sezione I civile; sentenza 6 settembre 1997, n. 8662; Pres. Sensale, Est. De Musis, P.M. Giacalone(concl. conf.); Banca commerciale italiana (Avv. Ciccotti, Fioretta) c. Fall. soc. Hydromac (Avv.E. Romanelli, Jorio). Conferma App. Torino 23 maggio 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 4 (APRILE 1998), pp. 1227/1228-1237/1238Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193226 .
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1227 PARTE PRIMA 1228
una pronuncia sul merito, avrebbe potuto solo proporre regola mento necessario di competenza (art. 42 c.p.c.).
Il Melita, allora, in presenza di una dichiarazione di incom
petenza del tribunale in merito alla domanda di opposizione alla stima, se avesse inteso contestare l'esattezza della decisione
non avrebbe avuto che l'alternativa di proporre regolamento di competenza o di riassumere la causa innanzi al giudice com
petente nel termine stabilito dall'art. 50 c.p.c. Nel primo caso,
il termine per la riassunzione sarebbe rimasto sospeso fino alla
decisione della Corte di cassazione.
Essendo, nella specie, decorso il termine di trenta giorni dalla
notifica della sentenza per poter ricorrere a tale mezzo d'impu
gnazione, alla parte interessata che intendeva semplicemente ot
tenere una pronuncia di merito sulla causa di opposizione alla
stima, non restava che riassumere la causa innanzi al giudice dichiarato competente per materia (la corte d'appello) nel ter
mine fissato dal primo giudice (art. 50 c.p.c.).
Questo onere non fu osservato dal Melita, il quale, pur in
mancanza di un'impugnazione della dichiarazione di incompe
tenza, procedette alla riassunzione della causa oltre i sessanta
giorni, fissati dal tribunale, dalla notifica della sentenza d'in
competenza. Quindi, in accoglimento dell'eccezione formulata
dallo Snam il processo di opposizione alla stima doveva essere
dichiarato estinto.
II primo motivo del ricorso principale deve, in conclusione, essere accolto. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 6 settem
bre 1997, n. 8662; Pres. Sensale, Est. De Musis, P.M. Gia
calone (conci, conf.); Banca commerciale italiana (Avv. Cic
cotti, Fioretta) c. Fall. soc. Hydromac (Avv. E. Romanel
li, Jorio). Conferma App. Torino 23 maggio 1995.
Fallimento — Revocatoria fallimentare — Fido non concretiz
zante apertura di credito — Rimessa su conto passivo — Na
tura solutoria — Conseguenze (Cod. civ., art. 1842, 1852; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 67).
Non concretano apertura di credito quale disciplinata dal codi
ce civile i contratti i quali, pur prevedendo la concessione
di un fido, subordinano l'insorgenza degli obblighi reciproci tra banca e cliente al verificarsi di circostanze esterne al con
tratto, ulteriori e future rispetto a questo; ne consegue, che
un eventuale versamento di somme sul proprio conto passivo, effettuato anteriormente al verificarsi della prevista circostan
za da parte del correntista, poi fallito, è revocabile a norma
dell'art. 67, 2° comma, l. fall., non potendo avere natura
ripristinatoria della provvista correlata al fido. (1)
(1) La sentenza afferma non essersi in presenza di una vera e propria apertura di credito, quale prevista e disciplinata dal codice civile, ogni qualvolta l'insorgenza dell'obbligazione della banca e del corrisponden te diritto di credito del cliente non derivino direttamente e immediata mente dal contratto, ma siano subordinati al verificarsi di ulteriori cir costanze o al realizzarsi di ulteriori condizioni. Da ciò viene fatta
conseguire la revocabilità ex art. 67, 2° comma, 1. fall., delle rimesse
eseguite sul conto passivo del fallito, non potendo esse avere natura
ripristinatoria di alcuna provvista. Giova notare, che, nella specie, la corte ha enunciato tale principio,
in termini generali, avendo in esame un'ipotesi caratterizzata dall'esi stenza di un c.d. «castelletto di sconto» e di un fido per anticipazioni su divisa export-, linee di credito queste che, seppur qualificabili en trambe con l'espressione «fido» o «affidamento», vanno tenute ben distinte dall'apertura di credito di cui all'art. 1842 c.c., non comportan do l'immediata disponibilità di una somma di denaro per il correntista. V., al riguardo, Cass. 5 febbraio 1997, n. 1083, Foro it., 1997, I, 1100, con osservazioni di M. Caputi, e, successivamente, 20 maggio 1997,
Il Foro Italiano — 1998.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 23 luglio
1997, n. 6882; Pres. Corda, Est. Bibolini, P.M. Di Zenzo
(conci, conf.); Credito italiano (Avv. Lovelli, Mandas) c.
Fall. Consorzio I Due (Avv. Palermo, Luminoso); Fall. Con
sorzio I Due c. Credito italiano. Conferma App. Cagliari 7
luglio 1994.
Fallimento — Revocatoria fallimentare — Mandato irrevocabi
le all'incasso — Realizzazione di cessione di credito — Fatti
specie (Cod. civ., art. 1260, 1842; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 67).
Nell'ipotesi in cui il correntista, a fronte di un'apertura di cre
dito, conferisca alla banca mandato irrevocabile all'incasso
di una somma dovuta da terzi può essere oggetto di azione
revocatoria fallimentare il solo negozio costitutivo della ga
ranzia, e non anche l'incasso della somma da parte della ban
ca, unica legittima a pretenderlo; diversamente, il correntista
conserva la titolarità sia della situazione creditoria verso il
terzo debitore, sia della situazione debitoria verso la banca
mandatario; con la conseguenza che può essere oggetto di azio
ne revocatoria fallimentare non solo il mandato, ma anche
l'incasso della somma da parte di quest'ultima (nella specie, è stata revocata la rimessione della somma sul conto scoperto del fallito, in quanto avente natura solutoria). (2)
ibid., n. 4473, ibid., 2089, con osservazioni di M. Caputi; cui adde, Tarzia, Castelletto di sconto e revocatoria fallimentare, in Fallimento, 1996, 121; nonché, specificamente per l'ipotesi del fido per anticipazio ni su divisa export, Trib. Cagliari 27 marzo 1985, Foro it., Rep. 1986, voce Fallimento, n. 395, e Riv. giur. sarda, 1986, 472).
(2) La sentenza ribadisce la differenza strutturale esistente tra cessio ne di credito e mandato in rem propriam e reputa conseguentemente revocabile, nel secondo caso, la rimessione della somma incassata dalla banca mandataria sul conto corrente intrattenuto presso la stessa dal mandante, poi fallito.
