+ All Categories
Home > Documents > sezione I civile; sentenza 6 aprile 2001, n. 5126; Pres. Baldassarre, Est. Plenteda, P.M. Ceniccola...

sezione I civile; sentenza 6 aprile 2001, n. 5126; Pres. Baldassarre, Est. Plenteda, P.M. Ceniccola...

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: dotruc
View: 227 times
Download: 8 times
Share this document with a friend
6
sezione I civile; sentenza 6 aprile 2001, n. 5126; Pres. Baldassarre, Est. Plenteda, P.M. Ceniccola (concl. conf.); Soc. coop. agricola Rinascita Adriatica (Avv. Rocchetti) c. Salvatore (Avv. Colacito). Cassa Trib. Chieti 25 febbraio 1999 Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 1 (GENNAIO 2002), pp. 179/180-187/188 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23197727 . Accessed: 28/06/2014 17:06 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.72 on Sat, 28 Jun 2014 17:06:02 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sezione I civile; sentenza 6 aprile 2001, n. 5126; Pres. Baldassarre, Est. Plenteda, P.M. Ceniccola (concl. conf.); Soc. coop. agricola Rinascita Adriatica (Avv. Rocchetti) c. Salvatore

sezione I civile; sentenza 6 aprile 2001, n. 5126; Pres. Baldassarre, Est. Plenteda, P.M. Ceniccola(concl. conf.); Soc. coop. agricola Rinascita Adriatica (Avv. Rocchetti) c. Salvatore (Avv.Colacito). Cassa Trib. Chieti 25 febbraio 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 1 (GENNAIO 2002), pp. 179/180-187/188Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197727 .

Accessed: 28/06/2014 17:06

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 91.238.114.72 on Sat, 28 Jun 2014 17:06:02 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sezione I civile; sentenza 6 aprile 2001, n. 5126; Pres. Baldassarre, Est. Plenteda, P.M. Ceniccola (concl. conf.); Soc. coop. agricola Rinascita Adriatica (Avv. Rocchetti) c. Salvatore

179 PARTE PRIMA 180

1968, per indicare le aree destinate agli usi collettivi: «spazi»,

appunto, non già «zone», come invece per quanto attiene alla

definizione delle varie, differenti aree, distinte per i caratteri

specifici dell'edificabilità per esse prevista. In quest'ottica si spiega, diversamente da Cass. 2272/99, cit.,

il motivo per cui l'art. 7 del più volte citato d.m. non consideri

la c.d. zona F ai fini della determinazione dei limiti inderogabili di densità edilizia: perché essa zona mutua detti limiti da quelli della zona cui pertiene e del cui completamento essa funzional

mente fa parte, salve naturalmente le diverse decisioni dell'ente

preposto allo strumento urbanistico (che, ad esempio, nel caso

oggetto della presente decisione, ha variato, proprio per la rea

lizzazione della piscina, l'indice di edificabilità, portandolo dal

valore inizialmente previsto di 0,05 a 1,3 mc/mq ed il rapporto di copertura dall'uno per cento al quindici per cento) e che sono

prese in considerazione anche dal d.m. all'art. 8, n. 4 [«art. 8. -

Limiti di altezza degli edifici. Le altezze massime degli edifici

per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come se

gue: 1) Zone A)... 2) Zone B)... 3) Zone C) ... 4) Edifici ri cadenti in altre zone: le altezze massime sono stabilite dagli strumenti urbanistici in relazione alle norme sulle distanze tra i

fabbricati di cui al successivo art. 9»]. Il d.m. in questione, dunque, unifica l'indicazione delle aree

destinate a servizi di urbanizzazione come zona F le volte che la

semplificazione verbale si presta a contrapporla complessiva mente coll'insieme delle altre aree del territorio comunale nella

guida alla formulazione dei piani regolatori [«art. 4. - Quantità minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a

verde pubblico o a parcheggi da osservare in rapporto agli in

sediamenti residenziali nelle singole zone territoriali omogenee. La quantità minima di spazi

— definita al precedente articolo in

via generale — è soggetta, per le diverse zone territoriali omo

genee, alle articolazioni e variazioni come appresso stabilite in

rapporto alla diversità di situazioni obiettive.

1 - Zone A): l'amministrazione comunale, qualora dimostri

l'impossibilità —

per mancata disponibilità di aree idonee, ov

vero per ragioni di rispetto ambientale e di salvaguardia delle

caratteristiche, della conformazione e delle funzioni della zona

stessa — di raggiungere le quantità minime di cui al precedente art. 3, deve precisare come siano altrimenti soddisfatti i fabbi

sogni dei relativi servizi ed attrezzature.

2 - Zone B): quando sia dimostrata l'impossibilità — detratti

i fabbisogni comunque già soddisfatti — di raggiungere la pre detta quantità minima di spazi su aree idonee, gli spazi stessi

vanno reperiti entro i limiti delle disponibilità esistenti nelle

adiacenze immediate, ovvero su aree accessibili tenendo conto

dei raggi di influenza delle singole attrezzature e dell'organiz zazione dei trasporti pubblici.

Le aree che verranno destinate agli spazi di cui al precedente art. 3 nell'ambito delle zone A) e B) saranno computate, ai fini

della determinazione delle quantità minime prescritte dallo stes

so articolo, in misura doppia di quella effettiva.

3 - Zone C): deve essere assicurata integralmente la quantità minima di spazi di cui all'art. 3. Nei comuni per i quali la po

polazione prevista dagli strumenti urbanistici non superi i die

cimila abitanti, la predetta quantità minima di spazio è fissata in

mq 12 dei quali mq 4 riservati alle attrezzature scolastiche di cui

alla lett. a) dell'art. 3. La stessa disposizione si applica agli in

sediamenti residenziali in comuni con popolazione prevista su

periore a diecimila abitanti, quando trattasi di nuovi complessi insediativi per i quali la densità fondiaria non superi 1 mc/mq.

Quando le zone C) siano contigue o in diretto rapporto vi

suale con particolari connotati naturali del territorio (quali coste

marine, laghi, lagune, corsi d'acqua importanti; nonché singola rità orografiche di rilievo) ovvero con preesistenze storico

artistiche ed archeologiche, la quantità minima di spazio di cui

al punto c) del precedente art. 3 resta fissata in mq 15: tale di

sposizione non si applica quando le zone siano contigue ad at

trezzature portuali di interesse nazionale.

4 - Zone E): la quantità minima è stabilita in mq 6, da riserva

re complessivamente per le attrezzature ed i servizi di cui alle

lett. a) e b) del precedente art. 3.

