sezione I civile; sentenza 5 gennaio 1985, n. 13; Pres. Falcone, Est. Senofonte, P. M. Zema(concl. conf.); Ebranati (Avv. Moser) c. Bertò (Avv. Lorenzoni, Taddei) e altri. Conferma App.Trento 31 luglio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 3 (MARZO 1986), pp. 771/772-773/774Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180235 .
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PARTE PRIMA
Motivi della decisione. — L'ente ricorrente premette che a
norma delle 1. reg. Campania n. 54 del 29 ottobre 1974 e n. 25
del 30 aprile 1975, il provvedimento di costituzione dei nuovi
comuni sfocia in una legge regionale che, quale fonte normativa
primaria, assorbe le posizioni soggettive di coloro i quali prospet tano illegittimità procedurali degli atti che hanno condotto alla
norma medesima, cioè degli atti preparatori della legge regionale, che è il solo fatto idoneo a disporre l'istituzione del nuovo
comune. Sostiene quindi che, prima della promulgazione e del
l'entrata in vigore della legge regionale istitutiva del nuovo
comune, non vi sono ancora atti impugnabili ma solo un proce dimento legislativo in itinere. Soggiunge che l'eventuale illegitti mità del procedimento potrà essere fatta valere, sotto forma, se
del caso, di giudizio incidentale di costituzionalità, ma solo dopo
l'entrata in vigore della legge regionale istitutiva del comune, in
quanto prima di tale legge — solo atto eventualmente lesivo —
non sono confìgurabili pretese tutelabili innanzi all'autorità giudi
ziaria, e ciò anche perchè solo la Corte costituzionale è compe
tente a pronunciarsi sull'atto lesivo, quando sia adita nelle forme
consentite dalla legge sul processo costituzionale.
Il ricorso è fondato. Premesso che con la costituzione dei contro
ricorrenti è sanata l'asserita nullità della notificazione del ricorso
(eccepita dagli stessi, peraltro in forma del tutto generica ed apodit
tica), va richiamato anzitutto il principio (già affermato da queste
sez. unite: v. sent. 3626/72, Foro it., 1973, I, 42; 1356/79, id., Rep.
1979, voce Giurisdizione civile, n. 179 e altre) secondo cui attiene
alla giurisdizione la questione relativa all'astratta idoneità di un
atto amministrativo ad incidere su una posizione soggettiva tute
labile in giudizio.
L'istituzione di nuovi comuni, già disciplinata dalla legge co
munale e provinciale, rientra, secondo l'art. 133 Cost., nella
competenza delle regioni, che provvedono con legge, sentite le
popolazioni interessate.
Nella regione Campania la materia è stata regolata, in via
generale, con 1. reg. 29 ottobre 1974 n. 54, che delinea l'iter della
legge istitutiva di nuovi comuni, prevedendo un disegno corredato
dal parere dei consigli dei comuni interessati e del consiglio
provinciale, nonché da una specificazione planimetrica del territo
rio, ed indicando — in conformità dell'art. 60 dello statuto —
quale strumento per l'audizione delle popolazioni interessate, il
referendum consultivo da indirsi dal consiglio regionale per una
data da stabilirsi dal presidente della giunta regionale. La 1. reg.
30 aprile 1975 n. 25 disciplina poi lo svolgimento del referendum
popolare in Campania.
In tale quadro normativo, pur se è vero che l'atto impugnato
dinanzi al T.A.R. e quelli connessi hanno una propria individuali
tà, anche esterna, e non possono, perciò, rispetto alla legge
istitutiva del nuovo comune essere assimilati agli interna corporis
che segnano l'iter formativo di una legge, è certo però che essi,
in quanto aventi contenuto positivo, cioè tale da determinare
l'evoluzione del procedimento, non hanno alcuna autonomia fun
zionale. In particolare, l'atto con cui è stata resa nota l'indizione
del referendum popolare non è produttivo di alcun risultato
giuridico apprezzabile se non quello di concorrere, con gli altri
analoghi, alla formazione del procedimento che si conclude con
l'emanazione della legge istitutiva del nuovo ente, e quindi in sé
non produce alcun'altra modificazione della realtà giuridica. Esso,
cioè, avulso da tale procedimento e considerato in sé, non è
suscettibile di incidere in alcun modo in sfere giuridiche esterne:
né in quella di soggetti portatori di interessi meramente privati,
sia pur particolarmente differenziati, rispetto all'istituzione del
nuovo ente, né in quella dei residenti come tali, considerati cioè
uti cives, titolari di quella posizione che costituisce il substrato
dell'azione popolare (che si ritiene esercitabile in questa materia).
