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sezione I civile; sentenza 5 marzo 1999, n. 1860; Pres. Sensale, Est. Ferro, P.M. Nardi (concl.conf.); Soc. G.e.t. (Avv. Cosentino) c. Fall. Talarico (Avv. Farina). Conferma App. Catanzaro 25febbraio 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 5 (MAGGIO 1999), pp. 1453/1454-1457/1458Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193463 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
d'incostituzionalità dell'art. 5 bis, 2° comma, 1. 359/92 di cui
alla sentenza 16 giugno 1993, n. 283 (id., 1993, I, 2089);
che, pertanto, gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale
e deve essere disposta la sospensione del giudizio in corso.
Per questi motivi, la Corte d'appello di Genova, visto l'art.
23 1. 11 marzo 1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifesta
mente infondata la questione, sollevata dagli attori in opposi
zione, di legittimità costituzionale dell'art. 5 bis, 1° comma, d.l.
11 luglio 1992 n. 333, convertito, con modificazioni, dalla 1.
8 agosto 1992 n. 359, nella parte in cui non dispone l'inapplica bilità della riduzione del quaranta per cento dell'indennità di
espropriazione nel caso in cui, all'esito del giudizio di opposi zione alla stima, l'indennità offerta dall'espropriante risulti in
feriore a quella che avrebbe dovuto essere offerta a quella me
desima data in applicazione dei criteri di determinazione di cui
alla prima parte dello stesso 1° comma, per contrasto con gli art. 3, 1° comma, 24, 1° comma, 113, 1° comma e 42, 3° com
ma, della Costituzione della Repubblica italiana.
Sospende il giudizio in corso.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 5 marzo
1999, n. 1860; Pres. Sensale, Est. Ferro, P.M. Nardi (conci,
conf.); Soc. G.e.t. (Avv. Cosentino) c. Fall. Talarico (Avv.
Farina). Conferma App. Catanzaro 25 febbraio 1997.
Fallimento — Insinuazione tardiva — Termine di costituzione — Inosservanza — Estinzione del giudizio — Costituzione
del curatore — Sanatoria — Esclusione (R.d. 16 marzo 1942
n. 267, disciplina del fallimento, art. 98, 101).
Poiché l'art. 101I. fall, contiene un richiamo all'intero 3° com
ma del precedente art. 98, alla mancata tempestiva costituzio
ne entro il termine perentorio di cinque giorni precedenti la
prima udienza, consegue la sanzione della estinzione del giu
dizio di insinuazione tardiva senza che la costituzione in giu
dizio del curatore esplichi efficacia sanante. (1)
II
TRIBUNALE DI MILANO; sentenza 16 aprile 1998; Pres. Blu
metti, Est. Fabiani; Soc. Silma (Aw. Concas, Bilotti) c.
Fall. soc. Interinarmi.
(1-2) Dal confronto fra le due massime si ricava che il giudice di
legittimità non deflette dall'indirizzo rigoroso portato avanti da anni
con l'avallo del giudice delle leggi, mentre fra i giudici di merito comin
cia a serpeggiare qualche dissenso. Sul tema dell'esportabilità al proce dimento di insinuazione tardiva della sanzione di decadenza per tardiva
costituzione in giudizio prevista per l'opposizione allo stato passivo, cfr. Cass. 23 settembre 1997, n. 9359, Foro it., 1998, I, 453, e 12 set
tembre 1997, n. 9027, ibid., 454 — alla cui nota si rinvia — quanto alla ulteriore conseguenza della inammissibilità di una successiva istan
za tardiva di ammissione al passivo. Cass. 1860/99 si uniforma poi a Cass. 27 maggio 1995, n. 5908, id., Rep. 1995, voce Fallimento, n.
566, che aveva ritenuto che il termine di cinque giorni prima dell'udien
za, entro il quale, a norma dell'art. 98 1. fall., debbono costituirsi i
creditori esclusi dallo stato passivo del fallimento, ha carattere perento rio e la sua inosservanza importa la decadenza dell'opposizione, nonché
l'estinzione del giudizio, senza che possa avere efficacia sanante la cir
costanza che il curatore si sia costituito al fine di rilevare l'intervenuta
decadenza e sollecitare la pronuncia di estinzione.
