sezione I civile; sentenza 6 maggio 1986, n. 3023; Pres. Virgilio, Est. Rocchi, P. M. Nicita (concl.conf.); Fall. impr. Cal-mar (Avv. Punzi) c. Soc. Locafit (Avv. Lipari, Porro). Conferma App.Firenze 23 agosto 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1986), pp. 1819/1820-1823/1824Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180731 .
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1819 PARTE PRIMA 1820
Tali risultati, raggiunti sul piano dell'interpretazione letterale,
trovano piena conferma nella ratio della norma. Inserita in un
provvedimento legislativo di prevenzione e repressione della cri
minalità, specialmente terroristica, essa persegue l'intento di ren
dere controllabili i trasferimenti della disponibilità degli immobili
al fine di evitare che questi possano costituire — come « covi »,
come ricettacolo di persone sequestrate; come deposito di armi,
ecc. — strumento logistico di programmi criminali. È dunque alla
stregua di tale finalità che l'espressione « fabbricato » deve essere
valutata; e in questo quadro appaiono non conferenti, perché
irragionevolmente limitativi, i requisiti, enunciati nella sentenza
impugnata, della « abitabilità » o comunque della « utilizzabilità »
(da intendersi, rispettivamente, quale formale destinabilità del
l'immobile a scopo abitativo o, comunque, quale fruibilità dello
stesso in relazione al fine che gli è proprio nei normali rapporti
sociali). È infatti evidente che certe anomalie o carenze del
fabbricato (originarie quando esso, pur esistendo come tale, è
ancora sfornito di finiture ed accessori destinati a renderlo nor
malmente fruibile, o sopravvenute, come nel caso di estrema
vetustà e conseguente non utilizzabilità secondo gli ordinari
criteri del vivere sociale) non solo non escludono, ma anzi, per
certi aspetti, possono perfino favorire l'impiego di esso per le
attività criminose che la legge intende prevenire.
L'espressione « fabbricato » va dunque svincolata dagli ordinari
schemi valutativi dell'abitabilità o (normale) utilizzabilità, ed
intesa nel senso di manufatto che, quand'anche non risponda, per
certe carenze originarie e sopravvenute, alle finalità abitative o di
altra natura che dovrebbero caratterizzarlo nei comuni rapporti di
vita, sia tuttavia non privo di rilevanza rispetto al fine di
prevenzione perseguito dalla norma in esame.
A tale interpretazione si atterrà il giudice di rinvio. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 6 maggio
1986, n. 3023; Pres. Virgilio, Est. Rocchi, P. M. Nicita
(conci, conf.); Fall. impr. Cai-mar (Aw. Punzi) c. Soc. Locafìt
(Aw. Lipari, Porro). Conferma App. Firenze 23 agosto 1983.
Contratto in genere — « Leasing » — Inadempimento dell'utiliz
zatore — Clausola — Diritto del concedente a trattenere i
canoni percetti — Liceità (Cod. civ., art. 1458, 1526).
Posto che al leasing finanziario, in quanto contratto atipico con
causa consistente nel finanziamento per l'acquisto della dispo
nibilità immediata di un bene, non è applicabile la disciplina
della vendita con riserva della proprietà, la clausola che
attribuisce al concedente, in caso d'inadempimento dell'utilizza
tore, il diritto di trattenere i canoni percetti deve considerarsi
pienamente lecita. (1)
(1) Davvero importante, almeno in linea teorica, era tracciare il
solco. La giurisprudenza in tema di applicabilità dell'art. 1526 c.c. al
contratto di leasing — apparsa, in passato, assai più stabile di quella formatasi con riguardo alla possibilità di valersi dell'art. 1525 C.C.: cfr.
la nota a Cass. 28 ottobre 1983, n. 6390, Foro it., 1983, I, 2997 — era
venuta sfilacciandosi per strada, fino a presentare un'autentica spacca tura verticale. Alle numerose pronunzie che optavano per il si (Trib. Udine 16 marzo 1985, Fallimento, 1985, 869; Trib. Roma 30 gennaio
1985, ibid., 686; Trib. Catania 7 dicembre 1984, Riv. it. leasing, 1985,
270; Trib. Vicenza 10 novembre 1984, ibid., 246; Trib. Torino 8
novembre 1984, ibid., 191; Trib. Monza 19 ottobre 1984, in De Nova, Il contratto di leasing2, Milano, 1985, 246; Trib. Venezia 31 maggio
1984, ibid., 458; Trib. Milano 30 aprile 1985, ibid., 331; Trib. Vi
cenza 5 marzo 1984, Fallimento, 1984, 1225 (e v. anche Trib.