5 - Zone F): gli spazi per le attrezzature pubbliche di interesse

generale — quando risulti l'esigenza di prevedere le attrezzatu

re stesse — debbono essere previsti in misura non inferiore a

quella appresso indicata in rapporto alla popolazione del territo

rio servito: 1,5 mq/abitante per le attrezzature per la istruzione

Il Foro Italiano — 2002.

superiore all'obbligo (istituti universitari esclusi); 1 mq/abitante

per le attrezzature sanitarie ed ospedaliere; 15 mq/abitante per i

parchi pubblici urbani e territoriali»]. Unica lettura alternativa possibile (ma non confortata dalla

prassi di redazione dei piani regolatori) sarebbe quella di indivi

duare la zona F come semplicemente eventuale e destinata uni

camente a servizi pubblici ulteriori rispetto a quelli sportivi, re

ligiosi, scolastici, ecc., costituenti opere di urbanizzazione pri maria e secondaria ex art. 4 (e potrebbe trattarsi delle attrezzatu

re scolastiche oltre l'obbligo, anche universitarie; parchi pubbli ci urbani, e non verde pubblico di quartiere; attrezzature sanita

rie ed ospedaliere destinate all'uso dell'intera popolazione inse

diata sul territorio, e non del quartiere). Ma anche in questo ca

so, ed a maggior ragione, le opere destinate a questi stessi servi

zi di urbanizzazione primaria e secondaria, dovrebbero conside

rarsi porzione della zona nella quale sono inserite a soddisfazio

ne degli indici necessari di proporzionalità. Il terreno, che il comune ha occupato, era inserito, nel piano

di fabbricazione all'epoca vigente, in zona F «verde pubblico

sportivo». Si è visto che costituiscono opere di urbanizzazione primaria

gli spazi di verde attrezzato; si è visto che costituiscono opere di

urbanizzazione secondaria gli impianti sportivi di quartiere. Giustamente, dunque, il c.t.u. ing. Forleo ha stimato l'area

espropriata (relazione del 28 aprile 1999) facendo governo della

norma del comma 7 bis dell'art. 5 bis 1. 359/92 (espressamente

applicabile ai giudizi in corso al momento di entrata in vigore della norma). (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 6 aprile 2001, n. 5126; Pres. Baldassarre, Est. Plenteda, P.M. Ce

niccola (conci, conf.); Soc. coop, agricola Rinascita Adriati

ca (Avv. Rocchetti) c. Salvatore (Avv. Colacito). Cassa

Trib. Chieti 25 febbraio 1999.

Cooperativa e cooperazione — Società cooperativa

— Re

cesso per forza maggiore — Previsione statutaria — Ac

certamento assembleare — Mancata convocazione — Ef

fetti.

Qualora l'atto costitutivo di una società cooperativa attribuisca

ai soci un diritto di recesso per motivi di forza maggiore, sotto condizione dell'accertamento da parte dell'assemblea, il comportamento omissivo del consiglio di amministrazione che non convochi l'assemblea per approvare la dichiarazione di recesso di uno dei soci è contrario all'obbligo di buona fe de ed implica che la condizione debba considerarsi avvera

ta. (1)

(1) Nella sentenza in epigrafe, la Suprema corte affronta il tema del recesso del socio da una società cooperativa.

Norma di riferimento in materia è l'art. 2526 c.c. (la cui infelice formulazione sembra voler disciplinare le sole modalità di «dichiara zione di recesso del socio»), che riconosce al socio il diritto di recesso

quando questo sia previsto dalla legge o dall'atto costitutivo. In parti colare, il rinvio alla legge ha alimentato numerose incertezze in dottrina e giurisprudenza, essendo dubbia, al di là dell'espressa previsione di cui all'art. 2523, 2° comma, c.c., la possibilità di estendere alle società

cooperative le ipotesi di recesso previste per le società per azioni dal l'art. 2437 c.c. (ma in senso favorevole si è ormai affermata la giuris prudenza della Cassazione: v. Cass. 28 ottobre 1980, n. 5790, Foro it., 1981, I, 747; 15 luglio 1963, n. 1915, id., 1963, I, 2298; e la dottrina: cfr. Bassi, Delle imprese cooperative e delle mutue assicuratrici, in Commentario a cura di P. Schlesinger, Milano, 1988, 605 ss.; Verru

coli, Cooperative (imprese), voce dell' Enciclopedia de! diritto, Mila

This content downloaded from 91.238.114.72 on Sat, 28 Jun 2014 17:06:02 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sezione I civile; sentenza 6 aprile 2001, n. 5126; Pres. Baldassarre, Est. Plenteda, P.M. Ceniccola (concl. conf.); Soc. coop. agricola Rinascita Adriatica (Avv. Rocchetti) c. Salvatore

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con sentenza 13 dicembre 1996

(Foro it.. Rep. 1997, voce Cooperativa, n. 52, e voce Ingiunzio ne (procedimento), n. 125) il Pretore di Chieti dichiarò nullo il

decreto ingiuntivo n. 79/93 — che aveva intimato a Salvatore

Antonio di pagare in favore della società cooperativa agricola Rinascita Adriatica a r.l. la somma di lire 3.046.150 per pregres se rate annuali di mutuo relative agli anni 1991, 1992 e 1993 —

ed efficace la sua dichiarazione di recesso dalla compagine so

ciale, a far tempo dal 31 dicembre 1991, in conseguenza della

quale egli si era liberato da ogni obbligo; mentre respinse la ri

chiesta dell'opponente di rimborso della quota di capitale so

ciale per lire 1.901.332.

no, 1962, X, 580 ss.; Cottino, Cooperative e diritto di recesso, in Riv. dir. comm., 1959, II, 209), e quelle di cui all'art. 2285 c.c., relative alle società di persone (in senso negativo, cfr. Cass. 23 giugno 1988, n.

4274, Foro it., 1989, I, 1566, con nota critica di Marcelli). Il caso affrontato dalla Suprema corte nella pronuncia in rassegna ha

ad oggetto un'ipotesi di recesso convenzionale riconosciuto dall'atto costitutivo a favore dei soci, in caso di forza maggiore, e però condi zionato a un intervento convalidante dell'assemblea, volto a controllare la sussistenza della condizione stabilita dall'atto costitutivo.