In relazione alle ulteriori decadenze derivanti dall'adattamento del
procedimento speciale al nuovo modello del processo di cognizione, cfr.,
di recente, Rossomando, Nuovo rito civile e verifica nel passivo falli
mentare, in Fallimento, 1998, 409.
Il Foro Italiano — 1999.
Fallimento — Insinuazione tardiva — Termine di costituzione — Inosservanza — Estinzione del giudizio — Riproposizione — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 310; r.d. 16 marzo
1942 n. 267, art. 98, 101).
In tema di fallimento, l'estinzione del giudizio di insinuazione tardiva del credito per effetto della tardiva costituzione in
giudizio (derivante dal fatto che l'art. 101 l. fall, richiami il precedente art. 98, 3
° comma), non preclude la riproposi
zione della medesima istanza di ammissione tardiva al passi vo fallimentare, dovendo trovare applicazione la regola di cui
all'art. 310 c.p.c. (2)
I
Svolgimento del processo. — Con ricorso ai sensi dell'art.
101 r.d. 16 marzo 1942 n. 267 in data 8 febbraio 1993 la G.e.t.
s.p.a., concessionaria del servizio riscossione tributi per la pro vincia di Cosenza, premesso di avere assunto in carico ruoli
di imposta per complessive lire 318.914.838 nei confronti della
società Longo e Talarico s.a.s. della quale era socio Talarico
Angelo dichiarato fallito con sentenza 20 gennaio 1997, chiede
va l'ammissione di tale credito al passivo del fallimento di Tala
rico Angelo in via privilegiata. Il curatore si opponeva alla ri
chiesta ammissione, rilevando: in via pregiudiziale, che non aven
do la ricorrente provveduto alla costituzione in giudizio nel
termine di cui all'art. 98, 3° comma, r.d. 16 marzo 1942 n.
267, la domanda doveva ritenersi abbandonata; in via ulterior
mente preliminare, che la ricorrente era incorsa nella decadenza
di cui all'art. 44 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600; che non pote va essere ammesso al passivo del fallimento del Talarico un cre
dito vantato nei confronti di un diverso soggetto quale la socie
tà (non fallita) sul solo presupposto che di questa il Talarico
era socio. Replicava la G.e.t. s.p.a. assumendo: che all'ipotesi della insinuazione tardiva di credito non era applicabile il ter
mine stabilito per la costituzione in giudizio in sede di opposi zione allo stato passivo; che la intempestività della notificazione
del ricorso e del decreto era stata tardivamente eccepita dalla
difesa del fallimento e non era rilevabile d'ufficio, e che co
munque il vizio doveva intendersi sanato per effetto della costi
tuzione della controparte; che la costituzione in giudizio del cre
ditore istante era stata validamente effettuata al momento della
presentazione del ricorso e che comunque doveva ritenersi ope rante l'effetto sanante dell'avvenuta instaurazione del contrad
dittorio tra le parti; che non poteva configurarsi la decadenza
di cui al 3° comma dell'art. 98 1. fall., non essendo stato comu
nicato al creditore il decreto di fissazione dell'udienza entro il
quindicesimo giorno antecedente la data di tale udienza; che — nel merito — il Talarico, quale socio accomandatario illimi
tatamente responsabile, rispondeva dei debiti della società ai sensi
dell'art. 2313 c.c. Con sentenza 22 dicembre 1994-13 gennaio 1995 il Tribunale di Rossano dichiarava l'estinzione del giudizio
per la mancata costituzione della società istante nel termine di
legge, condannando la stessa al rimborso delle spese in favore
del fallimento. Avverso tale sentenza proponeva appello la G.e.t., denunciando: l'erroneità dell'applicazione nel procedimento di
insinuazione tardiva della previsione normativa relativa al ter
mine di costituzione in giudizio nel procedimento di opposizio ne a stato passivo, in luogo della disciplina dettata dal codice
di rito per il procedimento ordinario; la carenza di motivazione
a smentita dell'assunto della ricorrente circa l'efficacia sanante
della costituzione del fallimento; la carenza dell'impugnata sen
