che è inammissibile l'impugnazio ne proposta dopo la scadenza del termine breve decorrente
da tale notifica. (2)
(2) In termini, e con riguardo alla stessa regione Puglia, v. Cass.
23 marzo 1995, n. 3357, Foro it., Rep. 1995, voce Ingiunzione (procedi mento), n. 77, nonché le successive Cass. 17 gennaio 1997, nn. 440,
441, 442, 443, 444, 445 e 446, id., Mass., 44 (non massimate). In senso
analogo, cfr. Cass. 17 febbraio 1993, n. 1964, id., Rep. 1993, voce Procedimento civile, n. 65, e Giur. it., 1993, I, 1, 1900, secondo la
quale, in caso di procura rilasciata irregolarmente, la notifica della sen
tenza eseguita personalmente alla parte è idonea a far decorrere il ter mine breve per impugnare, non potendo detta parte considerarsi costi tuita ed essendo irrilevanti la mancata dichiarazione di contumacia ed
il fatto che la parte sia indicata come costituita nell'intestazione della
sentenza. In senso diverso, v., però Cass. 11 febbraio 1992, n. 1515, Foro it., Rep. 1992, voce Impugnazioni civili, n. 21, per la quale, ai
fini del decorso del termine breve per impugnare la sentenza con la
quale sia stato accertato il difetto di rappresentanza processuale dell'en
te costituito in giudizio, non può tenersi conto della notifica effettuata
personalmente alla parte anziché al procuratore costituito, dal momen to che la disposizione dell'art. 292, ultimo comma, c.p.c. presuppone una situazione pacifica di contumacia o di nullità della costituzione in
giudizio e non è riferibile ai casi in cui la regolarità della costituzione in giudizio sia oggetto di contestazione. In generale, nel senso che, ai fini del decorso del termine breve per impugnare, la sentenza debba
essere notificata personalmente alla parte contumace, cfr. Cass. 4 no vembre 1987, n. 8091, id., Rep. 1987, voce cit., n. 36; 21 ottobre 1987, n. 7787, ibid., voce Contumacia civile, n. 8; 19 giugno 1987, n. 5392, ibid., n. 9; 14 ottobre 1986, n. 6019, id., Rep. 1986, voce cit., n. 7; 15 marzo 1983, n. 1903, id., 1983, I, 3096; 22 aprile 1982, n. 2486,
id., Rep. 1982, voce Impugnazioni civili, n. 53.
* * *
Avvocatura dello Stato e patrocinio delle regioni a statuto ordinario.
1. - Con le odierne, pronunce, le sezioni unite della Corte di cassazio ne affrontano il delicato tema della rappresentanza processuale delle
regioni a statuto ordinario ad opera dell'avvocatura dello Stato. Nel caso deciso dalla prima sentenza, dinanzi alla Suprema corte era
stata eccepita l'inammissibilità del ricorso incidentale per cassazione pro posto dall'avvocatura dello Stato in difesa della regione Lazio senza mandato speciale e senza delibera di autorizzazione ad agire in giudizio. Le sezioni unite hanno rigettato l'eccezione e, ribadendo l'orientamento
prevalente sia in giurisprudenza sia in dottrina (1), hanno affermato che anche in regime di patrocinio facoltativo ex art. 107 d.p.r. 616/77 la rappresentanza processuale delle regioni a statuto ordinario è assunta dall'avvocatura dello Stato «in via organica ed esclusiva», senza che siano necessari il mandato e la delibera di autorizzazione ad agire.
Nel caso deciso dalla seconda sentenza, invece, l'avvocatura dello Stato aveva proposto dinanzi al Pretore di Bari opposizione a decreto ingiun tivo in difesa della regione Puglia, senza essere munita di mandato e
(1) Il principio per il quale mandato e delibera non sono necessari ai fini dell'assunzione da parte dell'avvocatura dello Stato dello ius po stulandi in favore delle regioni a statuto ordinario, ancorché queste non abbiano conferito all'avvocatura il patrocinio sistematico ai sensi del l'art. 10 1. 103/79, è stato affermato da Cons. Stato, sez. V, 2 gennaio 1997, n. 25, Cons. Stato, 1997, I, 44, sez. IV 8 ottobre 1985, n. 414, Foro it., Rep. 1985, voce Regione, n. 103; sez. VI 4 dicembre 1984, n. 685, id., Rep. 1984, voce cit., n. 104; Cass. 15 marzo 1982, n. 1672, id., Rep. 1982, voce Amministrazione dello Stato (rappresentanza), n. 32, e Giust. civ., 1983, I, 582, con nota adesiva di Carbone, Avvocatu ra dello Stato ed articolo 10 l. 3 aprile 1979 n. 103. In dottrina, nello stesso senso, v. Segreto, Il patrocinio delle regioni a statuto ordinario da parte dell'avvocatura dello Stato, in Arch, civ., 1996, 143 e 146 s.
In senso contrario, e precisamente nel senso che, in regime di patroci nio facoltativo ex art. 107 d.p.r. 616/77, l'assunzione da parte dell'av vocatura dello ius postulandi delle regioni a statuto ordinario richieda la delibera di autorizzazione ad agire ed il mandato, v. Cons. Stato, sez. IV, 14 gennaio 1997, n. 1, Cons. Stato, 1997, I, 11; sez. IV 13 maggio 1996, n. 607, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 18, e Foro amm., 1996, 1480; 13 aprile 1994, n. 3465, Foro it., 1996, I, 270, con nota adesiva di Troiano, Avvocatura dello Stato e patrocinio delle regioni a statuto ordinario-, 3 febbraio 1986, n. 652, id., Rep. 1986, voce Re gione, n. 124; Manzari, Avvocatura dello Stato, voce del Digestopubbl., Torino, 1987, II, 100.
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