Innanzi tutto la Cassazione riconosce la piena liceità di una clausola che subordini l'operatività del recesso convenzionale a particolari pre supposti o condizioni (sulla stessa posizione, v. già Cass. 21 luglio 1992, n. 8802, id.. Rep. 1992, voce Cooperativa, n. 60; 23 giugno 1988, n. 4274, cit.; per la giurisprudenza di merito, v. Trib. Milano 6 febbraio 1995, id., Rep. 1995, voce cit., n. 43, e Società, 1995, 1331, con nota di Bonavera; App. Roma 25 marzo 1981, Foro it.. Rep. 1983, voce cit.. n. 52; Trib. Taranto 11 maggio 1981, ibid., n. 57, e Riv. dir.

comm., 1982, II, 401; nel senso dell'invalidità della clausola statutaria che subordini il recesso del socio ad un'autorizzazione del consiglio di

amministrazione, v. invece Trib. Lecce 7 gennaio 1989, Foro it.. Rep. 1989, voce cit., n. 62), ma puntualizza poi come una siffatta clausola non possa comunque essere adoperata per paralizzare ingiustificata mente la scelta del socio di recedere dalla società, essendo un tale com

portamento contrario al principio di buona fede (l'applicazione in am bito societario degli art. 1175 e 1375 c.c. costituisce ormai ius recep tum: v. Cass. 26 ottobre 1995, n. 11151, id.. Rep. 1996, voce Società, n.

589, e Nuova giur. civ., 1997, I, 449, con nota di Amitrano; 21 luglio 1992, n. 8802, cit.; Preite, Abuso di maggioranza e conflitto di interes si del socio nella società per azioni, in Trattato delle società per azioni diretto da Colombo e Portale, Milano, 1993, II, 14 ss.; Gambino, Il

principio di correttezza nell'ordinamento delle società per azioni, Mi

lano, 1987, 307 ss.). Pertanto, di fronte a un comportamento inerte del

consiglio di amministrazione della società, il quale si rifiuti di convoca re l'assemblea (unico organo deputato a «convalidare» la dichiarazione di recesso del socio), impedendo quindi che il recesso produca i suoi

effetti, la Cassazione ammette il rimedio dell'art. 1359 c.c., ossia la finzione di avveramento della condizione sospensiva cui è subordinato il recesso, e di conseguenza il venir meno del rapporto sociale con il socio recedente (nello stesso senso, cfr. Pret. Chieti 13 dicembre 1996, Foro it., Rep. 1997, voce Cooperativa, 52; su una fattispecie similare, Cass. 21 luglio 1992, n. 8802, cit., perviene a conclusioni analoghe, ma

seguendo una traiettoria argomentativa diversa, come si vedrà più dif fusamente in seguito).

La soluzione appena prospettata poggia sulla costruzione della fatti

specie in esame come di un recesso convenzionale condizionato, nel

quale oggetto della condizione, secondo la Suprema corte, sarebbe uni camente l'attività di controllo dell'organo societario competente ai sen si dell'atto costitutivo.

In realtà, a prima vista, questa fattispecie sembrerebbe evocare una

ipotesi di recesso sottoposto alla condizione sospensiva della causa di forza maggiore, o tutt'al più a una duplice condizione sospensiva (c.d. condizione cumulativa): il sopravvenire di una causa dì forza maggiore da un lato, e il suo accertamento da parte dell'assemblea dei soci, dal l'altro.

Ma a una tale interpretazione del contratto sociale non pare tuttavia aderire la Cassazione. L'attività di accertamento della sussistenza della causa sostanziale di recesso (la forza maggiore) è infatti qualificata dalla Suprema corte alla stregua di un potere discrezionale attribuito in

via esclusiva all'organo societario competente (nel caso specifico l'as

semblea), per la tutela degli interessi societari: si tratterebbe quindi di

un potere non esercitabile, neanche in via surrogatoria, da parte del

l'autorità giudiziaria. Corollario di tale assunto è la decisione della

Cassazione di non ritenere ammissibile né necessaria la verifica giuris dizionale (oltre che dell'inerzia della società nell'accertare la sussisten

za della causa di forza maggiore) dell'effettiva presenza della causa di

forza maggiore invocata dal socio recedente. In tal modo, dunque, la

presenza della causa di forza maggiore finisce per non costituire, alme

no in sede giurisdizionale, uno dei presupposti del diritto di recesso:

diversamente opinando la Cassazione non avrebbe potuto abdicare al

proprio potere-dovere di accertarlo. L'unica condizione del diritto di

Il Foro Italiano — 2002.

La cooperativa impugnò la decisione, che fu gravata da ap

pello incidentale anche dal Salvatore, per il mancato accogli mento della domanda di rimborso delle quote di capitale sociale

e di quella per la declaratoria di nullità delle scritture 27 agosto e 28 novembre 1988, con cui il Salvatore si era impegnato a

sottoscrìvere le quote di aumento di capitale, poste a fonda

mento del decreto ingiuntivo opposto, che erano state formulate

in alternativa al motivo di opposizione all'ingiunzione, di nulla

dovere per essere receduto.

Il Tribunale di Chieti con sentenza 21 novembre 1998 accolse

l'appello principale solo per la parte relativa alle spese di lite, che compensò per la metà, ponendo la differenza a carico della

recesso verrebbe ad essere allora rappresentata dalla delibera con cui l'assemblea accerta la causa di forza maggiore, e quindi la legittimità della dichiarazione di recesso del socio.

Una simile costruzione desta però qualche perplessità, innanzi tutto laddove assegna all'attività di verifica della società una valenza che non pare la più appropriata: non convince del tutto, infatti, l'afferma zione secondo cui l'accertamento della causa di recesso costituirebbe un potere discrezionale della società, come tale esclusivo e non suscet tibile di controllo giurisdizionale. Non sembra trattarsi invero di potere discrezionale, nel quale cioè la società sia chiamata a valutare se il re cesso del socio sia o meno compatibile con gli interessi societari, ma di un diritto di verifica (per certi versi simile a quello, funzionale al col

laudo, esercitabile dal committente al momento della consegna di un'o

pera appaltata, ex art. 1665 c.c., e tutt'altro che discrezionale) volto ad accertare solo se il fatto storico da cui dipende l'esercizio del recesso si sia o meno verificato. Apparentemente quindi nessuna discrezionalità sembra venire in rilievo.

Peraltro, la strada percorsa dalla Suprema corte per risolvere la fatti

specie in esame non pare possa sottrarsi a ulteriori spunti critici, allor

quando si vada a misurarne la coerenza interna in un'altra situazione di conflitto tra il socio recedente e la società.

In presenza di un siffatto congegno negoziale, il socio può trovarsi infatti di fronte a due possibili comportamenti ostruzionistici della so cietà cooperativa.

Vi è quello, affrontato dalla Suprema corte nella sentenza in epigra fe, nel quale la società rimane inerte, e non dà seguito alla dichiarazio ne di recesso del socio, paralizzandone così gli effetti, attesa la valenza di condizione sospensiva assegnata alla delìbera di accertamento del l'assemblea. In questo caso, il socio ha la possibilità di adire il giudice invocando la finzione di avveramento della condizione, ex art. 1359

c.c., in conformità con quanto sostenuto dalla Cassazione nella pronun cia in epigrafe. Il giudice adito deve limitarsi ad accertare se l'attività di verifica della causa di recesso sia stata o meno compiuta dall'organo societario competente, e, in caso negativo, applicare la regola dell'art. 1359 c.c.

