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sezione I civile; sentenza 5 marzo 1993, n. 2678; Pres. Falcone, Est. Nardino, P.M. Romagnoli...

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sezione I civile; sentenza 5 marzo 1993, n. 2678; Pres. Falcone, Est. Nardino, P.M. Romagnoli (concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Cocco) c. Soc. Comisal e Palau (Avv. Contaldi, Batistoni Ferrara). Cassa App. Genova 29 settembre 1988 Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 6 (GIUGNO 1993), pp. 1863/1864-1867/1868 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23188097 . Accessed: 28/06/2014 09:06 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.223.28.130 on Sat, 28 Jun 2014 09:06:28 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 5 marzo 1993, n. 2678; Pres. Falcone, Est. Nardino, P.M. Romagnoli(concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Cocco) c. Soc. Comisal e Palau (Avv. Contaldi,Batistoni Ferrara). Cassa App. Genova 29 settembre 1988Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 6 (GIUGNO 1993), pp. 1863/1864-1867/1868Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188097 .

Accessed: 28/06/2014 09:06

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1863 PARTE PRIMA 1864

Non può accogliersi la tesi restrittiva (seguita dalla sola sent.

3156/82, id., Rep. 1982, voce cit., n. 748), che esclude dal no

vero di detta locuzione le prestazioni economiche, ove si consi

deri che detta tesi non sembra suffragata né dalla lettera né

dalla disciplina normativa (art. 31, 4° comma, dello statuto dei

lavoratori). Il termine «prestazioni», invero, va riferito, in mancanza di

specificazioni e secondo il suo significato letterale anche sulla

base della sua comune accezione nelle leggi speciali, a tutte le

prestazioni, e, quindi, non solo a quelle sanitarie, ma anche

a quelle economiche, come le indennità (v., spec., Cass. 12 aprile

1985, n. 2416, cit., e 414/85, cit.). 4. - Posto, dunque, che l'uso, nell'art. 17 1. 1204/71, del solo

termine malattia non è tale di per sé da escludere dal trattamen

to in detta norma prevista la parallela situazione di gravidanza, e che il riferimento nell'art. 31, 4° comma, 1. 300/70 alle «pre stazioni» non può intendersi limitato soltanto a quelle sanitarie,

ma è inclusivo anche di quelle economiche, può passarsi ad esa

minare il rapporto fra le due norme in questione, che, per le

sentenze aderenti alla tesi restrittiva, è di specialità dell'art. 17

della legge di tutela delle lavoratrici madri rispetto all'art. 31

dello statuto dei lavoratori, e, per quelle che adottano la tesi

estensiva, è, al contrario, di specialità dell'art. 31 rispetto al 17.

L'interpretazione che queste sezioni unite ritengono più con

forme ai principi di detta norma è la seconda, ma non sulla

base di un opinabile e controvertibile carattere di specialità del

l'art. 31 rispetto all'art. 17, bensì sulla base del coordinamento,

ben possibile, fra le due norme.

Siffatta interpretazione, del resto, è quella che appare in ar

monia con i principi costituzionali, sicché anche per tale moti

vo, che si risolve in un corretto canone interpretativo, essa me

rita accoglimenti. Invero (cfr. Cass. 6078/91, cit.) già nelle citate sent. nn. 2416

e 414 del 1985, era stato, in sostanza, rilevato come soltanto

in astratto e in via condizionale e ipotetica si potrebbe ritenere

che la fattispecie concreta possa essere regolata da entrambe

le disposizioni di legge, dato che in effetti le stesse operano su due piani diversi; ed era stato aggiunto che, a ragionare in

termini di eventuale prevalenza, si dovrebbe affermare che il

2° comma dell'art. 17 1. n. 1204 del 1971, che detta una parti colare disciplina in tema di indennità di maternità e che con

tutta la legge di cui fa parte rientra nella più vasta normativa

relativa all'assicurazione malattia e nell'ambito di un'unica for

ma di assicurazione sociale obbligatoria, dovrebbe cedere, qua le norma generale, di fronte a quella contenuta nel 4° comma

dell'art. 31 1. n. 300 del 1970. Pertanto, contrariamente a quan to era stato sostenuto nella sent. n. 4859 del 1983 (id., Rep.