tenza in ordine alla rilevanza della costituzione contemporanea alla proposizione dell'istanza; la mancata valutazione dell'asten
sione degli avvocati dallo svolgimento delle attività professiona li nel periodo in cui avrebbero dovuto aver luogo la notificazio
ne e l'iscrizione a ruolo; l'inesistenza della decadenza a causa
della mancata comunicazione del decreto del giudice delegato nel termine stabilito; l'ingiustizia, comunque, della condanna
al rimborso delle spese; la pretermissione da parte del tribunale
delle questioni subordinatamente prospettate. Nel contradditto
rio della curatela, la Corte di appello di Catanzaro con sentenza
21 gennaio-25 febbraio 1997, n. 146 rigettava l'appello condan
nando la G.e.t. s.p.a. alle spese del secondo grado. Osservava
la corte territoriale che risultava provata in atti l'acquisizione da parte della creditrice istante di piena e precoce conoscenza
del decreto di fissazione dell'udienza di comparizione delle par
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1455 PARTE PRIMA 1456
ti, e che da ciò derivava la irrilevanza della mancata tempestiva comunicazione del decreto stesso; che la costituzione in giudizio della creditrice istante era stata effettuata, con il deposito della
iscrizione a ruolo, soltanto nella stessa data in cui si era tenuta
l'udienza, e quindi al di fuori del termine di cui all'art. 98 ri chiamato dall'art. 1011. fall.; che l'inosservanza di tale termine
era rilevabile d'ufficio ed era stata comunque tempestivamente
eccepita; che risultava assorbita la rilevanza della mancata co
municazione al curatore del ricorso e del decreto. Per la cassa
zione di quest'ultima sentenza la G.e.t. s.p.a. propone il pre sente ricorso, con deduzione di cinque specifici motivi. La cura
tela del fallimento di Talarico Angelo resiste con controricorso.
La G.e.t. s.p.a. deposita memoria difensiva.
Motivi della decisione. — 1. - Col primo motivo la ricorrente
denuncia, nella impugnata sentenza, violazione degli art. 98 e
101 1. fall, e difetto di motivazione, per essere stata disattesa
la deduzione preliminare della creditrice istante avente ad og
getto la pretesa esclusione dell'applicabilità, nel procedimento di dichiarazione tardiva di credito disciplinato dall'art. 101 1.
fall., della decadenza prevista dal 3° comma dell'art. 98 stesso
testo normativo in tema di opposizione allo stato passivo. Pur
nel dissenso di una parte della dottrina, la giurisprudenza di
legittimità — confortata peraltro da altre autorevoli fonti dot
trinali — costantemente afferma che il richiamo, operato dal
2° comma dell'art. 101, al 3° comma dell'art. 98 1. fall., non
debba intendersi limitato alla sola prima parte della disposizio ne ove si pone il termine entro il quale deve aver luogo la costi
tuzione in giudizio, ma debba ritenersi esteso anche alla secon
da parte ove si stabilisce che la mancata costituzione fa sì che
la domanda si reputi abbandonata, con l'ulteriore conseguenza che l'abbandono della domanda, per tal modo presunto iuris
et de iure, determina la preclusione della possibilità di ripropor re la domanda stessa, perché «tenuto conto della finalità perse
guita dal legislatore con la suddetta previsione (assicurare spedi tezza alla procedura concorsuale eliminando incertezze e ritar
di, connessi alla condotta inattiva della parte) devono ritenersi
equiparabili, quoad effectum, la mancata costituzione e la ri
nunzia agli atti del giudizio» (così, da ultimo, Cass. 9616/98, Foro it., Mass., 994; conf. Cass. 9359/97, id., 1998, I, 453;
9027/97, ibid., 454). Tale disciplina ha ricevuto l'avallo della
Corte costituzionale la quale con la sentenza 30 novembre 1988, n. 1045 (id., 1989, I, 1764) ha dichiarato manifestamente infon data la questione di legittimità costituzionale del citato 2° com ma dell'art. 101 in relazione al 3° comma dell'art. 98 1. fall., sollevata con riferimento all'art. 3 e all'art. 24 Cost., rilevando