In entrambi i casi invero, atti del genere determinano o gradual
mente accrescono prospettive di nuovi assetti territoriali, con ciò
incidendo solo su contrapposte aspirazioni, prive come tali di
tutela giuridica. Del resto l'interesse civico che abilita all'esercizio
dell'azione popolare amplia bensì (fino a generalizzarla, nell'ambi
to del comune) la cerchia dei legittimati, ma non modifica il
presupposto obiettivo costituito da un atto funzionalmente auto
nomo. Anche in presenza di tale interesse, cioè, il diritto di agire
nella sede giurisdizionale competente sorge in concreto solo in
presenza di quel presupposto e non consente impugnative frazio
nate contro i singoli atti del procedimento, specie trattandosi di
procedimento (come quello finalizzato all'emanazione di una leg
ge) che è determinato e sorretto da istanze squisitamente politi
che e che comprende tra i suoi momenti l'intervento diretto del
corpo elettorale. Quest'ultimo rilievo fornisce ulteriore argomento a favore della soluzione accolta.
Il Foro Italiano — 1986.
Gli eventuali vizi degli atti considerati, risolvendosi in vizi
dell'atto conclusivo del procedimento, cioè la legge regionale
(senza la cui regolare formazione, intesa anche come conformità
al modello normativamente delineato, non può dirsi osservata la
riserva posta dall'art. 133 Cost.), sono materia soggetta al control
lo della Corte costituzionale in sede di controllo della legittimità
della legge istitutiva del nuovo comune (v. in tal senso Corte
cost. n. 65/75, id., 1975, I, 1626 e 204/82, cit.). Il che, ri
ferito alla situazione attuale, ormai successiva alla pubblicazione
della 1. reg. 20 luglio 1982 n. 33 che ha istituito il comune di
Cellole, esclude che altro giudice possa conoscere dei vizi denun
ciati. In particolare il T.A.R. che nella specie è stato adito non
potrebbe con l'eventuale accoglimento del ricorso e l'annullamen
to dell'atto impugnato, togliere efficacia alla detta legge senza con
ciò sostituirsi alla Corte costituzionale. Non potrebbe, del resto,
utilmente limitarsi a sollevare questioni di costituzionalità (per
vizi della legge dipendenti dalla dedotta illegittimità dell'atto
impugnato), giacché la soluzione di tali questioni, sia che consi
stesse nella declaratoria di illegittimità della legge istitutiva del
comune di Cellole, sia che consistesse nella negazione di tali vizi,
e nella constatazione della legittimità della legge stessa, verrebbe
ad esaurire la materia di cui il T.A.R. è stato investito.
Deve quindi concludersi che prima ed al di fuori di una
possibile denuncia della legge regionale attraverso l'incidente di
costituzionalità (sollevabile quindi in sede di impugnazione di atti
amministrativi successivi alla legge stessa) non v'è possibilità di
sindacato giurisdizionale su atti che (non arrestano, a causa del
loro contenuto negativo, il corso del procedimento diretto alla
istituzione del nuovo comune, ma) costituiscono momenti evoluti
vi positivi del provvedimento stesso.
Non contrastano con le conclusioni raggiunte la decisione del
Consiglio di Stato del 14 giugno 1977, n. 599 (id., Rep. 1977, voci
Comune, n. 73 e Giustizia amministrativa, nn. 578, 1076) e la
sentenza di queste sezioni unite del 5 marzo 1979, n. 1356, cit.,
emesse nella vicenda relativa alla precedente legge regionale
istitutiva dello stesso comune (poi dichiarata illegittima dalla
Corte costituzionale con la sentenza 29 dicembre 1981, n. 204).
Esse non solo non determinano una preclusione da giudicato —
come i controricorrenti pretendono — data la evidente diversità
dell'oggetto, ma non costituiscono neanche utili precedenti, perchè
le pronunzie e le argomentazioni che le sorreggono si riferiscono
ad atti esecutivi della citata legge, quindi successivi ad essa.