La seconda possibile situazione pregiudizievole nella quale il socio recedente può imbattersi è poi quella in cui l'organo societario deputato ad accertare la causa di recesso emetta una delibera negativa, nono stante la piena sussistenza del requisito richiesto dall'atto costitutivo.

Quid iuris in questo caso? Ora, se si seguisse fino in fondo la tesi pro spettata dalla Cassazione, l'autorità giudiziaria non avrebbe la possibi lità di sindacare la delibera societaria, essendo questa frutto dell'eserci zio di un potere discrezionale riservato in via esclusiva alla società. Il

ricorso all'art. 1359 c.c. sarebbe quindi precluso proprio dall'impossi bilità di accertare in via preventiva la sussistenza della causa sostan ziale di recesso (come ad esempio la forza maggiore), e pertanto la er roneità della delibera negativa.

Ma in tal modo, di fronte a comportamenti scorretti o quanto meno

negligenti della società, si negherebbe tutela giurisdizionale al socio, il che sembra inammissibile, dato l'evidente contrasto con gli art. 3 e 24 Cost, che ne deriverebbe.

Se invece si ritenesse, come pare non possa essere diversamente, che il socio recedente abbia la possibilità di agire dinanzi all'autorità giudi ziaria per far dichiarare la sussistenza del proprio diritto di recesso, si dovrebbe necessariamente affermare che il giudice può e deve accertare la sussistenza della causa sostanziale di recesso (come la forza maggio re, nel caso di specie). Si finirebbe così per smentire l'asserzione della

Suprema corte secondo cui la società è titolare di un potere esclusivo e

insindacabile di verìfica. In tal modo, peraltro, la clausola contrattuale

volta ad impedire al giudice l'accertamento del presupposto del reces

so, riservandolo a un organo societario, verrebbe ad essere svuotata di

contenuto e di utilità. Se infatti questa clausola, come sostenuto da

Cass. 5126/01, ha lo scopo di riservare alla società un potere discrezio

nale esclusivo, la possibilità poi di investire l'autorità giudiziaria al fine

di verificare la correttezza dell'esercizio di tale potere, e in sostanza di

sostituirsi alla società medesima nello svolgimento dell'attività connes

sa, equivale a neutralizzare detta clausola, almeno rispetto all'interpre tazione offerta dalla Suprema corte.

In realtà, ciò che non pare del tutto convincente in Cass. 5126/01 è

proprio il ritenere che possa costituire oggetto di condizione sospensiva

This content downloaded from 91.238.114.72 on Sat, 28 Jun 2014 17:06:02 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: sezione I civile; sentenza 6 aprile 2001, n. 5126; Pres. Baldassarre, Est. Plenteda, P.M. Ceniccola (concl. conf.); Soc. coop. agricola Rinascita Adriatica (Avv. Rocchetti) c. Salvatore

PARTE PRIMA

cooperativa; rigettò l'appello incidentale e compensò nella stes

sa misura quelle del secondo grado, alla cui differenza condan

nò l'appellante principale. Ha ritenuto il Tribunale di Chieti in

fondata l'eccezione di giudicato — così confermando la deci

sione del primo giudice — sollevata dalla cooperativa in rela

zione ad altra ingiunzione emessa nell'anno 1992 dallo stesso

pretore e non opposta dal Salvatore, avente ad oggetto il mede

simo rapporto obbligatorio, avendo considerato la diversità og

gettiva dei due decreti ingiuntivi, dal momento che il primo af

feriva alle quote sociali ed il secondo a rate di un mutuo con

tratto dalla società; al di là del fatto che il Salvatore aveva chie

sto l'accertamento del suo recesso da socio, del quale ha rile

vato la correttezza. Ha disatteso il motivo d'impugnazione con

il quale la cooperativa aveva lamentato la mancata condanna del

Salvatore a pagare almeno l'annualità del 1991, in ragione di

lire 953.000, assumendo che era mancata una domanda a ri

guardo, avendo la società semplicemente richiesto il rigetto del

l'opposizione, mentre ha giudicato inadeguato il regolamento delle spese giudiziali, in quanto il primo giudice non aveva ac

colto interamente l'opposizione al decreto ingiuntivo, avendo

escluso il rimborso di lire 1.901.332 e disatteso la richiesta di

dichiarazione di nullità delle scritture dell'agosto e del novem

bre 1988. Ha rilevato il giudice d'appello che il Salvatore aveva

proposto appello incidentale con riguardo a tale statuizione, che

non aveva accolto l'opposizione al decreto ingiuntivo per

l'aspetto invocato, non sussistendo la ritenuta indeterminatezza

o indeterminabilità dell'oggetto della prestazione, richiesta al

un comportamento della parte (l'attività di accertamento) che, in

quanto vincolato alla verifica di una realtà oggettiva, non presenta quel carattere di incertezza che è proprio della condizione (anche quando si tratta di una condizione potestativa): incerto è il fatto storico da accer

tare, non l'accertamento in sé (v. in generale sulla condizione, tra gli altri, Rescigno, Condizione (dir. vig.), voce dell' Enciclopedia del di

ritto, Milano, 1961, Vili, 785 ss.; Falzea, La condizione e gli effetti dell'atto giuridico, Milano, 1941; Majorca, Condizione, voce del Di

gesto civ., Torino, 1988, III, 285). Peraltro, atteso che la società (tra mite l'organo deputato all'accertamento) è obbligata, in base all'atto

costitutivo, a procedere all'accertamento della causa di recesso, una simile clausola potrebbe suscitare perplessità anche in quella parte della dottrina secondo cui l'adempimento di un'obbligazione contrattuale non può formare oggetto di una condizione (così Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1962, 199; Fusco, L'adem

pimento come condizione del contratto, in Vita not., 1983, 304). Ad ogni modo, anche prescindendo dall'orientamento dottrinario ap

pena illustrato, tutt'altro che pacifico (v., in senso favorevole alla de duzione dell'adempimento in condizione, Galgano, Il negozio giuridi co, in Trattato diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1988, 144; Perlin

gieri, I negozi sui beni futuri, Napoli, 1962, 110; Marmocchi, Della condizione di adempimento della prestazione, in Riv. not., 1983, 482; Majorca, Condizione, cit., 285; e, in giurisprudenza, Cass. 24 febbraio 1983, n. 1432, Foro it.. Rep. 1983, voce Contratto in genere, n. 187), non pare possa dubitarsi che l'accertamento della causa di recesso ad