La decisione parte dalla premessa che la differenza tra le menzionate
fattispecie va rivvisata nella circostanza che, mentre la cessione di credi
to produce l'immediato trasferimento della posizione attiva del rappor to obbligatorio ad altro soggetto, che diviene pertanto l'unico legittima to a pretendere la prestazione da parte del debitore ceduto, con il man dato irrevocabile all'incasso viene invece conferita al mandatario solo la legittimazione alla riscossione del credito, di cui rimane tuttavia tito lare il mandante (v., ex plurimis, Cass. 28 agosto 1995, n. 9030, Foro
it., Rep., 1995, voce Obbligazioni in genere, n. 69; 9 settembre 1992, n. 10314, id., Rep. 1993, voce Cessione dei crediti, n. 16; 22 settembre
1990, n. 9650, id., Rep. 1991, voce cit., n. 15). Da ciò si fa conseguire, che una volta fallito il correntista, nel primo
caso potrà essere eventualmente oggetto di azione revocatoria soltanto la cessione del credito, mentre nessuna azione competerà al curatore al fine di recuperare la somma successivamente riscossa dal cessionario, inerendo tale operazione ad un rapporto rispetto al quale il fallito si
presenta in situazione di estraneità; configurandosi un mero mandato in rem propriam all'incasso, invece, ove la somma sia stata incassata anteriormente alla dichiarazione di fallimento, il curatore, se del caso, potrà aggredire (oltre, va da sé, il negozio costitutivo del mandato), anche la successiva riscossione della somma, sempreché ve ne siano le
condizioni; v., sulla problematica, Cass. 20 agosto 1993, n. 8806, in
motivazione, id., Rep. 1994, voce Fallimento, n. 489, e Fallimento, 1994, 142; 18 agosto 1992, n. 9603, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n.
384, e Fallimento, 1993, 164; 19 novembre 1987, n. 8505, nella parte motiva, Foro it.. Rep. 1988, voce cit., n. 435, e Fallimento, 1988, 203; 18 dicembre 1984, n. 6625, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 431; nella
giurisprudenza di merito, da ultimo, App. Venezia 6 luglio 1996, id.,
Rep. 1996, voce cit., n. 388, e Fallimento, 1996, 1219, con nota di
Verdino; e, in precedenza, Trib. Palermo 4 aprile 1991, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 382; Trib. Milano 9 luglio 1987, id., Rep. 1988, voce Contratti bancari, n. 70, e Dir. fallim., 1988, II, 484.
La corte precisa, peraltro, che è ben possibile che il mandato, in rem propriam, concretizzi una vera e propria cessione di credito: ma ciò, a patto che risulti che le parti, ancorché in forma dissimulata, ab biano effettivamente inteso puntualizzare la propria volontà in tal sen
so; v. al riguardo, nelle motivazioni, Cass. 20 agosto 1993, n. 8806, cit.; 25 novembre 1992, n. 12538, Foro it., Rep. 1993, voce Fallimento, n. 342, e Fallimento, 1993, 513; 10 novembre 1992, n. 12091, Foro
it., Rep. 1993, voce cit., n. 343, e Fallimento, 1993, 361; 4 novembre
1992, n. 11966, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 409, e Fallimento, 1993, 287, nonché Dir. fallim., 1993, II, 298.
Sul problema della qualificazione del mandato in rem propriam e della cessione di credito quali mezzi anormali di pagamento, come tali
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
Svolgimento del processo. — Con sentenza del 23 maggio 1995 la Corte d'appello di Torino ha confermato la sentenza
del tribunale della stessa città, il quale aveva ritenuto di natura
solutoria — e non meramente ripristinatoria di provvista — e
quindi aveva revocato, ai sensi dell'art. 67, 2° comma, 1. fall., i versamenti per lire 106.898.949, eseguiti dalla Banca commer
ciale italiana su un conto corrente della s.p.a. Hidromatic nel
l'anno anteriore all'ammissione ad amministrazione controllata
di questa società, poi dichiarata fallita, ed aveva condannato
la banca alla restituzione di detta somma (con interessi) al fal
limento.
Ha affermato la corte, a sostegno della natura solutoria dei
versamenti, che dalla documentazione prodotta (modulo per ri
chiesta di concessione di fido; proposte all'ufficio della banca
incaricato dalla concessione crediti; estratto del libro fidi) emer
geva che la banca aveva concesso alla società due fidi — uno
per sconto di portafoglio commerciale e uno per anticipazioni su divisa export, entrambi fino a somme predeterminate — i
quali non concretavano apertura di credito quale disciplinata dal codice civile — e pertanto era irrilevante stabilire se essi
fossero stati regolati in conto corrente — in quanto non com
portavano l'obbligo della banca di tenere una determinata som
ma a disposizione della società e non facevano acquisire a que sta il diritto di credito della somma stessa.
Ha proposto ricorso per cassazione la soccombente; ha resi
stito con controricorso il fallimento; entrambe le parti hanno
presentato memoria.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo si deduce che la corte d'appello è incorsa in violazione degli art. 1322, 1842
e 1843 c.c. e 67, 2° comma, 1. fall, perché «nel concetto di
apertura di credito rientra ogni impegno della banca, da utiliz
zarsi o meno dal cliente, e che può riferirsi a qualsiasi specie di operazione di credito (credito c.d. per scoperto di cassa; cre
dito all'importazione; credito all'esportazione; anticipazioni su
titoli, ecc.)», e ciò in quanto si determina sempre la messa a
disposizione del cliente di una somma di denaro: e pertanto
revocabili a norma dell'art. 67, 1° comma, n. 2, 1. fall., ovvero quali garanzie (atipiche), soggette alla disciplina di cui all'art. 67, 1° comma, nn. 3 e 4, e 2° comma, 1. fall., v., da ultimo, Cass. 5 luglio 1997, n. 6047, Fallimento, 1996, 1220, e, nella parte motiva, Cass. 20 agosto 1993, n. 8806, cit.; 10 novembre 1992, n. 12091, cit., laddove si affer ma la necessità di distinguere le situazioni dove si ha coincidenza tra
il finanziamento concesso ed il mandato o la cessione (e nelle quali
apparirebbe evidente la creazione di una garanzia [atipica] contestuale
al credito, il cui trattamento giuridico non sembrerebbe poter essere diverso da quello delle garanzie tipiche), da quelle nelle quali l'intesa
tra mandante (o cedente) e mandatario (o cessionario) è invece rivolta
a far acquisire definitivamente al secondo la somma riscossa (situazioni nelle quali, per contro, l'effetto derivante dallo strumento predisposto dalle parti sarebbe indubbiamente solutorio). V., poi, Cass. 25 luglio 1987, n. 6467, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 326, e Fallimento,
1987, 1246, nonché successivamente, nella giurisprudenza di merito, App. Palermo 8 marzo 1991, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 415, e Giur.
comm., 1992, II, 471; Trib. Lecce 21 marzo 1992, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 412, e Fallimento, 1992, 965, con nota critica di Macchia, nelle quali si è invece ritenuto che i negozi de quibus, pur avendo anche
uno scopo di garanzia, abbiano soprattutto funzione solutoria, posto che essi si risolverebbero nella precostituzione di un mezzo sicuro di
pagamento per il mandatario (o cessionario), risultando di conseguenza suscettibili di revocatoria ex art. 67, 1° comma, n. 2,1. fall, quali mezzi
anormali di pagamento, a nulla rilevando la coincidenza del mandato
(o della cessione), con il sorgere del rapporto di credito. Da notare,
poi, Cass. 25 febbraio 1993, n. 2330, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 339, e Fallimento, 1993, 1013, nonché Cass. 25 novembre 1992, n.
