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sezione I civile; sentenza 6 settembre 1997, n. 8662; Pres. Sensale, Est. De Musis, P.M. Giacalone...

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sezione I civile; sentenza 6 settembre 1997, n. 8662; Pres. Sensale, Est. De Musis, P.M. Giacalone (concl. conf.); Banca commerciale italiana (Avv. Ciccotti, Fioretta) c. Fall. soc. Hydromac (Avv. E. Romanelli, Jorio). Conferma App. Torino 23 maggio 1995 Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 4 (APRILE 1998), pp. 1227/1228-1237/1238 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193226 . Accessed: 28/06/2014 14:00 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.37 on Sat, 28 Jun 2014 14:00:59 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 6 settembre 1997, n. 8662; Pres. Sensale, Est. De Musis, P.M. Giacalone(concl. conf.); Banca commerciale italiana (Avv. Ciccotti, Fioretta) c. Fall. soc. Hydromac (Avv.E. Romanelli, Jorio). Conferma App. Torino 23 maggio 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 4 (APRILE 1998), pp. 1227/1228-1237/1238Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193226 .

Accessed: 28/06/2014 14:00

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1227 PARTE PRIMA 1228

una pronuncia sul merito, avrebbe potuto solo proporre regola mento necessario di competenza (art. 42 c.p.c.).

Il Melita, allora, in presenza di una dichiarazione di incom

petenza del tribunale in merito alla domanda di opposizione alla stima, se avesse inteso contestare l'esattezza della decisione

non avrebbe avuto che l'alternativa di proporre regolamento di competenza o di riassumere la causa innanzi al giudice com

petente nel termine stabilito dall'art. 50 c.p.c. Nel primo caso,

il termine per la riassunzione sarebbe rimasto sospeso fino alla

decisione della Corte di cassazione.

Essendo, nella specie, decorso il termine di trenta giorni dalla

notifica della sentenza per poter ricorrere a tale mezzo d'impu

gnazione, alla parte interessata che intendeva semplicemente ot

tenere una pronuncia di merito sulla causa di opposizione alla

stima, non restava che riassumere la causa innanzi al giudice dichiarato competente per materia (la corte d'appello) nel ter

mine fissato dal primo giudice (art. 50 c.p.c.).

Questo onere non fu osservato dal Melita, il quale, pur in

mancanza di un'impugnazione della dichiarazione di incompe

tenza, procedette alla riassunzione della causa oltre i sessanta

giorni, fissati dal tribunale, dalla notifica della sentenza d'in

competenza. Quindi, in accoglimento dell'eccezione formulata

dallo Snam il processo di opposizione alla stima doveva essere

dichiarato estinto.

II primo motivo del ricorso principale deve, in conclusione, essere accolto. (Omissis)

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 6 settem

bre 1997, n. 8662; Pres. Sensale, Est. De Musis, P.M. Gia

calone (conci, conf.); Banca commerciale italiana (Avv. Cic

cotti, Fioretta) c. Fall. soc. Hydromac (Avv. E. Romanel

li, Jorio). Conferma App. Torino 23 maggio 1995.

Fallimento — Revocatoria fallimentare — Fido non concretiz

zante apertura di credito — Rimessa su conto passivo — Na

tura solutoria — Conseguenze (Cod. civ., art. 1842, 1852; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 67).

Non concretano apertura di credito quale disciplinata dal codi

ce civile i contratti i quali, pur prevedendo la concessione

di un fido, subordinano l'insorgenza degli obblighi reciproci tra banca e cliente al verificarsi di circostanze esterne al con

tratto, ulteriori e future rispetto a questo; ne consegue, che

un eventuale versamento di somme sul proprio conto passivo, effettuato anteriormente al verificarsi della prevista circostan

za da parte del correntista, poi fallito, è revocabile a norma

dell'art. 67, 2° comma, l. fall., non potendo avere natura

ripristinatoria della provvista correlata al fido. (1)

(1) La sentenza afferma non essersi in presenza di una vera e propria apertura di credito, quale prevista e disciplinata dal codice civile, ogni qualvolta l'insorgenza dell'obbligazione della banca e del corrisponden te diritto di credito del cliente non derivino direttamente e immediata mente dal contratto, ma siano subordinati al verificarsi di ulteriori cir costanze o al realizzarsi di ulteriori condizioni. Da ciò viene fatta

conseguire la revocabilità ex art. 67, 2° comma, 1. fall., delle rimesse

eseguite sul conto passivo del fallito, non potendo esse avere natura

ripristinatoria di alcuna provvista. Giova notare, che, nella specie, la corte ha enunciato tale principio,

in termini generali, avendo in esame un'ipotesi caratterizzata dall'esi stenza di un c.d. «castelletto di sconto» e di un fido per anticipazioni su divisa export-, linee di credito queste che, seppur qualificabili en trambe con l'espressione «fido» o «affidamento», vanno tenute ben distinte dall'apertura di credito di cui all'art. 1842 c.c., non comportan do l'immediata disponibilità di una somma di denaro per il correntista. V., al riguardo, Cass. 5 febbraio 1997, n. 1083, Foro it., 1997, I, 1100, con osservazioni di M. Caputi, e, successivamente, 20 maggio 1997,

Il Foro Italiano — 1998.

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 23 luglio

1997, n. 6882; Pres. Corda, Est. Bibolini, P.M. Di Zenzo

(conci, conf.); Credito italiano (Avv. Lovelli, Mandas) c.

Fall. Consorzio I Due (Avv. Palermo, Luminoso); Fall. Con

sorzio I Due c. Credito italiano. Conferma App. Cagliari 7

luglio 1994.

Fallimento — Revocatoria fallimentare — Mandato irrevocabi

le all'incasso — Realizzazione di cessione di credito — Fatti

specie (Cod. civ., art. 1260, 1842; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 67).

Nell'ipotesi in cui il correntista, a fronte di un'apertura di cre

dito, conferisca alla banca mandato irrevocabile all'incasso

di una somma dovuta da terzi può essere oggetto di azione

revocatoria fallimentare il solo negozio costitutivo della ga

ranzia, e non anche l'incasso della somma da parte della ban

ca, unica legittima a pretenderlo; diversamente, il correntista

conserva la titolarità sia della situazione creditoria verso il

terzo debitore, sia della situazione debitoria verso la banca

mandatario; con la conseguenza che può essere oggetto di azio

ne revocatoria fallimentare non solo il mandato, ma anche

l'incasso della somma da parte di quest'ultima (nella specie, è stata revocata la rimessione della somma sul conto scoperto del fallito, in quanto avente natura solutoria). (2)

ibid., n. 4473, ibid., 2089, con osservazioni di M. Caputi; cui adde, Tarzia, Castelletto di sconto e revocatoria fallimentare, in Fallimento, 1996, 121; nonché, specificamente per l'ipotesi del fido per anticipazio ni su divisa export, Trib. Cagliari 27 marzo 1985, Foro it., Rep. 1986, voce Fallimento, n. 395, e Riv. giur. sarda, 1986, 472).

(2) La sentenza ribadisce la differenza strutturale esistente tra cessio ne di credito e mandato in rem propriam e reputa conseguentemente revocabile, nel secondo caso, la rimessione della somma incassata dalla banca mandataria sul conto corrente intrattenuto presso la stessa dal mandante, poi fallito.