Bergamo 1° marzo 1984, Riv. it. leasing, 1985, 222); Trib. Torino 15
dicembre 1983, Foro it., 1985, I, 893; Trib. Milano 3 ottobre 1983,
in De Nova, cit., 328; Trib. Parma 30 giugno 1983, ibid., 318) si è
contrapposto un non meno fitto drappello di decisioni di segno contrario: v. Trib. Milano 27 giugno 1985, ined. (ma menzionata da
De Nova, cit., 36); App. Firenze 18 febbraio 1985, Riv. it. leasing,
1985, 496; App. Torino 5 dicembre 1984, ibid., 190; Trib. Bologna 21
giugno 1984, in De Nova, cit., 257; App. Genova 17 novembre 1983,
ibid., 420; App. Firenze 23 agosto 1983 (che è, poi, la decisione oggi
confermata), ibid., 403; Trib. Firenze 24 giugno 1983, ibid., 261; App. Firenze 27 gennaio 1983, ibid., 92. In tanta divaricazione, l'intervento
dei giudici di legittimità appariva più che mai necessario. Meno ovvio
è che il peso della loro autorità andasse a suggellare il responso
negativo. La motivazione (ampiamente discussa in un recente convegno luc
chese sul leasing automobilistico) si snoda secondo un canone collau
dato: si ricostruisce il ' tipo sociale ' del contratto, se ne accerta la
non-corrispondenza ai * tipi legali ', se ne predica la natura innomina
II Foro Italiano — 1986.
Svolgimento del processo. — Con contratto di locazione finan
ziaria la s.p.a. Locafit concedeva in leasing all'impresa Calmar, di
Mario Stefanini, alcuni macchinari per la durata di un triennio al
canone complessivo di lire 52.815.600, con la triplice facoltà per
il conduttore, allo spirare del rapporto, di disdettare la locazione
e restituire il bene locato, oppure di proseguire la locazione per
ta, con conseguente applicazione della disciplina dettata per il contrat
to in generale. In soldoni, l'art. 1526 è tolto dal giro e rimpiazzato dal
rinvio alla normativa sulla risoluzione dei rapporti di durata. Natural
mente, il responso non ha, sul piano argomentativo, alcuna pretesa di
novità. Il dibattito sulla natura del leasing è, ormai, un classic
of-the-field, consegnato, o quasi, alla ' memoria storica ' (e v. infatti, L.
