Sezione I civile; sentenza 5 marzo 1982, n. 1384; Pres. Marchetti, Est. Sandulli, P. M. Zema(concl. diff.); Comune di Sansepolcro (Avv. Selvaggi, Ugolini) c. Perugini (Avv. Lessona). CassaApp. Firenze 16 febbraio 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 6 (GIUGNO 1983), pp. 1703/1704-1707/1708Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177109 .
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1703 PARTE PRIMA 1704
Costituitosi solamente l'opposto creditore in surroga Monte dei
Paschi di Siena deduceva la intempestività dell'opposizione, per ché proposta oltre i cinque giorni dalla conoscenza dell'ordinan za con la quale era stata fissata la vendita.
Nel merito, sosteneva tuttavia la validità del pignoramento nella specie sottoscritto da procuratore munito di mandato spe ciale, mentre la surroga al creditore procedente poteva avere
luogo anche se non vi fosse negligenza del creditore.
Aggiungeva che la comunicazione alla debitrice dell'udienza di
comparizione era provata per tabulas.
Il tribunale con sentenza resa il 25 ottobre 1979, nella contu macia degli altri creditori, qualificava la domanda come opposi zione agli atti esecutivi e la dichiarava inammissibile per l'inos
servanza del termine di cui all'art. 617 c.p.c. Solo ad abundantiam osservava: 1) non sussisteva nullità del
pignoramento per mancata sottoscrizione della parte, perché esso è validamente firmato anche dal difensore munito di procura; 2) non vi era nullità della surroga esercitata dal Monte dei Paschi di Siena, trattandosi di nullità relativa che poteva pertanto esse re invocata solo da chi vi avesse interesse; 3) inesistente era la
prospettata nullità della procedura esecutiva per omissione degli avvisi, in quanto la debitrice era a conoscenza della data stabili ta per la comparizione.
Ha proposto ricorso la Lippi sulla base di tre motivi di
cassazione, cui il Monte dei Paschi di Siena replica con controri corso. Gli altri tre intimati non si sono costituiti.
Motivi della decisione. — Col primo motivo di ricorso, de nunziandosi violazione degli art. 615 e 360, n. 3, c.p.c., si sostiene che erroneamente il tribunale ha ritenuto inammissibile la domanda sul presupposto che, trattandosi di opposizione agli atti esecutivi, essa fosse soggetta all'osservanza del termine pe rentorio prescritto dall'art. 617 stesso codice.
Questa conclusione viene considerata inaccettabile perché — si deduce — il difetto di sottoscrizione dell'atto di pignoramento immobiliare sostanzia un vizio radicale, incidente non sulla rego larità dell'atto, bensì' sulla sostanza di esso che, per la mancata
perfezione, deve ritenersi giuridicamente inesistente.
Pertanto, vertendosi in tema di opposizione all'esecuzione
l'opponente era dispensata dal rispetto del su indicato termine. Con gli altri due motivi partitamente si assume: a) la sotto
scrizione dell'atto di pignoramento immobiliare da parte del
procuratore della creditrice Anna Rasponi equivale a mancanza di sottoscrizione, poiché, nella procura apposta sul precetto, non era previsto lo specifico potere di procedere ad esecuzione im mobiliare (violazione art. 555 e. p. c. in relazione agli art. 125 e
83); b) la richiesta di surroga da parte del difensore del Monte dei Paschi di Siena non era valida per difetto di mandato ad hoc (violazione art. 83 e 125 c.p.c. in riferimento all'art. 51 t. u. sul credito fondiario 1905 n. 646).
Il ricorso non è fondato. Ben vero che, secondo la giurispru denza di questa Suprema corte, condivisa da autorevole dottrina, l'inesistenza giuridica dell'atto di pignoramento immobiliare per mancata sottoscrizione, quale causa invalidante di tutti gli atti esecutivi successivi e collegati, può essere eccepita, oltre che entro i cinque giorni dal pignoramento viziato, anche entro i
cinque giorni dal compimento di qualsiasi successivo e conse
guente atto di esecuzione, e rilevata d'ufficio dal giudice nel corso del processo esecutivo perché tali atti sono afletti da invalidità riflessa.