La decisione parte dalla premessa che la differenza tra le menzionate

fattispecie va rivvisata nella circostanza che, mentre la cessione di credi

to produce l'immediato trasferimento della posizione attiva del rappor to obbligatorio ad altro soggetto, che diviene pertanto l'unico legittima to a pretendere la prestazione da parte del debitore ceduto, con il man dato irrevocabile all'incasso viene invece conferita al mandatario solo la legittimazione alla riscossione del credito, di cui rimane tuttavia tito lare il mandante (v., ex plurimis, Cass. 28 agosto 1995, n. 9030, Foro

it., Rep., 1995, voce Obbligazioni in genere, n. 69; 9 settembre 1992, n. 10314, id., Rep. 1993, voce Cessione dei crediti, n. 16; 22 settembre

1990, n. 9650, id., Rep. 1991, voce cit., n. 15). Da ciò si fa conseguire, che una volta fallito il correntista, nel primo

caso potrà essere eventualmente oggetto di azione revocatoria soltanto la cessione del credito, mentre nessuna azione competerà al curatore al fine di recuperare la somma successivamente riscossa dal cessionario, inerendo tale operazione ad un rapporto rispetto al quale il fallito si

presenta in situazione di estraneità; configurandosi un mero mandato in rem propriam all'incasso, invece, ove la somma sia stata incassata anteriormente alla dichiarazione di fallimento, il curatore, se del caso, potrà aggredire (oltre, va da sé, il negozio costitutivo del mandato), anche la successiva riscossione della somma, sempreché ve ne siano le

condizioni; v., sulla problematica, Cass. 20 agosto 1993, n. 8806, in

motivazione, id., Rep. 1994, voce Fallimento, n. 489, e Fallimento, 1994, 142; 18 agosto 1992, n. 9603, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n.

384, e Fallimento, 1993, 164; 19 novembre 1987, n. 8505, nella parte motiva, Foro it.. Rep. 1988, voce cit., n. 435, e Fallimento, 1988, 203; 18 dicembre 1984, n. 6625, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 431; nella

giurisprudenza di merito, da ultimo, App. Venezia 6 luglio 1996, id.,

Rep. 1996, voce cit., n. 388, e Fallimento, 1996, 1219, con nota di

Verdino; e, in precedenza, Trib. Palermo 4 aprile 1991, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 382; Trib. Milano 9 luglio 1987, id., Rep. 1988, voce Contratti bancari, n. 70, e Dir. fallim., 1988, II, 484.

La corte precisa, peraltro, che è ben possibile che il mandato, in rem propriam, concretizzi una vera e propria cessione di credito: ma ciò, a patto che risulti che le parti, ancorché in forma dissimulata, ab biano effettivamente inteso puntualizzare la propria volontà in tal sen

so; v. al riguardo, nelle motivazioni, Cass. 20 agosto 1993, n. 8806, cit.; 25 novembre 1992, n. 12538, Foro it., Rep. 1993, voce Fallimento, n. 342, e Fallimento, 1993, 513; 10 novembre 1992, n. 12091, Foro

it., Rep. 1993, voce cit., n. 343, e Fallimento, 1993, 361; 4 novembre

1992, n. 11966, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 409, e Fallimento, 1993, 287, nonché Dir. fallim., 1993, II, 298.

Sul problema della qualificazione del mandato in rem propriam e della cessione di credito quali mezzi anormali di pagamento, come tali

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

I

Svolgimento del processo. — Con sentenza del 23 maggio 1995 la Corte d'appello di Torino ha confermato la sentenza

del tribunale della stessa città, il quale aveva ritenuto di natura

solutoria — e non meramente ripristinatoria di provvista — e

quindi aveva revocato, ai sensi dell'art. 67, 2° comma, 1. fall., i versamenti per lire 106.898.949, eseguiti dalla Banca commer

ciale italiana su un conto corrente della s.p.a. Hidromatic nel

l'anno anteriore all'ammissione ad amministrazione controllata

di questa società, poi dichiarata fallita, ed aveva condannato

la banca alla restituzione di detta somma (con interessi) al fal

limento.

Ha affermato la corte, a sostegno della natura solutoria dei

versamenti, che dalla documentazione prodotta (modulo per ri

chiesta di concessione di fido; proposte all'ufficio della banca

incaricato dalla concessione crediti; estratto del libro fidi) emer

geva che la banca aveva concesso alla società due fidi — uno

per sconto di portafoglio commerciale e uno per anticipazioni su divisa export, entrambi fino a somme predeterminate — i

quali non concretavano apertura di credito quale disciplinata dal codice civile — e pertanto era irrilevante stabilire se essi

fossero stati regolati in conto corrente — in quanto non com

portavano l'obbligo della banca di tenere una determinata som

ma a disposizione della società e non facevano acquisire a que sta il diritto di credito della somma stessa.

Ha proposto ricorso per cassazione la soccombente; ha resi

stito con controricorso il fallimento; entrambe le parti hanno

presentato memoria.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo si deduce che la corte d'appello è incorsa in violazione degli art. 1322, 1842

e 1843 c.c. e 67, 2° comma, 1. fall, perché «nel concetto di

apertura di credito rientra ogni impegno della banca, da utiliz

zarsi o meno dal cliente, e che può riferirsi a qualsiasi specie di operazione di credito (credito c.d. per scoperto di cassa; cre

dito all'importazione; credito all'esportazione; anticipazioni su

titoli, ecc.)», e ciò in quanto si determina sempre la messa a

disposizione del cliente di una somma di denaro: e pertanto

revocabili a norma dell'art. 67, 1° comma, n. 2, 1. fall., ovvero quali garanzie (atipiche), soggette alla disciplina di cui all'art. 67, 1° comma, nn. 3 e 4, e 2° comma, 1. fall., v., da ultimo, Cass. 5 luglio 1997, n. 6047, Fallimento, 1996, 1220, e, nella parte motiva, Cass. 20 agosto 1993, n. 8806, cit.; 10 novembre 1992, n. 12091, cit., laddove si affer ma la necessità di distinguere le situazioni dove si ha coincidenza tra

il finanziamento concesso ed il mandato o la cessione (e nelle quali

apparirebbe evidente la creazione di una garanzia [atipica] contestuale

al credito, il cui trattamento giuridico non sembrerebbe poter essere diverso da quello delle garanzie tipiche), da quelle nelle quali l'intesa

tra mandante (o cedente) e mandatario (o cessionario) è invece rivolta

a far acquisire definitivamente al secondo la somma riscossa (situazioni nelle quali, per contro, l'effetto derivante dallo strumento predisposto dalle parti sarebbe indubbiamente solutorio). V., poi, Cass. 25 luglio 1987, n. 6467, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 326, e Fallimento,

1987, 1246, nonché successivamente, nella giurisprudenza di merito, App. Palermo 8 marzo 1991, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 415, e Giur.

comm., 1992, II, 471; Trib. Lecce 21 marzo 1992, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 412, e Fallimento, 1992, 965, con nota critica di Macchia, nelle quali si è invece ritenuto che i negozi de quibus, pur avendo anche

uno scopo di garanzia, abbiano soprattutto funzione solutoria, posto che essi si risolverebbero nella precostituzione di un mezzo sicuro di

pagamento per il mandatario (o cessionario), risultando di conseguenza suscettibili di revocatoria ex art. 67, 1° comma, n. 2,1. fall, quali mezzi

anormali di pagamento, a nulla rilevando la coincidenza del mandato

(o della cessione), con il sorgere del rapporto di credito. Da notare,

poi, Cass. 25 febbraio 1993, n. 2330, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 339, e Fallimento, 1993, 1013, nonché Cass. 25 novembre 1992, n.