Pierallini, La locazione finanziaria in Italia dagli anni '60 ad oggi,
in Riv. it. leasing, 1985, 275). Nell'arco di quest'itinerario, si può dire siano state esplorate tutte le
possibili traiettorie. E, dopo i primi tentativi di accreditare una
riconduzione tout court alla locazione o alla vendita con riserva della
proprietà, è prevalsa a tutto campo (ancorché con sfumature le più
variegate, che non è qui possibile riprendere in dettaglio) l'idea che il
contratto dovesse considerarsi atipico (id est, innominato). La larga
convergenza di opinioni sul punto (sanzionata dall'autorità dell'altri
menti anodina Cass. 6390/83) è valsa, se non altro, a dimostrare che
le difficoltà — quelle vere — iniziavano proprio dove si assumeva
dovessero essere definitivamente ricomposte. I motivi che s'erano,
talora oscuratamente, agitati in sede di qualificazione tornavano a galla,
mettendo in chiaro come nodo cruciale della disputa fosse, a conti
fatti, l'atteggiamento da assumere nei riguardi dei formulari imperver
santi nella prassi. V'è allora chi ha riconosciuto loro piena validità,
attestandosi appunto sull'atipicità del contratto e sulla sua natura
eminentemente finanziaria (questa linea, che riceve oggi l'imprimatur
della Cassazione, ha i suoi capofili in R. Clarizia, del quale v. già La
locazione finanziaria (« financial leasing ») come contratto con causa di
finanziamento, in II Tremisse, 1975, 27, e F. Chiomenti, Il leasing, il
Tribunale di Milano e Donna Prassede, in Riv. dir. comm., 1980, II,
271); e chi, viceversa, ha ritenuto di doverli sottoporre a controllo,
vuoi mediante confronto con la disciplina della locazione (secondo la
tesi cara a V. Buonocore, di cui cons, ora la voce Leasing, in
Novissimo digesto italiano, appendice, Torino, 1983, IV, 797), vuoi mer
cé il richiamo, contemporaneo e alternativo, a quella stessa disciplina e,
soprattutto, a quella della vendita con riserva della proprietà (conclu
sione propugnata, sia pure seguendo diversi itinerari concettuali, tanto
da G. Ferrarmi, da ultimo in Trattato diretto da Rescigno, 11,
Torino, 1984, 9 ss., quanto da De Nova, oit., 16 ss.). Alle prese col
problema specifico dell'applicabilità dell'art. 1526 (affermata, ad es., da
M. Olivieri Sangiacomo, Sull'applicabilità dell'art. 1526 c.c. al con
tratto di leasing finanziario in caso di fallimento della società utilizza
trice, in Giur. it., 1983, I, 2, 741; cfr. altresì N. Mazzia, Se la
restituzione del bene concesso in « leasing » possa essere disposta
a mezzo di decreto ingiuntivo, in Foro it., 1986, I, 565; ma negata con
determinazione da F. Liconti, Sull'applicabilità dell'art. 1526 al contratto
di leasing, in Fallimento, 1983, 857; v. altresì A. M. Marchio, Il leasing
e alcuni aspetti problematici in relazione al fallimento dell'utilizzazione,
id., 1984, 348), la Cassazione, come s'è anticipato, si schiera risolutamen
te per il no. E lo fa mettendo in esponente l'indubbia caratura finanziaria
dell'operazione, enfatizzata — a livello d'individuazione della causa —
sino al punto da risultare assorbente ed incompatibile con le regole
dettate per ogni altro assetto negoziale: a conferma, se ve n'era
bisogno, della sedimentata inclinazione giurisprudenziale a privilegiare
il criterio causale in sede di qualificazione, malgrado i troppi inconve
nienti cui esso dà la stura: cfr., riassuntivamente, M. Costanza, Il
contratto atipico, Milano, 1981, 185 ss.). Quella che nel leasing, è
comunque riconosciuta come coloritura di fondo — senza che, a
rigore, possa tradursi « in una struttura che lo faccia rientrare nei
contratti di credito » (così De Nova, cit, 22; v. altresì Ferrarini, cit,
10) — o « qualificazione teleologica » (Trib. Vicenza 10 novembre
1984, cit.), diventa, agli occhi della Cassazione, asse portante: ed in nes
sun momento emerge il sospetto che una siffatta dimostrazione provi
troppo, nel senso di attrarre nella sfera della funzione finanziaria
anche i contratti che si vorrebbero inequivocamente distinti da quello
in esame: in primis, la vendita con riserva della proprietà (cfr. ancora
De Nova, cit.; nonché Trib. Vicenza 5 marzo 1984, cit.). A supporto
di quest'impostazione, la corte invoca, a più riprese, il rilievo secondo
cui la durata del contratto tende a coincidere con la vita fisica del
bene, sì che la sussistenza di un'opzione d'acquisto, al termine di un
rapporto che ha comunque conseguito il suo effetto, reciderebbe, per
logica ripugnanza, qualsivoglia contatto col regime della vendita a rate.
