+ All Categories
Home > Documents > Sezione I civile; sentenza 5 novembre 1959, n. 3284; Pres. Lonardo P., Est. D'Armiento, P. M....

Sezione I civile; sentenza 5 novembre 1959, n. 3284; Pres. Lonardo P., Est. D'Armiento, P. M....

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: hoanghuong
View: 212 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
3
Sezione I civile; sentenza 5 novembre 1959, n. 3284; Pres. Lonardo P., Est. D'Armiento, P. M. Cutrupia (concl. conf.); Soc. cotonificio Conegliano (Avv. Costa) c. Fall. Soc. Samarengo (Avv. Caruba, Jona) Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 2 (1960), pp. 227/228-229/230 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23150963 . Accessed: 28/06/2014 16:29 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.37 on Sat, 28 Jun 2014 16:29:33 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript

Sezione I civile; sentenza 5 novembre 1959, n. 3284; Pres. Lonardo P., Est. D'Armiento, P. M.Cutrupia (concl. conf.); Soc. cotonificio Conegliano (Avv. Costa) c. Fall. Soc. Samarengo (Avv.Caruba, Jona)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 2 (1960), pp. 227/228-229/230Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150963 .

Accessed: 28/06/2014 16:29

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 193.142.30.37 on Sat, 28 Jun 2014 16:29:33 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

227 PARTE PRIMA 228

La Corte, ecc. — Con il primo mezzo la Società ricorrente, deducendo la violazione dell'art. 100 cod. proc. civ., in rela

zione all'art. 360, n. 3, dello stesso codice, sostiene clie la Sen

tenza denunziata avrebbe dovuto dichiarare il difetto di legi timatio ad ca/usam del D'Attoma, perchè costui non aveva

dimostrato la propria appartenenza ad una delle organiz zazioni sindacali intervenute nella stipulazione dei contratti

ed accordi collettivi, invocati a fondamento delle domande

proposte nei confronti di essa Società, e rileva che, in ogni

caso, essendo tale legittimazione una condizione dell'azione

di ordine pubblico, la questione relativa può essere solle

vata, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo con

la possibilità di esperire, anche in questa sede, le necessarie

indagini in fatto sulla base degli elementi già acquisiti al

processo, salvo che essa non sia ormai preclusa dal giudicato. La censura non merita accoglimento. In proposito sarebbe infatti sufficiente considerare che

la legitimatio ad causarti si identifica, salvo le eccezioni

previste dalla legge, come, ad es., quella della sostituzione

processuale, con la titolarità attiva o passiva del rapporto dedotto in lite che, nella specie, consiste nel rapporto di

impiego intercorso fra le parti, e che costituisce il titolo

delle domande spiegate dal D'Attoma. Ma, per rispondere alle inesatte affermazioni della ricorrente, sembra opportuno

aggiungere che il richiamo a determinate clausole dei con

tratti e degli accordi postcorporativi, dei quali è superfluo ricordare la natura privatistica e che sono stati invocati dal

D'Attoma a sostegno della asserita illegittimità del prov vedimento di riduzione dello stipendio e di quello di licen

ziamento, riguarda soltanto il merito della domanda come

argomento o prova dell'esistenza di quei presupposti di

fatto e di diritto, che sono richiesti per l'attuazione della

sentire il riesame di tale interpretazione, ma sostiene soltanto che la Corte di appello avrebbe dovuto adottare in proposito una interpretazione diversa, e favorevole alla sua tesi che la richiesta di nulla osta debba seguire e non precedere il licen ziamento la cui efficacia dovrebbe restare sospesa sino a che il nulla osta non sia concesso o il collegio arbitrale non si pro nunci.

« Non occorre poi sottolineare che, comunque, dalla even tuale inosservanza dell'art. 14 non poteva certo derivare il dedotto difetto di giurisdizione del magistrato ordinario e

neppure la sua incompetenza, giacché, secondo il ripetuto inse

gnamento di questa Suprema corte, essendo la materia dei

presupposti processuali di ordine pubblico, non possono le

parti subordinare inderogabilmente il diritto di azione al previo esperimento di procedure conciliative davanti ad organi pari tetici ».

Sul principio di diritto, ricavabile dall'ultimo periodo della

soprariportata motivazione, dal quale l'Ufficio massimario non ha peraltro estratto massima (le parti non possono inderogabil mente subordinare il diritto di azione al previo esperimento di procedure conciliative avanti ad organi paritetici), cons. Cass. 17 ottobre 1958, n. 3312, Foro it., Rep. 1958, voce Lavoro (com petenza e proc.), n. 48, la quale ammette peraltro che l'omis sione del tentativo di conciliazione può venire in considerazione

sotto l'aspetto della violazione di un obbligo contrattuale. Nel senso che le disposizioni che prescrivono genericamente l'espe rimento di un tentativo di conciliazione non danno luogo, nel caso di inosservanza, all'improcedibilità dell'azione e alla nullità del procedimento, v. App. Roma 27 febbraio 1957, id., Rep. 1958, voce cit., n. 41.