Deve, in conclusione, dichiararsi il difetto di giurisdizione per
improponibilità assoluta della domanda. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 5 gennaio
1985, n. 13; Pres. Falcone, Est. Senofonte, P. M. Zema
(conci, conf.); Ebranati (Aw. Moser) c. Bertò {Avv. Lorenzo
ni, Taddei) e altri. Conferma App. Trento 31 luglio 1982.
Titoli di credito — Assegno bancario — Prescrizione dell'azione
cambiaria — Valore di promessa di pagamento — Trasferimen
to — Condizioni (Cod. civ., art. 1988).
L'assegno bancario, dopo la prescrizione dell'azione cambiaria, ha
valore di promessa di pagamento; pertanto i diritti da esso
derivanti non sono autonomamente trasferibili con la sola
tradizione del titolo. (1)
'(1) È giurisprudenza consolidata che il titolo di credito, invalido per la mancanza dei requisiti prescritti (purché ovviamente non si tratti
della mancanza della sottoscrizione), ovvero la cui efficacia cambiaria
sia esaurita per prescrizione, ha valore di promessa di pagamento o di
ricognizione di debito, con la conseguenza della relevatio ab onere
probandi per il portatore che ancora agisca contro il debitore cambia
rio, nel senso che l'esistenza del rapporto sottostante è presunta sino a
prova contraria da parte del debitore.
Cosi, da ultimo, Cass. 18 giugno 1981, n. 3976, Foro it., Rep. 1981, voce Titoli di credito, n. 64; 4 marzo 1981, n. 1256, ibid., n. 41; 24
giugno 1980, n. 3965, id., Rep. 1980, voce cit., n. 55; 19 novembre
1978, n. 5119, id., Rep. 1978, voce cit., n. 82; 19 ottobre 1978, n.
4701, ibid., n. 81. Tra i giudici di merito cfr. App. Firenze 16
febbraio 1979, id., Rep. 1981, voce cit., n. 47, ove la precisazione che
la cambiale, una volta pregiudicate l'azione cambiaria e l'azione
causale ad essa inerenti, non è deducibile come promessa unilaterale di
pagamento ex art. 1988 c.c.; Trib. Milano 20 settembre 1976, id., Rep.
1977, voce cit., n. 114, ove è detto che l'assegno bancario nullo per
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con decreto, provvisoriamente esecutivo, del 9 luglio 1977, il presidente del Tribunale di Trento
ingiunse a Guido Berto, Clemente Castellan e Giuseppe Castellan,
rispettivamente emittente, prenditore, girante e giratario-girante di un assegno bancario, emesso nel gennaio del 1971, di lire 60 milioni, di pagare la somma al ricorrente Giuseppe Ebranati,
portatore del titolo. Con separati atti di citazione, gli intimati proposero opposizio
ne: il Berto, deducendo, nell'ordine, il difetto di legittimazione attiva dell'opposto, la prescrizione dell'azione cartolare e di
arricchimento, l'insussistenza dei presupposti per l'esercizio dell'a
zione causale, e, infine, l'abuso dell'assegno, che, firmato in
bianco, era stato utilizzato per fini diversi da quelli concordati tra le parti; i due Castellan, denunciando la falsificazione delle loro firme di girata e l'abuso dell'assegno in bianco.
Riuniti i processi, l'Ebranati, che, costituitosi, aveva contestato le dedotte falsità, dichiarò, altresì', di aver ricevuto in garanzia l'assegno da Bruno Castellan (fratello di Clemente e di Giusep pe), suo diretto debitore per un credito di pari importo noto a tutti gli opponenti.
Sospesa la provvisoria esecuzione del decreto, i Castellan ecce
pirono che l'Ebranati sarebbe, comunque, incorso nella decadenza
prevista dall'art. 1957 c.c.
Il tribunale, pur escludendo le asserite falsificazioni, accolse le
opposizioni e condannò, inoltre, l'opposto al risarcimento dei
danni, per responsabilità processuale aggravata, osservando che
egli, estraneo al rapporto sottostante all'emissione dell'assegno, aveva malamente esercitato l'azione causale e che non è configu rabile l'assunzione di un'obbligazione fideiussoria a mezzo di
assegno bancario, costituendo questo semplice strumento di pa gamento.
Con la sentenza ora impugnata, la Corte d'appello di Trento ha
integralmente confermato la decisione di primo grado.
Propone ricorso l'Ebranati sulla base di cinque motivi. Il Bertò
resiste con controricorso illustrato da memoria. I Castellan non si
sono costituiti.
Motivi della decisione. — (Omissis). Parimenti infondato è il se
condo motivo, col quale si deduce violazione degli art. 1988 c.c.,
45, 49 e 59 r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736, per aver la corte trentina
escluso l'esistenza di qualsiasi rapporto causale tra le parti, pur non avendo gli opponenti (autori delle rispettive promesse di paga mento documentate dal titolo) fornito la relativa prova.
Se è vero, infatti, che l'astrazione processuale inerente alla
promessa di pagamento si traduce in una inversione dell'onere
della prova, spettando al promittente di provare la mancanza di
un rapporto fondamentale idoneo a sorreggere la promessa, è
altrettanto certo che il giudice di merito, indipendentemente dalle
regole di ripartizione dell'onere di cui trattasi, può anche nel
processo dominato dal principio dispositivo fondare il proprio convincimento sugli elementi probatori comunque acquisiti (prin cipio della c.d. acquisizione processuale), e, quindi anche se
provenienti dalla parte non onerata, come accaduto nel caso
specifico. Col terzo motivo, il ricorrente, denuncia violazione dell'art.
1957 c.c., deducendo, al riguardo, che il giudice, di merito avrebbe erroneamente ritenuto essersi verificata, nella specie, la
decadenza di cui all'art. 1957 c.c., poiché la norma non è
applicabile alla fideiussione prestata nella forma di promessa cartolare.
Neppure questo mezzo è fondato. Prescindendo dall'estensione
(che si vuol proporre) alla fideiussione di principi affermati da
questa corte (sentenza n. 595/1977 Foro it., Rep. 1977, voce
Fideiussione, n. 18) in relazione all'avallo (con riguardo all'astrat tezza e all'autonomia del medesimo, a caratteri, cioè, che la
garanzia fideiussoria non esibisce), determinante è il rilievo che la corte d'appello ha, innanzitutto, perentoriamente escluso che la
fattispecie sia riadducibile alla fideiussione, solo successivamente
(e ultroneamente) aggiungendo, nel prosieguo della motivazione, che, anche nell'ipotesi in cui essa fosse configurabile e fosse stata validamente trasferita, si sarebbe, comunque, verificata la deca
denza ridetta.
mancanza della data e del nome del prenditore non vale come
chirografo ai sensi dell'art. 1988 c.c. Sul punto del trasferimento dei diritti derivanti dalla promessa di
pagamento v. Cass. 22 aprile 1975, n. 1568, id., 1975, I, 2512. Sui rapporti tra fideiussione e avallo, su cui si dilunga la sentenza
in epigrafe, si veda Cass. 8 giugno 1976, n. 2090, id., 1977, I, 154, e in Banca, borsa, ecc., 1977, II, 22, con nota di Salvestroni, Estensio ne della fideiussione per fatto del creditore ed inestensibilità dell'art. 1956 c.c. all'avallo.
Il Foro Italiano — 1986.
È, quindi, evidente che il mezzo non investe la ratio decidendi
della sentenza impugnata, ma un'enunciazione ipotetica e super
flua, priva di rilevanza e, perciò, inutilmente (ma anche infonda
tamente) censurata.
Non fondato è, altresì, il quarto motivo, col quale il ricorrente
deduce che la corte d'appello, escludendo che gli potesse suben
trare, mediante semplice traditio del titolo, nella posizione sostan
ziale di Bruno Castellan nei confronti dell'emittente e dei giranti, avrebbe violato gli art. 1988, 1268, 1269, 1272 e 1273 c.c., in virtù
dei quali per il trasferimento dei diritti incorporati nei titoli di
credito è sufficiente la trasmissione di questi ultimi.
Non è, ovviamente, contestabile che per la trasmissione dei
diritti cartolari basti osservare le norme che disciplinano la
circolazione dei titoli incorporati e che non sono, quindi, richieste
ulteriori manifestazioni negoziali. È anche vero, però, che il
principio non opera (non può operare) nei casi in cui tali titoli
risultino depauperati, per aver perduto le specifiche caratteristiche
funzionali al rafforzamento del credito incorporato e alla sem
plificazione del regime di circolazione.
Questo aspetto della vicenda, ignorato dal ricorrente, è stato, invece, nitidamente enucleato dalla corte trentina, la quale ha, in
proposito, correttamente rilevato che, intervenuta la prescrizione dell'azione cartolare, « l'unica efficacia riconoscibile all'assegno di cui si discute è quella insita in una promessa di pagamento, che, essendo invocata in via extracartolare, trova la sua disciplina nell'art. 1988 c.c., deducendone coerentemente, nel solco dell'indi rizzo ribadito da questa Corte suprema con la sentenza n.
1568/75 (id., 1975, I, 2512; e condiviso anche dal ricorrente), che
i diritti derivanti dalla promessa non erano autonomamente trasferibili con la sola traditio dell'assegno scaduto. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 22
ottobre 1984, n. 5370; Pres. F. Greco, Est. Cassata, P. M.
Sgroi V. (conci, conf.); Pavia (Aw. Contaldi) c. Min. pubblica
istruzione; Comignani (Avv. Spada) c. Pavia; Min. pubblica istruzione c. Pavia e Comignani. Cassa App. Roma 5 febbraio 1979.
Impiegato dello Stato e pubblico — Collocamento in aspettativa
disposto dalla pubblica amministrazione — Illegittimità —
Pretesa risarcitoria — Controversie — Giurisdizione ordinaria
(Cod. proc. civ., art. 353, 383; 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, sul contenzioso amministrativo, art. 4; d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 31, 66, 68;
d.p.r. 3 maggio 1957 n. 686, norme di esecuzione del t.u. sullo statuto degli impiegati civili dello Stato 10 gennaio 1957 n. 3, art. 30, 31, 32, 33, 34).
La competenza a conoscere della pretesa risarcitoria dell'impiega to, derivante dall'illegittimo collocamento in aspettativa disposto dalla p.a., rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. (1)
(1) Per i precedenti circa la natura di diritto soggettivo della posizione del pubblico impiegato rispetto al collocamento in aspet tativa per malattia, essendo investita la p.a. di mera discreziona lità tecnica, v. le sentenze richiamate in motivazione. In merito all'art. 68 t.u. n. 3/57, v., oltre alle decisioni richiamate in mo tivazione, Cass. 7 giugno 1983, n. 3900, Foro it., Rep. 1983, voce Impiegato dello Stato, n. 1058, secondo cui l'aspettativa per infermità può essere disposta anche « d'ufficio », senza, quindi, che occorra una formale domanda dell'interessato; mentre Cons. Stato, sez. VI, 10 novembre 1982, n. 545, ibid., n. 1057, chiarisce che, occorre che sia accertata l'esistenza di una malattia che impedisca temporaneamente la regolare prestazione del servizio, con il conseguente obbligo per la p.a. di procedere ad un accertamento sanitario prima di concedere la detta aspettativa.
Cons. Stato, sez. IV, 3 novembre 1982, n. 711, ibid., n. 1105, fa discendere il vizio di eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà dal comportamento dell'amministrazione che, dopo aver accertato l'aggravamento dello stato di salute del dipendente a mezzo di un medico di propria fiducia, pretenda di trarre dall'inerzia del dipendente medesimo di fronte a due inviti di sottoporsi anche ad una visita medica collegiale una sicura prova dell'inequivocabile volontà di abbandonare definitivamente l'impiego. Cons. Stato, sez. V, 30 luglio 1982, n. 623, ibid., n. 1106, ritiene la legittimità della dichiarazione di decadenza dall'impiego del pubblico dipendente che ritiene di provare la regolarità della sua assenza dal servizio con l'esibizione dei certificati medici attestanti l'esistenza di una malattia temporaneamente invalidante, ma deliberatamente ed illegittimamente pone l'amministra zione nell'impossibilità di verificarne l'esistenza e la consistenza attra verso i prescritti controlli. Su quest'ultimo aspetto v., in termini, Cons.
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