specificamente: che il divieto della proponibilità di una nuova insinuazione tardiva al ricorrente che abbia omesso di costituir si in un precedente giudizio avente ad oggetto l'accertamento dello stesso credito non pone in essere alcuna violazione del
principio di uguaglianza tra i cittadini né del diritto di difesa
degli stessi; che l'analogia procedimentale tra la insinuazione tardiva e l'opposizione allo stato passivo giustifica l'adeguamento della disciplina processuale di quella al modello di questa, an che sotto il profilo dell'esigenza di speditezza propria del pro cesso di fallimento; che, in virtù dell'intervento della stessa Corte costituzionale di cui alla sentenza 30 aprile 1986, n. 120, id., 1986, I, 1753 (che ha sancito l'illegittimità costituzionale del 2° comma dell'art. 98 nella parte in cui non prevedeva nei con fronti del creditore opponente la comunicazione del decreto del
giudice delegato almeno quindici giorni prima dell'udienza in esso fissata, contemporaneamente riconoscendo, nel sistema per tal modo modificato, la legittimità costituzionale dell'imposi zione al creditore opponente dell'onere della costituzione nel termine di cinque giorni), non è più possibile che il creditore tardivamente istante non venga, se non per sua colpa, a cono scenza del decreto almeno quindici giorni prima dell'udienza, il che gli consente la disponibilità di un margine di non meno di dieci giorni utili per provvedere alla costituzione in giudizio e sottrarsi così alla prevista decadenza. Di tale orientamento della giurisprudenza mostra di non essere ignara la difesa del l'odierno ricorrente la quale si limita ad auspicarne la revisione senza peraltro addurre a tal fine alcun apprezzabile argomento.
2.1.- Con il secondo motivo la sentenza della corte di merito viene censurata per violazione dell'art. 101 1. fall, in relazione
agli art. 156, 157, 160 e 164 c.p.c. e per difetto di motivazione nella parte in cui ha negato che la costituzione in giudizio della curatela abbia esplicato efficacia sanante sui vizi di notificazio
II Foro Italiano — 1999.
ne e di costituzione in ipotesi ravvisabili a carico della parte ricorrente per ammissione tardiva. È sufficiente rilevare che la
tematica della efficacia sanante della costituzione in giudizio della
parte convenuta in ordine alle nullità incidenti sulla notificazio
ne dell'atto introduttivo nella quale si concreta la presa di con
tatto della parte attrice o ricorrente con la controparte, non
può essere pertinentemente richiamata in relazione alla diversa
problematica delle forme e dei termini della costituzione in giu dizio nella quale si attua la presa di contatto tra la parte e l'uf
ficio. Ed è appunto (e soltanto) questo secondo aspetto che vie
ne in considerazione a fondamento della decadenza ravvisata
nella fattispecie in conseguenza della inosservanza del termine
di cui all'art. 98, 3° comma, richiamato dall'art. 101, 2° com
ma, 1. fall. Per la stessa ragione risulta inutile il richiamo al
noto principio per cui nessuna nullità processuale può essere
dichiarata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, non
essendo identificabile lo scopo della iscrizione a ruolo della cau
sa nella istituzione del contraddittorio tra le parti, alla quale è invece preordinata la notificazione dell'atto introduttivo. Per
ciò, la costituzione in giudizio del curatore potrebbe ritenersi
rilevante ai fini della sanatoria dell'inosservanza del termine sta
bilito per la notificazione ma non anche ai fini della sanatoria
dell'inosservanza del diverso — e autonomamente rilevante —
termine imposto per l'iscrizione a ruolo. In tale ordine di idee,
questa corte ha altra volta affermato che l'inosservanza del ter
mine di cui trattasi «importa. . . l'estinzione del giudizio, senza
che possa avere efficacia sanante la circostanza che il curatore si sia costituito al fine di rilevare l'intervenuta decadenza» (Cass. 5908/95, id., Rep. 1995, voce Fallimento, n. 566). (Omissis)
II
Svolgimento del processo. — Con ricorso notificato il 31 di
cembre 1996, la Silma s.r.l. presentava ricorso ex art. 101 1.
