sezione I civile; sentenza 5 dicembre 2002, n. 17251; Pres. De Musis, Est. Cultrera, P.M. Russo(concl. conf.); Fall. azienda agricola Resteya (Avv. Manferoce) c. Azienda agricola Resteya ealtri; Polesel (Avv. Romagnoli, Melchiori) c. Fall. azienda agricola Resteya e altri. Cassa App.Venezia 15 marzo 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 2 (FEBBRAIO 2003), pp. 451/452-457/458Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198826 .
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451 PARTE PRIMA 452
degli interessi degli amministrati che sono connessi con l'eser
cizio dei pubblici poteri. Quando gli interessi degli amministrati siano di qualità particolarmente elevata o siano particolarmente sensibili, il regime del termine ordinatorio dev'essere confor
mato in maniera particolarmente garantistica. Infatti in un ordinamento «di diritto» fondato sulla certezza
dei rapporti giuridici è ragionevole presumere che i termini po sti all'amministrazione per l'esercizio di poteri autoritativi sia no rilevanti e non che il cittadino sia soggetto sine die al potere dell'amministrazione. Specie in ordine alla banale verifica do cumentale di una sua dichiarazione.
In mancanza di una specifica disciplina, la lacuna normativa
sarà dunque colmata con la tecnica analogica. Nel caso di spe cie, l'interesse dell'amministrato è quello del contribuente quale
soggetto passivo dell'imposta sui redditi, cioè di una prestazio ne patrimoniale imposta che investe la sua sfera patrimoniale
complessiva e che viene resa in adempimento di un dovere co
stituzionale. Le particolari garanzie, formali (riserva di legge) e
sostanziali (principio della capacità contributiva), che circonda no tale posizione passiva, e l'affinità tra la sottoposizione ad
imposizione patrimoniale tributaria (art. 23 Cost.) e la sanzione penale (art. 25 Cost.) inducono a ricercare nel sistema normati
vo una normativa di specie analoga o di genere superiore che
possa rafforzare la garanzia del cittadino nella veste di contri
buente. Siffatta normativa di principio è rintracciabile nel regi me dettato per il giudice, organo governante imparziale e ga rante del rispetto della legge nella misura più raffinata ed ac
centuata, dal codice di procedura civile, il quale prevede, all'art.
154, che la scadenza del termine ordinatorio non privi il suo ti tolare della legittimazione ad esercitarlo, a condizione che esso
sia preventivamente prorogato. Siffatta regola è, per le ragioni enunciate, applicabile per analogia iuris anche ai rapporti tri butari, e in particolare a quelli relativi alle imposte sui redditi. Ne deriva che, dal momento che nel caso in esame l'accerta
mento ex art. 36 bis d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600 è stato
adottato dopo la scadenza del termine in esso previsto, senza
che ne fosse stata disposta tempestivamente la proroga, l'atto
impositivo è illegittimo. Né sembra persuasivo obiettare che in materia fiscale difetta
un soggetto cui possa far capo il potere di prorogare (per un pe riodo non superiore al termine originario) il termine non peren torio.
Infatti se la volontà del legislatore era di creare un termine
ordinatorio, ed esiste nel sistema una disciplina che attribuisce
significato e rilievo ai termini ordinatori, l'interprete deve pren der atto della voluntas legis (ancorché diversa dall' intendo legis lators); e non può certo addurre difficoltà applicative per sot
trarre al cittadino un suo diritto. Sarà un diverso problema iden
tificare il soggetto legittimato ad accordare la proroga nell'eser
cizio dei poteri di vigilanza oggi previsti dall'art. 5 d.leg. 112/99 (v. per il passato l'art. 16 d.p.r. 602/73).
La trasformazione del termine in questione in termine ordi
natorio non comporta dunque l'automatica proroga del termine
stesso, ma solo la sua prorogabilità in un regime analogo a
quello di cui all'art. 154 c.p.c. (e solo per un termine massimo
non superiore al termine originario). E tale proroga non è inter
venuta, né con atto del giudice né con atto della pubblica ammi
nistrazione.
Né rileva il fatto che l'applicazione retroattiva della norma in
questione è stata successivamente ritenuta scontata dalla senten
za della Corte costituzionale 7-11 giugno 1999, n. 229 (id., 1999, I, 2145), secondo cui la 1. 449/97 «non lascia privo di termini decadenziali l'attività di controllo formale delle dichia razioni, trovando comunque applicazione l'art. 17 d.p.r. 602/73 secondo il quale le imposte liquidate in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti (e dunque anche quelle liquidate a
seguito di controllo 'formale') devono essere iscritte a ruolo, a
pena di decadenza, nel termine previsto dal 1° comma dell'art.
43 d.p.r. n. 600 del 1973» (il 31 dicembre del quarto anno suc cessivo a quello di presentazione della dichiarazione).