1984, voce Lavoro (rapporto), n. 1523), in sede di raffronto fra le due norme, ai fini di un'eventuale giudizio di prevalenza, dovrebbe considerarsi speciale la norma di cui al 4° comma

dell'art. 31 appena indicato che contiene un preciso richiamo

ai motivi, politici o sindacali, dell'assenza del lavoratore, e non

già il 2° comma dell'art. 17 della successiva legge del 1971, che

regola in generale l'indennità di maternità prescindendo dalle

ragioni che hanno determinato l'assenza della lavoratrice.

Il raffronto fra le due norme, peraltro, deve essere effettuato

non già in termini di prevalenza, bensì ai fini del loro coordina

mento, dato che, come si è detto, in effetti le stesse operano su due piani completamente diversi.

L'art. 31 1. 20 maggio 1970 n. 300 è stato dettato dal legisla tore ordinario per dare concreta attuazione all'art. 51, 3° com

ma, Cost. — che stabilisce che il lavoratore chiamato a funzio

ni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario

allo svolgimento di tali funzioni e di conservare il posto di lavo

ro — e, in base a una precisa scelta operata dallo stesso legisla tore ordinario, la relativa tutela è stata estesa anche a coloro che sono chiamati a ricoprire cariche sindacali. Tutti i lavorato

ri dipendenti, pertanto, possono chiedere di essere collocati in

aspettativa per motivi politici o sindacali, con il conseguente diritto di conservare, per tutto il periodo dell'aspettativa mede

sima, sia il posto di lavoro — esclusa la retribuzione, come

è espressamente previsto — sia l'intera posizione assicurativa

(primi tre commi dell'art. 31). Queste norme trovano il loro

naturale sbocco in quella contenuta nel 4° comma, che ne è

l'evidente corollario e che dispone che durante i periodi di aspet

tativa, in caso di malattia (o di maternità) l'interessato conserva

Il Foro Italiano — 1993.

il diritto, nei confronti degli enti competenti, alla erogazione

delle prestazioni, di qualsiasi natura esse siano.

5. - Dovendosi, quindi, affermare che la fattispecie relativa

al lavoratore o alla lavoratrice che si trovi nell'indicata situazio

ne sia compiutamente (e unicamente) regolata dalle disposizioni in esame, si deve parimenti ritenere, trattandosi di una discipli na emanata per il raggiungimento di una specifica finalità costi

tuzionalmente garantita, che la lavoratrice già in aspettativa (per

le ragioni di cui si discute) al sopraggiungere dello stato di ma

lattia o di gravidanza ha diritto di ottenere tutte le prestazioni, anche quelle economiche. E tale disciplina non può essere in

fluenzata dalle disposizioni contenute nel 2° comma dell'art.

17 1. n. 1204 del 1971, le quali, come si è sopra precisato, sono

comprese nella legge che in generale tutela le lavoratrici madri

e che fanno parte, ancora più in generale, di una normativa

più vasta, inerente all'assicurazione obbligatoria contro le ma

lattie dei lavoratori dipendenti. Del resto, una volta ammesso — come sopra è stato spiegato e come è il caso ripetere —

che il caso della malattia debba essere equiparato all'ipotesi del

la maternità e che il termine «prestazioni» abbracci anche le

indennità, non potrebbe pervenirsi a una diversa interpretazio ne della norma, pena la sua incostituzionalità, dal momento

che non potrebbe essere riconosciuta al lavoratore in aspettativa

politica o sindacale l'indennità di malattia senza che parimenti sia riconosciuta l'indennità di maternità alla lavoratrice che si

trovi nella medesima situazione.

Ed infatti la stessa Corte costituzionale, sia pure incidental

mente, ha affermato che nei sessanta giorni tra l'inizio dell'as

senza o sospensione dal lavoro e quello del periodo di astensio

ne obbligatoria non vanno computati, non solo i giorni di as

senza per malattia o infortunio o per accudire il minore affidato

in preadozione, ma neanche i periodi in cui la lavoratrice è sta

ta collocata in aspettativa sindacale (sent. 29 marzo 1991, n.

132, id., Rep. 1991, voce cit., n. 1325). 6. - Il ricorso va dunque accolto, con rinvio della causa ad

altro giudice, che si adeguerà al seguente principio di diritto:

«la lavoratrice in stato di gravidanza che all'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro si trovi — anche da più di sessanta giorni — in aspettativa politica o sindacale non re

tribuita ha diritto, a norma dell'art. 31 1. n. 300 del 1970, alle

prestazioni previdenziali comprendenti non solo quelle sanita

rie, ma anche quelle economiche quale l'indennità giornaliera di maternità».

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 5 marzo

1993, n. 2678; Pres. Falcone, Est. Nardino, P.M. Roma

gnoli (conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Cocco) c. Soc. Comisal e Palau (Avv. Contaldi, Batistoni Ferra

ra). Cassa App. Genova 29 settembre 1988.

Redditi (imposte sui) — Irpef — Redditi di lavoro autonomo — Amministratore di società di capitali — Spese — Deduci

bilità analitica — Esclusione (D.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone

fisiche, art. 50).

La possibilità, prevista dall'art. 50, 4° comma, d.p.r. 29 set

tembre 1973 n. 597 (prima delle modifiche apportate dal d.p.r. 22 dicembre 1981 n. 856) a favore dell'amministratore di so

cietà di capitali, di dedurre forfetariamente dal reddito di la voro autonomo soggetto ad Irpef una somma pari al dieci

per cento delle somme complessivamente percepite, esclude

l'applicabilità del criterio generale di deduzione delle spese

effettive e documentate. (1)

(1) Non si rinvengono precedenti in termini nella giurisprudenza del la Suprema corte.

La corte esclude che nel caso di specie possa applicarsi retroattiva mente — ai sensi dell'art. 36 d.p.r. 4 febbraio 1988 n. 42 — la norma di cui all'art. 50, 8° comma, d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917 che —

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con avviso di accertamento no

tificato il 10 giugno 1983 il secondo ufficio distrettuale delle

imposte dirette di Genova accertava a carico della Comisal s.p.a.,

quale sostituta d'imposta, un reddito imponibile ai fini dell'Ir

pef di lire 54.640.000, contro il reddito dichiarato di lire

24.477.000, per l'anno 1980.

L'accertamento traeva origine da un verbale del nucleo di

polizia tributaria della guardia di finanza di Genova, dal quale risultava che, nel corso di detto esercizio, l'amministratore uni

co della società, Alessandro Palau, aveva percepito, oltre al nor

male compenso per l'opera svolta, anche dei rimborsi documen

tati: a) in parte, da fatture direttamente intestate alla Comisal

per spese di albergo, ristorante, biglietti aerei, ecc.; b) in parte, da note spese presentate dal Palau con allegati biglietti di aerei,

conti di ristoranti, ecc., a lui intestati. Gli organi della polizia

tributaria, ritenendo che anche le fatture sub a), benché intesta

te alla società, si riferissero a spese sostenute direttamente dal

l'amministratore per l'espletamento della sua funzione, ne in

cludevano gli importi tra le spese i cui rimborsi costituivano

compensi di lavoro autonomo. E tali compensi venivano, in se

de di accertamento, ritenuti assoggettabili a ritenuta di acconto,

a norma dell'art. 50, 4° comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n.

597, che nella sua originaria formulazione prevedeva l'imponi bilità delle somme percepite dal lavoratore autonomo sotto qual siasi forma e denominazione.

Contro il predetto avviso la società ed il Palau proponevano

ricorso, che veniva accolto dalla commissione tributaria di pri

mo grado; ma tale decisione, appellata dall'ufficio finanziario,

veniva riformata dalla commissione di secondo grado, che con

fermava l'accertamento.

I contribuenti proponevano ulteriore impugnazione avanti al

la Corte d'appello di Genova che, con sentenza in data 29 set

tembre 1988, annullava la pronuncia di secondo grado e l'avvi

so di rettifica in contestazione, dichiarando «non dovute» dalla

Comisal «le ulteriori imposte e le sanzioni pecuniarie irrogate»,

relativamente all'anno 1980, sulla base delle seguenti conside

razioni:

1) «La normativa dell'art. 50 (d.p.r. 597/73) è strettamente

correlata con (e va letta in funzione di) quella dell'art. 49, 3°

comma, che esprime la nozione di reddito», disponendo che

il reddito derivante da esercizio di arti o professioni è costituito

dall'«incremento patrimoniale intervenuto nel periodo d'impo sta al netto delle spese sostenute per conseguirlo». Tale regola

«si riferisce anche ai redditi derivanti da rapporti di collabora

zione coordinata e continuativa, per i quali, nella formulazione

originaria dell'art. 50, 4° comma, era prevista la possibilità di

forfetizzare l'ammontare delle spese deducibili», ciò desumen

dosi anche dalla relazione ministeriale allo schema del d.p.r. 597/73.