fall, chiedendo l'ammissione al passivo del fallimento Interinar
mi s.r.l. del proprio credito chirografario di lire 7.978.663 a
titolo di prezzo per l'acquisto di mobili non pagato, dando atto
che precedente identico ricorso era già stato notificato al cura
tore ma non era stato iscritto a ruolo il relativo procedimento. Il giudice delegato alla prima udienza, preso atto che il cura
tore faceva rilevare l'inammissibilità del ricorso per il combina to disposto di cui agli art. 98 e 101 1. fall., non accoglieva la domanda e disponeva l'istruzione del giudizio ai sensi dell'art. 175 c.p.c.
Il curatore non si costituiva in giudizio. Dimessi documenti, la causa veniva trattenuta in decisione
alla udienza del 13 gennaio 1998 sulle conclusioni delle parti quali riportate in epigrafe.
Motivi della decisione. — All'esame del collegio è sottoposta un'unica questione di diritto e cioè quella della riproponibilità del procedimento ai sensi dell'art. 101 1. fall, a seguito della mancata tempestiva iscrizione a ruolo di una precedente do manda di ammissione tardiva del medesimo contenuto.
I dati di fatto della controversia non sono infatti in discussio ne posto che per la stessa ammissione della ricorrente è pacifico che una domanda tardiva di identico contenuto non venne esa minata nel merito atteso che non fu iscritto a ruolo il proce dimento.
L'art. 101 1. fall, richiama l'art. 98, 3° comma, 1. fall, sì che è sicuro che nell'ambito dello stesso giudizio, la mancata
tempestiva iscrizione a ruolo del ricorso tardivo determina la sua improcedibilità.
Si tratta allora di verificare se analoga sanzione, nella specie inammissibilità, si trasmetta ad una successiva iniziativa. Del
l'argomento si è occupata in più occasioni la corte regolatrice stabilendo che in tema di fallimento, l'estinzione o improcedibi lità del giudizio di insinuazione tardiva del credito per effetto della tardiva costituzione in giudizio (derivante dal fatto che l'art. 101 1. fall, richiama il precedente art. 98, 3° comma), preclude la riproposizione della medesima istanza di ammissio ne tardiva al passivo fallimentare (Cass. 12 settembre 1997, n.
9027, Foro it., 1998, I, 454, e 9 aprile 1994, n. 3344, id., 1994, I, 2614, solo per citare le più recenti).
Posto che tale soluzione ha ricevuto l'avallo anche del giudi ce costituzionale (Corte cost. 30 giugno 1994, n. 274, ibid.) il tribunale ritiene corretto per non adeguarvisi (con ciò innovan
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
do anche ad un proprio precedente indirizzo) dare conto anali
ticamente delle perplessità già emerse a livello dottrinario e ciò
in funzione di evitare che la domanda di ammissione al passivo vada dichiarata inammissibile.
La norma di cui all'art. 101 1. fall, richiama il 3° comma
dell'art. 98, talché si è ritenuta applicabile anche al procedi mento per l'insinuazione tardiva la sanzione della estinzione nel
caso di tardiva costituzione; anche la prevalenza della dottrina
si è espressa a favore di una estensione della regola della
estinzione.
Nei casi trattati dalle pronunce in rassegna, peraltro, non si
trattava di discutere della applicazione della sanzione estintiva
ma della possibilità di riproporre la medesima domanda con
un nuovo ricorso.
Orbene, mentre con riferimento alla opposizione allo stato
passivo è assai semplice concludere per l'inammissibilità di un
nuovo ricorso, posto che alla natura parzialmente impugnatoria
(Cass. 25 gennaio 1993, n. 845, id., Rep. 1993, voce Fallimen
to, n. 458) della opposizione si ricollega la previsione di un ter
mine perentorio inevitabilmente scaduto ove il creditore volesse
presentare un nuovo ricorso (Cass. 13 gennaio 1988, n. 177,
id., Rep. 1988, voce cit., n. 488) meno agevole è trasferire lo
stesso principio al procedimento ex art. 101 1. fall.
I giudici del merito in diverse occasioni hanno reputato che
la diversità intrinseca fra opposizione allo stato passivo e insi
nuazione tardiva impedisca ogni assimilazione nella disciplina del procedimento laddove non vi siano norme espresse di ri
chiamo.
Diversamente, la maggior parte della giurisprudenza (nono stante sia ormai pacifico che l'insinuazione tardiva non è un
mezzo di impugnazione dello stato passivo e che tale giudizio è diverso da quello di opposizione allo stato passivo; cfr. Cass.
21 aprile 1993, n. 4724, id., 1993, I, 2852, che ha escluso che
il termine per appellare la sentenza di primo grado resa nel pro cesso ai sensi dell'art. 101 1. fall, sia omologo a quello previsto
per l'opposizione) ha optato per la parificazione del trattamen
to procedimentale dei due diversi giudizi assumendo che anche
l'insinuazione tardiva rappresenta un elemento «incidentale» nel
processo fallimentare (una sorta di sub-procedimento) e che le
esigenze di speditezza giustificano la previsione di una progres siva scansione di preclusioni; questo indirizzo ha il conforto
di una parte della dottrina.
Sul punto, peraltro, lo schieramento dottrinale si presenta as
sai meno compatto; perplessità sulla assimilazione della discipli na sono avanzate da non pochi autori, che con argomenti in
buona parte simili, osservano che la ragione della inammissibili
tà di una nuova domanda nel procedimento di opposizione allo
stato passivo (estinto) trova congrua giustificazione nella appli cazione delle regole dettate per i processi di impugnazione, mentre
la natura certamente non assimilabile a quella dei giudizi di gra vame della dichiarazione tardiva di credito dovrebbe portare ad
escludere la sanzione della improponibilità di una nuova do
manda in virtù della diversa regola generale dettata dall'art.
310 c.p.c.
Maggiori margini per l'applicazione di un regime di preclu sioni alla riproponibilità della domanda si possono cogliere ade
rendo a quella tesi, per vero minoritaria, secondo la quale lo
sviluppo contenzioso del procedimento di insinuazione tardiva
assume un contenuto latamente impugnatorio dell'implicito prov vedimento negativo di rigetto dell'ammissione del credito rap
presentato dalla decisione del giudice delegato di istruire la cau
sa ai sensi dell'art. 175 ss. c.p.c. In verità, la ratio sottesa all'orientamento dominante è quella
di introdurre meccanismi che consentano di pervenire rapida mente alla stabilità dello stato passivo. Non si può però trascu
rare che le esigenze di speditezza così spesso «sbandierate» con
fliggono ineluttabilmente con l'enorme dilatazione dei tempi delle
procedure fallimentari. Si può condividere oppure no una sif
fatta scelta che è tipicamente di «politica giudiziaria», senza
che sia per questo necessario giungere a superare la regola gene rale di cui all'art. 310 c.p.c., con l'affermazione secondo la quale al creditore non viene sottratto il diritto d'azione posto che questo verrebbe conservato nei confronti del debitore una volta che
10 stesso sia tornato in bonis. È infatti evidente che l'interesse
del creditore è quello di partecipare al concorso e non quello di soddisfarsi sui beni del fallito dopo la chiusura del fallimento
11 Foro Italiano — 1999.
nella speranza che il fallito medesimo si arricchisca improvvi samente.
Il tribunale ritiene quindi che non debba essere sovvertita l'ap plicazione della regola generale fissata nell'art. 310 c.p.c. se condo la quale l'estinzione del giudizio non provoca effetti sul diritto sostanziale controverso. Poiché il giudizio avente per og getto una dichiarazione tardiva di credito è pacificamente un ordinario giudizio di cognizione (una volta oltrepassata la pri ma fase) non si comprende come si possa negare il valore della
regola di cui all'art. 310 c.p.c. Se poi la ragione di tale accani
mento si annidasse nella preoccupazione di evitare ritardi nella
chiusura dei fallimenti, sarebbe agevole replicare che il proble ma va risolto altrove e cioè sul piano dei rapporti fra chiusura del fallimento e processi pendenti. La domanda è quindi am
missibile. Quanto al merito della controversia, il credito risulta docu
mentalmente provato e non è stato oggetto di contestazione, sì che la domanda va accolta.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 2 marzo
1999, n. 1739; Pres. Corda, Est. Verucci, P.M. Raimondi
(conci, conf.); Prola (Avv. Sinibaldi, Manni) c. Salada Nur
Ibrahaim (Avv. Amici, Motta). Conferma App. Milano 13
maggio 1994.
Matrimonio — Matrimonio islamico — Contrarietà all'ordine
pubblico — Giudizio avente ad oggetto diritti successori —
Irrilevanza (Disp. sulla legge in generale, art. 31; cod. civ., art. 115).
La circostanza che la legge islamica consenta la poligamia e
preveda l'istituto del ripudio non impedisce, sotto il profilo dei limiti dell'ordine pubblico e del buon costume di cui al
previgente art. 31 disp. sulla legge in generale, che la cittadi
na somala, la quale abbia contratto con un italiano matrimo
nio celebrato in Somalia secondo le forme previste dalla lex
loci, faccia valere dinanzi al giudice italiano i diritti successo
ri derivanti dal matrimonio medesimo. (1)
(1) Non constano precedenti editi. Se si guarda al nucleo essenziale della motivazione, la decisione in
epigrafe parrebbe reggersi sull'argomentazione secondo cui, in conside razione dell'oggetto del processo (nel quale, per quel ch'è dato com
prendere, non era in discussione né la libertà di stato degli sposi al momento del matrimonio somalo, né l'esistenza di matrimoni successivi a questo), nessuna rilevanza potevano assumere in esso gli istituti del diritto matrimoniale islamico di cui la ricorrente assumeva il contrasto con l'ordine pubblico e con il buon costume.
Quel che invece ha il sapore di un (pericoloso) obiter dictum è l'af fermazione secondo cui l'essere stato il matrimonio celebrato (all'este ro) «secondo un rito che preveda la poligamia e/o lo scioglimento del vincolo ad nutum» non potrebbe non essere ricompreso tra le ragioni indicate negli art. 117 ss. c.c., cioè tra i vizi che aprono la strada all'im
pugnazione del matrimonio. Appare evidente, infatti, che, se per un
verso non può dubitarsi che la poligamia e il ripudio contrastino con i principi fondamentali cui è ispirato l'istituto del matrimonio nel no stro ordinamento, per altro verso non si vede, però, in quale modo ciò possa tradursi in un vizio del consenso o comunque in un vizio
genetico del matrimonio. Giusto al contrario, è lecito pensare che il
limite dell'ordine pubblico impedisca di riconoscere effetti nell'ordina mento italiano (oggi in virtù dell'art. 16 1. 218/95, fino a ieri in forza
dell'art. 31 preleggi) al ripudio che dovesse incidere, nell'ordinamento di origine, sul matrimonio islamico (v., ad es., Trib. Milano 11 marzo
1995, Foro it., Rep. 1996, voce Diritto internazionale privato, n. 46, e App. Milano 17 dicembre 1991, id., Rep. 1993, voce Matrimonio, n. 147) ovvero, a maggior ragione, al successivo matrimonio contratto in costanza del primo. [G. Balena]
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