12538, cit., che ritengono abbia funzione solutoria l'operazione consi
stente nel conferimento di un mandato irrevocabile all'incasso a garan zia di un'apertura di credito pattuita non già per consentire all'accredi
tato una disponibilità di denaro, né una nuova utilizzazione della prov
vista, bensì per ridurre una pregressa esposizione passiva in conto
corrente. Sulla dibattuta tematica relativa all'ipotesi del mandato in rem pro
priam (o della cessione di credito) non ancora eseguito alla data del
fallimento, infine, v. Cass. 20 agosto 1993, n. 8806, cit.; 4 novembre
1992, n. 11966, cit.; 19 novembre 1987, n. 8505, cit.; 18 dicembre 1984, n. 6625, cit.; 12 marzo 1984, n. 1689, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 424, e Dir. fallim., 1984, II, 398; 26 febbraio 1981, n. 1182, Foro
it., 1982, I, 237.
Il Foro Italiano — 1998.
costituivano apertura di credito i due fidi che la banca aveva
concesso alla società.
Il motivo è infondato. L'art. 1842 c.c. dispone che «l'apertu ra di credito bancario è il contratto con il quale la banca si
obbliga a tenere a disposizione dell'altra parte una somma di
denaro per un dato periodo di tempo o a tempo indetermina to»: dal contratto quindi discendono l'obbligo della banca di
tenere la somma (predeterminata nell'ammontare e per il perio do stabilito) a disposizione del cliente e il (correlato) diritto di costui di disporre della stessa (in più volte e secondo le forme
di uso se non è stato convenuto altrimenti: art. 1843 c.c., oppu re in qualsiasi momento, salvo l'osservanza del termine di preav viso eventualmente pattuito, se l'apertura è regolata in conto
corrente: art. 1852 c.c.). Il connotato fondamentale dell'apertura di credito come di
sciplinata dal codice civile pertanto è che gli effetti che essa
produce, e che sono stati più sopra individuati, derivano diret
tamente o immediatamente dal contratto, nel quale trovano la
loro unica fonte non solo nel senso, ovvio, che la stipulazione del contratto determina la loro insorgenza ma anche nel senso
che la stipulazione è sufficiente senza che occorra che — pur
sempre rimanendo il contratto la fonte degli stessi — debbano
verificarsi ulteriori circostanze o realizzarsi ulteriori condizioni.
Consegue che non concretano l'apertura di credito prevista dal codice civile, e come più sopra individuata, i contratti i qua
li, pur prevedendo la concessione di fido, non determinano con
carattere di immediatezza la insorgenza dell'obbligazione della
banca e del corrispondente diritto di credito del cliente.
Non si vuol cioè prendere posizione sul se anche a detti altri
contratti competa la qualifica di aperture di credito, con tale
espressione intendendosi che (anche) con essi la banca concede
fido al cliente nè sul se a tali contratti si applichi la stessa disci
plina che il codice civile prevede per l'apertura di credito da
esso regolata; si vuol solo affermare che da detti contratti non
scaturiscono quegli effetti tipici del contratto disciplinato dal
codice civile, effetti sulla base dei quali occorre risolvere la que stione che l'attuale controversia pone, e cioè se, al fine della
revocatoria fallimentare, costituiscano o no atti solutori i versa
menti effettuati dalla società sul conto corrente bancario.
Ora, negli altri contratti l'obbligo della banca e il diritto del
cliente non sorgono nella loro concretezza con la stipulazione del contratto ma abbisognano, per la loro insorgenza, della me
diazione di una circostanza esterna al contratto, ulteriore e fu
tura rispetto a questo. In breve, anche in detti contratti, al pari che nella tipica aper
tura di credito, la banca concede un fido al cliente, ma in essi
si conviene non — come invece si pattuisce nella tipica apertura di credito — che con carattere di immediatezza la banca ponga una somma determinata a disposizione del cliente e costui abbia
il diritto di credito di tale somma, ma che il fido sarà concreta
mente operante con la produzione di detti effetti non immedia
tamente ma: a) solo al momento del compimento di determinati
atti o del realizzarsi di determinate condizioni o circostanze e
b) solo nell'ammontare corrispondente (e nel limite dell'intero ammontare del fido) alla concreta operazione correlata a quel
l'atto, a quella condizione o a quella circostanza.
In detti contratti quindi sia l'obbligo della banca che il diritto
di credito del cliente sorgono condizionati sia nella loro esisten
za che nel loro concreto ammontare: prima del verificarsi della
condizione pertanto il cliente non può disporre di alcuna som
ma, e ciò comporta che un eventuale versamento, da parte del
cliente stesso, di somme sul suo conto corrente intrattenuto presso
la banca non potrebbe concretare atto di natura ripristinatoria
della provvista correlata al fido.
Nel senso indicato peraltro è l'orientamento di questa corte
(da ultimo: Cass. 1083/97, Foro it., 1997, I, 1100). Il motivo è pertanto infondato perché con esso si pone la
questione «astratta» della equiparabilità di tutte le concessioni
di fido — o se più piace di tutte le aperture di credito — alla
apertura di credito quale specificamente prevista dal codice civi
le, e cioè con gli effetti dei quali si è detto, e non anche la
questione «concreta» che i fidi specifici che la corte d'appello ha ritenuto concessi avessero prodotto i (medesimi) ripetuti ef
fetti per determinate somme corrispondenti a determinate ope
razioni poste in essere. (Omissis)
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1231 PARTE PRIMA 1232
II
Svolgimento del processo. — Con sentenza in data 3 febbraio
1986 il Tribunale di Cagliari dichiarava il fallimento del Con sorzio I Due.
Con citazione notificata il giorno 8 luglio 1988 il curatore
del fallimento conveniva davanti al Tribunale di Cagliari la s.p.a. Credito italiano, nei confronti della quale chiedeva in via prin cipale la condanna alla restituzione della somma di lire
753.943.000, versata in un conto corrente scoperto intestato al
consorzio I due, oltre ad interessi, rivalutazione monetaria e/o
al risarcimento del danno ex art. 1224 c.c., dalla data dell'in
casso o, in subordine, dalla costituzione in mora della banca; in via subordinata, e salvo gravame, chiedeva che fossero revo
cati e dichiarati inefficaci nei confronti del fallimento, ex art.
67, 2° comma, 1. fall., atti solutori e comunque la rimessa in
conto corrente dell'importo sopra indicato, con accessori.
A fondamento della domanda la curatela esponeva: che il consorzio aveva intrattenuto un rapporto di conto cor
rente bancario (conto n. 27.147) con la filiale di Cagliari del Credito italiano;
che, in virtù di mandato irrevocabile all'incasso per notar Lo
riga del 21 febbraio 1984, la banca aveva riscosso dall'Ufficio
Iva di Cagliari, in nome e per conto del consorzio, la somma
di lire 753.943.000 dovuta al consorzio stesso à titolo di rimbor
so, ed in data 2 dicembre 1985 aveva riversato detta somma
sul conto bancario indicato, che presentava uno scoperto di pa ri ammontare;
che, essendo avvenuta la riscossione in virtù di mandato con
rappresentanza, la somma doveva essere restituita all'ammini
strazione fallimentare o, in subordine, costituendo atto soluto
rio, doveva essere revocato a norma del 2° comma dell'art. 67
1. fall. Il Credito italiano, costituitosi, si opponeva alla domanda,
facendo rilevare che i fatti, come enunciati dalla curatela, erano
parzialmente diversi dalla realtà ed incompleti. Infatti, il mandato irrevocabile alla riscossione del credito da
rimborso di Iva, si innestava nell'ambito di una più ampia ope
razione, concretizzatasi nell'accensione del conto anticipi su Iva
n. 27147 in data 27 febbraio 1984; nella contemporanea stipula
zione, nella stessa data, di un contratto di apertura di credito; nel conferimento alla banca della citata procura all'incasso il
21 febbraio 1984 (registrato il 23 successivo), con funzione di
garanzia dell'anticipazione su rimborso Iva che la banca avreb
be fatto in adempimento dei patti; nella contestuale accensione
del conto corrente n. 27121 sul quale il cliente avrebbe potuto
operare con la valuta messa a disposizione della banca, in virtù
delle indicate pattuizioni. Si aggiungeva che l'incasso del rim
borso Iva, avvenuto il 29 novembre 1985, costituiva l'adempi mento della garanzia contestuale al credito concesso.
Preso atto delle precisazioni e della documentazione fornita
dalla banca (che la curatela assumeva di non aver potuto avere
prima della causa, ancorché richiesta), la curatela proponeva, con citazione notificata il 17 ottobre 1990, una nuova azione nei confronti della banca chiedendo la revoca dei versamenti
nei conti correnti indicati ai sensi dell'art. 67, 1° comma, n.
2, 1. fall, oppure ai sensi dell'art. 67, 2° comma, 1. fall.
Sulle due cause riunite pronunciava il Tribunale di Cagliari
che, con sentenza 22 aprile 1992, dichiarava inefficaci nei con
fronti della massa concorrente i versamenti effettuati dalla ban ca su entrambi i conti correnti n. 27147 e n. 27121 per la com
plessiva somma di lire 753.942.500 con valuta 29 novembre 1985; di conseguenza, in accoglimento delle domande, condannava la
banca alla rifusione del predetto importo, con gli interessi legali dalla costituzione in mora al saldo, e con il maggior danno li
quidato ex art. 1224 c.c. in un ulteriore cinque per cento annuo dalla costituzione in mora al 15 dicembre 1990.
Su appello del Credito italiano, e nel contraddittorio della
curatela, che aveva proposto appello incidentale, pronunciava infine la Corte d'appello di Cagliari che, con sentenza n. 188/94, dava conferma alla pronuncia di primo grado.
Nell'ambito dei motivi di impugnazione proposti, la Corte d'appello di Cagliari motivava la decisione con i seguenti pas
saggi logici: a) Il mandato irrevocabile all'incasso era datato 21 febbraio
1984; il conto anticipi n. 27.147 era stato aperto il 27 febbraio
1984; il conto ordinario n. 27.121 era stato aperto il successivo
Il Foro Italiano — 1998.
giorno 28 febbraio 1984; l'apertura di credito di lire 500.000.000 era stata contabilizzata (addebito) sul c/c n. 27.147, conto che
era rimasto inoperoso, in quanto la provvista era stata accredi
tata sul conto ordinario 27.121 sul quale tutte le operazioni era
no eseguite dal consorzio I Due, conto che, peraltro, venne, a sua volta, congelato dall'aprile 1984 fino a quando non fu
eseguita la rimessa che permise al Credito italiano di recuperare l'intero importo. Il Credito italiano aveva incassato, con valuta
29 novembre 1985, la somma di 753.943.000, provvedendo a
versarne lire 517.500.000 su conto corrente n. 27.147, nonché
la residua somma di lire 236.442.500 sul c/c n. 27121, sul quale erano stati addebitati gli interessi e gli accessori derivanti dal
l'accredito; conseguentemente, il giorno 30 novembre 1985 en
trambi i conti presentavano un saldo zero.
b) La prima questione oggetto di discussione era il termine
di scadenza dell'apertura di credito, apertura di credito che era
stata concessa a termine finale fisso, ritenuto dalla corte del
merito concluso il 31 luglio 1984, secondo la letteralità del do
cumento, mentre la banca lo identificava con la successiva data
di incasso del credito Iva, avvenuto il 29 novembre 1985.
c) Riteneva, inoltre, la corte del merito che il documento con
tenente l'apertura di credito non avesse data certa, sia perché non aveva rilevanza al fine la data del timbro postale che non
faceva corpo unico con il documento contrattuale, sia perché detta certezza non poteva dedursi dall'accensione del conto an
ticipi n. 27.147 e del conto corrente ordinario n. 27.121, mentre
la concessione di fido non risulta dal libro della banca regolar mente vidimato.
d) Secondo la corte di Cagliari il mandato irrevocabile, a nor
ma dell'art. 1723 c.c., conferito dal consorzio al Credito italia
no senza corrispettivo e con obbligo di rendiconto, non rac
chiudeva una cessione di credito a scopo di garanzia e pertanto
l'operazione non costituiva una garanzia contestuale al fido, con
conseguente irrilevanza della successiva riscossione. Non era mai
stato allegato, né provato, che il mandato in rem propriam al
l'incasso fosse simulato e dissimulasse una cessione di credito in garanzia.
D'altronde seguendo la successione degli eventi negoziali, sa
rebbe incomprensibile l'accredito di somme nel conto corrente
del cliente, se questi già in epoca anteriore (dal 21 febbraio 1984) aveva perfezionato la cessione di credito di dette somme a favo
re della banca ai sensi dell'art. 2914, n. 2, c.c. e 45 1. fall., somma di cui, essendone divenuta cessionaria, avrebbe potuto
disporre liberamente, senza rendere il conto al cliente.
e) Essendo venuto a scadere il 31 luglio 1984 il contratto di
apertura di credito in conto corrente ex art. 1842 c.c., senza
che le parti ne avessero convenuto il prolungamento, ne conse
guiva che le rimesse in conto non avevano la funzione di ricosti tuzione di provvista, ma funzione solutoria, per cui esse erano
revocabili ex art. 67, 2° comma, 1. fall., nella presenza della
scientia decoctionis, secondo le condivisibili argomentazioni in proposito del giudice di primo grado.
Avverso detta decisione proponeva ricorso per cassazione il
Credito italiano, sulla base di tre motivi integrati da memoria;
depositava controricorso la curatela del fallimento del consor
zio I Due.
Motivi della decisione. — Preventivamente, e da un punto di vista puramente formale, occorre riunire al ricorso 12849/94
quello 14411/94, pur rilevando che al controricorso della cura
tela è stato dato un numero di ruolo (quello per l'appunto 14411/94) senza che in esso fosse contenuto alcun ricorso inci
dentale, come ben precisato anche dall'aw. Luminoso all'udienza
odierna. Infatti, la parte intimata, al termine del controricorso
ove aveva contestato le tesi proposte dalla ricorrente all'esame
di questa corte, aveva fatto riserva di insistere in sede di rinvio, e nel caso di accoglimento del ricorso, sull'appello incidentale condizionato che la corte del merito non aveva preso in esame
in quanto assorbito dal rigetto dell'appello principale della ban
ca. Nessuna autonoma doglianza era stata sollevata, quindi, dalla
curatela né alcuna domanda essa ha rivolto a questa corte e
sulla quale sia richiesta una pronuncia. L'esame deve essere puntualizzato esclusivamente sui motivi
del ricorso 12849/94 e, in relazione ad essi, sulle situazioni emerse
dalla dialettica delle parti in sede di legittimità. Ricorso 12849/94.
I) Motivo. Con il primo mezzo di cassazione (relativo al con
tratto di apertura di credito ed alla procura all'incasso, nonché
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
alla loro opponibilità al fallimento), la banca ricorrente deduce
la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, in rela
zione all'art. 2704 c.c., ex art. 360, n. 3, c.p.c.
A) In primo luogo la doglianza coglie la sentenza della corte
del merito nella parte relativa alla non opponibilità al fallimen
to del contratto di apertura di credito ex art. 2704 c.c. Sostiene
la banca che la stessa curatela, con la seconda citazione notifi
cata il 17 ottobre 1990 (integrativa della precedente citazione
del 1988) aveva fatto riferimento e prodotto il contratto di aper tura di credito, unitamente al mandato all'incasso, come atto
del fallimento, riconoscendone, quindi, l'anteriorità al fallimento
e la opponibilità. B) Sostiene, ancora, la banca che il collegamento logico tra
i vari atti dell'operazione, come risultanti dagli estratti conto,
costituisce prova della connessione anche cronologica tra gli stessi.
II) Motivo. Con il secondo motivo il Credito italiano deduce
l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un
punto decisivo della controversia ex art. 360, n. 5, c.p.c. in
relazione all'art. 2704 c.c., proponendo doglianze nella stessa
linea logica del primo mezzo di cassazione, peraltro sotto il pro filo del difetto della motivazione e della sua contraddittorietà.
Con la doglianza, in particolare, si ritiene carente la motivazio
ne della sentenza nella parte inerente al mancato rilievo del col
legamento tra i due atti fondamentali della causa (apertura di
credito e mandato all'incasso), ed alla considerazione che la corte
del merito, ampliando l'analisi al rapporto nel suo complesso, ha finito per dare per pacifica la cronologia degli eventi esposta dalla banca.
I due motivi di ricorso, che colgono lo stesso aspetto della
sentenza della Corte d'appello di Cagliari sotto diversi punti di vista, richiedono un esame congiunto.
Indubbiamente, la ricorrente sul punto coglie aspetti di veri
tà, se esaminati isolatamente dal contesto generale nel quale si concretizza la pronuncia della corte di merito, unitamente
peraltro ad aspetti erronei.
È erroneo, infatti, dedurre l'opponibilità alla curatela del con
tratto di apertura di credito dal fatto che gli atti relativi venne
ro prodotti dalla curatela stessa nella seconda causa promossa
(e poi riunita), volta che, come la parte ebbe a dichiarare espres samente in quel grado del giudizio, si trattava delle copie di
atti con la stessa banca aveva prodotto nella prima causa, e
di cui la curatela dichiarava di essere stata originariamente pri va. Non si può, pertanto, ritenere sulla base di quei soli elemen
ti che la produzione da parte della curatela riguardasse atti rin
venuti tra quelli dell'impresa fallita e, come tali, riconosciuti
come anteriori alla soglia degli eventi concorsuali ed opponibili alla massa. Al contrario, si trattava di atti la cui provenienza
(produzione nella prima causa) derivava dalla stessa banca in
epoca successiva alla dichiarazione di fallimento.
Non si può non rilevare, peraltro, che la corte del merito,
nella motivazione della sentenza impugnata, utilizza la discipli na dell'art. 2704 c.c. in maniera particolare, nel senso limitato
della inopponibilità della data dell'atto, ma non dell'atto in quan to tale.
II concetto di certezza di data emergente dall'art. 2704 c.c.,
per le scritture la cui sottoscrizione non sia autenticata, non
concerne necessariamente la collocazione precisa nel tempo del
la redazione di un atto, ma la collocazione temporale in epoca anteriore ad un evento, assunto come indicatore di certezza e
parametro di riferimento. Ad eccezione, infatti, dell'autentica
zione della sottoscrizione (ed anche della rogitazione, con le quali all'atto viene conferita una collocazione temporale certa e de
terminata), gli altri fatti indicati in via esemplificativa dall'art.
2704 c.c. non danno certezza «se non dal giorno in cui la scrit
tura è stata registrata» ovvero si verifichi uno degli altri ele
menti di certezza; essi danno, vale a dire, la certezza nei con
fronti del terzo che l'atto è anteriore al fattore assunto a para
metro certo di riferimento. Di quanto, peraltro, quell'atto sia
anteriore a detto parametro di riferimento temporale, e se esso
sia contemporaneo, o non, ad altro fatto anteriore, non è situa
zione che derivi dai criteri dell'art. 2704, ma che debbono esse
re provati da chi sia onerato dalla dimostrazione relativa, se
condo gli ordinari criteri della prova. In presenza di un fallimento, che priva il fallito del potere
di disposizione patrimoniale oltre la soglia della concorsualità
sistematizzata, identificabile con la dichiarazione di fallimento,
la mancanza di certezza di data anteriore alla dichiarazione di
Il Foro Italiano — 1998.
fallimento rende inopponibile, non solo la data apparente, ma
l'atto in quanto tale (in tale caso la non opponibilità dell'atto
assume la funzione di inefficacia, relativa alla massa passiva del fallimento) alla massa che assuma, nella singola controver
sia, la posizione di terzo rispetto al rapporto controverso.
Nella specie, però, la corte del merito non ha assunto la man canza di certezza di data dell'atto da cui avrebbe tratto origine
l'apertura di credito (confutando che certezza derivasse dal tim
bro postale, non coinvolgente materialmente parte della scrittu
ra), per sostenere l'inopponibilità dell'atto stesso alla massa, ma semplicemente per affermare che non vi era certezza di con
temporaneità con gli altri atti dell'operazione complessa dedot
ta in controversia dalla banca.
In effetti il problema dell'inopponibilità dell'atto (la scrittura
con cui sarebbe stato instaurato il rapporto di apertura di credi
to) alla massa fallimentare, non solo non è stato posto dalla
corte cagliaritana, ma essa ha assunto in tutta la sua motivazio
ne una posizione del tutto opposta, concretizzata nella sussi
stenza dell'apertura di credito (e quindi la sua efficacia nei con
fronti del fallimento) in data anteriore alla dichiarazione di fal
limento, tanto che proprio in ordine alla sussistenza di detto
rapporto ed al contenuto dell'atto (si consideri il rilievo dato
dalla corte del merito al termine finale del rapporto di apertura di credito, scaduto anteriormente all'apertura del fallimento, in
relazione al quale l'incasso del rimborso Iva, ed il versamento
in conto, è stato considerato atto solutorio revocabile) è stato
impostato l'accoglimento delle pretese revocatone della curatela.
Ha ragione, dunque, la ricorrente a sostenere l'opponibilità
dell'apertura di credito alla procedura concorsuale, secondo la
trattazione data all'argomento dalla corte del merito, ma ciò
non evidenzia né illogicità motivazionale, né la violazione di
legge sostenuta dalla ricorrente da parte della corte del merito, volta che la sentenza impugnata ha impostato l'accoglimento delle pretese revocatorie della curatela proprio sulla sussistenza
di detto rapporto e sulla valutazione delle clausole (rapporto a scadenza fissa) quali risultavano dalla lettera-contratto, priva di certezza di data, ma comunque ritenuta pur sempre pacifica mente anteriore alla soglia della concorsualità.
Come già rilevato, quindi, la corte di Cagliari ha svolto l'ar
gomento relativo alla mancanza di certezza di data per il con
tratto di apertura di credito, non al fine di escluderne l'anterio
rità al fallimento (che invece è pacificamente presupposta), ma
al fine di escludere la coincidenza temporale tra il mandato in
rem propriam (che aveva una collocazione temporale precisa in quanto contenuto in un rogito) e l'apertura di credito, rite
nuto come presupposto della contestualità logica tra i predetti atti.
Sul punto, peraltro, è difficile comprendere quale sia il rilie
vo nella causa della distinzione effettuata dalla corte del meri
to. L'esclusione, infatti, della contestualità che si vorrebbe con
seguire mediante l'esclusione della certezza di data di uno degli atti componenti, in ipotesi, un'operazione complessa, avrebbe
rilievo allorché si intendesse escludere la contestualità tra una
garanzia ed un credito secondo una delle fattispecie revocatorie
dell'art. 67, 2° comma, 1. fall.
La causa, però, ha trovato soluzione, nella sentenza della corte
del merito, non sul piano della garanzia, ma, con riferimento
ad altra fattispecie compresa nel 2° comma dell'art. 67 1. fall., nella quale non viene coinvolta la figura della garanzia del cre
dito (la corte del merito ha escluso espressamente che il manda
to in rem propriam di cui la banca si era avvalsa integrasse una cessione di credito in garanzia, e ciò indipendentemente dalla data dell'atto), ma quella, ritenuta sussistente, dell'atto
solutorio di un debito liquido ed esegibile. Sotto questa prospettiva la stessa distinzione fatta dalla corte
del merito tra l'inopponibilità della data della scrittura conte
nente le clausole dell'apertura di credito e l'opponibilità del con
tratto in quanto tale, finisce per essere privo di rilievo in causa
e privi di rilievo sono anche i due motivi di ricorso in esame
che sul punto si soffermano, in quanto superati da tutta l'argo
mentazione svolta dalla sentenza impugnata, e sulla cui base
la questione ha trovato in quel grado soluzione; argomentazio ne che la banca ha reso oggetto di doglianza con il terzo mezzo
di cassazione.
Ili) Motivo. Con il terzo motivo (indicato come primo relati
vo ad argomento sub B), in relazione alla procura all'incasso
e sul diritto di prelazione per debiti contestualmente creati, il
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1235 PARTE PRIMA 1236
Credito italiano deduce la violazione e la falsa applicazione di
norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c., in relazione al combi
nato disposto degli art. 1723, 1264 e 1362 c.c. ed all'art. 67, 2° comma, 1. fall., sulla revocabilità del diritto di prelazione
per debiti contestualmente creati.
Sostiene la ricorrente che dalla contestualità logica tra le va
rie fasi dell'operazione (non necessariamente coincidente con la
contemporaneità degli atti) emerge il collegamento tra la garan zia (garanzia impropria), insita nel mandato irrevocabile alla
riscossione, e la concessione del credito.
Ciò renderebbe irrevocabile ex art. 67, 2° comma, 1. fall., il contratto complesso, perché costitutivo di un diritto di prela zione (garanzia impropria), per un debito contestualmente crea
to oltre un anno prima della dichiarazione di fallimento, ed
altrettanto irrevocabile il rimborso, avvenuto in attuazione di
patti. Dalla negazione della garanzia e della contestualità della stes
sa con il credito (negazione che, in tesi, traviserebbe il significa to dell'operazione), deriverebbe la posizione della corte del me
rito che ha individuato l'altra ipotesi di revocabilità prevista dal 2° comma dell'art. 67 1. fall., riferita agli atti solutori.
Con il mezzo di cassazione in esame, vengono proposte due
linee di censura tra di loro coordinabili, ma con caratteri di
distinzione: l'una diretta a negare che il contratto di apertura di credito avesse un termine fisso di scadenza (individuato dalla
corte d'appello nel 31 luglio 1984), sostenendo che la correla
zione con il mandato irrevocabile all'incasso dovrebbe portare ad interpretare l'atto nel senso della coincidenza della scadenza
predetta con la data di pagamento dei crediti Iva oggetto del
mandato irrevocabile all'incasso; l'altra volta ad individuare nel
mandato predetto una funzione di garanzia connessa alla figura di cessione del credito, funzione di garanzia rilevante a sua vol
ta sotto un duplice profilo, e cioè: rendendo la banca titolare
del credito oggetto di mandato ad exigendum in data anteriore
al fallimento (con conseguente non revocabilità delle rimesse
in conto del credito riscosso), ed inoltre rendendo la garanzia, assertivamente contestuale all'apertura di credito e prestata an
teriormente all'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, non revocabile ai sensi del 2° comma dell'art. 67 1. fall.
La prima linea logica indicata tende a delineare le rimesse
del credito Iva riscosso dalla banca, come rimessa in conto cor
rente sorretto da apertura di credito operativa con funzione ri
pristinatoria di provvista, e come tale non revocabile secondo
l'indirizzo segnato da questa corte con la sentenza 18 ottobre
1982, n. 5413 (Foro it., 1983, I, 69); la seconda linea logica tende ad escludere che la rimessa in conto abbia funzione solu
toria sotto il diverso profilo della sottesa cessione di credito, sia pure a fine di garanzia, nella duplice prospettazione indicata.
Peraltro, le argomentazioni svolte dalla corte del merito in
ordine al termine di scadenza dell'apertura di credito non sono
vulnerate dalla doglianza della banca ricorrente. Da un lato,
infatti, vi è il tenore letterale del documento, valorizzato dalla
corte di Cagliari la quale ritenne che la volontà delle parti sul
punto risultava dal normale significato delle espressioni usate
nell'atto, rilevando «nella specie la scadenza del 31 luglio 1984
è inequivoca e non si intende quale altro significato, se non
quello letterale, possa attribuisi allo scritto». D'altro lato, l'in
terpretazione sistematica suggerita dalla ricorrente non è neces
sariamente coerente alla supposta intenzione effettiva delle par ti. Considerato, infatti, che le parti avrebbero stipulato l'aper tura di credito alcuni giorni dopo il conferimento del mandato
(secondo le date apposte sul documento), ad esse avrebbe dovu
to essere ben presente il precedente mandato, per cui, se avesse
ro inteso determinare quel collegamento temporale oggi soste
nuto dalla banca, al pagamento del credito Iva avrebbero vero
similmente fatto espresso riferimento. Il fatto che invece venne fissata una data precisa per la scadenza dell'apertura di credito, dimostra che l'elemento temporale indicato nella scrittura era
coincidente alla volontà effettiva delle parti, salvo successivo
prolungamento di cui, peraltro, non è stata data prova alcuna.
Essendo, quindi, avvenuta la rimessa in conto scoperto in
epoca successiva all'esaurimento della funzione dell'apertura di
credito, non era più ipotizzabile alcuna ipotesi di ricostituzione
di provvista ed il versamento assumeva la semplice funzione
solutoria di un debito scaduto, sotto il profilo ora esaminato.
La diversa e più complessa prospettazione della banca ricor
rente, secondo la distinta linea logica cennata, si àncora alla
Il Foro Italiano — 1998.
tesi secondo cui il mandato irrevocabile all'incasso, nella sua
connessione logica e funzionale con un'apertura di credito rego lata in conto corrente, integri una forma di garanzia caratteriz
zata dalla cessione attuale del credito, per cui già all'atto del
rilascio della procura di credito di Iva sarebbe entrato nel patri monio della banca ed il mandante, già da quel momento, avrebbe
rinunciato alla pretesa avente ad oggetto la restituzione delle
somme pagate dal terzo.
Peraltro, l'equiparazione tra mandato irrevocabile all'incasso
e la cessione del credito con funzione di garanzia non è fonda
tamente sostenibile, sulla base della semplice configurazione del
tipo negoziale indicato, salvo che le parti, ancorché in forma
dissimulata (a parte l'opponibilità al fallimento del negozio dis
simulato), sull'ipotesi di cessione del credito con funzione di
garanzia abbiano effettivamente inteso puntualizzare la loro vo
lontà. Le stesse sentenze di questa corte richiamate dalla ricor
rente (Cass. 4 novembre 1992, n. 11966, id., Rep. 1993, voce
Fallimento, n. 409; 25 novembre 1992, n. 12538, ibid., n. 342) non risolvono necessariamente il mandato all'incasso in rem pro
priam nella cessione di credito con finalità di garanzia, dato
che detta caratteristica hanno ravvisato con riferimento ad una
situazione di simulazione relativa di cui vi fosse prova, legitti mando determinati effetti quando il mandato «integri» una ces
sione di credito, non affermando che detto mandato «integra» una cessione, ma richiedendo la precisa dimostrazione della vo
lontà delle parti in tale senso.
D'altronde, è insegnamento di questa corte, cui si ritiene di
dovere dare adesione e continuità (Cass. 22 settembre 1990, n.
9650, id., Rep. 1991, voce Cessione dei crediti, n. 15), che la
cessione del credito ed il mandato irrevocabile all'incasso confe rito anche nell'interesse del mandatario, ancorché utilizzabili per finalità solutorie o di garanzia impropria, sono figure distinte,
posto che la prima produce l'immediato trasferimento della po sizione attiva del rapporto obbligatorio ad altro soggetto che
diviene l'unico legittimato a pretendere la prestazione del debi
tore ceduto, mentre con il mandato del tipo indicato viene con
ferita al mandatario solo la legittimazione alla riscossione del
credito, di cui resta titolare il mandante. Esiste, quindi, tra le
due figure una distinzione di cause e di effetti, e la stessa fun
zione di garanzia impropria, è perseguibile nelle due ipotesi con
modalità diverse. Nella cessione del credito, la funzione di ga ranzia si pone come clausola limitativa e risolutoria della ces
sione stessa, una volta che l'entità del riscosso soddisfi l'entità
del debito; nel mandato irrevocabile all'incasso la garanzia si
realizza in forma empirica e di fatto come conseguenza della
disponibilità del credito verso il terzo in previsione della possi bilità solutoria al momento dell'incasso. L'irrevocabilità del man
dato è l'indice dell'interesse del mandatario ad assumere con carattere di certezza e di unicità la disponibilità di fatto del
credito e della somma, al momento della riscossione, per la fi
nalità solutoria. Fin quando, peraltro, l'incasso e la destinazio
ne a soluzione dei pregressi crediti del mandatario non si realiz
zi, persiste la titolarità distinta, sempre in testa al mandante, sia della situazione creditoria verso il terzo debitore destinatario del mandato, sia della situazione debitoria verso il mandatario.
Né la configurazione delle situazioni muta, qualora mandataria
sia una banca presso la quale il mandante intrattenga un rap
porto di conto corrente. Ed invero, in presenza di un contratto
di apertura di credito regolato in conto corrente operativo, l'in
casso e la rimessione sul conto può assumere la funzione di
reintegra di provvista; in presenza di un credito della banca sca
duto ed esigibile, la rimessione sul conto assume solo una fun
zione solutoria. Si tratta, quindi, in questo caso di una garanzia di mero fatto, nel senso di una cautela volta a maggiorare le
probabilità di soddisfazione del creditore-mandatario, una vol
ta che rientri nella sua disponibilità la gestione dell'incasso dei crediti verso terzi e la titolarità del credito verso il mandante.
Né può fondatamente sostenersi, come affermato dalla banca
ricorrente, che il mandante, già all'atto del rilascio della procu ra, avrebbe rinunciato alla pretesa avente ad oggetto la restitu
zione delle somme pagate dal terzo. La situazione ora indicata
è coerente alla figura della cessione del credito, non a quella del mandato irrevocabile all'incasso, nella quale il mandante
non perde la titolarità del proprio credito verso il terzo, avendo
conferito alla banca solo una legittimazione all'incasso, irretrat
tabile solo in virtù dell'interesse della banca alla garanzia di
fatto ora indicata.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La corte del merito, ponendo la questione nella giusta pro
spettiva, ha rigettato la tesi sostenuta dalla banca, rilevando
con una motivazione completa e coerente: che il Credito italia
no nel primo grado di giudizio non aveva per nulla sostenuto
la sussistenza di una cessione di credito a favore della banca; che i documenti prodotti non fornivano la benché minima di mostrazione dell'esistenza della volontà delle parti di cedere alla
banca il credito Iva, sia pure nei limiti della funzione di garan
zia; che la banca non aveva né allegato né dimostrato che il
mandato in esame dissimulasse una cessione di credito, sia pure con funzione di garanzia; che anche dalla correlazione tra il
mandato e l'apertura di credito non emergeva alcuna volontà
delle parti nel senso della cessione, tanto che le somme riscosse
dalla banca avrebbero dovuto comunque transitare, come poi
avvenne, sul conto intestato alla società poi fallita con previsio ne di obbligo di rendiconto, situazioni non coerenti con la pro
spettata titolarità dei crediti di Iva assertivamente conseguita dalla banca.
Vi fu, quindi, da parte della corte cagliaritana una valutazio
ne dei rapporti negoziali, non limitata alla lettera dei documenti
prodotti, ma estesa alla loro correlazione sistematica che soddi
sfa i principi normativi sull'interpretazione dei contratti e non
è violatrice di norme di diritto, secondo le linee logiche indicate.
La funzione di garanzia, empirica e di fatto, quale è inerente
al mandato irrevocabile all'incasso, è sufficiente a giustificare la correlazione logica tra i contratti richiamati, sul piano degli interessi dalle parti perseguiti, senza che l'ipotesi della cessione
del credito, sia pure con clausola risolutoria nei limiti della ga
ranzia, emerga da prova alcuna, documentale o logica. Né questa garanzia di mero fatto, caratterizzata dall'aspetta
tiva dell'incasso del credito ceduto e dalla previsione della pos sibilità solutoria mediante il versamento di conto scoperto, as
sume rilievo sotto il profilo della non revocabilità, decorso l'an
no, delle garanzie contestuali al credito. A parte il rilievo che
la garanzia in questione, come già indicata, non concretizza al
cun diritto di prelazione in senso giuridico, resta pur sempre il fatto che la prospettazione indicata gioverebbe alla ricorrente
sol quando la non revocabilità del mandato in rem propriam si concretizzasse nella non revocabilità di una cessione di credi
to, sia pure nei limiti della funzione di garanzia, nella specie non individuabile, per i motivi già esposti. In presenza, invece, di una mera garanzia di fatto concretizzata dalla legittimazione esclusiva alla riscossione del credito, e dall'aspettativa dell'in
casso per la rimessa in conto scoperto, la non revocabilità del
mandato non esclude la revocabilità autonoma dell'atto soluto
rio, che all'esecuzione del mandato consegue, secondo le alter
native ipotesi del 2° comma dell'art. 67 1. fall.
Sulla base delle argomentazioni svolte, la corte ritiene che
il ricorso non meriti accoglimento.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 22 agosto
1997, n. 7874; Pres. Santojanni, Est. Foglia, P.M. Marto
ne (conci, conf.); Soc. Ferrovie dello Stato (Aw. Scognami
glio) c. Ferrante. Conferma Trib. Napoli 27 dicembre 1993.
Lavoro (rapporto di) — Adibizione a mansioni superiori — Fer
rovie dello Stato — Comunicazione tardiva del nominativo
del sostituito — Conseguenze (Cod. civ., art. 2103; 1. 20 mag
gio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei
lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindale nei luo
ghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 13).
L'art. 41 ccnl 23 giugno 1988 relativo al rapporto di lavoro
dei ferrovieri è correttamente interpretato dal giudice di meri
to nel senso che non è consentito al datore di lavoro di impe dire — attraverso una comunicazione delle ragioni dell'attri
buzione di mansioni superiori e del nominativo del dipenden te sostituito fatta successivamente al momento di adibizione
alle nuove mansioni (nella specie, decorso integralmente tale
Il Foro Italiano — 1998.
periodo) — che il lavoratore che abbia in tali mansioni conti
nuativamente sostituito per oltre tre mesi ovvero per oltre cen
tottanta giorni discontinui, altro dipendente con diritto alla
conservazione del posto, acquisisca il diritto alla definitiva
assegnazione al profilo superiore. (1)
Motivi della decisione. — Con un unico motivo di ricorso
deduce l'ente la violazione e falsa applicazione degli art. 2103, 2697 c.c. nonché degli art. 1362 ss. c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), oltre a carenza e contraddittorietà della motivazione su un pun to essenziale della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.).
Osserva l'ente appellante che il Ferrante era stato chiamato
a sostituire altro dipendente — tale Casale — inviato in missio
ne presso un diverso impianto, per novanta giorni. Protrattasi
questa missione oltre il termine prefissato, il Casale aveva per duto — alla stregua della disciplina collettiva — il diritto alla
conservazione del posto, sicché solo da questo momento (21
aprile 1988) era cominciato a decorrere il periodo considerato
dall'art. 2103 c.c. per la maturazione del diritto alla promozio ne. Tutto ciò risultava — secondo quanto prescritto dall'art.
41, 4° comma, del contratto collettivo — dalle deliberazioni
aziendali con le quali era stata disposta l'utilizzazione del Fer
rante nelle mansioni superiori in sostituzione di altro dipenden
te, ivi nominativamente individuato, avente diritto alla conser
vazione del posto. A giudizio dell'appellante, erroneamente, il giudice di appello
aveva inteso la clausola collettiva nel senso che la comunicazio
ne della causa della sostituzione e del nominativo del lavoratore
sostituito, dovesse avvenire contestualmente all'adibizione alle
mansioni superiori. Si tratterebbe di affermazione del tutto apo dittica e non suffragata da una legittima e ragionevole esegesi della clausola controversa la cui ratio (di porre in grado il lavo
ratore sostituto di valutare la conformità del comportamento dell'ente alla rigorosa disciplina della vicenda) potrebbe, se mai, indurre a ritenere che la comunicazione debba avvenire in ter
mini ragionevolmente brevi, ma non necessariamente contestua
li. Soggiunge il ricorrente che il principio di libertà negoziale
impone di ritenere che l'esercizio dei poteri datoriali, anche in
questa fattispecie, deve potersi svolgere in termini di congrua
discrezionalità, tenuto anche conto di esigenze tecniche o dei
c.d. «tempi di ufficio». Sennonché, il tribunale avrebbe dovuto
indagare se nel caso di specie le comunicazioni dei provvedi menti fossero seguite con un ritardo tale da impedire al lavora
tore ogni riscontro sulla rispondenza al vero che il lavoratore
sostituito si fosse allontanato dal servizio per una causa che
gli dava diritto alla conservazione del posto. E avrebbe dovuto
tener conto delle deduzioni dell'ente convenuto che la prima delibera di sostituzione risultava controfirmata dal dipendente medesimo per accettazione, mentre la seconda delibera era stata
(1) Non si rinvengono precedenti di legittimità in termini, anche per ché, diversamente da quanto fatto dalla sentenza in epigrafe, è princi pio giurisprudenziale consolidato che l'interpretazione dei contratti col
lettivi di diritto comune sia devoluta al giudice di merito e sia censura bile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione e violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (tra le ultime, Cass. 17 gen naio 1997, n. 435, Foro it., Mass., 43). Per una interpretazione confor me della medesima clausola contrattuale collettiva, cfr., appunto nella
giurisprudenza di merito, Trib. Napoli 21 febbraio 1991, id., Rep. 1992, voce Lavoro (rapporto), n. 852; contra, Pret. Prato 21 marzo 1991,
ibid., n. 855, e Pret. Firenze 11 dicembre 1990, ibid., n. 856, secondo
cui è sufficiente che la delibera di sostituzione sia consegnata al sostitu
to in un tempo ragionevole. Pret. Livorno 23 aprile 1991, ibid., n. 854, ha ritenuto che mentre è necessario che la notizia dell'esigenza debba
essere data al sostituto all'atto della sostituzione, ma con qualsiasi mez
zo, anche orale o telefonico, la comunicazione scritta del nome del so stituito e della causa dell'esigenza possa essere data successivamente, ma entro il termine per la maturazione del diritto; così anche Pret.
Milano 10 giugno 1994, est. de Angelis, Cambrea c. Soc. Ferrovie dello
Stato, inedita. Per ulteriori riferimenti, anche a giurisprudenza inedita, cfr. F. Petracci, Inquadramento e progressione in carriera dei dipen denti delle Ferrovie dello Stato: il ruolo della giurisprudenza di merito, in Riv. giur. lav., 1995, II, 657. Su aspetti vari relativi alla contrattazio ne collettiva dei ferrovieri, ivi compresa la progressione di carriera, cfr.
P. Tosi, A. Uberti, La privatizzazione «progressiva» del rapporto di
lavoro dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato, in Quaderni dir. lav.
relazioni ind., 1995, fase. 18, 73; P. Bertozzi, G. Sambucini, Com
mento all'accordo di rinnovo del ccnl ferrovieri, in Dir. e pratica lav.,
1995, 1019.
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