opera della società costituisca un obbligo gravante sulla stessa, cui que sta deve adempiere tempestivamente e correttamente. E allora, sembra forse più coerente la strada percorsa in una fattispecie simile da Cass. 8802/92, cit., che, di fronte all'inerzia della società, ha riconosciuto al socio recedente la risoluzione del vincolo contrattuale per inadempi mento, ai sensi dell'art. 1453 c.c. Una siffatta soluzione, nella quale la verifica della causa di recesso da parte della società non costituisce

dunque oggetto di una condizione sospensiva, sarebbe utilizzabile an che nel caso in cui la società pervenga per errore, non importa se in mala fede o meno, ad un accertamento negativo della causa di recesso

prospettata dal socio recedente: si tratterebbe in ogni caso di inadem

pimento contrattuale, sub specie di inesatto adempimento. In alternativa, anche a non voler ritenere che l'attività di verifica co

stituisca un obbligo contrattuale gravante sulla società il cui inadempi mento sia sanzionabile con la risoluzione del contratto, si potrebbe co

munque sostenere che la preventiva verifica della causa di recesso da

parte della società rappresenti un semplice passaggio procedurale inter no alla società, in assenza del quale il socio possa comunque adire l'autorità giudiziaria al fine di far accertare l'unica reale condizione so

spensiva del diritto di recesso: ossia la causa sostanziale di recesso

(come, nel caso di specie, la forza maggiore). Il comportamento della società (di inerzia, oppure di erronea — dolosa o meno — negazione del sopravvenire della causa di recesso) non può quindi impedire in al cun modo al giudice di accertare che il recesso è stato esercitato dopo che la sua condizione sospensiva si era verificata, e pertanto esso è pie namente valido ed efficace. Col corollario che clausole di questo tipo, se interpretate in modo da assicurarne la liceità, presentano un'utilità

alquanto sfumata. [L. D'Ascia]

Il Foro Italiano — 2002.

socio in base alle citate scritture, sicché, essendovi stata la soc

combenza del Salvatore in entrambi i gradi del giudizio, la par ziale compensazione nell'uno e nell'altro grado delle spese pro cessuali era giustificata.

Ha proposto ricorso per cassazione la società cooperativa Ri

nascita Adriatica con sei motivi; ha resistito Salvatore Antonio

che ha depositato controricorso e ricorso incidentale condizio

nato, con unico motivo, cui ha replicato la ricorrente con memo

ria difensiva.

Motivi della decisione. — Dei ricorsi va disposta la riunione

ai sensi dell'art. 335 c.p.c. Con il primo motivo la ricorrente principale denunzia la vio

lazione ed erronea applicazione dell'art. 2909 c.c., per il fatto

che il tribunale abbia disatteso l'eccezione di giudicato sotto il

profilo che diverse fossero le pretese azionate con i due ricorsi

per ingiunzione, mentre entrambe trarrebbero origine e fon

damento dalle scritture 27 agosto e 28 novembre 1988, con cui

il Salvatore si era obbligato a pagare il novanta per cento del

l'aumento di capitale sociale, di cui il venti per cento in tre

quote annuali — oggetto della prima ingiunzione

— e il restante

settanta per cento — oggetto della seconda — mercé pagamento delle rate annuali di mutuo su di lui gravanti. Pertanto, quand'anche le pretese non fossero perfettamente uguali, identico sarebbe stato il

rapporto giuridico dedotto nei due procedimenti monitori, originato dalle due scritture private, per effetto del quale, una volta rimasto

indiscusso, nessuna rilevanza assumerebbe la circostanza che il

Salvatore avesse chiesto con l'opposizione al secondo decreto in

giuntivo il giudiziale accertamento del suo recesso.

La censura non ha fondamento ed è anzi inammissibile.

Al di là delle ragioni considerate dalla corte di merito, con ri

guardo all'analogo motivo di impugnazione proposto avverso la

sentenza di primo grado, in ordine all'eccezione di giudicato — re

spinta a causa della diversità delle pretese, avendo trovato la prima fondamento nell'impegno del socio relativamente all'aumento di

capitale sociale e la seconda, per cui è causa, nel mutuo contratto

dalla cooperativa, non rileva se finalizzato a coprire o meno quel l'aumento, una volta che siano rimaste diverse le fonti negoziali

dell'obbligazione — la doglianza è resistita dalla natura dell'ac

certamento invocato, che, comportando un apprezzamento del fatto, rimesso al giudice di merito, è insindacabile in questa sede, salvo

che non sussistano violazioni dell'aft. 2909 c.c. e di ogni altra

norma e principio di diritto in tema di res iudicata, che però debbono essere specificamente dedotte, non essendo sufficiente

il mero richiamo, come nella specie, alla norma citata o all'art.

324 c.p.c. (Cass. 6751/96, id., Rep. 1996, voce Cosa giudicata civile, n. 6; 5243/95, id., Rep. 1995, voce cit., n. 13; 7488/94, id., Rep. 1994, voce cit., n. 12).

Proponendo l'esame del rapporto tra le due pretese e dunque dei fatti da cui discendono, il ricorrente impegna il giudice di

legittimità ad un'indagine che non gli è consentita, né deduce

vizi di motivazione capaci di inficiare le conclusioni raggiunte; il primo motivo dunque non può trovare ingresso in questo giu dizio.

Infondato è anche il secondo, con cui la cooperativa lamenta

la violazione ed erronea applicazione dell'art. 1359 c.c. e «di

tutte le norme e principi in materia di recesso del socio», dedu

cendo che il tribunale abbia giudicato legittimo il recesso del

Salvatore, senza esaminare la fondatezza delle ragioni addotte a

riguardo, ma semplicemente valorizzando l'omessa pronunzia sulla relativa domanda da parte degli organi societari, mancan

do di rilevare che il recesso era statutariamente consentito solo

per motivi di forza maggiore, sui quali avrebbe dovuto incen

trarsi l'indagine del giudice di merito, a fronte di giustificazioni addotte dal socio —

quali la trasformazione culturale del suo

terreno — che non solo difettavano di prova, ma non realizza

vano la forza maggiore. Ha poi rilevato che il tribunale, al di là

della verifica imposta dalle norme statutarie, avrebbe dovuto

comunque sindacare la sussistenza e legittimità della motiva

zione del recesso, che era illegittimo, per il fatto che si era man

cato da parte del Salvatore di attivare le iniziative necessarie

alla convocazione dell'assemblea, la cui deliberazione sul re cesso era necessaria e non costituiva condizione potestativa, da

considerarsi avverata per il fatto impeditivo di chi aveva avuto

interesse contrario.

