Sezione I civile; sentenza 7 agosto 1959, n. 2489; Pres. Torrente P., Est. Giannattasio, P. M.Tavolaro (concl. conf.); Soc. Imbottigliamento bevande (Avv. Silingardi, De Longhi) c. Pierallinie Manicardi (Avv. Storoni, Roncaglia, Gaudenzi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 5 (1960), pp. 805/806-809/810Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174920 .
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805 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 806
Basta solo per poco soffermarsi sul disposto del 3° comma dell'art. 2393 cod. civ., che fa esplicito riferimento ad amministratori contro cui è proposta (ossia deliberata) l'azione sociale di responsabilità, per convincersi che tale
limitata previsione implica ovviamente che il relativo
giudizio non debba essere autorizzato dall'assemblea ne
cessariamente contro tutti, ma lo possa essere invece con
tro taluno o taluni soltanto degli amministratori medesimi, in quanto ritenuti i principali se non unici colpevoli del
danno arrecato all'ente. La quale possibilità di scelta rimane
poi confermata anche per altro verso. Perchè se non si
dubita che gli amministratori sono ex lege solidalmente
responsabili verso la società dell'inadempimento dei doveri
che fanno capo all'ufficio, consegue evidentemente che
debba affermarsi, alla stessa guisa di quanto avviene ogni
qualvolta trattasi di responsabilità solidale, il buon diritto
del creditore, ossia della società, di potere ottenere indiffe
rentemente da ciascuno dei condebitori, e per l'intero, il
debito risarcitorio.
Posto, pertanto, il principio, esattamente richiamato
dai Giudici di merito, che l'assemblea di una società per
azioni, nel suo insindacabile apprezzamento, può scegliere, tra gli amministratori, quali responsabili solidali, colui o
coloro contro i quali ritiene più conveniente esercitare
l'azione sociale di responsabilità, vengono a cadere tutti gli altri argomenti addotti dal Romana a sostegno delle pro
poste censure, di cui innanzi si è fatto cenno. In effetti, che solo la società sia legittimata a provocare l'accertamento
di una responsabilità, ex art. 2393, degli amministratori
verso la società stessa, è principio non discutibile, in quanto è ben noto che tale responsabilità sussiste unicamente nei
confronti dell'ente, e soltanto da questo può essere fatta
valere a mezzo dei suoi organi. Accertato quindi dalla Corte di merito che l'assemblea
della Soc. Nitens aveva, con la deliberazione adottata,
nelle forme di legge, autorizzato l'azione di responsabilità contro esso Romana, a ragione detta Corte ha sottolineato
che con tale delibera veniva implicitamente disattesa la
richiesta del Romana fatta in seno all'assemblea per la
estensione dell'azione di responsabilità agli altri ammini
stratori.
Nè poi è argomento consistente quello secondo cui, una
volta promosso il giudizio dalla società contro taluno o
taluni soltanto degli amministratori incolpati, a costoro
verrebbe preclusa l'azione di regresso, non essendo ad essi
consentito di promuovere l'accertamento della responsa bilità degli altri amministratori. Si trascura qui di consi
derare che l'azione di regresso è azione individuale (e non
sociale), per cui nell'ambito dei rapporti interni tra essi
condebitori deve essere consentito l'accertamento del grado di responsabilità di ciascuno (arg. art. 2055), e quindi è
da ritenere che l'amministratore condannato, il quale ab
bia pagato il debito, ha sicuramente il diritto di rivalersi
nei confronti degli altri secondo i comuni principi che. rego
lano il regresso nella responsabilità solidale.
Il primo ed il secondo mezzo del ricorso principale devono
essere quindi respinti. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile; sentenza 7 agosto 1959, 11. 2489; Pres.
Torrente P., Est. Giannattasio, P. M. Tavolaho
(conci, conf.) ; Soc. Imbottigliamento bevande (Avv.