La proposizione si limita infatti a constatare l'esistenza co
munque di un termine finale inderogabile per l'esercizio dei poteri di accertamento, di per sé sufficiente ad escludere l'inco stituzionalità del sistema. Ma non affronta neppure il problema della rilevanza giuridica dei termini «ordinatori».
Il ricorso deve dunque essere rigettato.
Il Foro Italiano — 2003.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 5 di cembre 2002, n. 17251; Pres. De Musis, Est. Cultrera, P.M.
Russo (conci, conf.); Fall, azienda agricola Resteya (Aw. Manferoce) c. Azienda agricola Resteya e altri; Polesel
(Avv. Romagnoli, Melchiori) c. Fall, azienda agricola Re
steya e altri. Cassa App. Venezia 15 marzo 2000.
Agricoltura — Imprenditore agricolo — Nozione — Azienda
ortoflorovivaista — Assoggettabilità a fallimento (Cod. civ., art. 2135; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del falli mento, art. 1).
La nozione di imprenditore agricolo contenuta nell'art. 2135
c.c. (nel testo precedente alla novella di cui al d.leg. n. 228
del 2001), alla quale occorre necessariamente fare riferi mento per il richiamo contenuto nell'art. 1 l. fall, (imprese
soggette al fallimento), presuppone che l'attività economica
sia svolta con la terra o sulla terra e che l'organizzazione aziendale ruoti attorno al «fattore terra»; ne consegue che il
riferimento al solo ciclo biologico del prodotto (pur se esatto
dal punto di vista tecnico) non esaurisce il tema d'indagine devoluto al giudice di merito per l'accertamento, ai fini della
soggezione al fallimento, della natura dell'impresa (la Su
prema corte ha pertanto cassato la sentenza che aveva rite
nuto che l'attività di ortoflorovivaista potesse essere qualifi cata agricola, non in base alla coltivazione diretta del fondo, bensì in relazione al fatto che la produzione dipende da un
ciclo biologico, rispetto al quale il fondo può ridursi a sede dell'attività produttiva, laddove occorre accertare se vi sia
un collegamento fra il processo produttivo e il fondo, anche
di semplice rapporto strumentale, che, pur se limitato o par ziale, valorizzi la funzione del fondo stesso nell'ambito della
produzione). (1)
(1) I. - La corte del merito, riformando la decisione dei giudici di
primo grado, aveva affermato che, tenuto conto del contesto socioeco
nomico, e, dunque, basandosi su un'interpretazione evolutiva dell'art. 2135 c.c., ai fini della qualificazione dell'attività agricola, occorreva non tanto verificare se vi fosse la coltivazione diretta del fondo rustico,
quanto il fatto che la produzione fosse dipendente da un ciclo biologico che, nonostante le tecniche di perfezionamento, non era mai controlla bile e, rispetto al quale, il fondo poteva ridursi a sede dell'attività pro duttiva. Ed aveva ancora la corte del merito affermato che, per via del
l'ampia e articolata struttura organizzativa predisposta dal fallito, volta alla commercializzazione dei prodotti, non bastava ad escludere l'atti vità agricola connessa di cui al 2° comma dell'art. 2135 c.c., il mancato
collegamento con il fondo rustico, in quanto era rilevante che la vendita avesse come scopo principale l'immissione sul mercato dei prodotti della terra.
La sentenza riportata, nell'accogliere il ricorso proposto dal falli mento, ha ritenuto che la corte del merito, laddove affermava che con dizione necessaria per l'attività agricola era l'incidenza del ciclo biolo
gico e non la presenza del fondo o l'utilizzazione dello stesso, o qualsi voglia collegamento con la terra, aveva dato un'interpretazione sostan zialmente abrogativa dell'art. 2135 c.c.: e cioè, la corte del merito non aveva tenuto conto del dato normativo, riducendo il fondo a mera sede
dell'operazione produttiva, con la conseguenza che qualsiasi attività, a
prescindere dal collegamento col fondo, veniva ad essere così sottratta al fallimento.
II. - Come precedente immediato, v. Cass. 2 dicembre 2002, n.
17042, Foro it., 2002,1, 3530, secondo cui non spetta ad una società di
pollame allevato in batteria, senza alcuna utilizzazione del fondo rusti co e dei suoi prodotti agricoli, di beneficiare delle tariffe elettriche age volate previste per l'agricoltura. Ed era stato affermato, nella richia mata sentenza, che non era applicabile alla fattispecie all'esame, il
d.leg. 18 maggio 2001 n. 228, che aveva modificato l'art. 2135 c.c., «dilatando» la qualifica di «imprenditore agricolo», perché tale modifi ca era ispirata a principi di diritto europeo, che non potevano operare retroattivamente.
Ma va detto, che quella di veri e propri privilegi per le imprese agri cole, non è affatto questione recente.
Lo statuto dell'imprenditore agricolo, come definito dal codice civile del 1942, non era affatto quello dell'imprenditore commerciale, essen do stata riconosciuta all'imprenditore agricolo una posizione di favore
rispetto all'imprenditore commerciale con l'esenzione dalla tenuta dei libri contabili e la non sottoposizione a fallimento in caso d'insolvenza.
Tale posizione di favore fu giustificata dal maggior rischio dell'atti vità agricola rispetto a quella industriale, ma non va dimenticato che il
favor, per ragioni politiche, confermava il regime già previsto per l'a
gricoltura dal codice di commercio del 1882. E non va dimenticato che nel dibattito tra la prima e la seconda guerra mondiale, che culminò nell'unificazione del diritto civile con il diritto commerciale nel codice
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con sentenza 10 gennaio 1995,
Gian Paolo Polesel, titolare dell'impresa agricola denominata
Agricola Resteya, veniva dichiarato fallito dal Tribunale di Tre
viso innanzi al quale proponeva opposizione, ai sensi dell'art.
18 1. fall., sostenendo che l'attività di ortoflorovivaista, da lui
svolta, non aveva natura commerciale bensì agricola e, perciò, si
sottraeva alle procedure concorsuali ex art. 1 1. fall. In particola re, affermava che la coltivazione svolgentesi totalmente in serra
e soltanto nei mesi invernali rimaneva soggetta al rischio am
bientale e che l'azienda, anche a prescindere da un effettivo
collegamento con il fondo, per il solo fatto della soggezione al
rischio tipico, dipendente dal ciclo biologico delle piante, rien trava tra quelle di cui alla disposizione sostanziale citata.
Con sentenza 14 aprile 1997, n. 567/97 (Foro it., Rep. 1998, voce Agricoltura, n. 63), il tribunale rigettava l'opposizione ri
tenendo che la tesi del rischio biologico non avesse rilevanza
essendo, in ogni caso, necessario, ai sensi della norma citata, uno stretto collegamento funzionale tra attività esercitata e fon
do rustico che, nel caso di specie, andava escluso. Date le di
mensioni dell'azienda, escludeva, inoltre, che si trattasse di atti
vità agricola connessa.
Avverso tale pronunzia il Polesel proponeva impugnazione innanzi alla Corte d'appello di Venezia che, con sentenza 10
febbraio - 15 marzo 2000 (id., Rep. 2000, voce cit., n. 112), l'accoglieva.
Assumeva la corte di merito che, tenuto conto del cambia
mento del contesto socioeconomico, e, dunque, basandosi su
un'interpretazione evolutiva dell'art. 2135 c.c., occorre verifica
re, ai fini della qualificazione dell'attività agricola, non tanto se
vi sia coltivazione diretta del fondo, quanto il fatto che la pro duzione dipenda da un ciclo biologico che, nonostante le tecni
che di perfezionamento, non è mai controllabile e, rispetto al
quale, il fondo può ridursi a sede dell'attività produttiva.
civile del 1942, fu avvertito che l'estensione della disciplina commer ciale anche all'attività agrìcola mirava a spezzare una contraddizione
presente nella realtà italiana, ove ad un crescente progresso industriale faceva da pendant una struttura agricola da una parte parassitaria (so prattutto nell'Italia meridionale) e dall'altra suscettibile di svilupparsi in forme industriali senza peraltro soggiacere alla disciplina propria delle imprese commerciali. Ma con il codice del 1942 prevalse la tutela
dell'agricoltura, e M. D'Amelio poteva scrivere in Riv. dir. agr., 1942, I, 193, che con il codice civile era cessato il «pericolo» della commer cializzazione.
I privilegi agricoli sono stati mantenuti anche dopo la caduta del fa
scismo, e sotto certi aspetti rafforzati con l'assistenzialismo comunita rio e nazionale, di cui l'approdo finale può considerarsi proprio la mo difica dell'art. 2135 c.c., avvenuta con il d.leg. 228/01, che ha «dilata to» a dismisura la qualifica di imprenditore agricolo.
Per una critica di tale «dilatazione», v. D. Bellantuono, nota a Cons.
Stato, sez. IV, 14 maggio 2001, n. 2669, in Foro it., 2001, III, 329, e Postilla a Corte cost. 14 giugno 2001, n. 190, in tema di acquacoltura, id., 2002,1, 36, ed ivi richiami.