Oltre al recesso legale, previsto dall'art. 2523 e dall'art. 2437

c.c., norma quest'ultima dettata per le società per azioni, ma ri

tenuta estensibile alle società cooperative (Cass. 5790/80, id.,

This content downloaded from 91.238.114.72 on Sat, 28 Jun 2014 17:06:02 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 5: sezione I civile; sentenza 6 aprile 2001, n. 5126; Pres. Baldassarre, Est. Plenteda, P.M. Ceniccola (concl. conf.); Soc. coop. agricola Rinascita Adriatica (Avv. Rocchetti) c. Salvatore

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

1981, I, 747; 1915/63, id., 1963, I, 2298), l'ordinamento preve de il recesso convenzionale (art. 2518, cpv., n. 8; 2526, 1°

comma, c.c.), e se il primo non può essere limitato o soppresso

neppure da clausole statutarie, attraverso la previsione dell'ap

provazione degli organi societari, la quale finirebbe per trasfor

mare l'esercizio di un diritto potestativo in una proposta nego ziale e per rimetterne l'efficacia alla discrezione di un terzo, non altrettanto può dirsi per il recesso statutario, il quale, na

scendo con l'atto costitutivo, come atto di manifestazione della

volontà negoziale, dalla stessa volontà può essere disciplinato attraverso clausole, determinative del contenuto, sia quando at

tribuiscono al socio la facoltà di recedere in situazioni specifi che, sia quando la limitano o la condizionano. Conseguente mente legittima è la disciplina convenzionale che subordina il

recesso a determinati presupposti o condizioni, tra cui l'autoriz

zazione o l'approvazione del consiglio di amministrazione o

dell'assemblea dei soci.

Ciò posto, altrettanto incontrovertibile è il potere discrezio

nale di quegli organi, in relazione all'apprezzamento dell'inte

resse della società a perseguire l'oggetto sociale, raggiungibile o più agevolmente perseguibile se la compagine sociale resta

integra o comunque non si modifichi sensibilmente. Quel potere

permane anche quando l'area del recesso volontario concerna

ipotesi ben circoscritte, solitamente riferite a situazioni di forza

maggiore — come si assume nella specie

— venendo quell'ap

prezzamento ad essere limitato alla verifica della corrisponden za dei fatti specifici dedotti alle ipotesi statutariamente contem

plate; ed è un potere non esercitabile in caso di inerzia, né da

organi societari diversi da quelli a tanto deputati, né dal giudice,

proprio perché riferito alla tutela dell'interesse della società, te

sté considerato, attribuito in via esclusiva all'organo ritenuto dal

contratto sociale idoneo alle valutazioni necessarie.

Siffatta discrezionalità, tuttavia, non può divenire arbitrio e

tradursi nel rifiuto di provvedere o in un diniego assoluto ed

immotivato di approvazione, equivalendo tanto il primo quanto il secondo ad una condotta ostruzionistica, che produce l'effetto

della vanificazione del diritto di recesso.

E principio di diritto che «nell'attuazione del contratto so

ciale, come di ogni altro contratto, debbono essere rispettati i

principi cardine della correttezza e della buona fede (art. 1375

c.c.), quale regola di comportamento, che opera anche al di là di

specifiche previsioni contrattuali, alla quale anche gli organi so

ciali sono tenuti a conformarsi nella loro attività di adempi mento, e come regola di governo della discrezionalità nell'eser

cizio dei poteri previsti dalla legge e dai patti sociali» (Cass. 8802/92, id., Rep. 1992, voce Cooperativa, n. 60). La vio

lazione di quel diritto, per effetto dell'inosservanza delle pre dette regole, ha dunque legittimato l'applicazione da parte della

sentenza impugnata della disposizione dell'art. 1359 c.c., se

condo la quale la condizione si considera avverata qualora sia

mancata, per causa imputabile alla parte che aveva interesse

contrario al suo avveramento, costituendo il comportamento inattivo — che di per sé non integra gli estremi della fattispecie avverativa — la violazione di un obbligo di agire imposto dal

contratto sociale (Cass. 7377/96, id., Rep. 1996, voce Contratto

in genere, n. 293; 2464/85, id., Rep. 1986, voce cit., n. 252; 1680/83, id., Rep. 1983, voce cit., n. 191; 2223/79, id., Rep. 1979, voce cit., n. 184).

Né ha rilievo, come correttamente ha osservato il giudice di

merito, la circostanza che il socio non abbia sollecitato l'assem

blea a deliberare, una volta che la dichiarazione di recesso sia

pervenuta alla società, ai cui organi abilitati alla convocazione

dell'assemblea era attribuito il relativo potere-dovere. Ancor meno condivisibile è l'assunto che la mancata convo

cazione debba essere imputata ai componenti del consiglio di

amministrazione della cooperativa e che l'inadempienza di

quell'organo, che cagioni danni ai soci o ai terzi, può essere

fatta valere in sede di esercizio di pretese risarcitorie nei suoi

confronti, senza che sia la società a dover subire pregiudizi;

omette, infatti, la ricorrente di considerare che la condotta del

l'organo amministrativo è riferibile alla cooperativa in relazione

al rapporto di immedesimazione organica e ne concretizza ed

esterna la volontà, esponendola alle responsabilità per le con

dotte poste in essere, salve le azioni risarcitorie ai sensi degli art. 2392 e 2393 c.c.

Con il terzo motivo la ricorrente principale denunzia la viola

zione dell'art. 112 c.p.c., per l'omesso esame di un punto deci

II Foro Italiano — 2002.

sivo della controversia, e l'omessa motivazione sulla posizione del Salvatore nella cooperativa. Rileva che quest'ultimo, all'e

poca della sottoscrizione degli impegni di cui alle scritture 27

agosto e 28 novembre 1988 e della contrazione da parte della

cooperativa del mutuo, per il quale era stata formulata la richie

sta ingiuntiva di rimborso, era componente del consiglio di am

ministrazione e pertanto informato di quella operazione di fi

nanziamento; tanto priverebbe di fondamento l'assunto che non

si fosse reso conto delle relative obbligazioni e renderebbe ini

doneo il recesso a liberarlo dagli impegni. Conseguentemente erronea sarebbe l'affermazione del tribunale, secondo cui il mo

tivo d'appello a riguardo non era chiaro, manifesto essendo in

vece l'intendimento dell'appellante di privare di efficacia il re

cesso.