12538, cit., che ritengono abbia funzione solutoria l'operazione consi

stente nel conferimento di un mandato irrevocabile all'incasso a garan zia di un'apertura di credito pattuita non già per consentire all'accredi

tato una disponibilità di denaro, né una nuova utilizzazione della prov

vista, bensì per ridurre una pregressa esposizione passiva in conto

corrente. Sulla dibattuta tematica relativa all'ipotesi del mandato in rem pro

priam (o della cessione di credito) non ancora eseguito alla data del

fallimento, infine, v. Cass. 20 agosto 1993, n. 8806, cit.; 4 novembre

1992, n. 11966, cit.; 19 novembre 1987, n. 8505, cit.; 18 dicembre 1984, n. 6625, cit.; 12 marzo 1984, n. 1689, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 424, e Dir. fallim., 1984, II, 398; 26 febbraio 1981, n. 1182, Foro

it., 1982, I, 237.

Il Foro Italiano — 1998.

costituivano apertura di credito i due fidi che la banca aveva

concesso alla società.

Il motivo è infondato. L'art. 1842 c.c. dispone che «l'apertu ra di credito bancario è il contratto con il quale la banca si

obbliga a tenere a disposizione dell'altra parte una somma di

denaro per un dato periodo di tempo o a tempo indetermina to»: dal contratto quindi discendono l'obbligo della banca di

tenere la somma (predeterminata nell'ammontare e per il perio do stabilito) a disposizione del cliente e il (correlato) diritto di costui di disporre della stessa (in più volte e secondo le forme

di uso se non è stato convenuto altrimenti: art. 1843 c.c., oppu re in qualsiasi momento, salvo l'osservanza del termine di preav viso eventualmente pattuito, se l'apertura è regolata in conto

corrente: art. 1852 c.c.). Il connotato fondamentale dell'apertura di credito come di

sciplinata dal codice civile pertanto è che gli effetti che essa

produce, e che sono stati più sopra individuati, derivano diret

tamente o immediatamente dal contratto, nel quale trovano la

loro unica fonte non solo nel senso, ovvio, che la stipulazione del contratto determina la loro insorgenza ma anche nel senso

che la stipulazione è sufficiente senza che occorra che — pur

sempre rimanendo il contratto la fonte degli stessi — debbano

verificarsi ulteriori circostanze o realizzarsi ulteriori condizioni.

Consegue che non concretano l'apertura di credito prevista dal codice civile, e come più sopra individuata, i contratti i qua

li, pur prevedendo la concessione di fido, non determinano con

carattere di immediatezza la insorgenza dell'obbligazione della

banca e del corrispondente diritto di credito del cliente.

Non si vuol cioè prendere posizione sul se anche a detti altri

contratti competa la qualifica di aperture di credito, con tale

espressione intendendosi che (anche) con essi la banca concede

fido al cliente nè sul se a tali contratti si applichi la stessa disci

plina che il codice civile prevede per l'apertura di credito da

esso regolata; si vuol solo affermare che da detti contratti non

scaturiscono quegli effetti tipici del contratto disciplinato dal

codice civile, effetti sulla base dei quali occorre risolvere la que stione che l'attuale controversia pone, e cioè se, al fine della

revocatoria fallimentare, costituiscano o no atti solutori i versa

menti effettuati dalla società sul conto corrente bancario.

Ora, negli altri contratti l'obbligo della banca e il diritto del

cliente non sorgono nella loro concretezza con la stipulazione del contratto ma abbisognano, per la loro insorgenza, della me

diazione di una circostanza esterna al contratto, ulteriore e fu

tura rispetto a questo. In breve, anche in detti contratti, al pari che nella tipica aper

tura di credito, la banca concede un fido al cliente, ma in essi

si conviene non — come invece si pattuisce nella tipica apertura di credito — che con carattere di immediatezza la banca ponga una somma determinata a disposizione del cliente e costui abbia

il diritto di credito di tale somma, ma che il fido sarà concreta

mente operante con la produzione di detti effetti non immedia

tamente ma: a) solo al momento del compimento di determinati

atti o del realizzarsi di determinate condizioni o circostanze e

b) solo nell'ammontare corrispondente (e nel limite dell'intero ammontare del fido) alla concreta operazione correlata a quel

l'atto, a quella condizione o a quella circostanza.

In detti contratti quindi sia l'obbligo della banca che il diritto

di credito del cliente sorgono condizionati sia nella loro esisten

za che nel loro concreto ammontare: prima del verificarsi della

condizione pertanto il cliente non può disporre di alcuna som

ma, e ciò comporta che un eventuale versamento, da parte del

cliente stesso, di somme sul suo conto corrente intrattenuto presso

la banca non potrebbe concretare atto di natura ripristinatoria

della provvista correlata al fido.

Nel senso indicato peraltro è l'orientamento di questa corte

(da ultimo: Cass. 1083/97, Foro it., 1997, I, 1100). Il motivo è pertanto infondato perché con esso si pone la

questione «astratta» della equiparabilità di tutte le concessioni

di fido — o se più piace di tutte le aperture di credito — alla

apertura di credito quale specificamente prevista dal codice civi

le, e cioè con gli effetti dei quali si è detto, e non anche la

questione «concreta» che i fidi specifici che la corte d'appello ha ritenuto concessi avessero prodotto i (medesimi) ripetuti ef

fetti per determinate somme corrispondenti a determinate ope

razioni poste in essere. (Omissis)

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1231 PARTE PRIMA 1232

II

Svolgimento del processo. — Con sentenza in data 3 febbraio

1986 il Tribunale di Cagliari dichiarava il fallimento del Con sorzio I Due.

Con citazione notificata il giorno 8 luglio 1988 il curatore

del fallimento conveniva davanti al Tribunale di Cagliari la s.p.a. Credito italiano, nei confronti della quale chiedeva in via prin cipale la condanna alla restituzione della somma di lire

753.943.000, versata in un conto corrente scoperto intestato al

consorzio I due, oltre ad interessi, rivalutazione monetaria e/o

al risarcimento del danno ex art. 1224 c.c., dalla data dell'in

casso o, in subordine, dalla costituzione in mora della banca; in via subordinata, e salvo gravame, chiedeva che fossero revo

cati e dichiarati inefficaci nei confronti del fallimento, ex art.

67, 2° comma, 1. fall., atti solutori e comunque la rimessa in

conto corrente dell'importo sopra indicato, con accessori.