Per un commento all'art. 1 d.leg. 228/01, v. Casadei, in / tre «decreti orientamento»: della pesca e acquacoltura, forestale e agricolo a cura di Costato, in Nuove leggi civ., 2001, 723 ss., in cui si richiama il re
golamento 17 maggio 1999, n. 1257/99 Ce del consiglio, che contiene
sostegno allo sviluppo rurale da parte del fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (Feaog), e che modifica e abroga taluni re
golamenti, costituendo il nuovo sistema di intervento strutturale della Comunità europea ai fini della riforma della politica agricola comune nel quadro di Agenda 2000. La spinta modernizzatrice del regolamento comunitario 1257/99, secondo l'a. cit., non si ravvisa nel d.leg. 228/01, nel quale si ignora completamente la nuova figura di impresa destinata ria degli interventi di sostegno delineata negli art. 4 e 5 del regolamento cit., restando nel decreto le qualifiche soggettive del coltivatore diretto e dell'imprenditore agricolo a titolo principale, quest'ultima qualifica soggettiva due anni dopo il suo superamento da parte della Comunità
europea. Per una ricostruzione della figura di imprenditore agricolo a titolo
principale, v. D. Bellantuono, nota a Corte cost. 361/00, in Foro it., 2000,1, 3413.
Nella recente riforma del diritto societario, che entrerà in vigore nel
2004, non v'è alcuna modifica circa l'esclusione delle imprese agricole dalle procedure concorsuali.
Va ricordato che la fase della «commercializzazione» dell'agricoltu ra è stata timidamente avviata con l'istituzione del registro delle impre se di cui al d.p.r. 7 dicembre 1995 n. 581, disponendosi che nelle sezio ni speciali del registro devono essere iscritti gli imprenditori agricoli; i
piccoli imprenditori; le società semplici; i singoli partecipanti alle co munioni tacite familiari di cui all'art. 230 bis, ultimo comma, c.c. (da iscrivere alternativamente nelle sezioni piccoli imprenditori o in quella degli imprenditori agricoli). [D. Bellantuono]
Il Foro Italiano — 2003.
L'interpretazione della norma, secondo il giudice d'appello, va condotta non con criterio astratto e atemporale, ma tenendo
conto del contesto socioeconomico, come sollecitato dal legis latore medesimo nei lavori preparatori al codice civile, e se così
è, non si può non aderire alla teoria anzidetta, né negarsi che le
tecniche produttive, come quelle usate nella specie, sono nate da
esigenze interne al mondo dell'agricoltura, al quale appartengo no secondo il comune sentire.
E, inoltre, l'ampia ed articolata struttura organizzativa predi
sposta dal fallito, volta alla commercializzazione dei prodotti, non basta ad escludere il vincolo di connessione di cui al 2°
comma dell'art. 2135 c.c., perché ciò che rileva è il fatto che la
vendita abbia come scopo principale l'immissione sul mercato dei prodotti della terra, che, nella fattispecie concreta, è fatto in
controverso.
Avverso tale pronunzia ricorre per cassazione il fallimento, deducendo due motivi di doglianza.
Resiste con controricorso Gian Paolo Polesel, proponendo, altresì, ricorso incidentale condizionato.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione. — In linea preliminare deve disporsi la riunione dei ricorsi.
Col primo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa ap
plicazione degli art. 1 1. fall, e 2135 c.c., nonché omessa, insuf
ficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, osservando che, in base alla lettera chiarissima
della norma codicistica, per determinare la natura agricola del
l'attività è necessario un collegamento funzionale fra attività
esercitata e fondo, rivelandosi necessario un rapporto fra impre sa e suolo, da cui la prima trae occasione e forza determinante.
Del resto, anche la relazione ministeriale, richiamata nella decisione impugnata, è chiara quando afferma che l'espressione,
agricoltura è assunta dal codice nel senso più ampio di esercizio
dell'attività rivolta allo sfruttamento della terra, e delle sue atti
vità produttive, sia che tale sfruttamento consista nella coltiva
zione del fondo o, invece, nella silvicoltura e nell'allevamento
del bestiame. Ciò vuol dire che non può prescindersi dal fatto
che detta attività, in ogni caso, deve trarre forza determinante
dal fondo agricolo. La corte veneziana stravolge il senso della norma, laddove af
ferma che la condizione necessaria per l'attività agricola è l'in
cidenza del rischio biologico e non la presenza del fondo o l'u
tilizzazione dello stesso, o qualsivoglia collegamento con la ter
ra. Trattasi, piuttosto, d'interpretazione sostanzialmente abro
gativa dell'art. 2135 c.c. che non tiene conto del dettato norma
tivo, in quanto riduce il fondo a mera sede dell'attività produtti va, con la conseguenza che qualsiasi attività, a prescindere dal
collegamento col fondo, viene così ad essere sottratta al falli
mento.
La motivazione è, peraltro, meramente apparente in quanto è
totalmente obliterato ogni elemento di fatto della causa, risol
vendosi in un'acritica adesione alla teoria agronomica del ri
schio biologico di cui, inoltre, non fornisce neppure spiegazio ne. Manca, in conclusione, l'iter logico argomentativo della de
cisione assunta.