Neanche tale motivo può essere accolto. Posto, infatti, che la

obbligazione dedotta dalla cooperativa a carico del Salvatore

deriva dalla sua qualità di socio e come tale è stata prospettata, è

del tutto inconferente che nel periodo in cui egli sottoscrisse le

scritture 27 agosto e 28 novembre 1988, che l'avrebbero impe

gnato personalmente, fosse componente del consiglio di ammi

nistrazione, condizione questa che gli avrebbe consentito di ave

re contezza di detti impegni e delle ragioni del finanziamento

che la cooperativa aveva richiesto; e ciò per il fatto che i due

ruoli operano su distinti livelli, che gli impegni predetti risulta

no anteriori di circa un anno e mezzo al mutuo e non si è in al

cun modo dedotto che il finanziamento fosse stato fatto allo

specifico fine di far acquisire a ciascun socio le risorse necessa

rie a fronteggiare le sottoscrizioni dell'aumento di capitale. Corretta è, pertanto, l'affermazione del tribunale, laddove de

duce l'oscurità del motivo d'appello —

corrispondente a quello in esame — dall'inconferenza delle conseguenze che dal suo

accoglimento deriverebbero, non giovando la partecipazione al

l'attività gestoria della società a provare la consapevolezza degli

impegni predetti e della funzione del mutuo; inconferenza anco

ra maggiore ove si intenda desumere — come fa la ricorrente —

dalla qualità di amministratore, con cui aveva concorso a deter

minare la decisione dell'ente di contrarre il mutuo, che il reces

so non sia idoneo a far venire meno gli impegni personali e così

si intenda «privare di efficacia per molteplici ragioni il recesso

del Salvatore, sul presupposto che questi, quale componente dal

consiglio di amministrazione della cooperativa, aveva deliberato la

contrazione del mutuo del cui rimborso si discute».

Fondati sono invece il quarto e il quinto motivo, con cui la co

operativa deduce l'omesso esame di un punto decisivo della con

troversia, con riguardo alla circostanza accertata che il mutuo era

stato contratto in nome e per conto del Salvatore — oltreché degli altri soci —

giusta suo mandato; sicché il rimborso sarebbe da lui

dovuto, sia per tale rapporto di mandato, sia perché del mutuo egli aveva beneficiato, avendo l'operazione aumentato il capitale so

ciale e così giovato ad aumentare la sua quota, al pari delle altre; e

denunzia la violazione dell'art. 112 c.p.c., per l'omesso esame di

un punto decisivo della controversia, circa la decorrenza del recesso

e la violazione ed erronea applicazione delle norme che ne preve dono l'efficacia ex nunc. Rileva che il pretore aveva omesso di af

frontare la prospettata questione, poi riproposta nel grado di appello e volta a limitare la decorrenza degli effetti del recesso, tanto da

non inficiare gli impegni assunti in precedenza; ma il tribunale era

incorso in analoga omissione, benché sollecitato a pronunziarsi con

apposito motivo d'impugnazione. La sentenza impugnata, accorpando in unica valutazione l'esame

del quarto, del quinto e del sesto motivo di appello (negli stessi

termini riproposti con il quarto, quinto e sesto motivo di ricorso) ha

finito per esaminare solo il sesto, disattendendolo, il quale, come

appresso si vedrà, afferiva a ben altro aspetto della controversia.

Sull'esistenza del mandato alla stipula del mutuo, sull'interesse del

socio a beneficiarne sia pure indirettamente, sul vantaggio ricevuto

in termini di incremento di valore delle quote sociali, sulla decor

renza del recesso, la decisione è del tutto carente, sicché fondata è

la doglianza di omessa pronunzia, con la conseguenza che la sen

tenza va per tali aspetti annullata con rinvio.

L'accoglimento del quarto e quinto motivo determina l'as

sorbimento del sesto, con cui la cooperativa lamenta la violazione

ed erronea applicazione degli art. 99, 112, 633 c.p.c., osservando

che oggetto della domanda d'ingiunzione era stata anche l'annua

lità per il 1991 di lire 953.000, sicché erronea sarebbe la pronunzia di rigetto, con l'assunto che la cooperativa non l'aveva riproposta allorché era stata convenuta nel giudizio di opposizione, essendo

This content downloaded from 91.238.114.72 on Sat, 28 Jun 2014 17:06:02 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 6: sezione I civile; sentenza 6 aprile 2001, n. 5126; Pres. Baldassarre, Est. Plenteda, P.M. Ceniccola (concl. conf.); Soc. coop. agricola Rinascita Adriatica (Avv. Rocchetti) c. Salvatore

PARTE PRIMA

sufficiente che essa avesse chiesto la conferma del decreto opposto. Essendo la pretesa relativa al 1991 compresa nella maggiore do

manda, estesa anche ai due anni successivi, il giudice di rinvio resta

investito del relativo esame, in quanto chiamato a vagliare l'intero

petitum, sotto i profili prima considerati.

Fondato è, infine, il ricorso incidentale condizionato, con cui

Salvatore Antonio denunzia la violazione degli art. 1324, 1346 e

1418 c.c. e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, con riferimento agli impegni da lui assunti con le scritture 27 ago sto e 28 novembre 1988. Rileva che esse recavano l'impegno del

socio a sottoscrivere un certo numero di quote sociali, in relazione

all'aumento di capitale deliberato dalla cooperativa, per un deter

minato importo, bene evidenziato con scritturazione a mano, ri

spetto al testo del documento; mentre la cooperativa, procedendo in

via monitoria, non aveva fatto valere quell'impegno —

peraltro og

getto della precedente ingiunzione non opposta — ma l'altro, de

sumibile dalla parte successiva, non chiaramente intelligibile, rife

rito ad un mutuo non quantificato né quantificabile, che appariva

piuttosto una modalità di pagamento del primo impegno, in ragione del settanta per cento. Assume il ricorrente incidentale che, ove il

mutuo fosse servito a coprire il settanta per cento dell'aumento di

capitale, i documenti prodotti evidenzierebbero un importo di lire

210.000.000, non corrispondente a tale percentuale; per tale verso

la richiesta d'ingiunzione risulterebbe equivoca e non come si era

tentato di dimostrare in corso di causa, che cioè si fosse fatto sotto

scrivere al Salvatore l'impegno ad un aumento di capitale per lire

12.250.000, poiché in tal caso, considerato il valore di ogni quota di

lire 210.000, l'impegno avrebbe dovuto essere quantificato in ra

gione di 1.225 quote e non di 245, come risultante dalle due scrittu

re citate. Peraltro, dovendo ammontare a circa 500.000.000 la com

plessiva ricapitalizzazione, alla stregua di quanto indicato in quelle scritture, tenuto conto del numero di oltre 200 soci, ciascuno avreb

be dovuto sottoscrivere un aumento di circa 2.500.000, notevol

mente inferiore alla somma di lire 12.000.000 richiesta a lui, la cui

partecipazione alla cooperativa era persino inferiore alla media

delle altre. Conseguentemente, avendo le scritture un oggetto inde

terminato o indeterminabile, le ragioni della decisione, che aveva

recepito acriticamente la motivazione della sentenza del primo giu dice ed aveva rigettato la censura di nullità, risulterebbero mancanti

o insufficienti e comunque inidonee ad esprimere l'iter logico se

guito. Il giudice di merito ha laconicamente affermato, a fronte di tale

articolata deduzione, che la statuizione del primo giudice, censura

ta, di rigetto della domanda di declaratoria di nullità delle scritture

è «pienamente condivisibile per quanto in proposito rilevato dal

pretore in ordine all'insussistenza della indeterminatezza o inde

terminabilità dell'oggetto della prestazione richiesta al socio sulla

base delle note scritture», così omettendo dei tutto di rivelare le ra

gioni del proprio convincimento.