Cerniera delicata del discorso, nemmeno a dirlo, è la valutazione di
normalità: quante volte (come suole accadere nel leasing automobilisti
co) il valore residuale del bene, alla scadenza, sia molto più elevato
del prezzo richiesto per l'esercizio dell'opzione di acquisto, ci si trova
al cospetto di un autentico wirtschaftliche Kaufzwang, che smentisce
platealmente la pretesa indifferenza dell'utilizzatore, già ' proprietario eco
nomico ', verso il conseguimento della titolarità formale. Insomma, la
più lenta obsolescenza del bene basta a paralizzare, d'un solo colpo,
gli argomenti rastrellati (cfr., indicativamente, la nota di M. R. La
Torre a Trib. Torino 15 dicembre il983, e altre, in Riv. it. leasing,
1985, 189, 194-95) per dimostrare che la ratio equitativa sottesa all'art.
1526 non dovrebbe trovare cittadinanza alcuna nell'area considerata
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
un altro anno con canone mensile ridotto, oppure di acquistare la
proprietà dei macchinari, mediante il versamento, con l'ultimo
canone, di lire 2.183.000.
Dichiarato il fallimento della Calmar prima della scadenza del
contratto, la società Locafit chiedeva la restituzione dei macchina
ri, che il giudice delegato accordava disponendo però conte
stualmente, in applicazione dell'art. 1526 c.c., la restituzione alla curatela di lire 12.000.000 quale importo rappresentante la parte del prezzo dei macchinari pagata al momento della dichiarazione di fallimento, e quindi, non riconoscendo alla società concedente il diritto a trattenere per intero i canoni fino a quel momento riscossi.
Avverso il provvedimento, proponeva opposizione la società
Locafit, contestando che al contratto di locazione finanziario
(leasing) potesse applicarsi il disposto dell'art. 1526 c.c.
Il Tribunale di Grosseto, con sentenza del 6 novembre 1981,
respingeva l'opposizione, confermando l'applicabilità dell'art. 1526
c.c. al caso di specie.
Sull'impugnazione proposta dalla società Locafit, la Corte d'ap
pello di Firenze, con sentenza 6 maggio - 23 agosto 1983, ritenendo
inapplicabile nella specie l'art. 1526 c.c., riformava la sentenza di
primo grado e dichiarava il diritto della società Locafit a tratte
nere nella loro interezza i canoni riscossi in virtù del contratto di
leasing. La corte svolgeva, in particolare, due ordini di considerazioni:
in primo luogo, osservava, sotto un profilo rigorosamente formale, che il contratto di leasing non può essere assimilato a quelli previsti dall'art. 1526 c.c. (vendita con patto di riservato dominio, locazione con patto di trasferimento della proprietà del bene
locato), perché il trasferimento della proprietà si pone fuori della causa del negozio, rappresentando un effetto previsto si dalle
parti, nella forma dell'opzione, ma non ancora voluto e la cui
realizzazione è collegabile solo ad una nuova e diversa manifesta zione di volontà; in secondo luogo, sotto un profilo sostanziale, rilevante ai fini di una eventuale applicazione analogica dell'art.
1526 c.c., la corte escludeva che i termini economici della
pattuizione costituissero un condizionamento del conduttore nel
l'unica direzione dell'acquisto del bene locato, cosi da realizzare un assetto di interessi assimilabili a quello della locazione con
patto di trasferimento della proprietà di cui al 3° comma del citato art. 1526 c.c.
Avverso detta sentenza, propone ricorso per cassazione la
curatela del fallimento della Calmar, sulla base di unico motivo.
Resiste la società Locafit con controricorso illustrato da memo ria.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo di ricorso, la
curatela del fallimento dell'impresa Calmar — denunziando viola zione e falsa applicazione degli art. 1526, 1384 e 2041 c.c. ed
insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della
controversia, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. — censura la sentenza impugnata sotto il profilo che il leasing finanziario, nella misura in cui il coacervo dei canoni è ragguagliato al valore economico del bene (ed i canoni stessi non sono altro che rate di
prezzo) e il permanere della proprietà in capo al concedente assolve ad una mera funzione di garanzia per il loro pagamento, tende ad avvicinarsi alla vendita rateale con patto di riservato
dominio, il che autorizza l'interprete ad applicare la disciplina di
quest'ultima; con la conseguenza che deve ritenersi esteso al
leasing finanziario il dettato di cui all'art. 1526 c.c., secondo cui,
(v., significativamente, Trib. Vicenza 10 novembre 1984, cit.). Come bilancio d'insieme, non c'è proprio di chi rallegrarsi.
Poco importa, commenterà chi abbia fatto tesoro della battuta d'esordio. Infatti, teoria economica (la stessa che ci toglie ogni illusione circa la possibilità di valersi di regole giuridiche a fini di redistribuzione della ricchezza, quando esse incidano su relazioni contrattuali o di mercato: cfr., per tutti, H. Demsetz, Wealth Distribution and the Ownership of Rights, 1 J. Legal Stud., 223 (1972)) insegna che al rafforzamento della tutela accordata al promissario corrisponde, in prospettiva, un rimaneggiamento del prezzo (A. M. Polinsky, An Introduction to Law and Economics, Boston/Toronto, 1983, 108). Quanto dire che le società di leasing, rassicurate sulla viabilità della clausola di ritenzione dei canoni percetti e affrancate sinanche dalle minacce del controllo ex art. 1384 c.c. e della reazione sul piano dell'ingiustificato arricchimento (che persino Liconti, cit., avrebbe preservato a mo' di ultima ratio) ridurranno il corrispettivo ri chiesto all'utilizzatore. Sarà davvero cosi? Un po' come per le angosciose conseguenze di Chernobyl, è probabile non lo si sappia mai, per l'ovvia impossibilità di disaggregare processi (di formazione del prezzo) quanto mai complessi. Ma, al punto in cui siamo — e salvi ripensamenti a venire —, non ci resta molto più che l'impervio ottimismo della ragione. [R. Pardolesi]
Il Foro Italiano — 1986 — Parte I-119.
nell'ipotesi di risoluzione per inadempimento del compratore, il
venditore deve restituire le rate riscosse salvo il diritto ad un
equo compenso per l'uso della cosa, oltre al risarcimento del
danno, e salvo, altresì, il potere del giudice, qualora sia stato
convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo di indennità, di ridurre, secondo le circostanze, l'indennità convenuta.
Aggiunge la curatela che, in ogni caso, al fine di evitare un'indebita locupletazione da parte del venditore, la corte avreb be dovuto quanto meno applicare il generale rimedio di cui all'art. 1384 c.c., o, in difetto, attenersi ai principi in tema di arricchimento senza causa.
La censura è infondata. Va premesso che il leasing finanziario — nel cui schema va ricondotta la fattispecie concreta all'esame del collegio — consiste in un'operazione mediante la quale una società finanziaria acquista, per conto di un'impresa industriale o
commerciale, un bene a questa necessario per lo svolgimento del
proprio processo produttivo, ed alla stessa lo cede in godimento, per un periodo in genere corrispondente alla intera utilità eco nomica del bene medesimo.
Nell'ambito di tale rapporto la società di leasing, obbligandosi, di regola, ad acquistare il bene dal produttore, dimostra di avere a disposizione capitali da impiegare, cioè di essere una vera e
propria società finanziaria; l'impresa utilizzatrice, da parte sua, dimostra di ricercare il finanziamento necessario per l'acquisto di un bene strumentale, che prevede di mantenere inserito, per un
periodo di tempo determinato, nella propria struttura produttiva. Il leasing finanziario si propone, dunque, in termini reali, come
una forma tecnica di finanziamento delle imprese, la quale si
mostra, da un lato, particolarmente vantaggiosa per l'installazione e la utilizzazione di macchinari di notevole valore, in quanto consente una congrua rateizzazione degli oneri relativi, parallela ai ratei di ammortamento, e consente, altresì, di superare le difficoltà del ricorso ai tradizionali canali del credito; e, dall'altro, si mostra capace di realizzare modi di impiego del capitale a non
lungo termine e con garanzie adeguate ed obiettive.
Alla scadenza del contratto, l'utilizzatore potrà, di regola, scegliere (come nella specie) tra l'acquisto del bene, per un
importo predeterminato, la proroga della locazione, per un cano ne notevolmente ridotto, e la restituzione del bene utilizzato. In
questo quadro, appare esatta la definizione resa da questa corte con sentenza n. 6390/83 (Foro it., 1983, I, 2997), nel senso che il
leasing finanziario integra un contratto atipico avente ad oggetto il trasferimento delle disponibilità di un bene per un periodo di
tempo determinato, dietro il corrispettivo di un canone periodico fissato in relazione al recupero del prezzo del bene ed al
conseguimento di un utile adeguato, e tendente ad esaurire le
proprie finalità produttive e finanziarie nell'ambito di quel perio do di tempo, la cui scadenza è caratterizzata dal quasi totale venir meno della utilità economica della cosa utilizzata.
Il leasing finanziario si atteggia, quindi, a figura contrattuale
innominata, caratterizzata da una sua autonoma identità causale, cioè qualificata da uno schema funzionale dotato di individualità e di finalizzazione proprie.
Invero, il leasing finanziario non nasce da una semplice opera zione consistente nel mutuare da figure tipiche dell'ordinamento alcune connotazioni essenziali, componendole in una unità nego ziale diversa, ma sostanzialmente dipendente e sussidiaria: nasce, al contrario, da un'autonoma finalità, intesa al soddisfacimento specifico e non confondibile di interessi peculiari e rilevanti, tutelati nel quadro dell'art. 1322 c.c., e ravvisabili, come avverti to, specie con riferimento a soggetti muniti della qualità di imprenditori, nel reddito che una parte trae dall'investimento di capitali in termini brevi e con adeguate garanzie, e nella possibi lità, per l'altra parte, di acquistare la disponibilità di un bene (in genere di rapida obsolescenza) sino, in pratica, al suo esaurimen to, senza l'immobilizzo dell'intera somma necessaria all'acquisto (vedi Cass. citata, in motivazione). La causa della locazione finanziaria non consiste, dunque, nell'acquisto della proprietà di un bene con una particolare agevolazione nel pagamento del
prezzo, bensì in un finanziamento per l'acquisto della disponibilità immediata di quel bene — e solo eventualmente della proprietà di esso — con l'impegno dell'utilizzatore di rimborsare ratealmen te la somma anticipata dal finanziatore, maggiorata degli interessi e della remunerazione del capitale per il rischio dell'operazione.
In tale contesto, l'atipicità del leasing finanziario si traduce in una sicura qualificazione del negozio, sia sul piano dei contenuti che delle finalità economico-sociali, con la conseguente emergenza di indici di caratterizzazione dello schema causale del contratto assolutamente incompatibili con una disciplina che il sistema
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1823 PARTE PRIMA 1824
della legge riconnette al trasferimento del diritto di proprietà. In
sostanza, va sottolineata l'assoluta prevalenza nel leasing finanzia
rio della caratteristica causale costituita dal finanziamento di
mezzi strumentali all'esercizio dell'impresa, rispetto alla finalità
costituita dalla eventualità dell'esercizio del riscatto della proprie tà del bene negoziato, prevalenza resa ancor più evidente dalla
rapida obsolescenza a cui normalmente sono soggette le cose
oggetto del finanziamento; onde, come rilevato, il pagamento dei
canoni relativi assume il valore sostanziale ed assorbente di
restituzione di un mutuo finanziario (i canoni pagati valendo in
definitiva a remunerare il proprietario del valore economico
consumato dall'utilizzatore) e non quello di pagamento periodico di un prezzo di acquisto.
D'altronde, nel leasing finanziario il riscatto della proprietà —
proprio in vista della prevalente finalità di finanziamento dell'isti
tuto, nonché della naturale obsolescenza del bene utilizzato e del
conseguente decadimento della sua originaria utilizzabilità e,
quindi, del suo intrinseco valore commerciale — appare solo
come una mera eventualità, da realizzarsi attraverso un procedi mento non automatico, ma integrato, al contrario, mediante il
ricorso all'istituto dell'opzione, dalla espressione di una diversa e
nuova manifestazione di volontà negoziale, sulla base di conside
razioni relative ad una convenienza economica valutabile soltanto
alla scadenza del periodo di locazione.
Diversamente accade, invece, nelle ipotesi di vendita con riser
va della proprietà e di locazione con patto di trasferimento della
proprietà del bene locato, nelle quali l'effetto traslativo delle
proprietà, contenute in nuce nella funzione del negozio, è la
conseguenza automatica del pagamento dei canoni, come dato
caratterizzante dello schema causale utilizzato.
All'autonoma funzione della locazione finanziaria — che, lungi
dall'essere assimilabile alla vendita, si presta, semmai, ad essere
collocata nell'ambito dei negozi di finanziamento della vendita —
consegue l'inapplicabilità, in via diretta o analogica, della disci
plina di cui all'art. 1526 c.c.
Vale, al riguardo, osservare che, a mente del principio generale
dettato dall'art. 1323 c.c. — secondo cui ai tipi negoziali non
aventi una disciplina nominata sono estese le norme generali
relative al contratto e non anche le norme proprie della discipli
na dei singoli contratti nominati — la disciplina convenzionale
caratteristica dei contratti di locazione finanziaria (funzionale,
quindi, allo schema causale proprio di tale contratto e non a
quelli di distinti contratti nominati) si armonizza pienamente, per
quanto riguarda la sorte dei pagamenti già effettuati dall'utilizza
tore nella ipotesi di risoluzione anticipata del contratto per
inadempimento a lui imputabile, con le norme che disciplinano la
risoluzione dei contratti in generale; e, segnatamente, con l'art.
1458 c.c., comma 1°.
Premesso, invero, che il contratto di leasing finanziario è, per
sua natura, un contratto di durata che non si esaurisce in unico
atto, ma che, al contrario, presuppone una prestazione continuati
va, da un lato (la messa a disposizione del bene), e una
controprestazione periodica, dall'altro (il pagamento rateale dei
canoni), ne deriva che il regolamento degli effetti della risoluzio
ne per inadempimento, durante il periodo di svolgimento del
contratto, ricade espressamente nella disciplina generale dell'art.
1458/1 c.c. citato, la quale prevede che la risoluzione non si
estende retroattivamente alle prestazioni già eseguite, la cui sorte
è quella di restare acquistate, tout court, al patrimonio del
contraente che le ha ricevute. Orbene, l'esistenza, nella disciplina
generale del contratto e segnatamente della sua risoluzione per
inadempimento nel caso di contratti ad esecuzione continuata o
periodica, di una norma ad hoc, quale quella riportata, destinata,
in forza del principio generale di cui all'art. 1323 c.c., a regolare
e, se necessario, integrare la trama contrattuale predisposta dalle
parti nell'ipotesi negoziale in esame, esclude, con ogni evidenza,
il ricorso ad una diversa norma estranea alla disciplina contrat
tuale atipica, quale quella dell'art. 1526 c.c., che regola, appunto,
gli effetti della risoluzione del contratto nelle distinte ipotesi
tipiche di vendita con riserva della proprietà o di locazione con
patto di riscatto della cosa locata.
D'altronde, nell'ipotesi del leasing finanziario non sembra nean
che ricorrere il principio di equità cui si ispira la disciplina
dell'art. 1526, con riferimento alle fattispecie tipiche regolate dalla
norma, in quanto, secondo il meccanismo specifico della locazione
finanziaria, le rate pattuite e maturate rappresentano il computo
dell'ammortamento del bene utilizzato, che di regola, viene —
come rilevato — espressamente acquistato dal concedente all'e
sclusivo fine di metterlo a disposizione dell'utilizzatore.
Senza notare che, a differenza che nelle ipotesi tipiche previste
Il Foro Italiano — 1986.
dall'art. 1526 c.c., nell'ipotesi atipica della locazione finanziaria, il
trasferimento della proprietà è, comunque, rimesso ad una nuova
ed eventuale determinazione volitiva delle parti: onde, se la
specifica tutela normativa della vendita con riservato dominio si
giustifica, in termini di equità, anche in funzione dell'irrilevanza
d'ulteriori manifestazioni di volontà del contraente più debole, la
medesima esigenza non sussiste laddove, in relazione al meccani
smo proprio all'opzione, da esercitare eventualmente sulla base di
valutazioni economiche possibili soltanto al termine del periodo di utilizzazione, il contraente può con la propria manifestazione
di volontà tutelare i suoi interessi nel modo più opportuno.
Inoltre, sempre in termini di confronto tra disciplina normativa
ed esigenze equitative, mentre l'art. 1526 presuppone di regola che il venditore sia anche il produttore del bene, e, quindi, che
alla produzione si affianchi l'organizzazione di una rete di vendita
del prodotto, che permetta la sua facile ricollocazione sul mercato
in caso di risoluzione del contratto; nella locazione finanziaria,
invece, la società di leasing è soltanto un intermediario finanzia
rio, che non dispone come tale di un'organizzazione capace di
riproporre efficacemente il bene sul mercato, in termini di una
sua immediata riutilizzazione.
In definitiva, al contratto di leasing finanziario, quale contrat
to privo di una particolare disciplina tipica, risultano direttamen
te applicabili, in forza del richiamato principio di cui all'art.
1323 c.c., le norme sulla disciplina generale del contratto, fra le
quali vi è, in tema di risoluzione dei contratti di durata, quella di cui all'art. 1458, palesemente incompatibile con la previsione normativa di cui all'art. 1526, riferita al contratto nominato di
vendita con riserva della proprietà. Resta, altresì, escluso, con riguardo a quest'ultima disposizione,
il ricorso ad ogni procedimento di applicazione analogica, in
quanto tale procedimento è pensabile esclusivamente in riferimen
to a norme non incompatibili con la funzione propria dello
schema causale innominato della locazione finanziaria, che —
come si è visto — assume connotazioni autonome non conciliabili
con le figure tipiche previste dalla disposizione dell'art. 1526 c.c.
in parola.
Infine, è appena il caso di rilevare che, considerato che le
società di leasing, cosi come nel caso di specie, normalmente
inseriscono nei loro contratti la clausola secondo la quale la
società concedente ha diritto all'integrale percezione di tutti i
canoni scaduti sino alla data di risoluzione del contratto, nonché
a trattenere quelli già pagati, per dimostrare l'inoperatività di una
tale previsione negoziale bisognerebbe dimostrare che la detta
clausola o è illecita o, comunque, è diretta a realizzare interessi
immeritevoli di tutela: dimostrazione, nell'un senso e nell'altro,
con ogni evidenza, impossibile, posto che, al contrario, la clausola
non solo è perfettamente lecita, ma, altresì, pienamente si concilia
con lo schema causale, innominato del leasing, ormai acquisito, nei termini descritti, alla quotidiana esperienza giuridica.
I canoni pagati prima della restituzione e relativi alla prece dente durata del negozio in esame dovranno, quindi, ritenersi, alla stregua del tipo negoziale utilizzato dalle parti ed in funzione
della disciplina generale del contratto, definitivamente acquisiti dalla società resistente, quale corrispettivo dell'uso dei macchinari
concessi in leasing, del loro logorio tecnico ed economico, nonché
della remunerazione del capitale investito nell'operazione di
finanziamento. Restano assorbite le considerazioni svolte dal ricorrente relati
vamente all'applicazione alla specie della normativa in materia
della riduzione della penale e di indebito arricchimento.
In conclusione, il ricorso va rigettato. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 28
aprile 1986, n. 2954; Pres. Brancaccio, Est. Sensale, P.M.
Cari sto (conci, conf.); Associazione granaria emiliana roma
gnola (Avv. Dallari) c. Virgilio. Regolamento preventivo di
giurisdizione.
Borsa (ordinamento, operazioni e contratti di) — Borsa mer
ci — Concessionario — Sanzioni amministrative nei confron
ti degli operatori — Giurisdizione ordinaria (L. 20 marzo
1865 n. 2248, ali. E, sul contenzioso amministrativo, art.
2; 1. 20 marzo 1913 n. 272, approvazione dell'ordinamento
delle borse di commercio, dell'esercizio della mediazione e delle
tasse sui contratti di borsa, art. 9).
Posto che l'art. 9 l. 20 marzo 1913 n. 272, che prevede i casi di
esclusione dai locali di borsa, per essere dettato al fine di un
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