Ove la corte di merito avesse svolto accertamento sull'attività
in discussione, sarebbe pervenuta a diversa conclusione, essen
do risultato accertato dalla c.t.u. espletata che l'attività del fal
lito non aveva collegamento funzionale con la terra, e presenta va una combinazione di fattori produttivi che minimizzava i ri schi tipici di una produzione di materiale biologico, nell'aspetto sia materiale sia produttivo, essendo la produzione programmata secondo gli ordinativi.
Col secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa
applicazione degli art. 2135-2082 c.c., 11. fall, e 12 preleggi. Osserva che la corte territoriale ha sostenuto che unico limite,
alla capacità espansiva del criterio di normalità ex art. 2135 c.c., è dato dal fatto che la vendita deve avere come scopo l'immis
sione sul mercato dei prodotti dell'impresa, ma non tiene conto
del fatto che l'attività di alienazione dei prodotti, svolta dal Po lesel, sicuramente non può essere ricondotta a quella agricola, date le strutture tecniche ed organizzative impiegate dal fallito, che contava venti dipendenti, ventisei collaboratori esterni, dif fusi anche in ambito internazionale, e notevoli partecipazioni in realtà sociali legate al commercio.
Tale imponente struttura mal si concilia con l'idea di norma
lità affermata.
Il resistente ha, a sua volta, proposto ricorso incidentale con
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455 PARTE PRIMA 456
dizionato, con il quale, premesso che, contrariamente a quanto sostenuto nella decisione impugnata, la qualificazione di im
prenditore agricolo è ricavabile dal raccordo fra la norma codi
cistica e la legislazione speciale, lamenta violazione dell'art.
2135 c.c. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. Insiste nelle
difese svolte in sede di merito, e chiede ammettersi le prove te
stimoniali dedotte in quella sede, che integralmente riproduce nel loro capitolato.
Il primo motivo è fondato.
La nozione di imprenditore agricolo contenuta nell'art. 2135
c.c., alla quale occorre necessariamente far riferimento per il ri
chiamo espresso contenuto nell'art. 1 1. fall., è stata riqualificata dal nostro legislatore e, propriamente, dall'art. 1 d.leg. 228/01, secondo la cui previsione testuale:
«È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti atti
vità: coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento di animali
e attività connesse.
Per coltivazione del fondo, per silvicoltura e per allevamento
di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo svilup
po di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utiliz
zare il fondo, il bosco, o le acque dolci, salmastre o marine.
Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal
medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valoriz
zazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalente mente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'alleva
mento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o ri
sorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio
e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospi talità come definite dalla legge».
Tale formula, se confrontata col dettato normativo preceden te, che recita al 1° comma: «È imprenditore agricolo chi esercita
un'attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento di bestiame e attività connesse» e al 2° comma:
«Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o
all'alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell'eser
cizio normale dell'agricoltura», rappresenta una figura di im
prenditore agricolo che, come quello precedente, produce utilità
per il mercato (non va trascurato il rilievo che l'attività agricola,
per il nostro legislatore, è quella del soggetto individuato ai sen
si dell'art. 2082 c.c. nel capo I del titolo II del libro V, intitolato dell'impresa in generale), la cui attività, però, appare del tutto
riformata.
In particolare con riguardo all'attività agricola principale, che
rappresenta il profilo di maggior rilievo, se non altro perché og
getto della doglianza in esame, a differenza di quanto previsto nella previgente icastica disposizione normativa, la modifica le
gislativa considera la «possibilità» e non più la «necessità», di utilizzare il fondo per il suo esercizio, relegando tale utilizza zione ad un fatto meramente potenziale. Ciò che conta, in so
stanza, è che il prodotto possa essere ottenuto utilizzando — in
astratto — il fondo, anche se — in concreto — esso venga rea
lizzato fuori da esso, escluso, comunque, il caso in cui, neppure in linea teorica, del fondo possa farsi a meno.
Tale attività, per usare l'espressione di uno studioso, «non è
più, dunque, solo estrattiva, ma finalizzata a favorire quanto le
caratteristiche biologiche di piante ed animali consentono di ot
tenere», sicché, al fine di qualificare l'attività agricola, occorre
tener conto solo del bene prodotto, che va individuato secondo
il criterio del ciclo agrobiologico, purché possa svolgersi, dal punto di vista naturale, nel fondo.
Imprenditore agricolo è, inoltre, oltre il coltivatore diretto ed il silvicoltore, anche l'allevatore di «animali», e non più solo di «bestiame», onde cade la diatriba circa l'attribuzione della qua lificazione di impresa agricola a quell'attività organizzata che riguardasse non già solo gli animali legati al fondo, che è la no zione che, secondo la tradizione rurale e la nostra lingua, va at
tribuita al sostantivo, bestiame, ma anche ad altre specie che stanzialmente non vivono sul fondo, né appartengono all'agri coltura ovvero alla pastorizia.
Tanto già basta a ritenere la portata innovativa e non inter
pretativa della disposizione normativa in esame.
Ove poi si considerino le attività connesse, sia pur breve mente, va rilevato che le novità introdotte sono molte e di por tata tale da smantellare il precedente impianto normativo. Solo
Il Foro Italiano — 2003.
per esemplificare, basta rilevare che la categoria delle attività
connesse tipiche è stata oltremodo ampliata, passando da due a
cinque (manipolazione, conservazione, trasformazione, com
mercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto pro dotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del
bosco o dall'allevamento di animali) di cui l'ultima — la valo rizzazione —
rappresenta vera innovazione; si è introdotta ex
novo altra categoria di attività tipica nella seconda parte del 3°
comma (fornitura di beni o servizi...), ed infine è stato abban
donato, per le attività atipiche, il criterio della normalità, per es
sere sostituito da quello della prevalenza. Per logico corollario, non potendo porsi in dubbio la natura
innovativa di tale intervento legislativo, deve esserne esclusa la
retroattività, e, di conseguenza, l'applicazione al caso di specie che resta, pertanto, regolato dalla disposizione regolatrice pre
vigente. Occorre ricordare che il costante insegnamento del giudice
delle leggi avverte che indipendentemente dall'autoqualifica zione e formulazione assunte, che nella specie neppure si rin
vengono nella norma in esame, non corrisponde ai caratteri pro
pri di una legge interpretativa quella legge che «anziché desu
mere, enucleare o escludere un qualche significato già insito
nella disposizione interpretata, interviene sotto la veste surretti
zia di una norma d'interpretazione autentica, modificando
quella precedente» (ex multis, Corte cost. 233/88, id., 1989, I,
1052). In altre parole, intanto la norma è interpretativa in quanto essa, nella sua nuova formulazione, letta congiuntamente al te
sto di quella precedente, integri quest'ultima in modo da costi
tuire unica disposizione. Nella specie ciò non è per tutte le ragioni esposte. Il legislato
re delegato è intervenuto nella materia non certo per chiarire il
precedente suo dettato, ed allo scopo di eliminare un perdurante contrasto di interpretazione (che, di certo a livello di giurispru denza di legittimità non è ravvisabile: v., tutte in senso confor
me e tra le molte, Cass. 150/66, id., Rep. 1966, voce cit., n. 31;
3174/71, id., 1972, I, 1638; 2100/80, id., Rep. 1980, voce Fal limento, n. Ili; 5914/80, id., Rep. 1981, voce cit., n. 116; 5773/90, id., Rep. 1990, voce Agricoltura, n. 69; 1334/91, id., Rep. 1991, voce cit., n. 112; 2767/92, id., Rep. 1992, voce Fal limento, n. 205; 265/97, id., 1997, I, 434; 6911/97, id., Rep. 1998, voce cit., n. 227, e 10527/98, ibid., voce Agricoltura, n. 61), quanto piuttosto, al fine di emettere «uno o più decreti legis lativi contenenti norme per l'orientamento e la modernizzazio
ne nei settori dell'agricoltura, delle foreste, della pesca, dell'ac
quacoltura, e della lavorazione del pescato, anche in funzione
della razionalizzazione degli interventi pubblici», e, dunque, per correggere il vecchio disposto normativo, onde rafforzare la po sizione imprenditoriale dell'operatore agricolo, spostando la
chiave prospettica, ai fini della sua individuazione, dal fondo al prodotto da immettere sul mercato (v. 1. delega 57/01).
Non diversamente da quanto è avvenuto in materia di artigia nato, la modifica legislativa ha determinato un nuovo assetto
della materia, applicabile, perciò, anche in tal caso, ratione tem
poris, solo per il futuro (v. Cass., sez. un., 1050/97, id., 1997,1, 411, per l'artigianato).
Né può dirsi che, come lamenta il resistente, la nozione di
imprenditore agricolo, nel vecchio regime normativo, va colta
alla stregua anche della legislazione speciale e di settore che ne
ha ampliato il significato elidendo il rapporto col fondo, inteso come humus e fattore produttivo genetico avente funzione im
prescindibile. Come ha ben detto la corte territoriale, tali interventi esauri
scono la loro portata nell'ambito esclusivo dei rispettivi sistemi in relazione ai quali sono stati previsti (per tutte, cfr. Cass. 18/89, id., 1989,1, 2859). A ciò va aggiunto che, il fatto stesso che si sia avvertita da parte del legislatore l'esigenza della spe cifica qualificazione per determinati ambiti, ne convalida la na tura limitata di intervento circoscritto e, come tale, speciale (v.
d.p.r. 1124/65 come modificato dalla 1. 778/86; in materia di ac quacoltura 1. 102/92, e di funghicoltura 1. 126/85), da cui non possono trarsi spunti ermeneutici in funzione applicativa gene rica e generale.
Tanto premesso, va rilevato che la corte territoriale non ha
fatto buon governo dei principi elaborati in tema di ermeneusi
dell'art. 2315 c.c. nella sua precedente formulazione, atteso che
ha recepito, di certo acutamente, la teoria formulata in agrono mia del ciclo (agro)biologico, ma l'ha applicata ex se, traendone
tout court la conclusione che basta rinvenire tale requisito nel
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
prodotto ottenuto dall'imprenditore, per qualificare agricola l'attività diretta a tale forma di produzione, ed ha nel contempo svalutato il rapporto produzione-fondo, avendo sostenuto che
questo può anche ridursi a mera sede dell'attività produttiva. Tale affermazione è errata.
Ciò che caratterizza l'attività agricola nel precedente testo, anche alla luce della disposizione contenuta nell'art. 44 Cost., è
che l'attività «economica» sia svolta con la terra o sulla terra, e
che l'organizzazione aziendale ruoti attorno al fattore produtti vo terra. Solo questo dato segna il discrimine tra l'attività agri cola e quella commerciale, disciplinata dall'art. 2195 c.c., posto che in entrambi i casi trattasi di un operatore che esercita la sua
attività attraverso una struttura organizzata in forma d'impresa.
L'interpretazione letterale dell'art. 2135 c.c. non consente
altra lettura.
L'indubbia chiarezza del dato testuale esclude l'ingresso ai
criteri sussidiari di cui all'art. 12 preleggi, che vieta l'attribu zione al testo normativo di altro senso che quello fatto proprio dalle parole secondo la connessione di esse.
In tale chiave, nella ricerca della vis et potestas della legge occorre tener conto del presente, e cioè delle evoluzioni che
modificano il sistema sul quale la forza precettiva della regola di diritto interviene, ma deve anche volgersi lo sguardo al pas sato, e cioè al momento in cui la legge venne emessa ed al si
stema legislativo che, all'epoca, vigeva perché, come sostenuto
da autorevole studioso «la norma non è intelligibile in sé, ma
solo in funzione di una realtà e compito del giurista è la valuta
zione normativa di tale realtà».
Per logico precipitato, se, per un verso la nozione di coltiva
zione può essere dilatata alla stregua dei progressi dell'agrono mia, fino a ricomprendervi processi di fecondazione del tutto
nuovi rispetto alla classica «piantagione», di certo, però, occorre
nel contempo che essi si realizzino in collegamento col fondo,
perché nella mente del legislatore del 1942, Yager ha rappre sentato la base di ogni attività agricola e perno dell'agricoltura, e da esso, non può, dunque prescindersi.
Il riferimento al solo ciclo biologico del prodotto, che elimina la precedente teoria del doppio rischio — ambientale ed atmo
sferico — quale specifico e tipizzante, pur nella sua esattezza
dal punto di vista strettamente tecnico, non esaurisce, dunque, il
tema d'indagine devoluto ai giudici di merito, poiché è, altresì, necessario l'apprezzamento in concreto del detto collegamento, che la corte veneta ha omesso di verificare.
Pur abbandonando l'immagine del soggetto che opera con o
sulla terra, che l'inciso testuale «coltivazione del fondo» conte
nuto nell'art. 2135 c.c. in esame suggestivamente evoca, data la
valenza tecnica della nozione di coltivazione, che, come si è
detto, conosce strutture agricole altamente meccanizzate, al fine, anche di evitare ingiusta estensione del privilegio dell'esonero
dal fallimento (ovvero al fine di non escludere, se così si può di
re, il diritto di fallire) in situazioni che nulla hanno di agricolo se non la mera natura del prodotto, occorre accertare, oggi più di ieri, che vi sia un collegamento fra il processo produttivo ed
il fondo, comunque esso si atteggi, non necessariamente di
sfruttamento imprescindibile della forza genetica dell' humus, come presumibilmente ha immaginato il legislatore, ma anche
di semplice supporto strumentale, anche limitato o parziale,
purché, però, vi sia, e che valorizzi la funzione del fondo nel
l'ambito della produzione, senza omologarlo a qualsiasi altro
elemento idoneo a costituire mera base o forma di stanziamento
della stessa, rendendolo cosa fungibile, e, come tale, di nessuna
incidenza sul ciclo produttivo. Nella decisione impugnata tale indagine, come si è detto, è
stata trascurata, essendo stata ritenuta assorbita ogni questione al riguardo.
Detta sentenza deve, pertanto, essere cassata in parte qua, e
gli atti devono essere rinviati ad altra sezione della corte vene
ziana, perché accerti, alla luce del principio anzidetto, se vi sia connessione, pur nella forma dilatata sopra indicata, fra l'atti
vità produttiva del fallito ed il fondo. Non essendo stato dato ingresso alle prove dedotte dal pre
detto fallito, il cui articolato, riprodotto nel ricorso incidentale
condizionato, ha ad oggetto proprio l'indagine sul suddetto rap
porto, il giudice del rinvio dovrà pronunziarsi anche sulla loro
ammissibilità e rilevanza. Di qui la declaratoria d'inammissibilità del ricorso inciden
tale.