A fondamento della domanda la curatela esponeva: che il consorzio aveva intrattenuto un rapporto di conto cor

rente bancario (conto n. 27.147) con la filiale di Cagliari del Credito italiano;

che, in virtù di mandato irrevocabile all'incasso per notar Lo

riga del 21 febbraio 1984, la banca aveva riscosso dall'Ufficio

Iva di Cagliari, in nome e per conto del consorzio, la somma

di lire 753.943.000 dovuta al consorzio stesso à titolo di rimbor

so, ed in data 2 dicembre 1985 aveva riversato detta somma

sul conto bancario indicato, che presentava uno scoperto di pa ri ammontare;

che, essendo avvenuta la riscossione in virtù di mandato con

rappresentanza, la somma doveva essere restituita all'ammini

strazione fallimentare o, in subordine, costituendo atto soluto

rio, doveva essere revocato a norma del 2° comma dell'art. 67

1. fall. Il Credito italiano, costituitosi, si opponeva alla domanda,

facendo rilevare che i fatti, come enunciati dalla curatela, erano

parzialmente diversi dalla realtà ed incompleti. Infatti, il mandato irrevocabile alla riscossione del credito da

rimborso di Iva, si innestava nell'ambito di una più ampia ope

razione, concretizzatasi nell'accensione del conto anticipi su Iva

n. 27147 in data 27 febbraio 1984; nella contemporanea stipula

zione, nella stessa data, di un contratto di apertura di credito; nel conferimento alla banca della citata procura all'incasso il

21 febbraio 1984 (registrato il 23 successivo), con funzione di

garanzia dell'anticipazione su rimborso Iva che la banca avreb

be fatto in adempimento dei patti; nella contestuale accensione

del conto corrente n. 27121 sul quale il cliente avrebbe potuto

operare con la valuta messa a disposizione della banca, in virtù

delle indicate pattuizioni. Si aggiungeva che l'incasso del rim

borso Iva, avvenuto il 29 novembre 1985, costituiva l'adempi mento della garanzia contestuale al credito concesso.

Preso atto delle precisazioni e della documentazione fornita

dalla banca (che la curatela assumeva di non aver potuto avere

prima della causa, ancorché richiesta), la curatela proponeva, con citazione notificata il 17 ottobre 1990, una nuova azione nei confronti della banca chiedendo la revoca dei versamenti

nei conti correnti indicati ai sensi dell'art. 67, 1° comma, n.

2, 1. fall, oppure ai sensi dell'art. 67, 2° comma, 1. fall.

Sulle due cause riunite pronunciava il Tribunale di Cagliari

che, con sentenza 22 aprile 1992, dichiarava inefficaci nei con

fronti della massa concorrente i versamenti effettuati dalla ban ca su entrambi i conti correnti n. 27147 e n. 27121 per la com

plessiva somma di lire 753.942.500 con valuta 29 novembre 1985; di conseguenza, in accoglimento delle domande, condannava la

banca alla rifusione del predetto importo, con gli interessi legali dalla costituzione in mora al saldo, e con il maggior danno li

quidato ex art. 1224 c.c. in un ulteriore cinque per cento annuo dalla costituzione in mora al 15 dicembre 1990.

Su appello del Credito italiano, e nel contraddittorio della

curatela, che aveva proposto appello incidentale, pronunciava infine la Corte d'appello di Cagliari che, con sentenza n. 188/94, dava conferma alla pronuncia di primo grado.

Nell'ambito dei motivi di impugnazione proposti, la Corte d'appello di Cagliari motivava la decisione con i seguenti pas

saggi logici: a) Il mandato irrevocabile all'incasso era datato 21 febbraio

1984; il conto anticipi n. 27.147 era stato aperto il 27 febbraio

1984; il conto ordinario n. 27.121 era stato aperto il successivo

Il Foro Italiano — 1998.

giorno 28 febbraio 1984; l'apertura di credito di lire 500.000.000 era stata contabilizzata (addebito) sul c/c n. 27.147, conto che

era rimasto inoperoso, in quanto la provvista era stata accredi

tata sul conto ordinario 27.121 sul quale tutte le operazioni era

no eseguite dal consorzio I Due, conto che, peraltro, venne, a sua volta, congelato dall'aprile 1984 fino a quando non fu

eseguita la rimessa che permise al Credito italiano di recuperare l'intero importo. Il Credito italiano aveva incassato, con valuta

29 novembre 1985, la somma di 753.943.000, provvedendo a

versarne lire 517.500.000 su conto corrente n. 27.147, nonché

la residua somma di lire 236.442.500 sul c/c n. 27121, sul quale erano stati addebitati gli interessi e gli accessori derivanti dal

l'accredito; conseguentemente, il giorno 30 novembre 1985 en

trambi i conti presentavano un saldo zero.

b) La prima questione oggetto di discussione era il termine

di scadenza dell'apertura di credito, apertura di credito che era

stata concessa a termine finale fisso, ritenuto dalla corte del

merito concluso il 31 luglio 1984, secondo la letteralità del do

cumento, mentre la banca lo identificava con la successiva data

di incasso del credito Iva, avvenuto il 29 novembre 1985.

c) Riteneva, inoltre, la corte del merito che il documento con

tenente l'apertura di credito non avesse data certa, sia perché non aveva rilevanza al fine la data del timbro postale che non

faceva corpo unico con il documento contrattuale, sia perché detta certezza non poteva dedursi dall'accensione del conto an

ticipi n. 27.147 e del conto corrente ordinario n. 27.121, mentre

la concessione di fido non risulta dal libro della banca regolar mente vidimato.

d) Secondo la corte di Cagliari il mandato irrevocabile, a nor

ma dell'art. 1723 c.c., conferito dal consorzio al Credito italia

no senza corrispettivo e con obbligo di rendiconto, non rac

chiudeva una cessione di credito a scopo di garanzia e pertanto

l'operazione non costituiva una garanzia contestuale al fido, con

conseguente irrilevanza della successiva riscossione. Non era mai

stato allegato, né provato, che il mandato in rem propriam al

l'incasso fosse simulato e dissimulasse una cessione di credito in garanzia.

D'altronde seguendo la successione degli eventi negoziali, sa

rebbe incomprensibile l'accredito di somme nel conto corrente

del cliente, se questi già in epoca anteriore (dal 21 febbraio 1984) aveva perfezionato la cessione di credito di dette somme a favo

re della banca ai sensi dell'art. 2914, n. 2, c.c. e 45 1. fall., somma di cui, essendone divenuta cessionaria, avrebbe potuto

disporre liberamente, senza rendere il conto al cliente.

e) Essendo venuto a scadere il 31 luglio 1984 il contratto di

apertura di credito in conto corrente ex art. 1842 c.c., senza

che le parti ne avessero convenuto il prolungamento, ne conse

guiva che le rimesse in conto non avevano la funzione di ricosti tuzione di provvista, ma funzione solutoria, per cui esse erano

revocabili ex art. 67, 2° comma, 1. fall., nella presenza della

scientia decoctionis, secondo le condivisibili argomentazioni in proposito del giudice di primo grado.

Avverso detta decisione proponeva ricorso per cassazione il

Credito italiano, sulla base di tre motivi integrati da memoria;

depositava controricorso la curatela del fallimento del consor

zio I Due.

Motivi della decisione. — Preventivamente, e da un punto di vista puramente formale, occorre riunire al ricorso 12849/94

quello 14411/94, pur rilevando che al controricorso della cura

tela è stato dato un numero di ruolo (quello per l'appunto 14411/94) senza che in esso fosse contenuto alcun ricorso inci

dentale, come ben precisato anche dall'aw. Luminoso all'udienza

odierna. Infatti, la parte intimata, al termine del controricorso

ove aveva contestato le tesi proposte dalla ricorrente all'esame

di questa corte, aveva fatto riserva di insistere in sede di rinvio, e nel caso di accoglimento del ricorso, sull'appello incidentale condizionato che la corte del merito non aveva preso in esame

in quanto assorbito dal rigetto dell'appello principale della ban

ca. Nessuna autonoma doglianza era stata sollevata, quindi, dalla

curatela né alcuna domanda essa ha rivolto a questa corte e

sulla quale sia richiesta una pronuncia. L'esame deve essere puntualizzato esclusivamente sui motivi

del ricorso 12849/94 e, in relazione ad essi, sulle situazioni emerse

dalla dialettica delle parti in sede di legittimità. Ricorso 12849/94.

I) Motivo. Con il primo mezzo di cassazione (relativo al con

tratto di apertura di credito ed alla procura all'incasso, nonché

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

alla loro opponibilità al fallimento), la banca ricorrente deduce

la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, in rela

zione all'art. 2704 c.c., ex art. 360, n. 3, c.p.c.

A) In primo luogo la doglianza coglie la sentenza della corte

del merito nella parte relativa alla non opponibilità al fallimen

to del contratto di apertura di credito ex art. 2704 c.c. Sostiene

la banca che la stessa curatela, con la seconda citazione notifi

cata il 17 ottobre 1990 (integrativa della precedente citazione

del 1988) aveva fatto riferimento e prodotto il contratto di aper tura di credito, unitamente al mandato all'incasso, come atto

del fallimento, riconoscendone, quindi, l'anteriorità al fallimento

e la opponibilità. B) Sostiene, ancora, la banca che il collegamento logico tra

i vari atti dell'operazione, come risultanti dagli estratti conto,

costituisce prova della connessione anche cronologica tra gli stessi.

II) Motivo. Con il secondo motivo il Credito italiano deduce

l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un

punto decisivo della controversia ex art. 360, n. 5, c.p.c. in

relazione all'art. 2704 c.c., proponendo doglianze nella stessa

linea logica del primo mezzo di cassazione, peraltro sotto il pro filo del difetto della motivazione e della sua contraddittorietà.

Con la doglianza, in particolare, si ritiene carente la motivazio

ne della sentenza nella parte inerente al mancato rilievo del col

legamento tra i due atti fondamentali della causa (apertura di

credito e mandato all'incasso), ed alla considerazione che la corte

del merito, ampliando l'analisi al rapporto nel suo complesso, ha finito per dare per pacifica la cronologia degli eventi esposta dalla banca.

I due motivi di ricorso, che colgono lo stesso aspetto della

sentenza della Corte d'appello di Cagliari sotto diversi punti di vista, richiedono un esame congiunto.

Indubbiamente, la ricorrente sul punto coglie aspetti di veri

tà, se esaminati isolatamente dal contesto generale nel quale si concretizza la pronuncia della corte di merito, unitamente

peraltro ad aspetti erronei.

È erroneo, infatti, dedurre l'opponibilità alla curatela del con

tratto di apertura di credito dal fatto che gli atti relativi venne

ro prodotti dalla curatela stessa nella seconda causa promossa

(e poi riunita), volta che, come la parte ebbe a dichiarare espres samente in quel grado del giudizio, si trattava delle copie di

atti con la stessa banca aveva prodotto nella prima causa, e

di cui la curatela dichiarava di essere stata originariamente pri va. Non si può, pertanto, ritenere sulla base di quei soli elemen

ti che la produzione da parte della curatela riguardasse atti rin

venuti tra quelli dell'impresa fallita e, come tali, riconosciuti

come anteriori alla soglia degli eventi concorsuali ed opponibili alla massa. Al contrario, si trattava di atti la cui provenienza

(produzione nella prima causa) derivava dalla stessa banca in

epoca successiva alla dichiarazione di fallimento.

Non si può non rilevare, peraltro, che la corte del merito,

nella motivazione della sentenza impugnata, utilizza la discipli na dell'art. 2704 c.c. in maniera particolare, nel senso limitato

della inopponibilità della data dell'atto, ma non dell'atto in quan to tale.

II concetto di certezza di data emergente dall'art. 2704 c.c.,

per le scritture la cui sottoscrizione non sia autenticata, non

concerne necessariamente la collocazione precisa nel tempo del

la redazione di un atto, ma la collocazione temporale in epoca anteriore ad un evento, assunto come indicatore di certezza e

parametro di riferimento. Ad eccezione, infatti, dell'autentica

zione della sottoscrizione (ed anche della rogitazione, con le quali all'atto viene conferita una collocazione temporale certa e de

terminata), gli altri fatti indicati in via esemplificativa dall'art.

2704 c.c. non danno certezza «se non dal giorno in cui la scrit

tura è stata registrata» ovvero si verifichi uno degli altri ele

menti di certezza; essi danno, vale a dire, la certezza nei con

fronti del terzo che l'atto è anteriore al fattore assunto a para

metro certo di riferimento. Di quanto, peraltro, quell'atto sia

anteriore a detto parametro di riferimento temporale, e se esso

sia contemporaneo, o non, ad altro fatto anteriore, non è situa

zione che derivi dai criteri dell'art. 2704, ma che debbono esse

re provati da chi sia onerato dalla dimostrazione relativa, se

condo gli ordinari criteri della prova. In presenza di un fallimento, che priva il fallito del potere

di disposizione patrimoniale oltre la soglia della concorsualità

sistematizzata, identificabile con la dichiarazione di fallimento,

la mancanza di certezza di data anteriore alla dichiarazione di

Il Foro Italiano — 1998.

fallimento rende inopponibile, non solo la data apparente, ma

l'atto in quanto tale (in tale caso la non opponibilità dell'atto

assume la funzione di inefficacia, relativa alla massa passiva del fallimento) alla massa che assuma, nella singola controver

sia, la posizione di terzo rispetto al rapporto controverso.

Nella specie, però, la corte del merito non ha assunto la man canza di certezza di data dell'atto da cui avrebbe tratto origine

l'apertura di credito (confutando che certezza derivasse dal tim

bro postale, non coinvolgente materialmente parte della scrittu

ra), per sostenere l'inopponibilità dell'atto stesso alla massa, ma semplicemente per affermare che non vi era certezza di con

temporaneità con gli altri atti dell'operazione complessa dedot

ta in controversia dalla banca.

In effetti il problema dell'inopponibilità dell'atto (la scrittura

con cui sarebbe stato instaurato il rapporto di apertura di credi

to) alla massa fallimentare, non solo non è stato posto dalla

corte cagliaritana, ma essa ha assunto in tutta la sua motivazio

ne una posizione del tutto opposta, concretizzata nella sussi

stenza dell'apertura di credito (e quindi la sua efficacia nei con

fronti del fallimento) in data anteriore alla dichiarazione di fal

limento, tanto che proprio in ordine alla sussistenza di detto

rapporto ed al contenuto dell'atto (si consideri il rilievo dato

dalla corte del merito al termine finale del rapporto di apertura di credito, scaduto anteriormente all'apertura del fallimento, in

relazione al quale l'incasso del rimborso Iva, ed il versamento

in conto, è stato considerato atto solutorio revocabile) è stato

impostato l'accoglimento delle pretese revocatone della curatela.

Ha ragione, dunque, la ricorrente a sostenere l'opponibilità

dell'apertura di credito alla procedura concorsuale, secondo la

trattazione data all'argomento dalla corte del merito, ma ciò

non evidenzia né illogicità motivazionale, né la violazione di

legge sostenuta dalla ricorrente da parte della corte del merito, volta che la sentenza impugnata ha impostato l'accoglimento delle pretese revocatorie della curatela proprio sulla sussistenza

di detto rapporto e sulla valutazione delle clausole (rapporto a scadenza fissa) quali risultavano dalla lettera-contratto, priva di certezza di data, ma comunque ritenuta pur sempre pacifica mente anteriore alla soglia della concorsualità.

Come già rilevato, quindi, la corte di Cagliari ha svolto l'ar

gomento relativo alla mancanza di certezza di data per il con

tratto di apertura di credito, non al fine di escluderne l'anterio

rità al fallimento (che invece è pacificamente presupposta), ma

al fine di escludere la coincidenza temporale tra il mandato in

rem propriam (che aveva una collocazione temporale precisa in quanto contenuto in un rogito) e l'apertura di credito, rite

nuto come presupposto della contestualità logica tra i predetti atti.

Sul punto, peraltro, è difficile comprendere quale sia il rilie

vo nella causa della distinzione effettuata dalla corte del meri

to. L'esclusione, infatti, della contestualità che si vorrebbe con

seguire mediante l'esclusione della certezza di data di uno degli atti componenti, in ipotesi, un'operazione complessa, avrebbe

rilievo allorché si intendesse escludere la contestualità tra una

garanzia ed un credito secondo una delle fattispecie revocatorie

dell'art. 67, 2° comma, 1. fall.

La causa, però, ha trovato soluzione, nella sentenza della corte

del merito, non sul piano della garanzia, ma, con riferimento

ad altra fattispecie compresa nel 2° comma dell'art. 67 1. fall., nella quale non viene coinvolta la figura della garanzia del cre

dito (la corte del merito ha escluso espressamente che il manda

to in rem propriam di cui la banca si era avvalsa integrasse una cessione di credito in garanzia, e ciò indipendentemente dalla data dell'atto), ma quella, ritenuta sussistente, dell'atto

solutorio di un debito liquido ed esegibile. Sotto questa prospettiva la stessa distinzione fatta dalla corte

del merito tra l'inopponibilità della data della scrittura conte

nente le clausole dell'apertura di credito e l'opponibilità del con

tratto in quanto tale, finisce per essere privo di rilievo in causa

e privi di rilievo sono anche i due motivi di ricorso in esame

che sul punto si soffermano, in quanto superati da tutta l'argo

mentazione svolta dalla sentenza impugnata, e sulla cui base

la questione ha trovato in quel grado soluzione; argomentazio ne che la banca ha reso oggetto di doglianza con il terzo mezzo

di cassazione.

Ili) Motivo. Con il terzo motivo (indicato come primo relati

vo ad argomento sub B), in relazione alla procura all'incasso

e sul diritto di prelazione per debiti contestualmente creati, il

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1235 PARTE PRIMA 1236

Credito italiano deduce la violazione e la falsa applicazione di

norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c., in relazione al combi

nato disposto degli art. 1723, 1264 e 1362 c.c. ed all'art. 67, 2° comma, 1. fall., sulla revocabilità del diritto di prelazione

per debiti contestualmente creati.

Sostiene la ricorrente che dalla contestualità logica tra le va

rie fasi dell'operazione (non necessariamente coincidente con la

contemporaneità degli atti) emerge il collegamento tra la garan zia (garanzia impropria), insita nel mandato irrevocabile alla

riscossione, e la concessione del credito.

Ciò renderebbe irrevocabile ex art. 67, 2° comma, 1. fall., il contratto complesso, perché costitutivo di un diritto di prela zione (garanzia impropria), per un debito contestualmente crea

to oltre un anno prima della dichiarazione di fallimento, ed

altrettanto irrevocabile il rimborso, avvenuto in attuazione di

patti. Dalla negazione della garanzia e della contestualità della stes

sa con il credito (negazione che, in tesi, traviserebbe il significa to dell'operazione), deriverebbe la posizione della corte del me

rito che ha individuato l'altra ipotesi di revocabilità prevista dal 2° comma dell'art. 67 1. fall., riferita agli atti solutori.

Con il mezzo di cassazione in esame, vengono proposte due

linee di censura tra di loro coordinabili, ma con caratteri di

distinzione: l'una diretta a negare che il contratto di apertura di credito avesse un termine fisso di scadenza (individuato dalla

corte d'appello nel 31 luglio 1984), sostenendo che la correla

zione con il mandato irrevocabile all'incasso dovrebbe portare ad interpretare l'atto nel senso della coincidenza della scadenza

predetta con la data di pagamento dei crediti Iva oggetto del

mandato irrevocabile all'incasso; l'altra volta ad individuare nel

mandato predetto una funzione di garanzia connessa alla figura di cessione del credito, funzione di garanzia rilevante a sua vol

ta sotto un duplice profilo, e cioè: rendendo la banca titolare

del credito oggetto di mandato ad exigendum in data anteriore

al fallimento (con conseguente non revocabilità delle rimesse

in conto del credito riscosso), ed inoltre rendendo la garanzia, assertivamente contestuale all'apertura di credito e prestata an

teriormente all'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, non revocabile ai sensi del 2° comma dell'art. 67 1. fall.

La prima linea logica indicata tende a delineare le rimesse

del credito Iva riscosso dalla banca, come rimessa in conto cor

rente sorretto da apertura di credito operativa con funzione ri

pristinatoria di provvista, e come tale non revocabile secondo

l'indirizzo segnato da questa corte con la sentenza 18 ottobre

1982, n. 5413 (Foro it., 1983, I, 69); la seconda linea logica tende ad escludere che la rimessa in conto abbia funzione solu

toria sotto il diverso profilo della sottesa cessione di credito, sia pure a fine di garanzia, nella duplice prospettazione indicata.

Peraltro, le argomentazioni svolte dalla corte del merito in

ordine al termine di scadenza dell'apertura di credito non sono

vulnerate dalla doglianza della banca ricorrente. Da un lato,

infatti, vi è il tenore letterale del documento, valorizzato dalla

corte di Cagliari la quale ritenne che la volontà delle parti sul

punto risultava dal normale significato delle espressioni usate

nell'atto, rilevando «nella specie la scadenza del 31 luglio 1984

è inequivoca e non si intende quale altro significato, se non

quello letterale, possa attribuisi allo scritto». D'altro lato, l'in

terpretazione sistematica suggerita dalla ricorrente non è neces

sariamente coerente alla supposta intenzione effettiva delle par ti. Considerato, infatti, che le parti avrebbero stipulato l'aper tura di credito alcuni giorni dopo il conferimento del mandato

(secondo le date apposte sul documento), ad esse avrebbe dovu

to essere ben presente il precedente mandato, per cui, se avesse

ro inteso determinare quel collegamento temporale oggi soste

nuto dalla banca, al pagamento del credito Iva avrebbero vero

similmente fatto espresso riferimento. Il fatto che invece venne fissata una data precisa per la scadenza dell'apertura di credito, dimostra che l'elemento temporale indicato nella scrittura era

coincidente alla volontà effettiva delle parti, salvo successivo

prolungamento di cui, peraltro, non è stata data prova alcuna.

Essendo, quindi, avvenuta la rimessa in conto scoperto in

epoca successiva all'esaurimento della funzione dell'apertura di

credito, non era più ipotizzabile alcuna ipotesi di ricostituzione

di provvista ed il versamento assumeva la semplice funzione

solutoria di un debito scaduto, sotto il profilo ora esaminato.

La diversa e più complessa prospettazione della banca ricor

rente, secondo la distinta linea logica cennata, si àncora alla

Il Foro Italiano — 1998.

tesi secondo cui il mandato irrevocabile all'incasso, nella sua

connessione logica e funzionale con un'apertura di credito rego lata in conto corrente, integri una forma di garanzia caratteriz

zata dalla cessione attuale del credito, per cui già all'atto del

rilascio della procura di credito di Iva sarebbe entrato nel patri monio della banca ed il mandante, già da quel momento, avrebbe

rinunciato alla pretesa avente ad oggetto la restituzione delle

somme pagate dal terzo.

Peraltro, l'equiparazione tra mandato irrevocabile all'incasso

e la cessione del credito con funzione di garanzia non è fonda

tamente sostenibile, sulla base della semplice configurazione del

tipo negoziale indicato, salvo che le parti, ancorché in forma

dissimulata (a parte l'opponibilità al fallimento del negozio dis

simulato), sull'ipotesi di cessione del credito con funzione di

garanzia abbiano effettivamente inteso puntualizzare la loro vo

lontà. Le stesse sentenze di questa corte richiamate dalla ricor

rente (Cass. 4 novembre 1992, n. 11966, id., Rep. 1993, voce

Fallimento, n. 409; 25 novembre 1992, n. 12538, ibid., n. 342) non risolvono necessariamente il mandato all'incasso in rem pro

priam nella cessione di credito con finalità di garanzia, dato

che detta caratteristica hanno ravvisato con riferimento ad una

situazione di simulazione relativa di cui vi fosse prova, legitti mando determinati effetti quando il mandato «integri» una ces

sione di credito, non affermando che detto mandato «integra» una cessione, ma richiedendo la precisa dimostrazione della vo

lontà delle parti in tale senso.

D'altronde, è insegnamento di questa corte, cui si ritiene di

dovere dare adesione e continuità (Cass. 22 settembre 1990, n.

9650, id., Rep. 1991, voce Cessione dei crediti, n. 15), che la

cessione del credito ed il mandato irrevocabile all'incasso confe rito anche nell'interesse del mandatario, ancorché utilizzabili per finalità solutorie o di garanzia impropria, sono figure distinte,

posto che la prima produce l'immediato trasferimento della po sizione attiva del rapporto obbligatorio ad altro soggetto che

diviene l'unico legittimato a pretendere la prestazione del debi

tore ceduto, mentre con il mandato del tipo indicato viene con

ferita al mandatario solo la legittimazione alla riscossione del

credito, di cui resta titolare il mandante. Esiste, quindi, tra le

due figure una distinzione di cause e di effetti, e la stessa fun

zione di garanzia impropria, è perseguibile nelle due ipotesi con

modalità diverse. Nella cessione del credito, la funzione di ga ranzia si pone come clausola limitativa e risolutoria della ces

sione stessa, una volta che l'entità del riscosso soddisfi l'entità

del debito; nel mandato irrevocabile all'incasso la garanzia si

realizza in forma empirica e di fatto come conseguenza della

disponibilità del credito verso il terzo in previsione della possi bilità solutoria al momento dell'incasso. L'irrevocabilità del man

dato è l'indice dell'interesse del mandatario ad assumere con carattere di certezza e di unicità la disponibilità di fatto del

credito e della somma, al momento della riscossione, per la fi

nalità solutoria. Fin quando, peraltro, l'incasso e la destinazio

ne a soluzione dei pregressi crediti del mandatario non si realiz

zi, persiste la titolarità distinta, sempre in testa al mandante, sia della situazione creditoria verso il terzo debitore destinatario del mandato, sia della situazione debitoria verso il mandatario.

Né la configurazione delle situazioni muta, qualora mandataria

sia una banca presso la quale il mandante intrattenga un rap

porto di conto corrente. Ed invero, in presenza di un contratto

di apertura di credito regolato in conto corrente operativo, l'in

casso e la rimessione sul conto può assumere la funzione di

reintegra di provvista; in presenza di un credito della banca sca

duto ed esigibile, la rimessione sul conto assume solo una fun

zione solutoria. Si tratta, quindi, in questo caso di una garanzia di mero fatto, nel senso di una cautela volta a maggiorare le

probabilità di soddisfazione del creditore-mandatario, una vol

ta che rientri nella sua disponibilità la gestione dell'incasso dei crediti verso terzi e la titolarità del credito verso il mandante.

Né può fondatamente sostenersi, come affermato dalla banca

ricorrente, che il mandante, già all'atto del rilascio della procu ra, avrebbe rinunciato alla pretesa avente ad oggetto la restitu

zione delle somme pagate dal terzo. La situazione ora indicata

è coerente alla figura della cessione del credito, non a quella del mandato irrevocabile all'incasso, nella quale il mandante

non perde la titolarità del proprio credito verso il terzo, avendo

conferito alla banca solo una legittimazione all'incasso, irretrat

tabile solo in virtù dell'interesse della banca alla garanzia di

fatto ora indicata.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

La corte del merito, ponendo la questione nella giusta pro

spettiva, ha rigettato la tesi sostenuta dalla banca, rilevando

con una motivazione completa e coerente: che il Credito italia

no nel primo grado di giudizio non aveva per nulla sostenuto

la sussistenza di una cessione di credito a favore della banca; che i documenti prodotti non fornivano la benché minima di mostrazione dell'esistenza della volontà delle parti di cedere alla

banca il credito Iva, sia pure nei limiti della funzione di garan

zia; che la banca non aveva né allegato né dimostrato che il

mandato in esame dissimulasse una cessione di credito, sia pure con funzione di garanzia; che anche dalla correlazione tra il

mandato e l'apertura di credito non emergeva alcuna volontà

delle parti nel senso della cessione, tanto che le somme riscosse

dalla banca avrebbero dovuto comunque transitare, come poi

avvenne, sul conto intestato alla società poi fallita con previsio ne di obbligo di rendiconto, situazioni non coerenti con la pro

spettata titolarità dei crediti di Iva assertivamente conseguita dalla banca.

Vi fu, quindi, da parte della corte cagliaritana una valutazio

ne dei rapporti negoziali, non limitata alla lettera dei documenti

prodotti, ma estesa alla loro correlazione sistematica che soddi

sfa i principi normativi sull'interpretazione dei contratti e non

è violatrice di norme di diritto, secondo le linee logiche indicate.

La funzione di garanzia, empirica e di fatto, quale è inerente

al mandato irrevocabile all'incasso, è sufficiente a giustificare la correlazione logica tra i contratti richiamati, sul piano degli interessi dalle parti perseguiti, senza che l'ipotesi della cessione

del credito, sia pure con clausola risolutoria nei limiti della ga

ranzia, emerga da prova alcuna, documentale o logica. Né questa garanzia di mero fatto, caratterizzata dall'aspetta

tiva dell'incasso del credito ceduto e dalla previsione della pos sibilità solutoria mediante il versamento di conto scoperto, as

sume rilievo sotto il profilo della non revocabilità, decorso l'an

no, delle garanzie contestuali al credito. A parte il rilievo che

la garanzia in questione, come già indicata, non concretizza al

cun diritto di prelazione in senso giuridico, resta pur sempre il fatto che la prospettazione indicata gioverebbe alla ricorrente

sol quando la non revocabilità del mandato in rem propriam si concretizzasse nella non revocabilità di una cessione di credi

to, sia pure nei limiti della funzione di garanzia, nella specie non individuabile, per i motivi già esposti. In presenza, invece, di una mera garanzia di fatto concretizzata dalla legittimazione esclusiva alla riscossione del credito, e dall'aspettativa dell'in

casso per la rimessa in conto scoperto, la non revocabilità del

mandato non esclude la revocabilità autonoma dell'atto soluto

rio, che all'esecuzione del mandato consegue, secondo le alter

native ipotesi del 2° comma dell'art. 67 1. fall.

Sulla base delle argomentazioni svolte, la corte ritiene che

il ricorso non meriti accoglimento.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 22 agosto

1997, n. 7874; Pres. Santojanni, Est. Foglia, P.M. Marto

ne (conci, conf.); Soc. Ferrovie dello Stato (Aw. Scognami

glio) c. Ferrante. Conferma Trib. Napoli 27 dicembre 1993.

Lavoro (rapporto di) — Adibizione a mansioni superiori — Fer

rovie dello Stato — Comunicazione tardiva del nominativo

del sostituito — Conseguenze (Cod. civ., art. 2103; 1. 20 mag

gio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei

lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindale nei luo

ghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 13).

L'art. 41 ccnl 23 giugno 1988 relativo al rapporto di lavoro

dei ferrovieri è correttamente interpretato dal giudice di meri

to nel senso che non è consentito al datore di lavoro di impe dire — attraverso una comunicazione delle ragioni dell'attri

buzione di mansioni superiori e del nominativo del dipenden te sostituito fatta successivamente al momento di adibizione

alle nuove mansioni (nella specie, decorso integralmente tale

Il Foro Italiano — 1998.

periodo) — che il lavoratore che abbia in tali mansioni conti

nuativamente sostituito per oltre tre mesi ovvero per oltre cen

tottanta giorni discontinui, altro dipendente con diritto alla

conservazione del posto, acquisisca il diritto alla definitiva

assegnazione al profilo superiore. (1)

Motivi della decisione. — Con un unico motivo di ricorso

deduce l'ente la violazione e falsa applicazione degli art. 2103, 2697 c.c. nonché degli art. 1362 ss. c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), oltre a carenza e contraddittorietà della motivazione su un pun to essenziale della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.).

Osserva l'ente appellante che il Ferrante era stato chiamato

a sostituire altro dipendente — tale Casale — inviato in missio

ne presso un diverso impianto, per novanta giorni. Protrattasi

questa missione oltre il termine prefissato, il Casale aveva per duto — alla stregua della disciplina collettiva — il diritto alla

conservazione del posto, sicché solo da questo momento (21

aprile 1988) era cominciato a decorrere il periodo considerato

dall'art. 2103 c.c. per la maturazione del diritto alla promozio ne. Tutto ciò risultava — secondo quanto prescritto dall'art.

41, 4° comma, del contratto collettivo — dalle deliberazioni

aziendali con le quali era stata disposta l'utilizzazione del Fer

rante nelle mansioni superiori in sostituzione di altro dipenden

te, ivi nominativamente individuato, avente diritto alla conser

vazione del posto. A giudizio dell'appellante, erroneamente, il giudice di appello

aveva inteso la clausola collettiva nel senso che la comunicazio

ne della causa della sostituzione e del nominativo del lavoratore

sostituito, dovesse avvenire contestualmente all'adibizione alle

mansioni superiori. Si tratterebbe di affermazione del tutto apo dittica e non suffragata da una legittima e ragionevole esegesi della clausola controversa la cui ratio (di porre in grado il lavo

ratore sostituto di valutare la conformità del comportamento dell'ente alla rigorosa disciplina della vicenda) potrebbe, se mai, indurre a ritenere che la comunicazione debba avvenire in ter

mini ragionevolmente brevi, ma non necessariamente contestua

li. Soggiunge il ricorrente che il principio di libertà negoziale

impone di ritenere che l'esercizio dei poteri datoriali, anche in

questa fattispecie, deve potersi svolgere in termini di congrua

discrezionalità, tenuto anche conto di esigenze tecniche o dei

c.d. «tempi di ufficio». Sennonché, il tribunale avrebbe dovuto

indagare se nel caso di specie le comunicazioni dei provvedi menti fossero seguite con un ritardo tale da impedire al lavora

tore ogni riscontro sulla rispondenza al vero che il lavoratore

sostituito si fosse allontanato dal servizio per una causa che

gli dava diritto alla conservazione del posto. E avrebbe dovuto

tener conto delle deduzioni dell'ente convenuto che la prima delibera di sostituzione risultava controfirmata dal dipendente medesimo per accettazione, mentre la seconda delibera era stata

(1) Non si rinvengono precedenti di legittimità in termini, anche per ché, diversamente da quanto fatto dalla sentenza in epigrafe, è princi pio giurisprudenziale consolidato che l'interpretazione dei contratti col

lettivi di diritto comune sia devoluta al giudice di merito e sia censura bile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione e violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (tra le ultime, Cass. 17 gen naio 1997, n. 435, Foro it., Mass., 43). Per una interpretazione confor me della medesima clausola contrattuale collettiva, cfr., appunto nella

giurisprudenza di merito, Trib. Napoli 21 febbraio 1991, id., Rep. 1992, voce Lavoro (rapporto), n. 852; contra, Pret. Prato 21 marzo 1991,

ibid., n. 855, e Pret. Firenze 11 dicembre 1990, ibid., n. 856, secondo

cui è sufficiente che la delibera di sostituzione sia consegnata al sostitu

to in un tempo ragionevole. Pret. Livorno 23 aprile 1991, ibid., n. 854, ha ritenuto che mentre è necessario che la notizia dell'esigenza debba

essere data al sostituto all'atto della sostituzione, ma con qualsiasi mez

zo, anche orale o telefonico, la comunicazione scritta del nome del so stituito e della causa dell'esigenza possa essere data successivamente, ma entro il termine per la maturazione del diritto; così anche Pret.

Milano 10 giugno 1994, est. de Angelis, Cambrea c. Soc. Ferrovie dello

Stato, inedita. Per ulteriori riferimenti, anche a giurisprudenza inedita, cfr. F. Petracci, Inquadramento e progressione in carriera dei dipen denti delle Ferrovie dello Stato: il ruolo della giurisprudenza di merito, in Riv. giur. lav., 1995, II, 657. Su aspetti vari relativi alla contrattazio ne collettiva dei ferrovieri, ivi compresa la progressione di carriera, cfr.

P. Tosi, A. Uberti, La privatizzazione «progressiva» del rapporto di

lavoro dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato, in Quaderni dir. lav.

relazioni ind., 1995, fase. 18, 73; P. Bertozzi, G. Sambucini, Com

mento all'accordo di rinnovo del ccnl ferrovieri, in Dir. e pratica lav.,

1995, 1019.

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