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sezione I civile; sentenza 5 marzo 1999, n. 1860; Pres. Sensale, Est. Ferro, P.M. Nardi (concl....

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Page 1: sezione I civile; sentenza 5 marzo 1999, n. 1860; Pres. Sensale, Est. Ferro, P.M. Nardi (concl. conf.); Soc. G.e.t. (Avv. Cosentino) c. Fall. Talarico (Avv. Farina). Conferma App.

sezione I civile; sentenza 5 marzo 1999, n. 1860; Pres. Sensale, Est. Ferro, P.M. Nardi (concl.conf.); Soc. G.e.t. (Avv. Cosentino) c. Fall. Talarico (Avv. Farina). Conferma App. Catanzaro 25febbraio 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 5 (MAGGIO 1999), pp. 1453/1454-1457/1458Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193463 .

Accessed: 28/06/2014 15:31

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

d'incostituzionalità dell'art. 5 bis, 2° comma, 1. 359/92 di cui

alla sentenza 16 giugno 1993, n. 283 (id., 1993, I, 2089);

che, pertanto, gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale

e deve essere disposta la sospensione del giudizio in corso.

Per questi motivi, la Corte d'appello di Genova, visto l'art.

23 1. 11 marzo 1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifesta

mente infondata la questione, sollevata dagli attori in opposi

zione, di legittimità costituzionale dell'art. 5 bis, 1° comma, d.l.

11 luglio 1992 n. 333, convertito, con modificazioni, dalla 1.

8 agosto 1992 n. 359, nella parte in cui non dispone l'inapplica bilità della riduzione del quaranta per cento dell'indennità di

espropriazione nel caso in cui, all'esito del giudizio di opposi zione alla stima, l'indennità offerta dall'espropriante risulti in

feriore a quella che avrebbe dovuto essere offerta a quella me

desima data in applicazione dei criteri di determinazione di cui

alla prima parte dello stesso 1° comma, per contrasto con gli art. 3, 1° comma, 24, 1° comma, 113, 1° comma e 42, 3° com

ma, della Costituzione della Repubblica italiana.

Sospende il giudizio in corso.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 5 marzo

1999, n. 1860; Pres. Sensale, Est. Ferro, P.M. Nardi (conci,

conf.); Soc. G.e.t. (Avv. Cosentino) c. Fall. Talarico (Avv.

Farina). Conferma App. Catanzaro 25 febbraio 1997.

Fallimento — Insinuazione tardiva — Termine di costituzione — Inosservanza — Estinzione del giudizio — Costituzione

del curatore — Sanatoria — Esclusione (R.d. 16 marzo 1942

n. 267, disciplina del fallimento, art. 98, 101).

Poiché l'art. 101I. fall, contiene un richiamo all'intero 3° com

ma del precedente art. 98, alla mancata tempestiva costituzio

ne entro il termine perentorio di cinque giorni precedenti la

prima udienza, consegue la sanzione della estinzione del giu

dizio di insinuazione tardiva senza che la costituzione in giu

dizio del curatore esplichi efficacia sanante. (1)

II

TRIBUNALE DI MILANO; sentenza 16 aprile 1998; Pres. Blu

metti, Est. Fabiani; Soc. Silma (Aw. Concas, Bilotti) c.

Fall. soc. Interinarmi.

(1-2) Dal confronto fra le due massime si ricava che il giudice di

legittimità non deflette dall'indirizzo rigoroso portato avanti da anni

con l'avallo del giudice delle leggi, mentre fra i giudici di merito comin

cia a serpeggiare qualche dissenso. Sul tema dell'esportabilità al proce dimento di insinuazione tardiva della sanzione di decadenza per tardiva

costituzione in giudizio prevista per l'opposizione allo stato passivo, cfr. Cass. 23 settembre 1997, n. 9359, Foro it., 1998, I, 453, e 12 set

tembre 1997, n. 9027, ibid., 454 — alla cui nota si rinvia — quanto alla ulteriore conseguenza della inammissibilità di una successiva istan

za tardiva di ammissione al passivo. Cass. 1860/99 si uniforma poi a Cass. 27 maggio 1995, n. 5908, id., Rep. 1995, voce Fallimento, n.