Sulla natura facoltativa del tentativo di conciliazione pre visto dall'Accordo 18 ottobre 1958, v. App. Firenze 8 ottobre 1957, ibid., n. 33

Per il carattere facoltativo del tentativo di conciliazione previsto dall'art. 3 decreto legisl. 15 aprile 1948 n. 381, v. Cass. 17 ottobre 1958, n. 3312, ibid., n. 47.

Invece, nel senso che l'esperimento di conciliazione, pre visto dal contratto individuale o collettivo, costituisce condi zione di procedibilità della domanda giudiziale, v. App. Lecce 31 gennaio 1957, id., Rep. 1957, voce cit., n. 36 ; Trib. Milano 20 febbraio 1957, ibid., n. 37 ; Trib. Bergamo 3 agosto 1956, ibid., n. 38 ; Trib. Catanzaro 20 agosto 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 43 ; Trib. Roma 10 marzo 1956, ibid., nn. 46-48.

In argomento, v. Traversa, in Mass. giur. lav., 1957, 116 ; Rubino, in Foro nap., 1957, I, 195 ; Vincenzi, in Dir. economia, 1956, 982.

legge, cioè perchè l'attore possa ottenere una sentenza favo revole.

È peraltro evidente clie l'accertamento compiuto dalla Corte di appello, circa l'applicabilità alla fattispecie delle anzidette clausole dei contratti postcorporativi, costituisce un accertamento di fatto non sindacabile in questa sede. Ne vale opporre, per infirmare tale insindacabilità, che la ricorrente eccepì in grado di appello che il D'Attoma non aveva dimostrato la propria appartenenza ad una delle

organizzazioni sindacali stipulanti di quei contratti ed

accordi, perchè la detta eccezione venne formulata dalla Società solo con la replica alla comparsa del D'Attoma, e

quindi tardivamente, mentre, durante tutto il corso del

giudizio di merito, questa aveva imperniato la propria difesa sul presupposto, del resto pacifico, che le dette norme

postcorporative fossero puntualmente applicabili alla fatti

specie, ma andassero tuttavia interpretate in senso favo revole alla convenuta.

Ciò posto, appare manifesto che la questione relativa

all'appartenenza o meno di una delle parti all'associazione sindacale stipulante, e al conseguente disconoscimento della

obbligatorietà di un contratto collettivo corporativo, attiene, come questa Suprema corte ha già avuto occasione di rite

nere, non all'ordine pubblico ma all'interesse privato della

parte, che contesti tale reciproca obbligatorietà, e che è

pertanto tenuta a sollevare tempestivamente la necessaria

eccezione, in mancanza della quale, anche ai fini essenziali del leale svolgimento del contraddittorio, è dato al giudice di ritenere come pacifica la sussistenza o, comunque, l'ac cettazione del vincolo collettivo, così come di ogni circo stanza di fatto o presupposto che non abbia formato oggetto di contestazione.

Ed è infine da rilevare che a torto la ricorrente addebita alla sentenza di avere affermato il principio, senza dubbio

erroneo, che l'appartenenza di una sola delle parti ad una delle organizzazioni stipulanti sarebbe condizione suffi ciente per ritenere, rispetto ad entrambi i soggetti del rap porto di lavoro, la obbligatorietà di un contratto collettivo

postcorporat ivo.

Tale inesatto rilievo muove da una falsa interpretazione di un inciso della sentenza, dove è detto che l'accertamento, richiesto dalla odierna ricorrente, della derogabilità o meno dell'art. 18 del contratto collettivo sarebbe stato per tinente, solo se la Società non fosse risultata iscritta alla associazione industriale stipulante, intendendo dire con ciò

che, data per pacifica l'applicabilità del contratto collettivo al D'Attoma, non poteva la stessa Società sottrarsi alla sua osservanza, sia per effetto della sua iscrizione alla orga nizzazione industriale, sia perchè nemmeno i contratti post corporativi possono essere derogati dal contratto individuale in senso sfavorevole al lavoratore. (Omissis)

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 5 novembre 1959, n. 3284 ; Pres. Lonardo P., Est. D'Armiento, P. M. Cutrupia (conci, conf.) ; Soc. cotonificio Conegliano (Avv. Costa) c. Fall. Soc. Samarengo (Avv. Caruba, Jona).

(Cassa App. Milano 10 dicembre 1957)

Mandato — Mandato « in rem propriam » — Falli mento del mandante — Estinzione del mandato — Esclusione (Cod. civ., art. 1723).

Il sopravvenuto fallimento del mandante non estingue il man dato conferito ili rem propriam o nell'interesse anche del terzo. (1)

(1) La sentenza cassata, App. Milano 10 dicembre 1057, e riassunta in Foro it., Rep. 1058, voce Fallimento, n. 433.

Nella giurisprudenza di merito in senso contrario alla sen tenza annotata, v. App. Trieste 1 aprile 1057, ibid., n. 58 ; Trib.

This content downloaded from 193.142.30.37 on Sat, 28 Jun 2014 16:29:33 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

229 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 230

I La Corte, ecc. — (Omissis). Col terzo mezzo del ricorso

principale si deduce la violazione e falsa applicazione del l'art. 1723 cod. civ. e delle norme connesse (fra le quali gli art. 2013, 3° comma, cod. civ. ; 22, 3° comma, legge cam

biaria ; 78 legge fallimentare) e l'omessa, insufficiente e con

traddittoria motivazione delle relative questioni. Sostiene il Cotonificio che, pure ammessa l'insussistenza

della cessione di credito, e il conferimento del mandato, da parte della Soc. Samarengo alla Banca popolare di

Milano, siccome ritenuto dalla sentenza impugnata, non

avrebbe potuto dichiararsi estinto il mandato per effetto

dell'intervenuto fallimento della mandante, giacche trat

tavasi di mandato dichiarato espressamente irrevocabile

dalla mandante e conferito nell'interesse del terzo.

Il mezzo di ricorso va accolto.

La sentenza ha esattamente qualificato « mandato in

favore di terzo » l'incarico conferito dalla Soc. Samarengo alla Banca popolare di Milano, relativo alla riscossione del

prezzo e all'attribuzione di esso, per la massima parte, alla Soc. Cotonificio di Conegliano, in pagamento del filato

dalla medesima in precedenza acquistato a credito ; ma ha

ritenuto che siffatta qualificazione non bastasse a salvarlo

dall'estinzione, disposta, per ogni specie di mandato, dal

l'art. 78 legge fallimentare.

A sostegno della decisione ha richiamato : a) la espressione letterale dell'indicata norma sul fallimento, che, nel sancire

lo scioglimento di alcuni contratti, nel caso di dichiara

zione di fallimento di una delle parti, parla genericamente di « mandato », senza alcuna precisazione o specificazione ;

b) la ratio dell'art. 78, la quale, riposando sulla incapacità

sopravvenuta di una delle parti alla conclusione del con

tratto, non consente, anch'essa, alcuna precisazione o spe cificazione fra le varie forme di mandato ; c) il disposto dell'art. 1723, 2° comma, cod. civ., ai termini del quale il

mandato, conferito anche nell'interesse del mandatario o

di terzi, non si estingue per la morte o per la sopravvenuta

incapacità del mandante (e non anche per il fallimento di

questi). Ed ha concluso che, corrispondendo all'indiscri

minata disposizione della legge speciale il silenzio della

legge generale, non poteva non ritenersi estinto il mandato

de quo per il sopravvenuto fallimento della Soc. Samarengo. Così puntualizzata la questione e diffusamente rias

sunta la motivazione, questo Supremo collegio ritiene che

la decisione adottata dalla Corte di merito non risponda nè

ai principi di una retta interpretazione degli art. 1723 cod.

civ. e 78 legge fall., nè, tanto meno, a quelli di un necessario

coordinamento fra le due disposizioni. Com'è noto, e discende del resto dalla diversità funzio

nale cui assolvono, mentre il codice civile contiene una rego lamentazione completa ed organica del mandato (art. 1703

e segg.) e ne dà la nozione (1703) stabilisce il contenuto

(1708), fissa le obbligazioni del mandante e del mandatario

(1710 e segg.), e precisa le cause di estinzione (1722) ; la

legge sul fallimento si limita a disporre che il contratto di

mandato (come del resto quello di conto corrente e di com

missione) si scioglie per il fallimento di una delle parti. Ciò implica che i principi, posti in materia di mandato dal

codice civile, devono applicarsi anche in materia di falli

mento, a meno che la legge regolatrice di quest'ultima non

disponga diversamente, o contenga norme incompatibili. Esaminando la questione al lume di tale premessa,

della cui esattezza non può dubitarsi, anche sotto il profilo dell'unicità del sistema, si perviene a conclusione opposta a

quella adottata dalla sentenza impugnata. Ed invero, di

Milano 5 febbraio 1959, Giur. it., 1959, 1, 2, 862, con nota ade siva di Mangini.

In senso conforme alla sentenza annotata : Cass. 30 ottobre

1956, n. 4057, Foro it., Rep. 1956, voce Mandato, nn. 134, 135. In dottrina hanno ritenuto, che il sopravvenuto fallimento

del mandante non estingue il mandato in rem propriam, il Mi

nervini, Il mandato, la commissione, la spedizione, Torino, 1952, 222 ; e il Foschini, in Riv. dir. comm., 1958, II, 81. In senso

contrario il Provinciali, Manuale di diritto fallimentare, I, 650, il quale ritiene inapplicabile l'art. 1723, 2° comma, cod. civ.

per incompatibilità con la natura e le finalità del fallimento.

stinguendo il codice civile tra mandato puro e semplice e mandato nell'interesse del mandatario o di terzi, e sotto

ponendo i due tipi di mandato a diversa regolamentazione, come si dirà or ora, non può prescindersi da tale distinzione e diversa regolamentazione anche nel campo del mandato

fallimentare, una volta che l'art. 78 della ripetuta norma sul fallimento parla solo genericamente di « mandato » senza alcuna distinzione o precisazione.

Conseguentemente, deve ritenersi che l'estinzione del mandato per fallimento dal mandante si verifichi solo nel caso di mandato vero e proprio, e non nel caso del mandato nell'interesse del mandatario o di terzi, nella quale ultima

ipotesi deve valere il principio opposto della non estinzione

del mandato, stabilito dal capov. dell'art. 1723. Nè si obietti che in quest'ultima norma non è espressamente previsto il sopravvenuto fallimento del mandante, giacché nella

espressione di «sopravvenuta incapacità del mandante» in essa contenuta, va chiaramente compresa l'incapacità causata al fallito dalla dichiarazione di fallimento (art. 42 e segg.) ; e ogni riferimento specifico alla materia falli mentare doveva apparire inopportuno in sede di codifica

zione, atteso che s'intendeva regolare a parte la materia fallimentare.

A conferma di quanto ora detto, si ricorda che il Pro

getto preliminare del libro delle obbligazioni del 1940, redatto quando ancora non si pensava di stralciare la di

sciplina del fallimento per farne oggetto di una legge spe ciale, elencava nell'art. 608 anche il fallimento del mandante fra i casi esclusi dalla estinzione del mandato conferito nel l'interesse di altri ; e si osservava altresì, che la interpreta zione adottata, oltre che bene adeguata ai principi di erme

neutica e di coordinamento cui si è accennato, risponde in

pieno alla necessità di mantenere ferme, anche per la materia

fallimentare, le differenze di trattamento fatte dal legisla tore ai diversi tipi di mandato, in considerazione appunto della diversità effettiva di contenuto dei relativi negozi. Al quale proposito si sottolinea, che, mentre il mandato

puro e semplice mira a soddisfare il solo interesse del man

dante, il mandato conferito anche nell'interesse del man

datario o di terzi arreca un utile (o un vantaggio) al man

datario o al terzo in relazione all'obbligazione del mandante verso il mandatario o il terzo. Ed appunto perciò, mentre

il mandato puro e semplice è un contratto unilaterale (che si estingue per revoca, per morte, e per perdita di capacità del mandante), il mandato conferito anche nell'interesse

del mandatario o del terzo assume la figura di contratto

bilaterale o sinallagmatico, che non si estingue per alcuna

delle cause predette. Pertanto, la sentenza va cassata, e la causa rinviata,

per nuovo esame sul punto ora detto, ad altra sezione della

stessa Corte di appello, la quale dovrà attendere al seguente

principio di diritto :

« Per il coordinato disposto degli art. 78 legge fall, e

1723 cod. civ., il sopravvenuto fallimento del mandante

estingue solo il mandato pure e semplice, mentre è inin

fluente per il mandato conferito in rem propria/m o nell'in

teresse anche del terzo ». (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile ; sentenza 30 ottobre 1959, n. 3212 ; Pres.

Petrella P., Est. Ferrati, P. M. Colonnese (conci,

conf.) ; Finanze (Avv. dello Stato Pentimace) c. Co mune di S. Bonifacio (Avv. Pediconi, Veneri, Fi

lippini).

(Conferma App. Venezia 20 maggio 1958)

Persona giuridica — Donazione a persona giuridica —

Autorizzazione —- Diletto — Rilevanza (Cod. CÌV., art. 17)

La mancanza dell'autorizzazione governativa, prevista dal

l'art. 17 cod. civ. per l'acquisto delle donazioni da parte

This content downloaded from 193.142.30.37 on Sat, 28 Jun 2014 16:29:33 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended