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Sezione I civile; sentenza 6 febbraio 1961, n. 241; Pres. Lorizio P., Est. Bartolomei, P. M. Pedote...

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Sezione I civile; sentenza 6 febbraio 1961, n. 241; Pres. Lorizio P., Est. Bartolomei, P. M. Pedote (concl. conf.); Lamacchia (Avv. Palasciano) c. Soc. S.a.p.i.c. (Avv. Nicolò, La Volpe) Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 2 (1961), pp. 187/188-189/190 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23151881 . Accessed: 28/06/2014 13:11 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.90 on Sat, 28 Jun 2014 13:11:53 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 6 febbraio 1961, n. 241; Pres. Lorizio P., Est. Bartolomei, P. M. Pedote(concl. conf.); Lamacchia (Avv. Palasciano) c. Soc. S.a.p.i.c. (Avv. Nicolò, La Volpe)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 2 (1961), pp. 187/188-189/190Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151881 .

Accessed: 28/06/2014 13:11

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PARTE PRIMA

due comma dell'art. 6 del t. u. com. e prov. statale appr. con r. decreto 3 marzo 1934 n. 383. il terzo riproduce testual

mente l'art. 27 legge reg. n. 62 del 1953, sopra riportato, e il quarto riproduce testualmente l'art. 2 legge reg. n. 3

del 1947 (« Fino a quando l'Assemblea regionale non avrà

proceduto a regolare l'ordinamento amministrativo della

Regione, i poteri del Governo regionale sugli enti locali

sono esercitati a mezzo degli organi attualmente esistenti

secondo le rispettive competenze »). Data la struttura del

t. u., è chiaro che le disposizioni inserite nei comma 3° e 4°

dell'art. 6 sono da considerare, in quanto tali, operanti soltanto in relazione alle disposizioni inserite nei comma 1°

e 2° dello stesso articolo.

La genesi e il contenuto dell'art. 6 del t. u. n. 9 rive

lano comunque che l'intento del legislatore siciliano fu

quello di avocare, « nell'ambito della Regione », esclusi

vamente al Governo regionale il potere governativo generale di annullamento d'ufficio in qualsiasi tempo degli atti

amministrativi di qualunqae autorità, previsto e disciplinato dall'art. 6 t. u. com. e prov. statale del 1934. È strano

dunque che una delle tesi difensive della Regione consista

nel negare che quello che la Regione si è assunto sia il

medesimo potere considerato dall'art. 6 di quest'ultimo testo unico.

Resta da esaminare se, in base al suo Statuto speciale, la Regione siciliana potesse far proprio, nel suo « ambito »,

il potere di cui si tratta.

Con le sentenze 26 gennaio 1957, n. 24 (Foro it., 1957,

I, 1749) e 16 aprile 1959, n. 23 (id., 1959, I, 718) questa Corte ha già esaminato e risolto in senso negativo il pro

blema, con riferimento ad altre Regioni (Sardegna e Tren

tino-Alto Adige). Nella seconda delle riferite sentenze la

Corte ha avuto modo di precisare che quello di cui trat

tasi è un potere di alta amministrazione e inerisce al ca

rattere unitario dell'ordinamento della pubblica Ammini

strazione, nonostante la molteplicità dell'articolazione del

l'organizzazione statale in una pluralità di organismi di

varia autonomia. In quella occasione fu anche sottolineato

che il potere stesso va tenuto ben distinto dai poteri ammi

nistrativi di controllo, dato che si caratterizza, rispetto a

questi, per la estemporaneità e la discrezionalità, essendo

connesso con le mutevoli esigenze e valutazioni dell'inte

resse pubblico. Da tali caratteristiche la Corte ha tratto

la conseguenza che il potere di cui trattasi non può essere

esercitato da altri che dal Governo dello Stato (v. anche

la sent. 26 novembre 1959, n. 58, id., 1960, I, 10). Nè la conclusione può esser diversa riguardo alla Regione

siciliana. È vero che, come la sua difesa insistentemente

afferma, lo Statuto della Regione siciliana (peraltro non

ancora completamente tradotto in norme d'attuazione) attribuisce a questa Regione una differenziata e più vasta

autonomia. Ma tutto ciò, se vale a farle riconoscere, nel

sistema delle autonomie e del decentramento realizzato

nel Paese, una posizione di particolare rilievo, non può valere ad attribuirle poteri ulteriori rispetto a quelli statu

tariamente conferitile. Infatti è principio cardinale del

sistema vigente che le Regioni non siano ammesse ad

esercitare altri poteri, fuori di quelli ad esse riconosciuti

con norme costituzionali. E ciò comporta, tra l'altro, che

non si può ritenere che il Governo regionale sia subentrato, nell'ambito della Regione, a quello statale, se non nei

limiti in cui ciò sia stato direttamente o indirettamente

previsto dallo statuto (come, per es., è avvenuto per il

potere di decisione dei ricorsi straordinari). Perchè l'avocazione al Governo regionale, nell'ambito

della Regione siciliana, mediante legge di quest'ultima, del potere governativo di annullamento in qualsiasi tempo

degli atti amministrativi di qualunque autorità potesse esser considerata costituzionalmente legittima, occorre

rebbero norme costituzionali che ciò prevedessero. Ma tali

norme non esistono.

Nè è possibile aderire alla tesi della Regione, secondo

la quale la disciplina legislativa del potere di cui trattasi

e il potere stesso, non rappresentando questo una « ma

teria » a sè, ma inerendo alle singole « materie » in re

lazione alle quali può essere esercitato, dovrebbero rite

nor sì spettare senz'altro alla Regione in relazione a tutte le « materie », che, in base agli art. 14, 15, 17 e 20 dello

Statuto regionale, rientrano nella competenza legisla tiva e amministrativa della Regione. Si è già visto infatti e se ne sono spiegate le ragioni, che quello in questione è un

potere statale di carattere omnicomprensivo, il quale non inerisce ai singoli settori dell'attività amministrativa, e neanche ai poteri di supremazia o di controllo propri dei

singoli settori. È da escludere quindi, in mancanza di altre disposizioni costituzionali, che esso sia passato alla

Regione pel solo fatto che a questa è stata trasferita la

potestà legislativa e amministrativa nelle singole « materie », in ordine alle quali il potere in questione è suscettibile di essere esercitato. Il quesito e la soluzione si pongono in proposito, per la Regione siciliana, in termini per nulla diversi da quelli in cui si pongono per le altre Regioni. Dunque, come è stata necessaria una norma costituzionale ad ìmc per il passaggio dallo Stato alla Regione siciliana del potere di decisione dei ricorsi straordinari, il quale è anch'esso un potere omnicomprensivo, così soltanto una norma costituzionale ad hoc avrebbe potuto importare il

trasferimento dallo Stato alla Regione dei poteri in materia di annullamento governativo d'ufficio, in qualsiasi tempo,

degli atti di qualunque autorità amministrativa.

Da quanto precede risulta che l'intero art. 6 t. u.

reg. 9 giugno 1954 n. 9 deve essere dichiarato costitu

zionalmente illegittimo. E del pari deve esserlo l'art. 27

legge reg. 7 dicembre 1953 n. 62, per il fatto di avere legit timato e reso possibile la avocazione alla Regione del

potere governativo generale di annullamento, e limita

tamente a tale suo profilo (in vista del quale appunto è

stato trasfuso nell'art. 6 cit., diventandone il 3° comma). L'annullamento va poi esteso, in applicazione dell'art.

27, ult. parte, legge 11 marzo 1953 n. 87, alle disposizioni modificative del 3° comma dell'art. 343 t. u. com. prov. del 1934, contenute nell'art. 20 legge reg. sic. 7 dicembre

1953 n. 62 e alle disposizioni dell'art. 1 legge reg. sic.

14 dicembre 1953 n. 67, che hanno sostituito il comma così

modificato con due nuovi comma. Esso va inoltre esteso

agli ultimi due comma dell'art. 427 t. u. reg. 9 giugno 1954 n. 9. Infatti i comma 3° e 4° dell'art. 343 cit., con le

modificazioni introdottevi con le leggi n. 62 e n. 67 di cui

si è detto, fanno « salvo » il potere di annullamento del

Governo regionale implicato dal cit. art. 27 della legge n. 62, e ne richiamano la disciplina ; l'art. 427 t. u. n. 9

riproduce testualmente (secondo il sistema adottato per la redazione di tale testo unico) il contenuto dell'art. 343

cit., modificato come si è detto. È fuori dubbio quindi che

l'illegittimità dei comma 3° e 4° dell'art. 343, nel testo anzi

detto, o dell'art. 427, deriva (secondo la formula dell'art. 27

legge 11 marzo 1953 n. 87) come «conseguenza della deci sione adottata » nei confronti dell'art. 27 legge reg. n. 62 del 1953 e dell'art. 6 t. u. reg. n. 9 del 1954.

Per questi motivi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 6 e dei comma 3° e 4° dell'art. 427 t. u. approvato con decreto pres. reg. sic. 9 giugno 1954 n. 9 ; dell'art. 27

legge reg. sic. 7 dicembre 1953 n. 62, per la parte relativa

all'avocazione alla Regione del potere governativo generale di annullamento ; delle disposizioni dell'art. 20 legge reg. sic. 7 dicembre 1953 n. 62 e dell'art. 1 legge reg. sic. 14

dicembre 1953 n. 67, che introducono modificazioni e

aggiunte all'art. 343 t. u. com. e prov., approvato con

r. decreto 3 marzo 1934 n. 383.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 6 febbraio 1961, n. 241 ; Pres.