L'indagine sul secondo motivo resta assorbita.
Il Foro Italiano — 2003.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 4 di cembre 2002, n. 17207; Pres. Mercurio, Est. Vidiri, P.M.
Cesqui (conci, conf.); Soc. Ansaldo energia (Avv. Morrico) c. Bronzati e altri (Avv. Pissarello, Cossu), Consorzio Ma
nital (Avv. Bosio, Barbantini). Conferma Trib. Genova 23
settembre 1999.
Lavoro (rapporto di) — Trasferimento di ramo d'azienda — Nozione — Autonomia organizzativa ed economica — Esclusione — Fattispecie (Cod. civ., art. 2112; 1. 29 dicem bre 1990 n. 428, disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee
(legge comunitaria per il 1990), art. 47).
Il trasferimento ad altra impresa di lavoratori addetti ad una
struttura aziendale priva di autonomia organizzativa e carat
terizzata dall'estrema eterogeneità delle funzioni degli ad
detti, insuscettibile dunque di assurgere ad unitaria «entità
economica», non può configurare una cessione di ramo d'a
zienda cui sia applicabile l'art. 2112 c.c., ma costituisce me
ra cessione di contratti di lavoro, richiedente per il suo perfe zionamento il consenso dei lavoratori ceduti. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 25 otto
bre 2002, n. 15105; Pres. Mercurio, Est. Picone, P.M. Ce
squi (conci, parz. diff.); Addamo e altri (Avv. Cossu, Fran cioso) c. Consorzio Manital (Avv. Barbantini, Bosio), Soc.
Ansaldo energia; Soc. Ansaldo energia (Avv. Morrico) c.
Consorzio Manital e altri. Cassa Trib. Milano 11 marzo 2000.
Lavoro (rapporto di) — Trasferimento di ramo d'azienda — Autonomia organizzativa dell'entità economica trasfe
rita — Necessità (Cod. civ., art. 2112; 1. 29 dicembre 1990 n. 428, art. 47).
Ricorre la fattispecie del trasferimento di ramo d'azienda sol
tanto quando il complesso dei beni alienati sia dotato, già antecedentemente al trasferimento, di autonomia organizzati va ed economica, finalizzata allo svolgimento di un'attività di
produzione di beni o di servizi. (2)
(1-2) Le sentenze si possono leggere in Foro it., 2003, I, 103, con nota di A.M. Perrino.
Se ne riproducono le massime per pubblicare la nota di R. Cosio.
* * *
La cessione del ramo d'azienda: un cantiere aperto.
1. - Esternalizzazioni e trasferimenti di rami d'azienda: i termini del dibattito. La Suprema corte, con le pronunce in epigrafe sul caso An saldo (1), fa sentire la sua voce su un tema che è oggi al centro di un dibattito non solo dottrinale e giurisprudenziale ma, anche, politico.
La questione è nota. I fenomeni di esternalizzazione (2) hanno messo in crisi il «senso si
stemico» (3) da sempre attribuito alle norme, di diritto del lavoro, che
regolano le vicende circolatorie dell'azienda. In sostanza, si è constatato che attraverso l'applicazione dell'art.
2112 c.c. (in presenza di esternalizzazioni di singoli servizi) era possi bile espellere consistenti quote di personale senza dover attivare (con tutte le incognite del caso) le procedure di riduzione del personale.
Per recuperare il senso (originario) della norma (2112 c.c.) sono state
percorse due strade:
<4) In primo luogo, si è affermata l'esistenza di un «diritto di opposi zione» (4) del lavoratore alla prosecuzione del rapporto con il conces sionario.
(1) La sentenza 15105/02 è annotata da Foglia, Il trasferimento di ramo d'impresa giunge in Cassazione, in Corriere giur., 2003.
(2) Sul fenomeno dell'esternalizzazione, v. De Luca Tamajo, Le esternalizzazioni tra cessione di ramo d'azienda e rapporti di fornitu ra', Vicari, L'«outsourcing» come strategia per la competitività; Co
razza, L'«outsourcing» negli Stati uniti d'America, in AA.VV., I pro cessi di esternalizzazione. Opportunità e vincoli giuridici a cura di De Luca Tamajo, Napoli, 2002.
(3) Sul tema, M. Barcellona, Diritto, sistema e senso, Torino, 1996, 470.
(4) Sul tema, v., in particolare, Scarpelli, Trasferimento d'azienda ed esternalizzazioni, in Giornale dir. lav. relazioni ind., 1999,499.
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