Silingardi, De Longhi) c. Pierallini e Manicardi
(Avv. Sxoroni, Roncaglia, Gaudenzi).
(Conferma App. Bologna 16 aprile 1958)
Società — Società a responsabilità limitata — Socio
dissenziente -—Nozione (Cod. civ., art. 2486, 2377).
Società — Società a responsabilità limitata-— Conflitto
d'interessi — « Quorum » costitutivo e « quorum »
deliberativo (Cod. civ., art. 2486, 2373).
Per socio dissenziente deve intendersi quello che non ha concorso
col suo voto alla formazione di volontà dell'assemblea ;
pertanto è tale colui che abbia votato in favore di una
proposta, che erroneamente è dichiarata non approvata. (1) La distinzione tra quorum costitutivo e quorum deliberativo
ex art. 2373 è applicabile anche alle società a responsa bilità limitata, che possono pertanto deliberare anche
senza che si raggiunga il voto favorevole della maggio ranza del capitale sociale. (2)
La Corte, ecc. — Con il primo motivo la Società ricor
rente denuncia violazione e falsa applicazione degli art.
2486 e 2487 cod. civ. e delle norme ivi richiamate, dell'art.
2907 cod. civ. e degli art. 99, 100, 112, 113, 157, 163, 164,
276, 342, 349 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, nn. 3
e 5. Premesso che gli attori avevano chiesto, in via prin
cipale, la dichiarazione di validità della deliberazione assembleare e, conseguentemente, quella di nullità della
deliberazione del consiglio d'amministrazione, e, in subordine, la nullità di entrambe le deliberazioni, si eccepisce : a) che
avendo Pierallini e Manicardi richiesto non l'annullamento
di una deliberazione, ma l'accertamento positivo della
validità dell'approvazione della proposta all'ordine del
giorno dell'assemblea (dichiarazione d'illegittimità della
deliberazione consiliare), essi erano carenti di legittimazione ad impugnare le deliberazioni, non essendo soci dissenzienti;
6) che tra la richiesta principale di accertamento positivo di approvazione della proposta all'ordine del giorno e quella subordinata d'annullamento sia della delibera assembleare
sia di quella consiliare, v'è una manifesta contraddizione ;
c) che in ordine alla domanda subordinata di annullamento
della delibera consiliare gli attuali resistenti erano carenti
di legittimazione attiva e comunque decaduti dall'impugna zione ; d) che la Corte di merito ha confuso attribuendo
tali eccezioni di carenza di legittimazione e di decadenza
alla domanda principale, e non a quella subordinata, per la quale erano state proposte.
Tali censure non sono fondate. La legittimazione alla
azione di annullamento della deliberazione assembleare
(art. 2377 cod. civ.) spetta ai soci assenti o dissenzienti
(1) Sul concetto di socio dissenziente la giurisprudenza è
scarsa ; nello stesso senso della sentenza annotata vedi la sen
tenza confermata App. Bologna 16 aprile 1958, Foro it., Rep.
1958, voce Società, n. 370 ; nel senso che il socio astenuto per conflitto di interessi sia legittimato all'impugnativa ex art. 2377,
v. Trib. Firenze 20 febbraio 1958, ibid., n. 371 ; infine il socio
allontanatosi dall'assemblea prima della sua regolare costitu
zione è stato considerato assente dal Tribunale di Venezia 18
maggio 1959, id., 1959, I, 1784, con nota di richiami. Adde in
dottrina Trimarchi, Titolarità del diritto di impugnare le deli
berazioni assembleari (in Riv. società, 1957, 68), che ritiene il
socio astenuto legittimato ad impugnare le deliberazioni assem
bleari, e Schermi, Esito della votazione e calcolo della maggioranza nelle assemblee delle società per azioni e a responsabilità limitata
(in Giust. civ., 1959, I, 2129) che, commentando la presente sen
tenza, concorda nel risultato, dissentendone però nella motiva
zione.
(2) Precedenti specifici sono solo le due sentenze di primo e
secondo grado ; quest'ultima confermata dalla sentenza riportata
App. Bologna 16 aprile 1958, Foro it., Rep. 1958, voce Società, nn. 361, 362 ; quella difforme di primo grado è Trib. Modena 21
maggio 1957, id., Rep. 1957, voce cit., n. 370, pubblicata con
nota critica di Minervini, Questioni in tema di computo della
maggioranza assembleare e di determinazione della remunerazione
degli amministratori « investiti di particolari cariche », in Banca,
borsa, ecc., 1957, II, 302. In dottrina v. altresì Schermi, op. cit., che concorda con la soluzione accolta dalla Cassazione.
In tema di maggioranza richiesta per la deliberazione del
l'azione di responsabilità contro l'amministratore socio, astenuto
quindi per conflitto d'interessi, vedi Cass. 23 gennaio 1957,
n. 201, Foro it., 1957, I, 218, con nota di richiami.
Per riferimenti in tema d'interesse sociale e conflitto d'inte
ressi, vedi Cass. 25 ottobre 1958, n. 3471 e 20 giugno 1958, n. 2148,
id., 1959, I, 1150, con nota di richiami. Adde in dottrina Greco,
Le società nel sistema legislativo italiano, Torino, 1959, pag. 240 e
segg. ; Graziavi, Diritto delle società, Napoli, 1960, pag. 328, che
aderiscono alla dottrina dominante dell'interesse sociale come
interesse comune dei soci.
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PARTE PRIMA
(oltre che agli amministratori ed ai sindaci) intendendosi
per dissenziente il socio che, con il suo voto, non ha concorso
alla formazione della volontà sociale. Di regola socio dissen
ziente è colui che ha espresso voto contrario alla delibera
zione addotta, ma, se, per errore del presidente dell'assem
blea o per un inesatto calcolo delle maggioranze richieste, viene dichiarata approvata una proposta che deve ritenersi
respinta o, invece, viene dichiarata non approvata una
proposta a favore della quale si è pronunciata la maggioranza
legale, il socio, che si dolga dell'erronea proclamazione di risultato e miri a fare accertare che l'esito della votazione
è stato diverso, è da considerarsi dissenziente, agli effetti
dell'impugnazione, ed abilitato ad essa, giacché questa non è
necessariamente subordinata ad una manifestazione di
aperto dissenso, ma semplicemente al presupposto negativo di non avere comunque il socio partecipato, con la propria
volontà, alla formazione della deliberazione nei termini
apparenti o reali, che risultano dalla proclamazione avve
nuta in assemblea e verbalizzata.
Secondariamente, sono perfettamente proponibili, in via
gradatamente subordinata l'una all'altra, diverse istanze, anche se di contenuto inconciliabile, poiché, in tal caso, non viene proposto l'accoglimento simultaneo di due o
più conclusioni incompatibili fra loro, ma la parte chiede
che il giudice adotti la soluzione meno favorevole per essa
parte '(istanza subordinata), solo nel caso in cui ritenga di dovere respingere l'istanza più favorevole avanzata
in via principale. Si ha in tal caso quella varietà di domande
che condiziona, con carattere di inderogabilità, l'ordine
delle questioni ; e, salvo che la parte non abbia proposto alternativamente due capi di domanda, deve il giudice esaminare prima la soluzione più favorevole, e la meno
favorevole soltanto nel caso di reiezione dell'altra.
In terzo luogo, anche se la Corte di merito non avesse tenuto contò che le eccezioni di difetto di legittimazione attiva e di decadenza dall'azione (esempio tipico di con clusioni incompatibili) attenevano alla istanza subordinata invece che a quella principale, dal momento che il Giudice ha accolto la domanda principale senza scendere all'esame di quella gradata, la ricorrente difetta d'interesse a rilevare
pretesi errori giuridici od omissioni di pronuncia che, anche se fossero rispondenti al vero, mai potrebbero condurre alla rescissione della sentenza impugnata.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 1394, 2375, 2351, 2366. 2368.
2369, 2373, 2377, 2448, 2472, 2484, 2485, 2486, 2487, 2475 cod. civ., nonché delle norme di legge in questi due ultimi articoli richiamate, in relazione all'art. 360, nn. 3, 5, cod.
proc. civile. Si sostiene che l'art. 2373, ult. comma, cod. civ. non crea, a proposito del conflitto d'interessi tra socio e
società, una discriminazione tra quorum, costitutivo e
quorum deliberativo, che devono invece ritenersi identici :
che, comunque, se la distinzione esiste, essa riguarda la società per azioni, e non quella a responsabilità limitata, nella quale è più accentuato l'elemento personale ; che, se si ammettesse che la società a responsabilità limitata
possa validamente deliberare, con l'astensione dei soci in conflitto d'interesse, potrebbe verificarsi che, per effetto di tale astensione, il residuo capitale venisse a ridursi a meno della metà e si perverrebbe all'estrema conseguenza che l'l% non in conflitto potrebbe assumere, astenuto il 99% in conflitto, qualsiasi deliberazione.
Tale motivo è infondato, perchè la discriminazione tra quorum, costitutivo e quorum deliberativo, che è sta bilita per le assemblee delle società per azioni, si applica anche alla società a responsabilità limitata, che può pertanto validamente deliberare con l'astensione dei soci in conflitto di interessi, anche se, per effetto di detta astensione, il
residuo capitale votante venga a ridursi al di sotto della metà del capitale sociale.
Invero l'art. 2373, 1° comma, cod. civ. dispone che il
diritto di voto non può essere esercitato dal socio della società per azioni nelle deliberazioni in cui egli ha, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società. In caso di inosservanza di tale disposizione la deliberazione è impugnabile a norma dell'art. 2377
cod. civ., qualora possa derivarne danno alla società (art.
2373, cpv.), ma anche questa impugnazione è ammessa
unicamente nel caso che, senza il voto dei soci che avrebbero
dovuto astenersi dalla votazione, non si sarebbe raggiunta la necessaria maggioranza (c. d. prova di resistenza). Non
essendovi in tal modo lina sospensione del diritto di voto, ma unicamente una limitazione di tale diritto, che deve
essere esercitato in modo da non recar danno alla società, le azioni che spettano al socio in conflitto di interessi abili
tano sempre al diritto di voto, per cui, secondo quanto
dispone l'ultimo comma del ricordato art. 2373, devono
essere computate ai fini della regolare costituzione della
assemblea. Si delinea in tal modo quella discriminazione, cui ora si accennava, tra quorum costitutivo e quorum deliberativo, che. dettato per le società per azioni, si applica anche alla società a responsabilità limitata, stante il preciso rinvio contenuto nell'art. 2486, 2° comma, che dichiara
applicabile all'assemblea della società a responsabilità
limitata, fra le altre, le disposizioni dell'art. 2373. Nè può sostenersi che il legislatore, richiamando l'art. 2373, abbia
inteso limitare il rinvio al solo 1° comma, che prescrive l'astensione dei soci in conflitto di interessi, perchè di tale
pretesa limitazione non v'è traccia alcuna nella legge e nei
lavori preparatori e perchè, al contrario, quando si è voluto
circoscrivere l'ambito del richiamo soltanto al alcuni comma
degli articoli dettati per la società per azioni, lo si è detto
espressamente, come nell'art. 2475, ultimo comma, che
richiama soltanto l'ultimo comma dell'art. 2328 ed il 1° e
2° comma dell'art. 2331, nell'art. 2487, cpv., che limita il
richiamo dell'art. 2383 ai comma 1°, 3° e 4° e nell'art.
2495 che limita l'applicazione dell'art. 2441 al 1° comma.
Neppure vale obiettare, in contrario, che, per l'integrale
applicazione dell'art. 2373 alla società a responsabilità
limitata, occorrerebbe considerare come non scritta la regola del 1° comma dell'art. 2486, secondo la quale, salva diversa
disposizione dell'atto costitutivo, l'assemblea ordinaria
delibera col voto favorevole di tanti soci, che rappresentano la maggioranza del capitale sociale, e l'assemblea straor
dinaria delibera col voto favorevole di tanti soci che rap
presentano due terzi del capitale sociale, perchè la pretesa insanabile contraddizione, che darebbe luogo ad un caso di
interpretatio abrogane, in realtà non sussiste. Infatti la
disposizione del 1° comma dell'art. 2486 prevede l'ipotesi normale di mancanza di soci in conflitto d'interesse, e va
coordinata con la norma che quel conflitto contempla, in presenza del quale l'obbligo di astensione dei soci, il
cui interesse è in contrasto con quello sociale, implica necessariamente la determinazione delle maggioranze legali con riferimento al capitale sociale non avente interesse
particolare nella deliberazione. Se davvero sussistesse
incompatibilità tra il 1° comma dell'art. 2486, che esige particolari maggioranze per l'approvazione delle deliberazioni sociali e l'art. 2373, ultimo comma, che, in presenza di soci
interessati, limita, in rapporto al capitale sociale, le maggio ranze, la medesima inconciliabilità ricorrerebbe anche tra l'art. 2373, ultimo comma, e gli art. 2368 e 2369 che regolano il quorum deliberativo nelle società per azioni, quando non esiste conflitto di interessi, e neppure l'esistenza della
assemblea di seconda convocazione (art. 2369), che difetta invece nella società a responsabilità limitata, sarebbe idonea
ad eliminare il contrasto, perchè anche nell'assemblea di seconda convocazione il quorum> deliberativo è rapportato al capitale sociale.
Del resto la discriminazione tra quorum costitutivo e
quorum deliberativo, di cui all'ultimo comma dell'art. 2373, non è senza razionale giustificazione, che vale tanto per le società per azioni, quanto per la società a responsabilità limitata. Già si è accennato che se il socio in conflitto di interessi con la società deve astenersi, per evitare che la deliberazione sia impugnata nei limiti del cpv. dell'art. 2373,
egli non è tuttavia privato del diritto di voto, può aggiungersi che l'ammissione dei soci in conflitto a partecipare alla assemblea è giustificata, sia dalla possibile e normale molte
plicità di oggetti posti all'ordine del giorno, onde il conflitto
può sussistere rispetto a taluno soltanto di tali oggetti, sia dal fatto che, anche in presenza di un unico oggetto
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809 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 810
all'ordine del giorno, il conflitto di interessi, ignorato e
neppur sospettato fino al giorno dell'assemblea, può pale sarsi soltanto nel corso di questa.
Nè infine ha rilievo la circostanza che, a non tener
conto, nel computo della maggioranza richiesta per la
validità della deliberazione, dei voti dei soci che debbono
astenersi, può verificarsi che la deliberazione, ove i soci
in conflitto d'interessi rappresentino una notevole aliquota del capitale sociale, venga adottata con il voto favorevole di soci rappresentanti una minima percentuale del capitale,
perchè la legge si è preoccupata massimamente che la
deliberazione risponda all'interesse sociale, che viene
tutelato dai voti dei soci imparziali, anche se scarsi di
numero e con limitate partecipazioni, e si è preoccupata altresì che le astensioni, giocando come voto negativo, non abbiano a paralizzare la volontà dei votanti. (Omissis)
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione III civile ; sentenza 11 luglio 1959, n. 2244; Pres.
Lombardo P., Est. La Poeta, P. M. Pisano (conci,
conf.) ; Mastrogiovanni (Avv. Pelagallo, Andrioli) c.
Compagnia tirrena assicurazioni (Avv. Nicolò, Batta
glisti).
(Gassa App. Foma 3 settembre 1958)
Titoli di eredito —- Assegno bancario — Protesto —
Accertamento dei poteri rappresentativi — Irri
levanza (R. d. 21 dicembre 1933 n. 1736, sull'assegno
bancario, art. 62).
In caso di protesto di assegno bancario emesso da rappre
sentante, il notaio che eleva il protesto deve attenersi alle
risultanze formali del titolo e non ha l'obbligo di accertare
la esistenza e validità del rapporto rappresentativo. (1)
La Corte, ecc. — Fatto. — La Soc. per az. Compagnia tirrena di capitalizzazioni e assicurazioni, con atto di cita
zione in data 16 ottobre 1956, convenne il notaio Enrico
Mastrogiovanni dinanzi al Tribunale di Roma, per sentirlo
condannare al risarcimento dei danni da essa istante pa titi in conseguenza della elevazione di protesto per il man
cato pagamento di un assegno bancario di lire 3.200.000,
emesso sulla Banca di credito e risparmio, in data 9 novem
bre 1955 con la seguente sottoscrizione : « Compagnia tir
rena capitalizzazioni e assicurazioni. L'Agente principale Enrico Minarelli ». L'istante precisò che essa, venuta a cono
scenza che la Banca trattaria aveva restituito l'assegno, emesso dal Minarelli, rifiutandone il pagamento, per difetto
(1) Per la individuazione del soggetto passivo del protesto in base alle risultanze formali del titolo, v. Cass. 18 marzo 1954, n. 777, Foro it., Rep. 1954, voce Titoli di credito, n. 156, e sostan
zialmente Cass. 20 maggio 1954, n. 1625, ibid., nn. 118-123, con
riferimento a cambiale firmata da falso rappresentante di società.
Al proposito è stato precisato in dottrina (v. Bonelli, Della cambiale, dell'assegno bancario, Milano, 1930, 475 ; Vivante
Trattato di dir. comm., vol. Ili, Milano, 1924, 379 ; e adesso De
Semo, Diritto cambiario, Milano, 1953, 629) che il notaio è ufficiai"
con funzioni di esecuzione e non con funzioni ricognitive, dovendo
quindi egli, per l'appunto, attenersi alle risultanze formali del
titolo (v. Andrioli, La responsabilità del notaio per i protesti, in Riv. del notariato, 1947, 203, spec. 206 ; Battaglimi, Il pro
testo, Milano, 1960, pag. 35 e segg.). Sulla disciplina della rappresentanza nei titoli di credito, v.
Asquini, Titoli di credito, Padova, 1951, 179 ; De Semo, Diritto
cambiario, cit., 344.
Sugli obblighi del notaio, v. in particolare Gualtieri, I
titoli di credito, Torino, 1953, 243 ; per ipotesi di responsabilità del notaio, v. Cass. 26 gennaio 1952, n. 219, Foro it., Rep. 1952, voce Titoli di credito, n. 169, nonché Cass. 27 luglio 1937, n. 2780,
id., Rep. 1937, voce Effetto cambiario, nn. 170, 171. Sulla que
stione, v. anche Magrone, in nota a Cass. 1 agosto 1959, n. 2444,
retro, 100.
di provvista, e che, appreso che era stato richiesto il notaio
Mastrogiovanni per il protesto, aveva avuto cura di avvertire
detto notaio che l'assegno era stato tratto sul c/c personale del Minarelli e non già sul c/c della Compagnia tirrena ; che il Minarelli aveva arbitrariamente fatto uso della ra
gione sociale della Compagnia, della quale non era più
agente principale, per dimissioni intervenute il giorno
precedente alla emissione dell'assegno ; che il Minarelli
non aveva mai avuto facoltà di emettere assegni di c/c a
nome della Compagnia ; che, ciò nonostante, il detto notaio
aveva elevato il protesto contro essa Compagnia tirrena.
Il convenuto, comparso in causa, eccepì la legittimità del
suo operato, rilevando che il protesto va elevato nei con
fronti di chi, in base al titolo, ne risulta l'emittente e che,
comunque, egli in calce al protesto aveva riportato le di
chiarazioni fattegli dal rappresentante della Tirrena.
Il Tribunale adito, con sentenza 10 dicembre 1957,
rigettò la domanda.
Su appello della Compagnia tirrena, la Corte d'appello di Roma, con sentenza 3 settembre 1958, in totale riforma
della decisione impugnata, affermò la responsabilità del
Mastrogiovanni, che condannò al risarcimento dei danni
in favore della Compagnia tirrena, danni liquidati in lire un
milione.
Contro quest'ultima sentenza il notaio Mastrogiovanni ha proposto ricorso per cassazione, con due motivi di an
nullamento. La Compagnia resiste con controricorso.
Diritto. — Col primo motivo del ricorso si censura l'im
pugnata sentenza per violazione degli art. 76 legge 16 feb
braio 1913 n. 89 ; 14, 15, 45, 62 e 63 r. decreto 21 dicembre
1933 n. 1736 sull'assegno bancario ; 13 r. decreto 16 marzo
1942 n. 267 sul fallimento ; 2043 cod. civ., e per omesso esame
del punto decisivo della controversia. Il ricorrente precisa la
sua censura nel senso che la Corte di merito sia incorsa in
errore nell'individuare il tema della controversia nella riso
luzione della questione di fondo, relativa ai limiti del po tere di rappresentanza dell'agente rispetto alla Compagnia di cui era il procuratore, in quanto avrebbe dovuto, invece, limitarsi ad accertare quali sono i limiti dell'attività certi
ficàtrice del notaio, in sede di elevazione di protesto per il
mancato pagamento di un titolo all'ordine.
La censura è fondata. Il protesto non è altro che la con
statazione e certificazione del rifiuto del pagamento di un
titolo all'ordine, che condiziona l'azione di regresso contro i
giranti, il traente e gli altri obbligati. La natura e lo scopo di tale atto, che, dovendo essere redatto, con le richieste
formalità, da Tin notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò
autorizzato, è indubbiamente un atto pubblico destinato a
far fede dell'inadempimento, rendono chiara la ratio delle
disposizioni similari portate dagli art. 70 della legge cam
biaria 14 dicembre 1933 n. 1669, e 62 della legge sull'asse
gno bancario 21 dicembre 1933 n. 1736, secondo cui il pro testo si deve fare nel luogo di pagamento e contro il tratta
rio o il terzo indicati per il pagamento, cioè rendono chiara
la finalità di assicurare che la risposta avuta alla richiesta
di pagamento provenga da colui che, secondo la forma e
le risultanze del titolo, è indicato per il pagamento, oppure che i motivi pei quali non si ebbe alcuna risposta siano ac
certati nel luogo indicato per il pagamento e nei confronti
della persona a questa chiamata, secondo le risultanze del
titolo. In rispondenza a siffatta finalità, devesi ritenere
che la indicazione sul titolo di un rapporto rappresentativo individua nel rappresentato il soggetto passivo del pro testo e che, ai fini dell'accertamento del mancato paga mento o del rifiuto di pagamento, è irrilevante la inesi
stenza o la invalidità del rapporto rappresentativo, giacche l'ufficiale pubblico, che eleva il protesto, deve attenersi alle
risultanze del titolo ed ogni questione sulla legittimazione del soggetto passivo (persona richiesta del pagamento) va risolta dal giudice, a norma degli art. 64 della legge cam
biaria e 56 della legge sull'assegno. Il detto pubblico uffi
ciale, pertanto, deve limitarsi a rivolgere la richiesta alla
persona indicata e a dare atto fedelmente delle risposte avute o dei motivi per i quali non se ne ebbe alcuna, e non
può esimersi dall'obbligo di ottemperare alla richiesta del
portatore.
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