Questo principio deve essere, tuttavia, inteso nel senso che i suindicati rimedi debbono essere, in ogni caso, inquadrati nel
l'opposizione agli atti esecutivi sia pure con lo slittamento del termine nell'ambito della predetta fase, né il vizio in parola potrà essere rilevato d'ufficio in sede di cognizione, né tanto meno per la prima volta nel giudizio di legittimità (cfr. sul tema Cass. 1962 n. 2284, Foro it., Rep. 1962, voce Responsabilità civile, n. 221; 1964 n. 2253, id., 1965, I, 71; 1968 n. 4078, id., 1969, I, 1543).
Da questi postulati deriva anzitutto, per quanto si dirà, che in rapporto al vizio prospettato nel primo mezzo è erroneo il richiamo all'art. 615 c.p.c., ma occorre fare riferimento al dispo sto dell'art. 617 e alla necessità del rispetto del termine peren torio prescritto dalla norma ora indicata.
Infatti, per quanto riguarda la fattispecie in esame in cui l'atto di pignoramento è stato in realtà sottoscritto dal difensore munito di procura giova rilevare che questa corte, con costante indirizzo, ha affermato che non sussiste alcuna irregolarità circa il quo modo dell'esecuzione perché l'atto può essere validamente sottoscritto sia dal procuratore della parte che da quest'ultima (cfr. Cass. 1972 n. 570, id., 1972, I, 2922; 1973 n. 1198, id., Rep. 1973, voce Cassazione civile, n. 38).
Pertanto, è evidente che la prospettazione del preteso vizio,
non attinente all'esistenza giuridica del pignoramento immobilia
re, avrebbe dovuto essere fatta entro il termine perentorio stabi
lito dall'art. 617 c. p. c. e al di fuori della previsione di cui
all'art. 615, come infondatamente deduce la difesa del ricorrente.
Gli esposti rilievi dovrebbero ritenersi valevoli anche con rife
rimento alla misura sui limiti del mandato ad litem tratteggiata nel secondo motivo del ricorso.
Senonché, appare assorbente la considerazione che questo mo
tivo è inammissibile in questa sede di legittimità, atteso che, sia nel ricorso introduttivo che nelle conclusioni formulate nel giu dizio dinanzi al tribunale, la Lippi ha lamentato, soltanto, l'o messa sottoscrizione del pignoramento da parte della creditrice
procedente e non anche pretesi limiti del mandato conferito al
difensore che sottoscrisse il pignoramento immobiliare da essa
sollecitato.
Cosicché, trattasi di questione nuova non rilevabile d'ufficio e non deducibile per la prima volta in Cassazione per i noti limiti del giudizio di legittimità (per altri riferimenti sul tema v. anche Cass. 1968 n. 4078 e le altre cit.).
Per quanto riguarda, invece, il terzo mezzo, relativo al difetto
di mandato speciale per la surrogazione esercitata dal Monte dei
Paschi di Siena, è da rilevare che, anche per questo profilo di
opposizione, è esatta la pronuncia di inammissibilità per inosser
vanza, da parte della Lippi, del termine ex art. 617 c. p. c.
emessa dal giudice a quo.
Infatti, appare evidente che detto profilo si atteggiasse come una irregolarità della procedura esecutiva senza effetti invalidanti radicali sul pignoramento e sulle attività successive e collegate, e che perciò fosse soggetta al termine dianzi indicato e dovesse
essere quindi entro di esso prospettata per non incorrere nella
decadenza comminata dalla legge. In conclusione, atteso che il tribunale ha rettamente inquadra
to l'azione nel paradigma legislativo di cui all'art. 617 c.p.c. e
giudicandola, sulla base degli atti di causa, intempestiva e quindi inammissibile, il ricorso va rigettato. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 5 marzo
1982, n. 1384; Pres. Marchetti, Est. Sandulli, P.M. Zema
(conci. difT.); Comune di Sansepolcro (Aw. Selvaggi, Ugo
lini) c. Perugini (Avv. Lessona). Cassa App. Firenze 16
febbraio 1979.
Cassazione civile — Fatto sopravvenuto — Documenti nuovi —
Producibilità — Esclusione — Fattispecie (Cod. proc. civ., art.
372; 1. 25 giugno 1855 n. 2359, espropriazione per cause di
pubblica utilità, art. 13).
Nel giudizio di cassazione non è ammessa la produzione di docu
menti nuovi miranti a provare l'esistenza di un fatto sopravve nuto che attenga al inerito della causa (nella specie, il ricorso era stato proposto dal comune condannato in appello a risarcire al
privato il valore venale di un fondo illegittimamente espropriato in
forza di un provvedimento emesso dopo l'inutile scadenza del ter
mine per l'esecuzione delle opere fissato nella dichiarazione di
pubblica utilità; la corte, nell'accogliere il ricorso sul presupposto che il privato avrebbe potuto ottenere solo la restituzione del
fondo e tutt'al più il risarcimento dei danni derivanti dalla tem
poranea indisponibilità dell'immobile, ha ritenuto di non poter prendere in esame i documenti attraverso i quali il controri
corrente intendeva dimostrare l'avvenuta tardiva esecuzione delle
opere pubbliche e la conseguente impossibilità della restituzio ne del bene). (1)
(1) Non risultano precedenti specifici. Per qualche analogia cfr. Cass. 13 gennaio 1981, n. 283, Foro it., Rep. 1981, voce Cassazione
civile, n. 243, che ha negato la producibilità in Cassazione di un do cumento nuovo dal quale risultava la sopravvenuta cessazione dello stato di necessità invocato dal locatore per ottenere il rilascio del l'immobile locato ai sensi dell'art. 4 1. 23 maggio 1950 n. 253, e, in motivazione, Cass. 14 marzo 1968, n. 814, id., 1968, I, 1918, spec. 1926, la quale, in un'ipotesi in cui il ricorso si fondava sulla circo stanza che l'attrice aveva promosso il giudizio, in rappresentanza di un figlio minore, senza la necessaria autorizzazione del giudice tute lare, escluse l'ammissibilità di un documento mirante a provare la morte del minore, successiva alla conclusione del giudizio di appello, e conseguentemente a dimostrare la legittimazione processuale della madre, quale unica sua erede.
Nel senso che, nell'azione di risarcimento danni per occupazione ille gittima di un fondo da parte della p. a., la sopravvenuta emanazione del decreto di espropriazione per pubblica utilità può essere dedotta per la prima volta in Cassazione anche nel corso della discussione orale e può essere provata documentalmente al di fuori dei limiti di cui all'art.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Motivi della decisione. — In via pregiudiziale, va esaminata
l'eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal resistente.
Secondo la tesi prospettata — sostenendosi con l'unico motivo
d'impugnativa che la corte d'appello avrebbe potuto condannare
l'amministrazione comunale non al risarcimento del danno (con sistente nel valore venale del terreno definitivamente perduto) ma alla restituzione dell'immobile (la cui domanda, originaria mente proposta in via subordinata, era stata abbandonata nel
corso del giudizio di primo grado, per non essere stata riprodot ta in sede di precisazione delle conclusioni), in quanto il prov vedimento di esproprio, dichiarato illegittimo e disapplicato (per ché omesso senza potere in conseguenza della decadenza della
dichiarazione di pubblica utilità a norma dell'art. 13 1. 25 giu
gno 1865 n. 2359, essendo scaduto il termine in essa fissato per l'ultimazione dei lavori, senza che questi fossero stati eseguiti), non sarebbe stato idoneo ad operare il trasferimento all'ammi
nistrazione espropriante del diritto di proprietà, rimasto nella
sfera giuridica del Perugini — l'interesse ad ottenere l'annulla
mento della decisione impugnata sarebbe venuto meno per il
factum superveniens della costruzione dell'opera pubblica (im
pianto sportivo), in vista della "cui realizzazione il procedimento
espropriativo era stato promosso, giacché — essendo divenuta
irreversibile l'occupazione del fondo a seguito dell'attuazione del
l'opera, eseguita dopo la pubblicazione della decisione denun
ciata (per la cui dimostrazione sono stati depositati in giudizio una relazione tecnica giurata ed alcune fotografie, nel convinci
mento della inapplicabilità del divieto di produzione di nuovi
documenti in Cassazione previsto dall'art. 372 c.p.c., attenendo
la documentazione prodotta alla inammissibilità del ricorso) —
l'unica pronuncia, che, in conseguenza del factum superveniens
dedotto, potrebbe essere resa, sarebbe quella risarcitoria, delibe
rata dalla decisione impugnata. In sostanza, si assume che, a causa della sopravvenuta costru
zione dell'impianto sportivo, il risarcimento, già imputabile, se
condo l'originaria impostazione, all'illiceità della procedura e
spropriativa, sarebbe comunque ricollegabile alla irreversibilità
della situazione originata dalla definitiva occupazione del suolo
con la costruzione dell'opera pubblica.
L'eccezione delineata ripropone il problema attinente ai limiti
di producibilità di nuovi documenti nel giudizio di cassazione
e, in particolare, la questione se il giudice di legittimità possa 0 no tener conto di circostanze di fatto sopravvenute alla pro nuncia di merito innanzi a lui impugnata.
L'art. 372 c. p. c. — escludendo il deposito di atti e documenti
non prodotti nei pregressi gradi del processo (che non riguardi no la nullità della sentenza impugnata e/o l'ammissibilità del
ricorso e del controricorso) — suggerisce l'idea che il giudizio di
cassazione sia un procedimento assolutamente privo di istrutto
ria. E tale riflessione trova conferma nella disciplina della u
dienza di discussione (art. 379), la cui puntuale determinazione
non lascia spazio ad alcuna attività istruttoria. Invero, nel pro cedimento di cassazione — riemergendo esclusivamente le vicen
de del procedimento precorso — la decisione è astrattamente
prevista in relazione ai motivi dell'impugnativa. Risulta, quindi, un evidente raccordo fra i « fatti rilevanti per la decisione » ed
1 motivi (e la precedenza dell'esposizione di quelli indica nei
motivi il momento riassuntivo della cognizione). Il giudizio di cassazione funziona, pertanto, per valutazioni
tipiche, corrispondenti a quelle per cui la legge consente il
ricorso; e tale corrispondenza è intrinseca, costituendo il motivo
concretamente indicato nel ricorso (in relazione ai fatti pregressi) l'estremo essenziale per la pronuncia di cassazione.
Stabilito tale principio, occorre misurarne il grado di flessibilità,
considerando, cioè, se la Corte di cassazione possa conoscere
372 c.p.c., v., da ultimo, Cass. 26 marzo 1980, n. 2010, id., Rep. 1980, voce cit., n. 84, e in dottrina R. Oriani, Occupazione d'urgenza, costruzione dell'opera pubblica, decreto di espropriazione « tardivo », tutela giurisdizionale del proprietario, id., 1982, V, 205 ss., passim e
spec. § 16 ed ivi ampi riferimenti di ulteriore dottrina e giurisprudenza. La giurisprudenza della Cassazione è costante nell'affermare, in
vece, l'ammissibilità di documenti nuovi dai quali risultino fatti so
pravvenuti che, implicando la cessazione della materia del contendere, facciano venir meno l'interesse alla pronuncia sul ricorso: cosi sent.
21 agosto 19-82, n. 4694, id., Mass., 967; 27 maggio 1982, n. 3267,
ibid., 685; 18 marzo 1982, n. 1757, ibid., 369; 5 febbraio 1982, n.
653, ibid., 138; 2 giugno 1981, n. 3551, id., Rep. 1981, voce cit., n.
245; 24 gennaio 1981, n. 568, ibid., n. 244; 1" aprile 1980, n. 2107,
id., Rep. 1980, voce cit., n. 229; 10 marzo 1980, n. 1579, ibid., n. 228; 24 gennaio 1980, n. 601, ibid., n. 231; 2 ottobre 1979, n. 5046, id.,
Rep. 1979, voce cit., n. 245; 21 febbraio 1979, n. 1128, ibid., n. 243, e
14 marzo 1978, n. 1264, id., 1978, I, 1131, con osservazioni di L.
Florino.
soltanto del motivo ovvero anche ispirare la sua decisione a
differenti valutazioni o a nuove incidenze fattuali, nel frattempo
palesatesi. Questo collegio — pur convenendo con la convinzione che la
disciplina del rimedio debba essere valutata in consonanza con
le linee del sistema cui partecipa e che l'assolutezza delle regole, nell'armonia del sistema, debba essere adeguata alle generali tendenze cui lo stesso si ispira, vale a dire nel senso di una
soluzione pivi estesa (almeno riguado alle distinte valutazioni:
arg. ex art. 384) — ritiene che la Corte di cassazione — come
non possa annullare la sentenza impugnata per un vizio diverso
da quello denunciato, in quanto un annullamento al di fuori dei
motivi equivarrebbe ad un annullamento senza ricorso — non
possa dichiarare che una sentenza, di cui rilevi gli errores in
iudicando denunciati, debba considerarsi correttamente resa in
base a fatti sopravvenuti nelle more del giudizio di legittimità. In tal senso si è espressa la costante giurisprudenza di questa
corte, la quale — ponendo in rilievo l'incompatibilità tra la
struttura del giudizio di cassazione e la deduzione di fatti nuovi
sopravvenuti alla pronuncia della decisione impugnata — ha
sempre escluso la produzione di documenti concernenti tali fatti
successivi.
Del pari alla Corte di cassazione si è sempre negato il potere di invalidare (facendo riferimento a circostanze nuove dedotte
per la prima volta in Cassazione), la pronuncia, ritualmente resa
in base alla situazione esistente ed alla documentazione prodotta al momento della decisione di merito.
Soltanto la sopravvenienza di nuove norme legislative (ius
superveniens) — incidendo in via diretta ed immediata sul rap
porto di diritto sostanziale dedotto in giudizio e, quindi, sul
diritto soggettivo fatto valere in sede di merito — può trovare
pronta e compiuta applicazione nel corso del giudizio di legitti mità. Il factum superveniens resta, pertanto, in linea di princi
pio, estraneo a detto giudizio.
Peraltro, alla luce dell'art. 372 c. p. c. — il quale, come si è
visto, consente un'istruttoria limitata quando' si tratti di dimo
strare la nullità della decisione impugnata e/o l'ammissibilità del
ricorso — la giurisprudenza di questa corte ha ritenuto ammis
sibile nel giudizio di cassazione la produzione di documenti da
cui risulti la sopravvenuta cessazione della materia del contende
re, sul riflesso che questa, travolgendo la sentenza impugnata, incida sull'interesse a ricorrere e, quindi, sull'ammissibilità del
ricorso (sent. 14 marzo 1978, n. 1264, Foro it., 1978, I, 1131;
sent. 4 agosto 1977, n. 3500, ibid., 1133; sent. 15 aprile 1976, n.
1339, id., Rep. 1976, voce Cassazione civile, n. 192 a).
Con tali pronunce si è eccezionalmente ammessa la produzione documentale sotto la spinta della riflessione che il fatto soprav venuto faccia venir meno (con la cessazione dell'interesse alla
pronuncia sul ricorso) la necessità della pronuncia (di merito)
sull'impugnativa, trovando la lite la sua soluzione in un evento
che, prodottosi al di fuori del processo, verrebbe ad eliminare,
in via definitiva, l'interesse a ricorrere (morte della parte nel
giudizio di divorzio; sopravvenuta transazione della lite; rinun
zia alla pretesa da parte del soggetto vittorioso nelle fasi di
merito). Al riguardo, è agevole osservare come sia intuitivo che nei
casi in cui più non sussista una lite (il decesso di uno dei
coniugi, estinguendo il vingolo matrimoniale, non consente la
pronuncia di divorzio, che mirerebbe allo scioglimento di un
vincolo già reciso; la transazione della lite, eliminando il conflit
to processuale insorto fra le parti attraverso la composizione, sul
piano sostanziale, delle antagonistiche posizioni, esclude l'esigen za di una soluzione giudiziale dell'originaria vertenza, rimossa
mediante l'accordo transattivo; la rinunzia della parte vittoriosa
in sede di merito ad ogni pretesa, con l'impegno di non avvaler
si delle pronunce ad essa favorevoli, determina l'estinzione del
l'azione), non possa ravvisarsi la sussistenza di un interesse al
(la definizione del) ricorso.
Tali precedenti — afferendo alla cessazione della materia del
contendere che, in caso di mancata rinunzia della parte al
ricorso ex art. 390 e 391 c.p.c., consente al giudice di legittimità
di prendere atto, in base a fatti ed a documenti nuovi, della
impossibilità (per sopravvenuta mancanza d'interesse) della pro
secuzione del giudizio — non possono valere a fornire una luce
chiarificatrice nell'ipotesi di specie oggetto di esame.
Neppure può farsi riferimento, nella fattispecie considerata,
alla decisione n. 2050 del 10 aprile 1979 (id., Rep. 1979, voce
Espropriazione per p.i., n. 183), la quale ha statuito che la
verificazione del jactum superveniens, costituito dall'intervento
del decreto di espropriazione nelle more del giudizio di cassa
zione, promosso contro la decisione di appello di condanna al
risarcimento dei danni da occupazione illecita, sia rilevabile an
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1707 PARTE PRIMA 1708
che in Casszione, in quanto tale pronuncia è stata determinata
da motivi di opportunità e di economia processuale sotto la
suggestione dell'orientamento giurisprudenziale che l'intervento
del provvedimento espropriativo in pendenza del giudizio di
risarcimento dei danni da illecita occupazione realizza l'automa
tica conversione dell'azione di risarcimento (originariamente pro
posta) nell'azione di opposizione alla (stima della) indennità ed
è stata influenzata dalla opinione giurisprudenziale (cfr. sent. 27
maggio 1963, n. 1389, id., 1963, I, 1392) che della sopravvenien za del decreto di espropriazione, nel giudizio di ristoro dei
danni da occupazione sine titillo, debba tenersi conto anche se
questo sia dedotto e provato nel giudizio di rinvio.
Ora — poiché la causa perviene nel giudizio di cassazione ad
istruzione chiusa — deve escludersi che la Corte suprema possa tener conto dei documenti nuovi, prodotti per la prima volta in
sede di legittimità, attraverso i quali si tende a provare fatti
attinenti al merito della causa.
Nella ipotesi di specie, mirandosi, attraverso la produzione documentale, a convalidare la pronuncia risarcitoria nel senso
che la stessa, anche se non riferibile all'illiceità del comporta mento dell'amministrazione che ha proceduto all'espropriazione senza potere (a seguito della inefficacia della dichiarazione di
pubblica utilità ex art. 13), sia comunque attribuibile alla defini
tiva occupazione del terreno sine titillo (in conseguenza della
realizzazione su di esso dell'opera pubblica) si tende ad intro
durre nel giudizio di cassazione una nuova circostanza fattuale
afferente al merito della lite, giacché l'effettiva esecuzione dell'o
pera (la cui verificazione è, peraltro, contestata dalla contropar te), rendendo irreversibile la situazione (per l'assegnazione, in
conseguenza della destinazione dell'uso pubblico, della natura di
bene pubblico al terreno definitivamente occupato), non consen
tirebbe più la pronuncia restitutoria del fondo.
Conclusivamente, deve escludersi che dei documenti prodotti in giudizio nelle more del procedimento di cassazione questa corte possa prendere visione e tenere conto, attenendo gli stessi
al merito del ricorso e non (come si sostiene dalla parte resi
stente) all'ammissibilità della impugnativa. Per modo che — non potendosi considerare il factum super
veniens (dell'avvenuta realizzazione dell'opera pubblica) dedotto dal resistente, né prendere visione degli atti e dei documenti
prodotti in giudizio al fine di provare la cennata circostanza —
deve ritenersi priva di fondamento l'eccezione d'inammissibilità del ricorso, sollevata dal Perugini. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 16 feb
braio 1982, n. 957; Pres. La Farina, Est. Lipari, P. M. Sgroi V.
(conci, conf.); Facondini (Avv. E. Romanelli Grassani) c.
Min. finanze (Avv. dello Stato Angelini Rota). Conferma
App. Bologna 25 maggio 1979.
Dogana — Merci importate — Inquadramento tariffario — Errore — Revisione — Prescrizione (D. p. r. 23 gennaio 1973 n. 43, t. u. delle disposizioni legislative in materia doganale, art. 74, 84, 91).
In tema di tributi doganali, i rimedi di cui può avvalersi l'ammi
nistrazione finanziaria, per il caso di erronea applicazione ad una merce della relativa tariffa, si prescrivono nel termine di un quinquennio, mentre il termine di decadenza di sei mesi
opera solamente per gli errori che investono la qualificazione (cioè quantità, qualità, valore ed origine) della merce, nella spe cie accertata ed incontroversa. (1)
(1) La decisione è conforme all'orientamento già espresso dalla Cas sazione con le sentenze 10 novembre 1981, n. 5951, Foro it., Rep. 1981, voce Dogana, n. 21; 25 luglio 1981, n. 4825, ibid., n. 22; 26 febbraio 1980, n. 1330, id., 1980, I, 1632, con nota di richiami di giurispru denza e dottrina (tutte cit. in motivazione). In esse si fa giustizia del la tesi, alquanto artificiosa, secondo cui nell'art. 74 d. p. r. 43/73 ri cadrebbero (oltre gli erronei accertamenti della merce assunta come base imponibile, e cioè nei suoi elementi costitutivi e qualificatori) an che le ipotesi di errato inquadramento tariffario di una merce già individuata; cosicché la portata della norma si dilaterebbe a scapito dell'art. 84 dello stesso decreto, che, pur riferendosi testualmente al l'» erronea applicazione delle tariffe », opererebbe solo nei casi, del tutto marginali, di errori compiuti dalla dogana in fase di liquidazione della tariffa. La « cesura » tra il momento meramente accertativo della qualificazione merceologica e quello successivo dell'applicazione della
tariffa, evidenziata dalla corte soprattutto nella sentenza qui riportata, importa che, ove ricorra quest'ultima evenienza, l'amministrazione fi
Motivi della decisione. — 1. - Su bollette di importazione emesse fra il 1971 ed il 1974, e riguardanti partite di semi di
zucca, è stato applicato il tributo alla stregua della voce della
tariffa doganale 12.01 (riguardante i semi oleosi). Ma successi
vamente l'amministrazione finanziaria, ritenendo che i predetti semi dovessero inquadrarsi nella voce 12.03 (riguardante i semi
destinati alla semina), avvalendosi della procedura di cui all'art.
82 d. p. r. n. 43 del 1973, e ritenendo sussistente l'ipotesi di
erronea applicazione della tariffa (ex art. 84, 2° comma), ha
richiesto un supplemento di imposta. Il contribuente ha contestato la pretesa della dogana, sostenendo
che nella specie non si trattava di erronea applicazione di
tariffa, ma di erroneo accertamento, sicché si sarebbe dovuto far
ricorso al procedimento di revisione di cui all'art. 74 d. p. r. n.
43 del 1973, soggetto al termine di decadenza di sei mesi dalla
data di definitività dell'accertamento da rivedere, abbondante
mente decorso nel caso di specie. Si è discusso in causa della tempestività della deduzione (e
sclusa dal primo giudice e riconosciuta dalla corte d'appello, alla
stregua della (re)integrazione dell'atto di opposizione); ma il
punto è ormai estraneo alla materia del contendere che tocca il
solo profilo della correttezza formale dell'inquadramento della
specie nel modello legale dell'art. 84, 2° comma, d p. r. n. 43 del
1973, anziché in quello dell'art. 74 (e non ha mai riguardato il
merito della operata rettifica classificatoria, l'esattezza, cioè del
l'assimilazione operata rispetto ad una data voce in sostituzione
di quella tenuta presente al momento dello sdoganamento). La questione si è già presentata all'esame della corte che l'ha
decisa nel senso della impugnata sentenza, di cui va sottolineata
la stringata e persuasiva linea argomentativa (cfr. Cass. 5951/ 81, Foro it., Rep. 1981, voce Dogana, n. 21; 4825/81, ibid., n. 22;
1330/80, id., 1980, I, 1632, ed udienza 10 luglio 1981 ricorso
6095/79) a proposito di analoghe importazioni di semi di zucca.
Non risulta, invece, ancora preso in considerazione l'assunto
dell'esattezza intrinseca della classificazione dei semi di zucca
importati nella voce 12.01 ovvero in quella 12.03 svolto con il
terzo motivo del presente ricorso. Ma, come risulta dalla narra
tiva che precede, di tale profilo non vi è traccia negli atti
processuali; non se ne parla affatto, né nell'opposizione, né nei
motivi di appello, né, più in generale, nelle argomentazioni svolte negli scritti difensivi; è dunque di assoluta evidenza che
tale profilo non può essere esaminato per la prima volta in
questa sede di legittimità, comportando una inammissibile dilata
zione della materia del contendere.
La sentenza impugnata ha dato atto che l'istituto della « revi
sione » è un istituto « nuovo » rispetto alla disciplina della legge
doganale del 1940, ma ha escluso che la situazione di specie, volta a correggere l'errore di classificazione di merce di certa
qualificazione merceologica, desse luogo a una ipotesi di « revi sione » dell'accertamento sicché l'asserita impossibilità di operare con un certo strumento giuridico, almeno rispetto a talune delle
effettuate operazioni, restava assorbito dalla raggiunta conclusio ne che l'invocato strumento non veniva in considerazione per la
risoluzione delle controversie. Il collegio, quindi, non deve darsi nemmeno carico di verificare l'esattezza dell'assunto (ridimensio nato nel presente ricorso in riferimento non già al d. p. r. n. 43 del 1973, come si era sostenuto nel giudizio di appello ma a
quello n. 62 del 1970, cui deve ricollegarsi effettivamente l'intro duzione della « revisione » nell'ordinamento) per stabilire se il
regime di tale revisione debba essere retto dalla legge del tempo in cui l'accertamento da rieffettuare è avvenuto, anziché da
quella disciplinante la revisione medesima all'atto dell'emanazio ne dell'ingiunzione volta al recupero della tassazione conseguente alla modifica della voce doganale, pur essendo agevole rilevare in contrario che la disciplina procedimentale della modifica della
tariffa, ovvero della revisione dell'accertamento, è governata dalla
legge vigente nel momento in cui l'amministrazione si attiva per il recupero di quanto preteso.
La ricognizione della materia del contendere porta a sottoli neare la centralità della questione che già ha formato oggetto di esame nelle precedenti decisioni, comportante l'interpretazione degli art. 74 ed 84 d. p. r. (trattata nel primo mezzo), la cui soluzione si riverbera con carattere assorbente sulla censura del secondo mezzo che riguarda la disciplina anteriore di una « re visione » inapplicabile alla fattispecie. Non possono, invece, veni re in considerazione le doglianze formulate nel terzo motivo
riguardanti l'esattezza della qualificazione dei semi di zucca co me semi destinati alla semina.
nanziaria può attivarsi nel termine di un quinquennio per richiedere al contribuente la corresponsione del tributo individuato nel suo esatto ammontare.
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