2) «In ogni caso, al di là della natura interpretativa (anziché

innovativa) che dovrebbe . . . riconoscersi all'art. 1 d.p.r. 856/81,

sta di fatto che l'esclusione dall'imponibile delle somme docu

mentate e rimborsate per spese di viaggio, alloggio e vitto rela

tive alle prestazioni effettuate fuori del territorio comunale è

espressamente sancita dall'art. 50, 8° comma, d.p.r. n. 917 del

22 dicembre 1986»; e «tale disposizione riesce direttamente ap

plicabile alla fattispecie ... in base all'art. 36 d.p.r. 4 febbraio

1988 n. 42», che consente «l'applicazione delle previsioni del

testo unico più favorevoli per il contribuente agli esercizi d'im

posta anteriori alla sua entrata in vigore», ricorrendo la condi

zione a tal fine stabilita dalla legge, cioè che la dichiarazione

ricalcando quanto già disposto dall'art. 1 d.p.r. 22 dicembre 1981 n.

856 — dispone l'esclusione dal reddito imponibile dei percettori di red

diti di lavoro autonomo di cui all'art. 49, 2° comma, lett. a), d.p.r.

917/86 (e cioè degli amministratori di società, dei sindaci, ecc.) delle

somme documentate e rimborsate per spese di viaggio, alloggio e vitto

relative alle prestazioni effettuate fuori del territorio comunale, salva,

comunque, la riduzione del dieci per cento, a titolo di deduzione forfe

taria delle altre spese. Sull'art. 50, 4° comma, d.p.r. 597/73, v. Corte cost., ord. 21 gen

naio 1988, n. 47, Foro it., 1988, I, 2465 (m), che ha dichiarato la mani

festa infondatezza della questione di legittimità costituzionale di tale

norma nella parte in cui non prevede la deducibilità, ai fini dell'assog

gettamento all'Irpef, dai redditi di lavoro autonomo, delle spese per

viaggio, vitto e alloggio relative alle prestazioni effettuate fuori dal co

mune del domicilio fiscale, in riferimento agli art. 3, 53 e 76 Cost.

Il Foro Italiano — 1993.

d'imposta sia stata regolarmente presentata e risulti conforme

alle nuove disposizioni (nella specie, all'art. 50, 8° comma) del

t.u. citato.

Per la cassazione della suindicata sentenza l'amministrazione

delle finanze dello Stato ha proposto ricorso a questa corte, deducendo un unico articolato motivo di censura. La Comisal

s.r.l. ed Alessandro Palau hanno resistito con controricorso il

lustrato da memoria.

Motivi della decisione. — L'amministrazione ricorrente, de

nunciando violazione e falsa applicazione degli art. 49 e 50 d.p.r.

597/73, dell'art. 1 d.p.r. 856/81, dell'art. 50 d.p.r. 917/86, del

l'art. 36 d.p.r. 42/88 e dell'art. 7 d.p.r. 600/73, addebita alla

corte del merito:

a) di avere ritenuto applicabile alla fattispecie il disposto del

l'art. 49, 3° comma, d.p.r. 597/73, senza considerare che il suc

cessivo art. 50, 4° comma, consentendo la deducibilità in misu

ra forfetaria (10%) delle spese, «escludeva la possibilità di ulte

riori deduzioni specifiche ed analitiche»;

b) di avere, del pari, ritenuto applicabile lo ius superveniens costituito dall'art. 36 d.p.r. 42/88 (il quale consentirebbe l'ap

plicazione retroattiva della disposizione, più favorevole ai con

tribuenti, dell'art. 50, 8° comma, del nuovo t.u. delle imposte

sui redditi 917/86), omettendo di rilevare che manca, nel caso

in esame, la condizione a tal fine richiesta dalla legge, non ri

sultando assolto l'obbligo, gravante sul sostituto d'imposta, di

indicare nella dichiarazione «le somme corrisposte ad un mede

simo soggetto per causali diverse e le relative ritenute nonché

le somme non assoggettate a ritenuta» (art. 7 d.p.r. 600/73).

Il ricorso è fondato. L'art. 49 d.p.r. 29 settembre 1973 n.

597 stabilisce al 3° comma, lett. a), che costituiscono redditi

di lavoro autonomo «i redditi derivanti da rapporti di collabo

razione coordinata e continuativa aventi per oggetto la presta

zione, senza vincoli di subordinazione, di attività diverse da quelle

considerate nei titoli II e V, quali i redditi derivanti dagli uffici

di amministratore, sindaco o revisione di società ed enti . . .».

L'art. 50 dello stesso d.p.r. detta al 1° comma il criterio ge nerale per il quale «il reddito derivante dall'esercizio di arti e

professioni è costituito dalla differenza tra i compensi percepiti

nel periodo d'imposta e le spese inerenti all'esercizio dell'arte

o professione effettivamente sostenute nel periodo stesso»; ma

il 4° comma dello stesso articolo, chiaramente derogando al

suddetto criterio generale, stabiliva — con norma di carattere

speciale — il principio della forfetizzazione delle spese deduci

bili in relazione ad alcuni redditi di lavoro autonomo, cosi te

stualmente disponendo nella sua formulazione originaria: «I red

diti indicati nel 3° comma dell'art. 49 sono costituiti dall'am

montare complessivo delle somme percepite sotto qualsiasi forma

e denominazione ed anche a titolo di partecipazione agli utili,

ridotto del dieci per cento per quelli indicati alla lett. a) . . .»

(tra i quali è compreso — come si è detto — il reddito derivante

dall'ufficio di amministratore di società).

Alla stregua delle norme sopra riportate è evidente che la cor

te del merito è incorsa in errore per avere ritenuto che l'art.

50, 4° comma, consentisse, anche con riferimento ai redditi de

gli amministratori di società (e, più in generale, a quelli indicati alla lettera «a» del 3° comma dell'art. 49), la mera «possibili

tà» (o facoltà) di dedurre le spese nella misura forfetaria del

10% delle somme complessivamente percepite nel corso dell'e

sercizio, senza escludere l'applicabilità del criterio generale di

deduzione delle spese effettive e documentate.

In realtà, l'art. 50, 4° comma, non lascia al contribuente al

cuna scelta, ma, dettando disposizioni particolari sia per la de

terminazione dei redditi di cui si discute sia per il modo e la

misura della deduzione delle spese ad essi inerenti, prevede co

me unica ed obbligatoria forma di deduzione quella forfetaria,

automaticamente e necessariamente escludendo la possibilità di

utilizzare qualsiasi altro criterio diverso.

L'asserita previsione di un'alternativa tra l'adozione del crite

rio generale o di quello speciale non trova il minimo riscontro

nel testo degli art. 49 e 50; né peraltro risulta dalla sentenza

se la Comisal abbia, in concreto, operato la deduzione delle

(sole) spese effettive o anche quella forfetaria (il che comporte

rebbe — come l'amministrazione ricorrente rileva — «una ille

gittima duplicazione delle deduzioni»). È singolare, poi, che i giudici di appello abbiano riportato,

a sostegno della soluzione accolta, un passo della «relazione

ministeriale» che, ad avviso di questa corte, convalida invece l'op

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1867 PARTE PRIMA 1868

posto convincimento. La relazione, infatti, sottolinea che la «di

versità di disciplina» (tra ai possessori di redditi derivanti dal

l'esercizio di arti e professioni ed i titolari di redditi derivanti

da «attività assimilate»), «riguardante solo il modo di determi

nazione del reddito netto, si ricollega alla oggettiva difficoltà,

da parte del contribuente, di tenere una regolare contabilità per la determinazione dei redditi della specie ed alla conseguente

possibilità offerta al contribuente stesso di dedurre forfetaria

mente ... le spese di produzione». Da tali espressioni non è

consentito desumere, senza stravolgere il significato letterale e

logico, che il legislatore abbia inteso rendere solo «possibile»

(e quindi facoltativa) la deduzione forfetaria, risultando al con

trario dal testo della relazione: a) che la disciplina relativa alla

determinazione del reddito netto derivante dalle «attività assi

milate» a quelle di lavoro autonomo vero e proprio è «diversa»

dalla disciplina dettata per i redditi degli esercenti arti e profes

sioni proprio (e soltanto) in ordine al modo ed alla misura di

deduzione delle spese dal reddito lordo; b) che la ratio di tale

diversità consiste nel consentire al contribuente produttore di

reddito da «attività assimilate» di superare «l'obiettiva difficol

tà» di tenere una contabilità regolare, consentendogli di dedur

re ugualmente le spese (sia pure in misura forfetaria legislativa

mente predeterminata) dall'«ammontare complessivo delle som

me percepite sotto qualsiasi forma e denominazione» (e quindi anche a titolo di rimborso spese).

Il sistema di deduzione delle spese dai redditi in questione

è mutato, a decorrere dal 1° gennaio 1982, con l'entrata in vi

gore del d.p.r. 22 dicembre 1981 n. 856, in cui l'art. 1, sosti

tuendo il 4° comma dell'art. 50 d.p.r. 597/73, ha disposto che

«i redditi indicati nel 3° comma, lett. a), dell'art. 49 sono costi

tuiti dall'ammontare complessivo delle somme percepite sotto

qualsiasi forma e denominazione ed anche a titolo di partecipa

zioni agli utili, con esclusione, relativamente alle prestazioni ef

fettuate fuori del comune di domicilio fiscale, delle somme do

cumentate e rimborsate per spese di viaggio, di vitto e alloggio,

ridotto del dieci per cento a titolo di deduzione forfetaria delle

altre spese». Ma non vi è nel testo della nuova norma alcun

elemento che autorizzi ad attribuire ad essa — come infondata

mente sostengono i resistenti — natura «interpretativa della pre

vigente disciplina». E, del resto, non vi sarebbe stata ragione

di «sostituire» il 4° comma dell'art. 50, proprio al fine di rico

noscere l'«esclusione» dai redditi di cui trattasi di talune «spese documentate e rimborsate», se fosse vero che anche la «previ

gente disciplina» consentiva l'integrale deduzione di tali spese.

Si deve, in conclusione, ribadire che, nel sistema precedente all'entrata in vigore del d.p.r. 22 dicembre 1981 n. 856 (il cui

art. 1 ha sostituito il 4° comma dell'art. 50 d.p.r. 29 settembre

1973 n. 597), i redditi indicati nel 3° comma, lett. a), dell'art.

49 (ed in particolare quelli derivanti dall'ufficio di amministra

tore di società) potevano essere ridotti solo del dieci per cento

a titolo di deduzione forfetaria delle spese, in forza della spe ciale deposizione del suddetto 4° comma dell'art. 50 (nel testo

originario). Non era, pertanto, applicabile ai redditi in questio ne la disposizione dell'art. 50, 1° comma, secondo la quale «il

reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni è costituito

dalla differenza tra i compensi percepiti nel periodo d'imposta e le spese inerenti all'esercizio dell'arte o professione effettiva

mente sostenute nel periodo stesso»; e non erano, di conseguen

za, deducibili le somme percepite dall'amministratore di una so

cietà a titolo di rimborso di spese documentate, non spettando al medesimo alcun'altra deduzione all'infuori di quella forfeta

ria innanzi indicata, pari al dieci per cento di quanto corrispo

stogli «sotto qualsiasi forma e denominazione», sicché la rite

nuta d'acconto andava applicata, da parte della società sostitu

ta d'imposta, sul reddito complessivo dell'amministratore,

comprensivo delle somme a qualsiasi titolo erogategli dalla so

cietà, ridotto del dieci per cento.

Resta da verificare se l'opposta soluzione erroneamente adot

tata dai giudici di appello possa trovare sostegno nell'argomen tazione sussidiariamente svolta nell'impugnata sentenza, secon

do la quale sarebbe nella specie retroattivamente applicabile la

più favorevole disposizione dell'art. 50, 8° comma, del d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917 (di contenuto analogo a quello del

l'art. 1 d.p.r. 856/81), in virtù dell'art. 36 d.p.r. 4 febbraio 1988 n. 42.

La verifica consiste nell'accertare se sussista la condizione,

prevista dalla citato art. 36, in presenza della quale «le disposi

li. Foro Italiano — 1993.

zioni del testo unico (n. 917/86) non considerate nei precedenti

articoli» del capo III (disposizioni transitorie) «hanno effetto

anche per i periodi d'imposta antecedenti» al 1° gennaio 1988:

si tratta, in altri termini, di stabilire se la dichiarazione presen

tata dalla soc. Comisal, quale sostituta d'imposta, per l'anno

1980, risulti conforme alle disposizioni dell'art. 50, 8° comma,

del nuovo t.u.

La corte di Genova ha dato a tale questione risposta afferma

tiva, in base al rilievo che, alla stregua della normativa ora vi

gente, sarebbe legittima la deduzione delle «somme documenta

te e rimborsate all'amministratore Palau per spese d'albergo,

ristorante, biglietti aerei da quest'ultimo sostenute» e relative

a «prestazioni effettuate fuori del territorio comunale». Ma il

collegio ritiene di non poter condividere tale conclusione.

Dalla sentenza, infatti, non risulta che la Comisal, nell'anzi

detta dichiarazione, abbia esposto tutti gli elementi indicati nel

4° comma dell'art. 7 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, il quale

fà obbligo ai sostituti di imposta di specificare, tra l'altro, «di

stintamente le somme corrisposte ad un medesimo soggetto per

causali diverse» (da quelle che danno luogo a ritenuta d'accon

to ai sensi di varie norme dello stesso d.p.r., tra cui l'art. 25,

concernente i redditi di lavoro autonomo ed assimilati) nonché

di indicare «le somme non assoggettate a ritenute». Né i resi

stenti contestano che le «fatture e le note spese» di cui si discu

te furono rinvenute dalla polizia tributaria nel corso della veri

fica presso la società, ma non avevano formato oggetto di de

nuncia in sede di dichiarazione presentata dalla società quale

sostituta d'imposta, in violazione del disposto del citato art.

7, 4° comma, d.p.r. 600/73, tuttora in vigore. Ed è appena

il caso di aggiungere che la società avrebbe dovuto comunque indicare dette somme nella dichiarazione unica, ancorché rite

nesse le medesime non assoggettabili a ritenuta d'acconto.

In tale situazione si deve escludere la «conformità» della di

chiarazione della Comisal per l'anno 1980 alle disposizioni del

vigente t.u., le quali vanno necessariamente integrate — per quan

to concerne l'obbligo, le modalità ed il contenuto della dichia

razione stessa — con le prescrizioni del d.p.r. 600/73, che spe

cificamente disciplinano la materia.

Ne consegue che neppure sotto il profilo da ultimo considera

to la sentenza della corte di Genova risulta conforme a diritto.

Essa va, pertanto, cassata con rinvio della causa ad altra se

zione della Corte d'appello di Genova, la quale si uniformerà

ai principi di diritto innanzi enunciati.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 26 feb

braio 1993, n. 2445; Pres. D'Avino, Est. Vella, P.M. Aloisi

(conci, conf.); De Leonardo e altro (Avv. Giorgianni) c. Al

torango e altri; Altorango e altri (Avv. Pescatore) c. De Leo

nardo e altro. Conferma App. Catanzaro 14 dicembre 1989.

Beni in genere — Mobili soggetti a registrazione — Difetto di

iscrizione — Compravendita — Disciplina mobiliare —

Applicabilità (Cod. civ., art. 815; cod. nav., art. 6; d.p.r.

15 febbraio 1952 n. 328, approvazione del regolamento per

l'esecuzione del codice della navigazione (navigazione maritti

ma), art. 315; 1. 9 marzo 1961 n. 436, ratifica ed esecuzione

del trattato di amicizia, commercio e navigazione, tra la Re

pubblica italiana e la Repubblica federale di Germania, con

protocollo e scambio di note, concluso a Roma il 21 novem

bre 1967).

La circolazione dei beni mobili iscrivibili in pubblici registri, ma non effettivamente iscritti, è soggetta alla disciplina rela

tiva ai beni mobili comuni. (1)

(1) Non constano precedenti in termini.

Il principio espresso dalla Suprema corte fa leva sulla natura dichia rativa della pubblicità (ribadita in App. Napoli 24 ottobre 1980, Foro

it., Rep. 1981, voce Nave, n. 14 e, in motivazione, in Cass. 5 luglio 1968, n. 2254, id., 1968, I, 2772; M. S. Giannini, Accertamento: b)

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