Lobizio P., Est. Bartolomei, P. M. Pedote (conci,

conf.) ; Lamacchia (Avv. Palasciano) c. Soc. S.a.p.i.c.

(Avv. Nicolò, La Volpe).

(Conferma App. Bari 2 agosto 1958)

Cosa smarrita o furtiva -— Libretto di deposito a

risparmio nominativo pagabile al portatore —•

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180 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 190

Natura — Ritrovamento -—- Impossibilità di uti

lizzazione economica — Premio —- Liquidazione del giudice (Cod. civ., art. 834, 1836, 2002).

La misura del premio dovuto all'inventore di un libretto

di deposito a risparmio nominativo o al portatore, che non è un titolo di credito ma un documento di legittima zione, va fissata dal giudice secondo il suo prudente ap prezzamento, allorché sia esclusa ogni possibilità di uti lizzazione economica da parte dell'inventore medesimo. (1)

La Corte, eco. — La Corte di merito esaminò se il li bretto di deposito bancario pagabile al portatore avesse o meno un valore commerciale per il ritrovatore (l'odierno ricorrente Lamacchia), cioè se questi avesse o meno la

possibilità di ritrarre dal libretto rinvenuto un vantaggio economico. Tale indagine ebbe lo scopo di determinare il

premio dovuto al ritrovatore, ai sensi dell'art. 930 cod. civ., da parte della Soc. S.a.p.i.c., proprietaria del libretto ban

cario : invero, riconoscendosi al libretto un valore commer

ciale, si sarebbe dovuto liquidare al Lamacchia, a titolo di

premio, giusta il 2° comma del citato art. 930, una somma

corrispondente al ventesimo di quella di lire 18.667.219,

portata dal libretto stesso (come aveva statuito il Tribunale

assegnando al ritrovatore un premio di lire 933.860), mentre, non riconoscendosi tale valore al documento bancario, la

misura del premio, in applicazione del 3° comma dello

stesso articolo, sarebbe dovuta esser fissata dal giudice di

merito « secondo il suo prudente apprezzamento » (come sosteneva l'appellante S.a.p.i.c.).

Ciò posto, la Corte di merito escluse che il ritrovato

libretto avesse per il Lamacchia un valore commerciale, e determinò quindi la misura del premio, secondo il suo

prudente apprezzamento, in lire 60.000, in applicazione del

3° comma del menzionato art. 930, considerando : a) che

il libretto bancario, rinvenuto dal Lamacchia, non potesse

qualificarsi come vero e proprio titolo di credito, essendo

un documento di legittimazione, cioè un documento idoneo

a legittimare il portatore al prelievo delle somme depositate in banca ; b) che nessun vantaggio economico avrebbe

potuto realizzare il Lamacchia, per effetto del ritrovamento

del libretto di risparmio, in quanto invano avrebbe tentato

di ottenere dalla Banca emittente la riscossione del denaro

depositato dalla S.a.p.i.c. sia perchè la S.a.p.i.c. aveva

prontamente avvertito l'Istituto bancario dello smarri

mento del libretto, sia perchè il personale dell'Istituto ben

conosceva « da tempo » la Società depositante, nonché la

persona di fiducia, di cui essa si serviva per effettuare

operazioni sul libretto in oggetto ; onde mai avrebbe ver

sato ad uno sconosciuto, come il Lamacchia, l'ingente somma

di vari milioni di lire, senza chiedere informazioni alla

cliente, la quale avrebbe ovviamente impedito ogni even

tuale, non onesto, tentativo di riscossione.

Sostiene invece il ricorrente, con l'unico mezzo, che il

libretto di deposito a risparmio nominativo pagabile al

portatore sia un vero e proprio titolo di credito, come tale

suscettibile di tutte le operazioni commerciali consentite

dalla legge riguardo ai titoli di credito : esso avrebbe perciò valore commerciale, onde il premio di ritrovamento do

vrebbe essere determinato nella misura proporzionale pre vista dall'art. 930, 2° comma, cod. civile.

La censura non può essere accolta.

È incontestato che il libretto di deposito a risparmio nominativo documenta un deposito bancario di una somma

di danaro, della quale l'intestatario del libretto è creditore, come tale legittimato ad effettuare i relativi prelevamenti

(art. 1834, 1835 e 1836 cod. civ.). In tal guisa il libretto

serve ad agevolare l'esecuzione del contratto di deposito

(1) La sentenza confermata, App. Bari 2 agosto 1958, è pub blicata in Foro it., 1959, I, 481, con nota di richiami.