È, infatti, legittima la motivazione per relationem solo quando il

giudice d'appello, «pur richiamando nella sua pronunzia gli ele

menti essenziali della motivazione della sentenza di primo grado, ha dato una risposta alle censure contro questa formulate con il

gravame, con la conseguenza che risulta corretto ed appagante 17

ter argomentativo che sia desunto attraverso l'integrazione della

parte motiva delle due sentenze (Cass. 7182/97, id., Rep. 1997, vo

ce Sentenza civile, n. 51; 12035/95, id.. Rep. 1995, voce cit., n. 52). Anche per tale verso la sentenza impugnata va cassata, con rin

vio.

Il Foro Italiano — 2002.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 23 mar

zo 2001, n. 4202; Pres. Olla, Est. Felicetti, P.M. Palmieri

(conci, diff.); Mosca (Avv. Di Rezze) c. Sbaraglia (Avv. Fe

sta). Cassa App. Roma, decr. 25 maggio 1999.

Matrimonio — Matrimonio concordatario — Giudicato di

divorzio — Assegno di mantenimento — Sopravvenienza

della delibazione di sentenza ecclesiastica di nullità — Ir

rilevanza (Cod. civ., art. 2909; 1. 25 marzo 1985 n. 121, rati

fica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addizionale,

firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazio

ni al concordato lateranense dell'11 febbraio 1929 tra la Re

pubblica italiana e la Santa Sede: accordo, art. 8).

Una volta passata in giudicato la pronuncia di cessazione degli

effetti civili del matrimonio concordatario, il capo relativo

all'assegno di mantenimento non resta travolto dalla succes

siva delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del

matrimonio medesimo (in motivazione, la corte precisa che il

giudicato di divorzio non contiene alcuna statuizione, seppure meramente incidentale, sull'esistenza e sulla validità del vin

colo, sicché non preclude il riconoscimento di una sentenza

ecclesiastica di nullità). (1)

(1) Sulla prima parte della massima, conf. Cass. 18 aprile 1997, n.

3345, Foro it., 1997, I, 2962, con nota di richiami, nonché Famiglia e

dir., 1997, 213, con nota di V. Carbone, e Corriere giur., 1997, 1318, con nota di G. Balena.

Nel senso che la sentenza di divorzio non precluda la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità, v. Cass. 9 dicembre 1993, n.

12144, Foro it., 1995,1, 279, con nota di G. Balena, e Nuova giur. civ., 1994, I, 796, con nota di E. Martinelli; Dir. famiglia, 1995, 928, con nota di M. Canonico, e Famiglia e dir., 1994, 153, con nota di Mater

nini; 21 marzo 1980, n. 1905, Foro it., Rep. 1980, voce Matrimonio, n.

211; 28 ottobre 1978, n. 4927, ibid., n. 209; 29 novembre 1977, n.

5188, id.. 1978,1, 2004.

* * *

1. - Con la pronuncia in epigrafe la Cassazione torna ad affrontare il

problema dei rapporti tra la delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullità e l'anteriore giudicato di cessazione degli effetti civili del ma trimonio.

Per la prima volta, però, l'oggetto principale dell'intervento della

Suprema corte è costituito dalle conseguenze che tale delibazione pro duce sui capi della sentenza di divorzio contenenti statuizioni di ordine economico. In particolare, nel ribadire che l'esistenza di un giudicato di divorzio non costituisce ostacolo alla delibazione di una sentenza ec clesiastica di nullità, la corte si occupa di verificare se dette statuizioni restino o no travolte da tale riconoscimento.

Dal punto di vista pratico, il problema sorge evidentemente a causa dei diversi effetti patrimoniali derivanti, rispettivamente, dallo sciogli mento del matrimonio, che normalmente prevede un assegno di mante nimento a favore del coniuge economicamente più debole, ovvero dalla dichiarazione di nullità, che tutt'al più può dar luogo al pagamento del l'indennità temporanea di cui agli art. 129 e 129 bis c.c.

Nel caso di specie l'obbligato alla corresponsione dell'assegno di vorzile aveva chiesto che fosse dichiarata l'improcedibilità del ricorso

proposto avverso la sentenza di appello che aveva ridotto l'ammontare di quell'assegno, sostenendo che tale sentenza avrebbe dovuto ritenersi caducata in seguito alla delibazione della sentenza di nullità del matri

monio, dal momento che quest'ultima, accertando l'inesistenza del vin colo matrimoniale, avrebbe fatto venir meno il presupposto stesso delfa sentenza di divorzio e di ogni pronuncia ad essa accessoria.

In effetti, l'assunto del ricorrente trovava conforto nella giurispru denza meno recente, secondo cui, per l'appunto, il riconoscimento di una sentenza di nullità del matrimonio avrebbe travolto la sentenza di divorzio ed ogni conseguente statuizione patrimoniale (cfr. App. Roma, deer. 11 giugno 1986, Foro it., 1987, I, 934, con nota di E. Quadri, cui si rinvia per ulteriori ragguagli).

Su tale premessa, però, il ricorso ai tribunali ecclesiastici si prestava ad un uso del tutto strumentale, volto ad eludere il pagamento dell'as

segno di mantenimento determinato in sede di divorzio. Sebbene quest'orientamento tradizionale fosse stato già disatteso da

Cass. 18 aprile 1997, n. 3345 (Foro it., 1997, I, 2962, e Corriere giur., 1997, 1318, con nota di G. Balena, Delibazione di sentenza ecclesia stica di nullità e processo di divorzio; Famiglia e dir., 1997, 213, con nota di V. Carbone, L'annullamento del matrimonio non travolge più il divorzio; Giust. civ., 1997, I, 1173, con nota di G. Giacalone, Rap porto tra giudizio civile di divorzio e sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio: verso un nuovo assetto?), è solo con la sentenza odier

This content downloaded from 91.238.114.72 on Sat, 28 Jun 2014 17:06:02 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended