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sezione I civile; sentenza 6 marzo 1999, n. 1934; Pres. Sensale, Est. Luccioli, P.M. Nardi (concl.conf.); Paolantoni (Avv. Tassone) c. Proc. rep. Pret. Catanzaro, Intendente di finanza diCatanzaro, Bocchino. Conferma Trib. Catanzaro, ord. 6 maggio 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 4 (APRILE 1999), pp. 1179/1180-1183/1184Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195377 .
Accessed: 25/06/2014 05:04
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1179 PARTE PRIMA
E invero, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, una
corretta lettura della disposizione dettata dal comma 2 bis del
l'art. 3 d.l. 21 marzo 1988 n. 86 (convertito nella 1. 20 maggio 1988 n. 160) consente di escludere — come già affermato da
questa corte con la sentenza n. 12137 del 24 novembre 1995
(Foro it., Rep. 1996, voce Previdenza sociale, n. 596) — che
i criteri posti dalla stessa in materia del calcolo delle retribuzio
ni pensionabili possano temporalmente estendere il loro ambito
di operatività a situazioni ricadenti sotto la disciplina prevista
antecedentemente alla data del 1° luglio 1982, e cioè a pensioni
liquidate in precedenza e perciò non interessate dalle previsioni di cui all'8° comma dell'art. 3 1. 29 maggio 1982 n. 297, e ciò
in forza dell'espresso richiamo, contenuto nella prima, alle «re
tribuzioni imponibili e pensionabili rivalutate a norma dell'I 1°
comma dell'art. 3 1. 29 maggio 1982 n. 297».
D'altra parte una tale conclusione riceve sostegno dalla deci
sione della Corte costituzionale n. 822 del 14 luglio 1988 (id.,
1991, 1, 335), con la quale si ritenne che fosse costituzionalmen
te illegittimo — per contrasto con l'art. 3 Cost. — l'art. 3, 8° comma, 1. 29 maggio 1982 n. 297, contenente la disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionisti
ca, nella parte in cui non prevedeva — per i lavoratori prossimi alla pensione al momento della sua entrata in vigore, o già pen sionati — il mantenimento in vigore, ai fini della liquidazione della pensione stessa, dei criteri dettati dall'art. 26, 3° comma,
1. 3 giugno 1975 n. 160, contenente norme per il miglioramento dei trattamenti pensionistici e per il collegamento alla dinamica
salariale, che prevedeva — ai fini del calcolo — una media che
tenesse conto del triennio di migliore contribuzione Inps nell'ul
timo decennio prima del pensionamento. Ne consegue quindi che, ai fini della determinazione della
quota aggiuntiva della pensione di cui al 6° comma dell'art.
21 1. n. 67 del 1988, dovrà tenersi conto della misura della retri
buzione imponibile fissata dal citato art. 26 1. n. 160 del 1976
essendosi statuito, sempre dalla Corte costituzionale con la sen
tenza n. 296 del 1995 (id., Rep. 1995, voce cit., n. 607), che
la prima delle due disposizioni, prevedente, a decorrere dal 10
gennaio 1988, l'attribuzione di una quota aggiuntiva della pen sione commisurata, in percentuali decrescenti, alla retribuzione
imponibile eccedente il limite massimo pensionabile, è applica bile anche in favore di coloro che abbiano conseguito la pensio ne anteriormente a tale data.
Ma, a questo proposito, occorre aggiungere che — dovendo
ritenersi che con l'art. 21 si sia inteso erogare una quota ag
giuntiva di pensione da sommare a quella determinata in base
al limite massimo della retribuzione annua pensionabile, dispo nendosi cioè che l'intera retribuzione imponibile sia oggetto del
computo del trattamento pensionistico dovuto all'assicurato (Cor te cost. n. 72 del 1990, id., Rep. 1990, voce cit., n. 611) —
il meccanismo predisposto dalla norma deve operare in ogni caso in cui tale retribuzione sia stata mediamente determinata,
per l'incidenza dei massimali, in misura inferiore a quella che
sarebbe stata altrimenti assunta a base del calcolo della pensio
ne, a prescindere dalla circostanza che essa superi o meno il
«tetto» vigente all'atto della sua liquidazione (Cass. 13 gennaio
1998, n. 220, id., Mass., 23). Della sentenza impugnata si impone quindi la cassazione con
rinvio ad altro giudice di appello — che si designa nel Tribunale
di Lodi — che, nel decidere, si atterrà ai principi sopra enunciati.
Il Foro Italiano — 1999.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 6 marzo
1999, n. 1934; Pres. Sensale, Est. Luccioli, P.M. Nardi
(conci, conf.); Paolantoni (Avv. Tassone) c. Proc. rep. Pret.
Catanzaro, Intendente di finanza di Catanzaro, Bocchino. Con
ferma Trib. Catanzaro, ord. 6 maggio 1997.
Patrocinio dei non abbienti — Patrocinio a spese dello Stato
nel processo penale — Limiti di reddito — Indennità per ina
bilità assoluta — Rilevanza (L. 30 luglio 1990 n. 217, istitu
zione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti,
art. 3).
Ai fini della determinazione dei limiti di reddito per l'ammissio ne al patrocinio a spese dello Stato nel processo penale deve
tenersi conto anche dell'indennità dell'Inail per inabilità as
soluta. (1)
II
TRIBUNALE DI FOGGIA; ordinanza 5 dicembre 1998; Pres.
ed est. Petti; Paolisso Carleo.
Patrocinio dei non abbienti — Patrocinio gratuito — Difensore
in processo civile — Questione non manifestamente infonda
ta di costituzionalità (Cost., art. 2, 3, 10, 35; r.d. 30 dicem
bre 1923 n. 3282, approvazione del testo di legge sul gratuito
patrocinio, art. 1).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità co
stituzionale dell'art. 1 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3282, nella
parte in cui considera un dovere onorifico della classe forense il patrocinio a favore dei poveri nel processo civile, in riferi mento agli art. 2, 3, 10 e 35 Cost. (2)
(1) La decisione, priva di precedenti in termini, è in linea con la
giurisprudenza della Corte costituzionale, per la quale, ai fini della de
terminazione dei limiti di reddito per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato previsto dalla 1. 217/90, bisogna tener conto di ogni reddito, anche se esente da Irpef o se percepito da familiari non conviventi (cfr. Corte cost. 15 aprile 1993, n. 165, Foro it., 1995, I, 2030, e, citata in motivazione, 25 luglio 1995, n. 382, ibid., 2353).
Piuttosto, è il caso di notare che, nella specie, l'ammissione al patro cinio era stata chiesta da una persona che intendeva costituirsi parte civile, la quale, di fronte alla negazione del beneficio, ha proposto ri corso dapprima al tribunale e poi alla Cassazione, evocando in giudizio il p.m. presso la procura circondariale, l'intendente di finanza e l'impu tato. Ciò non sembra corretto, in quanto l'art. 6, 4° comma, 1. 217/90 vuole che il ricorso al tribunale o alla corte di appello sia proposto soltanto nei confronti dell'intendente di finanza. E non sembra possa dubitarsi che anche il ricorso per cassazione per violazione di legge av verso l'ordinanza del giudice di secondo grado, previsto dal 5° comma dell'art. 6, debba essere proposto soltanto nei confronti dell'intendente di finanza. Quindi, il ricorso per cassazione andava dichiarato inam missibile sia nei confronti del p.m., sia nei confronti dell'imputato.
(2) Non so se la Corte costituzionale vorrà ricorrere a qualche strata
gemma per non entrare nel merito e rinviare la soluzione del problema, ma non mi pare si possa seriamente dubitare che la questione sollevata dal presidente del Tribunale di Foggia sia fondata.
Invero, chi come me si è accostato al problema del patrocinio dei non abbienti dopo l'approvazione della 1. 217/90 (v. Cipriani, // patro cinio dei non abbienti in Italia, in Foro it., 1994, V, 83 ss., spec. 103) non può non avvertire la macroscopica disparità di trattamento che si è venuta a creare tra l'avvocato che difende il non abbiente in penale e quello che lo difende in civile: il primo, grazie a quella legge, è sem
pre retribuito dallo Stato, il secondo (se si prescinde dalle cause di lavo ro e dai casi previsti dalla medesima 1. 217/90) mai.
Così stando le cose, non potendosi negare, soprattutto in relazione all'art. 3 Cost., la fondatezza della questione, il problema, a parer mio, è un altro e precisamente questo: è il caso di addossare allo Stato le
spese del patrocinio dei poveri cosi come tale patrocinio è disciplinato dal r.d. 3282/23?
Il problema sorge perché il r.d. 3282/23 (rectius, il meccanismo pre visto da quel r.d.), in tempi recenti, è stato difeso soltanto dal sotto scritto. Per il resto, lo si è attaccato da tutte le possibili angolazioni e se ne è detto tutto il male possibile e immaginabile: persino che è «fascista e borbonico» (Cappelletti, Giustizia e società, 1970, 228, 242, 247) e che «non aggiunge niente a quanto già non sia contenuto nel codice di procedura civile» (Scarselli, Le spese giudiziali civili, Mila
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
Svolgimento del processo. — Con istanza del 10 aprile 1996
Lucia Paolantoni, quale esercente la potestà genitoriale sui figli minori G. e D. Bocchino, chiedeva al Pretore di Chiaravalle
l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, intendendo co
stituirsi parte civile nel procedimento penale a carico dell'ex co
niuge Francesco Bocchino, imputato del delitto di cui all'art.
570 c.p. per non aver corrisposto l'assegno di mantenimento
in favore dei figli. All'udienza dell'11 aprile 1996, nel corso del procedimento
penale nei confronti del Bocchino, il pretore ammetteva la Pao
lantoni al richiesto patrocinio, ma alla successiva udienza del
9 novembre 1996 revocava detto decreto, sul rilievo che il nuo
vo coniuge convivente dell'istante era titolare di reddito supe riore ai limiti consentiti dalla legge, anche se esente da Irpef, in quanto percettore di indennità dell'Inail per inabilità assoluta
ai sensi del d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124.
Avverso tale provvedimento proponeva impugnazione la Pao
lantoni e con ordinanza del 6-15 maggio 1997 il Tribunale di
Catanzaro rigettava il gravame, osservando che l'art. 3, 3° com
ma, 1. 30 luglio 1990 n. 217, concernente il patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, nel disporre che «ai fini della
determinazione dei limiti di reddito indicati nel 1° comma si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall'Irpef 0 che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ov
vero ad imposta sostitutiva», ha delineato un'autonoma nozio
ne di reddito, strettamente funzionale alla verifica dei presup
posti per l'ammissione al patrocinio, e quindi distinta da quella
rilevante agli effetti meramente tributari. Né poteva fondata
mente invocarsi, ad avviso del tribunale, la natura risarcitoria
dell'indennità percepita dal coniuge per escluderne la stessa na
tura di reddito, dovendo individuarsi il fondamento del relativo
trattamento nel principio di solidarietà di tutta la collettività
organizzata nello Stato nei confronti dei soggetti che vertono
in stato di bisogno, e quindi tendendo detta indennità non già a risarcire un danno, ma ad eliminare una situazione di bisogno
impeditiva del pieno godimento dei diritti civili e politici. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione
la Paolantoni deducendo un solo motivo. Non vi è controricorso.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo di ricorso, de
nunciando violazione dell'art. 3 1. n. 217 del 1990; degli art.
1 e 6 d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917 e 14, 4° comma, 1. n.
537 del 1993; del d.p.r. n. 1124 del 1965; degli art. 38 e 53
Cost., in riferimento agli art. Ill Cost, e/o 360, 1° comma,
n. 3, c.p.c., si deduce che la rendita corrisposta dall'Inail per
inabilità assoluta permanente, sia che si ritenga di natura risar
citoria che di natura previdenziale, non può considerarsi reddi
to e quindi non può essere valutata ai fini dell'ammissione al
patrocinio a spese dello Stato.
La questione proposta nel motivo di ricorso, sulla quale non
esistono precedenti di questa Suprema corte, deve essere risolta
in senso contrario alla tesi della ricorrente, sulla base di una
corretta lettura della 1. n. 217 del 1990, anche in relazione agli
enunciati della Corte costituzionale, più volte intervenuta a ve
rificare specifici profili di costituzionalità della normativa.
Ed invero il giudice della legittimità delle leggi, chiamato a
controllare tra l'altro la legittimità degli art. 3 e 4 nella parte
in cui non prevedono che si debba tener conto del tenore di
no, 1998, 94, in nota). In realtà, come ho già avuto modo di rilevare
(v. Cipriani, op. cit., 105), quel r.d., nella misura in cui consente di
correlare la «povertà» al costo del processo e di porre a disposizione del povero un difensore prima dell'inizio del processo, risolve appieno il problema del non abbiente che non sa a chi rivolgersi ed è certamente
in linea con l'art. 24, 3° comma, Cost. Quindi, per conto mio, la Corte
costituzionale, se riconoscesse che, stante l'art. 3 Cost., il difensore
designato dalla commissione per il gratuito patrocinio, nel caso in cui
non sia possibile contare sui c.d. onorari della vittoria, va retribuito
dallo Stato nella misura stabilita dall'art. 12 1. 217/90, sancirebbe un
principio civilissimo e giusto.
Quanto alla pericolosità di un siffatto principio per le casse dello
Stato, è difficile fare previsioni, ma non credo che, retribuendo il difen
sore in civile, si corrano più rischi che retribuendolo in penale. Al limi
te, se le cose si dovessero rivelare intollerabili, il legislatore potrebbe
pure decidersi a intervenire, per esempio portando ai minimi gli onorari
dovuti al difensore del non abbiente. [F. Cipriani]
Il Foro Italiano — 1999.
vita e delle effettive capacità economiche del richiedente, anche
se provenienti da attività illecite, ha affermato che la scelta di
screzionale del legislatore di fissare la soglia quantitativa della
«non abbienza» non rispetterebbe il canone della ragionevolez za e della coerenza ove l'accertamento di tale status fosse ingiu stificatamente limitato ad alcuni redditi con esclusione di altri
e che pertanto ai fini in esame occorre tener conto — nonostan
te l'art. 3 ed il corrispondente art. 5 contengano una enumera
zione dettagliata dei redditi da dichiarare — di tutti i redditi
di chi aspira al beneficio, e quindi anche di quelli non assogget tabili ad imposta sia perché non rientranti nella base imponibile sia perché esenti o perché di fatto non hanno subito alcuna
imposizione, nonché dei redditi da attività illecite o per i quali è stata elusa l'imposizione (Corte cost. n. 144 del 1992, Foro
it., Rep. 1992, voce Patrocinio gratuito, n. 8). Ed ancora con sentenza n. 382 del 1995 (id., 1995, I, 2353),
la medesima corte, nel ritenere non fondata la questione di le
gittimità costituzionale dell'art. 3, 2° comma, nella parte in cui
limita ai familiari conviventi, e non estende ai familiari che man
tengano con il richiedente il beneficio un collegamento econo
mico, pur nella diversità della residenza anagrafica, la determi
nazione del reddito rilevante per l'ammissione al patrocinio, ha
specificato che il rapporto economico che intercorra tra l'inte
ressato ed altre persone non conviventi non è privo di rilevanza
ai fini dell'ammissione al beneficio, dovendosi nella nozione di
reddito ritenere ricomprese le risorse di qualsiasi natura di cui
il richiedente disponga, e quindi anche gli aiuti economici, si
gnificativi e non saltuari, in qualsiasi forma prestati da familia
ri o terzi: conseguentemente, mentre il computo di redditi pro
pri di soggetti diversi dall'istante è legato al criterio oggettivo della convivenza, devono anche computarsi, come redditi diret
tamente imputabili all'interessato, i contributi a lui provenienti da non conviventi.
Come appare evidente, la dichiarazione di infondatezza delle
proposte questioni di incostituzionalità resa nelle richiamate de
cisioni poggia su una lettura del testo normativo che identifica
quale elemento di specificazione del presupposto della «non ab
bienza» un parametro comprensivo di tutto ciò che è reddito
in senso economico, cosi da includere ogni emolumento ed ogni
disponibilità economica comunque idonea a sopperire in qual
che misura alle esigenze di vita del percettore e tale da rendere
sostenibile, ove superati i limiti previsti, il costo del processo. La suindicata lettura vale peraltro ad assimilare la portata
della norma in esame alla disciplina dettata dalla 1. n. 533 del
1973 in materia di controversie di lavoro, che ha costituito il
primo radicale intervento di modifica del sistema di tutela dei
non abbienti di cui al r.d. n. 3282 del 1923, e che all'art. 11
prescrive, con una formulazione chiaramente onnicomprensiva,
che la dichiarazione di non abbienza contenga l'indicazione an
che «delle risorse di qualunque natura, diverse da quelle di la
voro, di cui l'istante abbia direttamente o indirettamente la li
bera disponibilità o comunque il godimento». Non può d'altro canto dubitarsi che la rendita per inabilità
permanente — a prescindere dalla natura risarcitoria ed inden
nitaria, in relazione al danno fisico subito dal lavoratore, cui
fa riferimento la giurisprudenza di questa Suprema corte (v.,
di recente, Cass. n. 4098 del 1997, id., Rep. 1997, voce Infortu ni sul lavoro, n. 138) — svolge comunque la funzione di surro
gare un reddito di lavoro cessato a causa dell'infortunio e si
risolve pertanto in una fonte di sostentamento e di introito per chi la percepisce.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
II
Letto il ricorso proposto dall'avv. Giovanna Paolisso Carleo,
con cui si chiede, a norma degli art. 1 e 12 1. n. 217 del 1990,
in via principale, la liquidazione dell'onorario e dei diritti per l'attività difensiva prestata in favore di Elena Trotta, e, in su
bordine, si eccepisce l'illegittimità costituzionale delle norme an
zidette per la violazione degli art. 3 e 36 Cost., posto che le
stesse tutelerebbero gli «interessi dei cittadini stranieri non ab
bienti», ma non quelli dei cittadini italiani;
premesso che la predetta, con provvedimento del 16 febbraio
1995, è stata nominata procuratrice e difenditrice di Elena Trotta,
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1183 PARTE PRIMA 1184
quest'ultima ammessa al gratuito patrocinio in un giudizio di
separazione giudiziale dal coniuge Giuseppe Urbano, ai sensi
del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3282; che l'anzidetto giudizio di
separazione giudiziale si era trasformato in separazione consen
suale omologata con decreto del tribunale del 29 settembre 1998;
considerato che la normativa richiamata dalla ricorrente (1. n. 217 del 1990) non è applicabile all'assistenza giudiziaria in
esame, perché si riferisce solo al patrocinio prestato in un pro cedimento penale ed alle azioni civili risarcitone derivanti da
illeciti penali; che il patrocinio in esame è regolato dal r.d. 30
dicembre 1923 n. 3282, il quale, all'art. 1, considera un ufficio
onorifico dell'avvocatura la difesa giudiziaria dei poveri ed at
tribuisce al difensore della parte ammessa al beneficio solo il
diritto di ripetere gli onorari, in caso di condanna della con
troparte; considerato altresì che la 1. n. 217 del 1990 non può essere
applicata neppure analogicamente all'assistenza giudiziaria in esa
me proprio perché questa è disciplinata direttamente dalla nor
mativa specifica dianzi richiamata, che, come accennato, consi
dera onorifico il patrocinio a favore dei poveri; che l'eccezione di illegittimità costituzionale degli art. 1 e 12
1. n. 217 del 1990 sollevata dalla ricorrente in relazione agli art. 3 e 36 Cost, non è rilevante proprio perché tale normativa, come già detto, non è applicabile alla fattispecie;
considerato, invece, che deve essere sollevata d'ufficio la que stione della legittimità costituzionale dell'art. 1 d.p.r. 30 dicem
bre 1923 n. 3282 nella parte in cui considera onorifico il patro cinio a favore dei poveri;
che tale questione è rilevante, perché si riferisce proprio alla
norma applicabile alla fattispecie: infatti, qualora dovesse esse
re eliminato l'aggettivo onorifico, potrebbe trovare applicazio ne analogica la stessa 1. n. 217 del 1990, o altra che regola il patrocinio a favore dei poveri in controversie civili;
rilevato che l'art. 1 r.d. cit., nella parte in cui pone a carico
della classe forense l'onere della difesa dei non abbienti, si pone in contrasto con gli art. 2, 3, 10 e 35 Cost, per le ragioni che
seguono:
A) per la violazione dell'art. 2, parte seconda, Cost, in quan to il peso della difesa dei non abbienti non dovrebbe essere so
stenuto da una classe professionale, ma assunto dallo Stato che
è tenuto all'adempimento dei doveri di solidarietà sociale ed
economica;
B) per la violazione dell'art. 3, 1° comma, per disparità di
trattamento in quanto vengono disciplinate in maniera diversa
situazioni sostanzialmente omogenee, senza alcuna ragionevole
giustificazione: infatti, mentre gli avvocati che difendono i po veri nei procedimenti penali sono sempre retribuiti dallo Stato,
quelli che assumono la difesa dei non abbienti nel settore civile
sono retribuiti a carico dello Stato solo in alcune controversie
e più precisamente nelle controversie relative a domande di ri
sarcimento danno da fatti illeciti penali (art. 1 1. n. 217 del
1990), nelle controversie di lavoro (art. 111. 533/73), nei proce dimenti per l'adozione di minori (art. 75 1. n. 184 del 1983), nei procedimenti civili contro lo Stato per il risarcimento dei
danni derivanti dall'operato dei magistrati (art. 15, 2° comma, 1. n. 117 del 1988), ma non anche in tutte le altre controversie
civili, comprese le domande di separazione e divorzio, che sono
assoggettate alla normativa del r.d. n. 3282 del 1923: siffatta
diversità di trattamento non ha alcuna ragionevole spiegazione,
per quanto concerne la posizione dell'avvocato, posto che l'im
pegno è identico e, d'altra parte, non può considerarsi elimina
ta dal fatto che il difensore, in base al regio decreto citato,
può contare sui cosiddetti onorari della vittoria, sia perché su
tali onorari si può fare affidamento solo in caso di condanna
della controparte, sia perché la maggior parte delle cause per le quali viene ora richiesto il gratuito patrocinio, ai sensi del
regio decreto più volte citato, riguarda i procedimenti di sepa razione e divorzio che spesso si concludono con la compensa zione delle spese;
C) per la violazione dell'art. 10, 1° comma, in quanto l'art.
I r.d. cit., nella parte contestata, è in contrasto con la risoluzio
ne del comitato dei ministri del Consiglio d'Europa sull'assi
stenza giudiziaria adottata a Strasburgo il 2 marzo 1978, la quale risoluzione all'art. 5, lett. b), ultima parte, raccomanda una
«remunerazione adeguata al difensore ufficioso»: anche in que sto caso la possibilità di ripetere gli onorari dalla parte avversa
II Foro Italiano — 1999.
non attenua l'iniquità dell'obbligo di fornire una prestazione
professionale tendenzialmente gratuita;
D) per la violazione dell'art. 35, 1° comma, Cost, il quale, secondo la dottrina prevalente e secondo la stessa Corte costitu
zionale, tutela non solo il lavoro subordinato ma anche quello autonomo (Corte cost. n. 42 del 1980, Foro it., 1980, I, 1567;
n. 180 del 1984, id., 1984, I, 2418; n. 880 del 1988, id., 1988, I, 2785), giacché l'art. 1 r.d. cit. impone agli avvocati una pre stazione lavorativa tendenzialmente gratuita, come sopra preci sato e come verificatosi nella fattispecie.
Per questi motivi, il presidente, letto l'art. 23 1. n. 87 del
1953, solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art.
1 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3282, nella parte in cui considera
onorifico il patrocinio a favore dei poveri, per i motivi indicati
nella premessa.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 15 feb
braio 1999, n. 1240; Pres. Graziadei, Est. Macioce, P.M.
Ceniccola (conci, conf.); Fall. soc. Silea (Aw. Cannizzaro) c. Soc. Europa 2050. Regolamento di competenza avverso Trib.
Palermo 10 marzo 1997.
Fallimento — Credito del fallito — Opposizione a decreto in
giuntivo — Competenza del tribunale fallimentare — Esclu
sione (Cod. proc. civ., art. 645; r.d. 16 marzo 1942 n. 267,
disciplina del fallimento, art. 24, 52, 93).
Il giudizio di opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto
dal curatore fallimentare per far valere un credito del fallito, in quanto avente ad oggetto diritti di credito che già si trova
vano nel patrimonio del fallito, non appartiene alla compe tenza del tribunale fallimentare ma è soggetto alle normali
regole di attribuzione della competenza. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 21 no
vembre 1998, n. 11787; Pres. Vessia, Est. Vitrone, P.M. Ce
niccola (conci, conf.); Fall. soc. Naj Oleari (Avv. Giacobbe,
Perrone) c. Zerba (Avv. Civitelli). Regolamento di compe tenza avverso Pret. Milano 12 novembre 1996.
Fallimento — Impugnazione di licenziamento — Richieste eco
nomiche — Competenza del tribunale fallimentare (Cod. proc. civ., art. 409, 413; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 24, 52, 93).
La controversia relativa all'impugnativa del licenziamento inti
mato da un imprenditore poi fallito, spetta alla competenza del tribunale fallimentare in virtù del principio della vis at
trattiva, ogni qualvolta il lavoratore chieda oltre che la rein
tegrazione nel posto di lavoro anche il soddisfacimento dei
propri crediti derivanti dall'accertamento dell'illegittimità del
recesso. (2)
(1-3) Gli strumenti informatici attuali consentono all'attento lettore della giurisprudenza di operare una serie di raccordi dai quali sortisco no talora, come nell'esempio rappresentato dalla seconda e dalla terza delle decisioni in rassegna, situazioni grottesche. Lo stesso presidente e lo stesso giudice relatore ed estensore sono autori del clamoroso con trasto giurisprudenziale di cui sono espressione Cass. 5477/98 e 11787/98. Prima di analizzare il contenuto delle decisioni non si può omettere di osservare che le due pronunce si ignorano reciprocamente, posto che
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