566, che aveva ritenuto che il termine di cinque giorni prima dell'udien

za, entro il quale, a norma dell'art. 98 1. fall., debbono costituirsi i

creditori esclusi dallo stato passivo del fallimento, ha carattere perento rio e la sua inosservanza importa la decadenza dell'opposizione, nonché

l'estinzione del giudizio, senza che possa avere efficacia sanante la cir

costanza che il curatore si sia costituito al fine di rilevare l'intervenuta

decadenza e sollecitare la pronuncia di estinzione.

In relazione alle ulteriori decadenze derivanti dall'adattamento del

procedimento speciale al nuovo modello del processo di cognizione, cfr.,

di recente, Rossomando, Nuovo rito civile e verifica nel passivo falli

mentare, in Fallimento, 1998, 409.

Il Foro Italiano — 1999.

Fallimento — Insinuazione tardiva — Termine di costituzione — Inosservanza — Estinzione del giudizio — Riproposizione — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 310; r.d. 16 marzo

1942 n. 267, art. 98, 101).

In tema di fallimento, l'estinzione del giudizio di insinuazione tardiva del credito per effetto della tardiva costituzione in

giudizio (derivante dal fatto che l'art. 101 l. fall, richiami il precedente art. 98, 3

° comma), non preclude la riproposi

zione della medesima istanza di ammissione tardiva al passi vo fallimentare, dovendo trovare applicazione la regola di cui

all'art. 310 c.p.c. (2)

I

Svolgimento del processo. — Con ricorso ai sensi dell'art.

101 r.d. 16 marzo 1942 n. 267 in data 8 febbraio 1993 la G.e.t.

s.p.a., concessionaria del servizio riscossione tributi per la pro vincia di Cosenza, premesso di avere assunto in carico ruoli

di imposta per complessive lire 318.914.838 nei confronti della

società Longo e Talarico s.a.s. della quale era socio Talarico

Angelo dichiarato fallito con sentenza 20 gennaio 1997, chiede

va l'ammissione di tale credito al passivo del fallimento di Tala

rico Angelo in via privilegiata. Il curatore si opponeva alla ri

chiesta ammissione, rilevando: in via pregiudiziale, che non aven

do la ricorrente provveduto alla costituzione in giudizio nel

termine di cui all'art. 98, 3° comma, r.d. 16 marzo 1942 n.

267, la domanda doveva ritenersi abbandonata; in via ulterior

mente preliminare, che la ricorrente era incorsa nella decadenza

di cui all'art. 44 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600; che non pote va essere ammesso al passivo del fallimento del Talarico un cre

dito vantato nei confronti di un diverso soggetto quale la socie

tà (non fallita) sul solo presupposto che di questa il Talarico

era socio. Replicava la G.e.t. s.p.a. assumendo: che all'ipotesi della insinuazione tardiva di credito non era applicabile il ter

mine stabilito per la costituzione in giudizio in sede di opposi zione allo stato passivo; che la intempestività della notificazione

del ricorso e del decreto era stata tardivamente eccepita dalla

difesa del fallimento e non era rilevabile d'ufficio, e che co

munque il vizio doveva intendersi sanato per effetto della costi

tuzione della controparte; che la costituzione in giudizio del cre

ditore istante era stata validamente effettuata al momento della

presentazione del ricorso e che comunque doveva ritenersi ope rante l'effetto sanante dell'avvenuta instaurazione del contrad

dittorio tra le parti; che non poteva configurarsi la decadenza

di cui al 3° comma dell'art. 98 1. fall., non essendo stato comu

nicato al creditore il decreto di fissazione dell'udienza entro il

quindicesimo giorno antecedente la data di tale udienza; che — nel merito — il Talarico, quale socio accomandatario illimi

tatamente responsabile, rispondeva dei debiti della società ai sensi

dell'art. 2313 c.c. Con sentenza 22 dicembre 1994-13 gennaio 1995 il Tribunale di Rossano dichiarava l'estinzione del giudizio

per la mancata costituzione della società istante nel termine di

legge, condannando la stessa al rimborso delle spese in favore

del fallimento. Avverso tale sentenza proponeva appello la G.e.t., denunciando: l'erroneità dell'applicazione nel procedimento di

insinuazione tardiva della previsione normativa relativa al ter

mine di costituzione in giudizio nel procedimento di opposizio ne a stato passivo, in luogo della disciplina dettata dal codice

di rito per il procedimento ordinario; la carenza di motivazione

a smentita dell'assunto della ricorrente circa l'efficacia sanante

della costituzione del fallimento; la carenza dell'impugnata sen

tenza in ordine alla rilevanza della costituzione contemporanea alla proposizione dell'istanza; la mancata valutazione dell'asten

sione degli avvocati dallo svolgimento delle attività professiona li nel periodo in cui avrebbero dovuto aver luogo la notificazio

ne e l'iscrizione a ruolo; l'inesistenza della decadenza a causa

della mancata comunicazione del decreto del giudice delegato nel termine stabilito; l'ingiustizia, comunque, della condanna

al rimborso delle spese; la pretermissione da parte del tribunale

delle questioni subordinatamente prospettate. Nel contradditto

rio della curatela, la Corte di appello di Catanzaro con sentenza

21 gennaio-25 febbraio 1997, n. 146 rigettava l'appello condan

nando la G.e.t. s.p.a. alle spese del secondo grado. Osservava

la corte territoriale che risultava provata in atti l'acquisizione da parte della creditrice istante di piena e precoce conoscenza

del decreto di fissazione dell'udienza di comparizione delle par

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1455 PARTE PRIMA 1456

ti, e che da ciò derivava la irrilevanza della mancata tempestiva comunicazione del decreto stesso; che la costituzione in giudizio della creditrice istante era stata effettuata, con il deposito della

iscrizione a ruolo, soltanto nella stessa data in cui si era tenuta

l'udienza, e quindi al di fuori del termine di cui all'art. 98 ri chiamato dall'art. 1011. fall.; che l'inosservanza di tale termine

era rilevabile d'ufficio ed era stata comunque tempestivamente

eccepita; che risultava assorbita la rilevanza della mancata co

municazione al curatore del ricorso e del decreto. Per la cassa

zione di quest'ultima sentenza la G.e.t. s.p.a. propone il pre sente ricorso, con deduzione di cinque specifici motivi. La cura

tela del fallimento di Talarico Angelo resiste con controricorso.

La G.e.t. s.p.a. deposita memoria difensiva.

Motivi della decisione. — 1. - Col primo motivo la ricorrente

denuncia, nella impugnata sentenza, violazione degli art. 98 e

101 1. fall, e difetto di motivazione, per essere stata disattesa

la deduzione preliminare della creditrice istante avente ad og

getto la pretesa esclusione dell'applicabilità, nel procedimento di dichiarazione tardiva di credito disciplinato dall'art. 101 1.

fall., della decadenza prevista dal 3° comma dell'art. 98 stesso

testo normativo in tema di opposizione allo stato passivo. Pur

nel dissenso di una parte della dottrina, la giurisprudenza di

legittimità — confortata peraltro da altre autorevoli fonti dot

trinali — costantemente afferma che il richiamo, operato dal

2° comma dell'art. 101, al 3° comma dell'art. 98 1. fall., non

debba intendersi limitato alla sola prima parte della disposizio ne ove si pone il termine entro il quale deve aver luogo la costi

tuzione in giudizio, ma debba ritenersi esteso anche alla secon

da parte ove si stabilisce che la mancata costituzione fa sì che

la domanda si reputi abbandonata, con l'ulteriore conseguenza che l'abbandono della domanda, per tal modo presunto iuris

et de iure, determina la preclusione della possibilità di ripropor re la domanda stessa, perché «tenuto conto della finalità perse

guita dal legislatore con la suddetta previsione (assicurare spedi tezza alla procedura concorsuale eliminando incertezze e ritar

di, connessi alla condotta inattiva della parte) devono ritenersi

equiparabili, quoad effectum, la mancata costituzione e la ri

nunzia agli atti del giudizio» (così, da ultimo, Cass. 9616/98, Foro it., Mass., 994; conf. Cass. 9359/97, id., 1998, I, 453;

9027/97, ibid., 454). Tale disciplina ha ricevuto l'avallo della

Corte costituzionale la quale con la sentenza 30 novembre 1988, n. 1045 (id., 1989, I, 1764) ha dichiarato manifestamente infon data la questione di legittimità costituzionale del citato 2° com ma dell'art. 101 in relazione al 3° comma dell'art. 98 1. fall., sollevata con riferimento all'art. 3 e all'art. 24 Cost., rilevando

specificamente: che il divieto della proponibilità di una nuova insinuazione tardiva al ricorrente che abbia omesso di costituir si in un precedente giudizio avente ad oggetto l'accertamento dello stesso credito non pone in essere alcuna violazione del

principio di uguaglianza tra i cittadini né del diritto di difesa

degli stessi; che l'analogia procedimentale tra la insinuazione tardiva e l'opposizione allo stato passivo giustifica l'adeguamento della disciplina processuale di quella al modello di questa, an che sotto il profilo dell'esigenza di speditezza propria del pro cesso di fallimento; che, in virtù dell'intervento della stessa Corte costituzionale di cui alla sentenza 30 aprile 1986, n. 120, id., 1986, I, 1753 (che ha sancito l'illegittimità costituzionale del 2° comma dell'art. 98 nella parte in cui non prevedeva nei con fronti del creditore opponente la comunicazione del decreto del

giudice delegato almeno quindici giorni prima dell'udienza in esso fissata, contemporaneamente riconoscendo, nel sistema per tal modo modificato, la legittimità costituzionale dell'imposi zione al creditore opponente dell'onere della costituzione nel termine di cinque giorni), non è più possibile che il creditore tardivamente istante non venga, se non per sua colpa, a cono scenza del decreto almeno quindici giorni prima dell'udienza, il che gli consente la disponibilità di un margine di non meno di dieci giorni utili per provvedere alla costituzione in giudizio e sottrarsi così alla prevista decadenza. Di tale orientamento della giurisprudenza mostra di non essere ignara la difesa del l'odierno ricorrente la quale si limita ad auspicarne la revisione senza peraltro addurre a tal fine alcun apprezzabile argomento.

2.1.- Con il secondo motivo la sentenza della corte di merito viene censurata per violazione dell'art. 101 1. fall, in relazione

agli art. 156, 157, 160 e 164 c.p.c. e per difetto di motivazione nella parte in cui ha negato che la costituzione in giudizio della curatela abbia esplicato efficacia sanante sui vizi di notificazio

II Foro Italiano — 1999.

ne e di costituzione in ipotesi ravvisabili a carico della parte ricorrente per ammissione tardiva. È sufficiente rilevare che la

tematica della efficacia sanante della costituzione in giudizio della

parte convenuta in ordine alle nullità incidenti sulla notificazio

ne dell'atto introduttivo nella quale si concreta la presa di con

tatto della parte attrice o ricorrente con la controparte, non

può essere pertinentemente richiamata in relazione alla diversa

problematica delle forme e dei termini della costituzione in giu dizio nella quale si attua la presa di contatto tra la parte e l'uf

ficio. Ed è appunto (e soltanto) questo secondo aspetto che vie

ne in considerazione a fondamento della decadenza ravvisata

nella fattispecie in conseguenza della inosservanza del termine

di cui all'art. 98, 3° comma, richiamato dall'art. 101, 2° com

ma, 1. fall. Per la stessa ragione risulta inutile il richiamo al

noto principio per cui nessuna nullità processuale può essere

dichiarata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, non

essendo identificabile lo scopo della iscrizione a ruolo della cau

sa nella istituzione del contraddittorio tra le parti, alla quale è invece preordinata la notificazione dell'atto introduttivo. Per

ciò, la costituzione in giudizio del curatore potrebbe ritenersi

rilevante ai fini della sanatoria dell'inosservanza del termine sta

bilito per la notificazione ma non anche ai fini della sanatoria

dell'inosservanza del diverso — e autonomamente rilevante —

termine imposto per l'iscrizione a ruolo. In tale ordine di idee,

questa corte ha altra volta affermato che l'inosservanza del ter

mine di cui trattasi «importa. . . l'estinzione del giudizio, senza

che possa avere efficacia sanante la circostanza che il curatore si sia costituito al fine di rilevare l'intervenuta decadenza» (Cass. 5908/95, id., Rep. 1995, voce Fallimento, n. 566). (Omissis)

II

Svolgimento del processo. — Con ricorso notificato il 31 di

cembre 1996, la Silma s.r.l. presentava ricorso ex art. 101 1.

fall, chiedendo l'ammissione al passivo del fallimento Interinar

mi s.r.l. del proprio credito chirografario di lire 7.978.663 a

titolo di prezzo per l'acquisto di mobili non pagato, dando atto

che precedente identico ricorso era già stato notificato al cura

tore ma non era stato iscritto a ruolo il relativo procedimento. Il giudice delegato alla prima udienza, preso atto che il cura

tore faceva rilevare l'inammissibilità del ricorso per il combina to disposto di cui agli art. 98 e 101 1. fall., non accoglieva la domanda e disponeva l'istruzione del giudizio ai sensi dell'art. 175 c.p.c.

Il curatore non si costituiva in giudizio. Dimessi documenti, la causa veniva trattenuta in decisione

alla udienza del 13 gennaio 1998 sulle conclusioni delle parti quali riportate in epigrafe.

Motivi della decisione. — All'esame del collegio è sottoposta un'unica questione di diritto e cioè quella della riproponibilità del procedimento ai sensi dell'art. 101 1. fall, a seguito della mancata tempestiva iscrizione a ruolo di una precedente do manda di ammissione tardiva del medesimo contenuto.

I dati di fatto della controversia non sono infatti in discussio ne posto che per la stessa ammissione della ricorrente è pacifico che una domanda tardiva di identico contenuto non venne esa minata nel merito atteso che non fu iscritto a ruolo il proce dimento.

L'art. 101 1. fall, richiama l'art. 98, 3° comma, 1. fall, sì che è sicuro che nell'ambito dello stesso giudizio, la mancata

tempestiva iscrizione a ruolo del ricorso tardivo determina la sua improcedibilità.

Si tratta allora di verificare se analoga sanzione, nella specie inammissibilità, si trasmetta ad una successiva iniziativa. Del

l'argomento si è occupata in più occasioni la corte regolatrice stabilendo che in tema di fallimento, l'estinzione o improcedibi lità del giudizio di insinuazione tardiva del credito per effetto della tardiva costituzione in giudizio (derivante dal fatto che l'art. 101 1. fall, richiama il precedente art. 98, 3° comma), preclude la riproposizione della medesima istanza di ammissio ne tardiva al passivo fallimentare (Cass. 12 settembre 1997, n.

9027, Foro it., 1998, I, 454, e 9 aprile 1994, n. 3344, id., 1994, I, 2614, solo per citare le più recenti).

Posto che tale soluzione ha ricevuto l'avallo anche del giudi ce costituzionale (Corte cost. 30 giugno 1994, n. 274, ibid.) il tribunale ritiene corretto per non adeguarvisi (con ciò innovan

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

do anche ad un proprio precedente indirizzo) dare conto anali

ticamente delle perplessità già emerse a livello dottrinario e ciò

in funzione di evitare che la domanda di ammissione al passivo vada dichiarata inammissibile.

La norma di cui all'art. 101 1. fall, richiama il 3° comma

dell'art. 98, talché si è ritenuta applicabile anche al procedi mento per l'insinuazione tardiva la sanzione della estinzione nel

caso di tardiva costituzione; anche la prevalenza della dottrina

si è espressa a favore di una estensione della regola della

estinzione.

Nei casi trattati dalle pronunce in rassegna, peraltro, non si

trattava di discutere della applicazione della sanzione estintiva

ma della possibilità di riproporre la medesima domanda con

un nuovo ricorso.

Orbene, mentre con riferimento alla opposizione allo stato

passivo è assai semplice concludere per l'inammissibilità di un

nuovo ricorso, posto che alla natura parzialmente impugnatoria

(Cass. 25 gennaio 1993, n. 845, id., Rep. 1993, voce Fallimen

to, n. 458) della opposizione si ricollega la previsione di un ter

mine perentorio inevitabilmente scaduto ove il creditore volesse

presentare un nuovo ricorso (Cass. 13 gennaio 1988, n. 177,

id., Rep. 1988, voce cit., n. 488) meno agevole è trasferire lo

stesso principio al procedimento ex art. 101 1. fall.

I giudici del merito in diverse occasioni hanno reputato che

la diversità intrinseca fra opposizione allo stato passivo e insi

nuazione tardiva impedisca ogni assimilazione nella disciplina del procedimento laddove non vi siano norme espresse di ri

chiamo.

Diversamente, la maggior parte della giurisprudenza (nono stante sia ormai pacifico che l'insinuazione tardiva non è un

mezzo di impugnazione dello stato passivo e che tale giudizio è diverso da quello di opposizione allo stato passivo; cfr. Cass.

21 aprile 1993, n. 4724, id., 1993, I, 2852, che ha escluso che

il termine per appellare la sentenza di primo grado resa nel pro cesso ai sensi dell'art. 101 1. fall, sia omologo a quello previsto

per l'opposizione) ha optato per la parificazione del trattamen

to procedimentale dei due diversi giudizi assumendo che anche

l'insinuazione tardiva rappresenta un elemento «incidentale» nel

processo fallimentare (una sorta di sub-procedimento) e che le

esigenze di speditezza giustificano la previsione di una progres siva scansione di preclusioni; questo indirizzo ha il conforto

di una parte della dottrina.

Sul punto, peraltro, lo schieramento dottrinale si presenta as

sai meno compatto; perplessità sulla assimilazione della discipli na sono avanzate da non pochi autori, che con argomenti in

buona parte simili, osservano che la ragione della inammissibili

tà di una nuova domanda nel procedimento di opposizione allo

stato passivo (estinto) trova congrua giustificazione nella appli cazione delle regole dettate per i processi di impugnazione, mentre

la natura certamente non assimilabile a quella dei giudizi di gra vame della dichiarazione tardiva di credito dovrebbe portare ad

escludere la sanzione della improponibilità di una nuova do

manda in virtù della diversa regola generale dettata dall'art.

310 c.p.c.

Maggiori margini per l'applicazione di un regime di preclu sioni alla riproponibilità della domanda si possono cogliere ade

rendo a quella tesi, per vero minoritaria, secondo la quale lo

sviluppo contenzioso del procedimento di insinuazione tardiva

assume un contenuto latamente impugnatorio dell'implicito prov vedimento negativo di rigetto dell'ammissione del credito rap

presentato dalla decisione del giudice delegato di istruire la cau

sa ai sensi dell'art. 175 ss. c.p.c. In verità, la ratio sottesa all'orientamento dominante è quella

di introdurre meccanismi che consentano di pervenire rapida mente alla stabilità dello stato passivo. Non si può però trascu

rare che le esigenze di speditezza così spesso «sbandierate» con

fliggono ineluttabilmente con l'enorme dilatazione dei tempi delle

procedure fallimentari. Si può condividere oppure no una sif

fatta scelta che è tipicamente di «politica giudiziaria», senza

che sia per questo necessario giungere a superare la regola gene rale di cui all'art. 310 c.p.c., con l'affermazione secondo la quale al creditore non viene sottratto il diritto d'azione posto che questo verrebbe conservato nei confronti del debitore una volta che

10 stesso sia tornato in bonis. È infatti evidente che l'interesse

del creditore è quello di partecipare al concorso e non quello di soddisfarsi sui beni del fallito dopo la chiusura del fallimento

11 Foro Italiano — 1999.

nella speranza che il fallito medesimo si arricchisca improvvi samente.

Il tribunale ritiene quindi che non debba essere sovvertita l'ap plicazione della regola generale fissata nell'art. 310 c.p.c. se condo la quale l'estinzione del giudizio non provoca effetti sul diritto sostanziale controverso. Poiché il giudizio avente per og getto una dichiarazione tardiva di credito è pacificamente un ordinario giudizio di cognizione (una volta oltrepassata la pri ma fase) non si comprende come si possa negare il valore della

regola di cui all'art. 310 c.p.c. Se poi la ragione di tale accani

mento si annidasse nella preoccupazione di evitare ritardi nella

chiusura dei fallimenti, sarebbe agevole replicare che il proble ma va risolto altrove e cioè sul piano dei rapporti fra chiusura del fallimento e processi pendenti. La domanda è quindi am

missibile. Quanto al merito della controversia, il credito risulta docu

mentalmente provato e non è stato oggetto di contestazione, sì che la domanda va accolta.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 2 marzo

1999, n. 1739; Pres. Corda, Est. Verucci, P.M. Raimondi

(conci, conf.); Prola (Avv. Sinibaldi, Manni) c. Salada Nur

Ibrahaim (Avv. Amici, Motta). Conferma App. Milano 13

maggio 1994.

Matrimonio — Matrimonio islamico — Contrarietà all'ordine

pubblico — Giudizio avente ad oggetto diritti successori —

Irrilevanza (Disp. sulla legge in generale, art. 31; cod. civ., art. 115).

La circostanza che la legge islamica consenta la poligamia e

preveda l'istituto del ripudio non impedisce, sotto il profilo dei limiti dell'ordine pubblico e del buon costume di cui al

previgente art. 31 disp. sulla legge in generale, che la cittadi

na somala, la quale abbia contratto con un italiano matrimo

nio celebrato in Somalia secondo le forme previste dalla lex

loci, faccia valere dinanzi al giudice italiano i diritti successo

ri derivanti dal matrimonio medesimo. (1)

(1) Non constano precedenti editi. Se si guarda al nucleo essenziale della motivazione, la decisione in

epigrafe parrebbe reggersi sull'argomentazione secondo cui, in conside razione dell'oggetto del processo (nel quale, per quel ch'è dato com

prendere, non era in discussione né la libertà di stato degli sposi al momento del matrimonio somalo, né l'esistenza di matrimoni successivi a questo), nessuna rilevanza potevano assumere in esso gli istituti del diritto matrimoniale islamico di cui la ricorrente assumeva il contrasto con l'ordine pubblico e con il buon costume.

Quel che invece ha il sapore di un (pericoloso) obiter dictum è l'af fermazione secondo cui l'essere stato il matrimonio celebrato (all'este ro) «secondo un rito che preveda la poligamia e/o lo scioglimento del vincolo ad nutum» non potrebbe non essere ricompreso tra le ragioni indicate negli art. 117 ss. c.c., cioè tra i vizi che aprono la strada all'im

pugnazione del matrimonio. Appare evidente, infatti, che, se per un

verso non può dubitarsi che la poligamia e il ripudio contrastino con i principi fondamentali cui è ispirato l'istituto del matrimonio nel no stro ordinamento, per altro verso non si vede, però, in quale modo ciò possa tradursi in un vizio del consenso o comunque in un vizio

genetico del matrimonio. Giusto al contrario, è lecito pensare che il

limite dell'ordine pubblico impedisca di riconoscere effetti nell'ordina mento italiano (oggi in virtù dell'art. 16 1. 218/95, fino a ieri in forza

dell'art. 31 preleggi) al ripudio che dovesse incidere, nell'ordinamento di origine, sul matrimonio islamico (v., ad es., Trib. Milano 11 marzo

1995, Foro it., Rep. 1996, voce Diritto internazionale privato, n. 46, e App. Milano 17 dicembre 1991, id., Rep. 1993, voce Matrimonio, n. 147) ovvero, a maggior ragione, al successivo matrimonio contratto in costanza del primo. [G. Balena]

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