Per la dottrina, si veda Batistoni Ferrara, Rinvenimento di libretto a risparmio al portatore e procedura di ammortamento, id., 1957, I, 146, cui adde, per la distinzione di titoli di credito

impropri e documenti di legittimazione, Libonati, Titoli impropri e documenti di legittimazione, in Banca, borsa, ecc., I960, I, 229.

bancario da parte del banchiere debitore, quale mezzo d'identificazione della persona legittimata alla riscossione del danaro depositato. Data tale sua destinazione, il libretto di deposito a risparmio nominativo esaurisce la sua fun zione nei rapporti fra la banca ed il cliente, senza mai

assurgere a mezzo di trasmissione della titolarità del cre dito sulla somma depositata. Ed anche quando il libretto nominativo è pagabile al portatore, cioè a persona diversa

dall'intestatario, non diviene ugualmente strumento di

circolazione del credito, in quanto col possesso del libretto il

portatore acquista la legittimazione a riscuotere la somma

depositata, ma non anche la titolarità del credito verso la

banca, nascente dal contratto di deposito, che viene con

servata dallo stesso intestatario. Da tale pacifica struttura funzionale del libretto nomi

nativo discende univocamente che ad esso manca una prK maria ed essenziale caratteristica del titolo di credito, cioè la destinazione alla circolazione, quale mezzo di trasmis sione della titolarità del diritto incorporato nel documento. Onde non può condividersi la tesi del ricorrente che il

libretto nominativo pagabile al portatore sia un titolo di

credito, come tale suscettibile di tutte le operazioni com merciali che possono compiersi riguardo ai titoli di credito. Piuttosto tale libretto, in quanto serve ad identificare l'avente diritto ad una prestazione, rientra tra i documenti di legittimazione cui accenna l'art. 2002 cod. civ. : documenti di legittimazione, che lo stesso disposto di legge sottrae alla disciplina dei titoli di credito, confermando così l'opi nione che il documento di legittimazione (qual'è, nel caso

concreto, un libretto di deposito a risparmio nominativo

pagabile al portatore) non è un titolo di credito.

Ma, pur non essendo un titolo di credito, il libretto del

tipo considerato potrebbe essere tuttavia suscettibile di

utilizzazione economica per un ritrovatore, sì da giustifi care l'attribuzione, a favore di lui, del premio proporzio nale di ritrovamento, ai sensi dell'art. 930, 2° comma, sum

menzionato, data la possibilità ch'egli, quale portatore del

documento, ottenga dalla banca il versamento della somma,

di danaro depositata. Senonchè, nel caso concreto, ogni possibilità di utilizzazione economica, da parte del Lamac

chia, del libretto ritrovato, è stata esclusa dai Giudici di

appello attraverso un corretto apprezzamento di fatto, che

sfugge al sindacato di legittimità. Infatti, come si è notato, accertò incensurabilmente

la Corte di merito che l'Istituto bancario era stato pronta mente avvertito dello smarrimento del libretto, e che il

personale della Banca ben conosceva, da tempo, la S.a.p.i.c. nonché la persona di fiducia, di cui essa si serviva per com

piere operazioni relative al libretto in questione ; ne inferì

che, sia per tali ragioni sia per il notevole ammontare della

somma depositata, giammai la Banca avrebbe versato ad

uno sconosciuto, come il Lamacchia, un capitale di parecchi milioni di lire (ov'egli avesse tentato di riscuoterlo), senza

chiedere istruzioni alla cliente, evitando, in tal guisa, il

non dovuto pagamento. Ed è appena il caso di aggiungere che, in situazioni del genere, ogni possibile cautela è imposta alla banca depositaria dall'art. 1836 cod. civ., in virtù del

quale la banca, se paga al portatore con dolo o anche sol

tanto con colpa grave (cioè sapendo o anche soltanto

avendo grave sospetto dell'illegittima detenzione del libretto

da parte del presentatore), non si libera verso l'intesta

tario del libretto, esponendosi così al rischio di un secondo

pagamento. Esclusa, pertanto, la possibilità di utilizza

zione economica del libretto da parte del Lamacchia, cor

retta fu l'illazione della Corte di merito, nel senso che egli non avesse diritto al premio proporzionale di cui all'art.

930, 2° comma, cod. civ., e che quindi la misura del premio dovesse essere determinata secondo prudente apprezza mento, giusta il successivo 3° comma.

Pertanto il ricorso va rigettato con la condanna del

ricorrente alla perdita del deposito (art. 381 cod. proc. civ.), mentre concorrono giusti motivi per compensare tra le

parti le spese di questo grado. Per questi motivi, rigetta, ecc.

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