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sezione I civile; sentenza 7 aprile 1986, n. 2415; Pres. Scanzano, Est. Sensale, P. M. Martinelli...

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sezione I civile; sentenza 7 aprile 1986, n. 2415; Pres. Scanzano, Est. Sensale, P. M. Martinelli (concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Laporta) c. Soc. Essevi (Avv. Scalzo). Conferma App. Milano 29 giugno 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 9 (SETTEMBRE 1986), pp. 2187/2188-2199/2200 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180646 . Accessed: 28/06/2014 19:08 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 19:08:20 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 7 aprile 1986, n. 2415; Pres. Scanzano, Est. Sensale, P. M. Martinelli(concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Laporta) c. Soc. Essevi (Avv. Scalzo). ConfermaApp. Milano 29 giugno 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 9 (SETTEMBRE 1986), pp. 2187/2188-2199/2200Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180646 .

Accessed: 28/06/2014 19:08

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2187 PARTE PRIMA 2188

1981, che, a differenza dell'art. 16, 1° comma, decreto del 1972,

esplicitamente menziona l'avviso di liquidazione. Viceversa, il confronto fra le stesse disposizioni dei due decreti

non conduce al medesimo risultato quando, come nel caso in

esame, si tratti di stabilire non se la norma dell'art. 16, 1°

comma, si estenda — com'è ovvio — ad ogni caso di imposizio ne, ma se essa trovi applicazione anche con riferimento a forme di comunicazione, non previste nello stesso 1° comma, del debito

nascente dall'atto d'imposizione; ove, cioè, si debba decidere se, nella presenza certa di una « preventiva imposizione tributaria », comune presupposto di tutte le ipotesi del 1° comma, la notifica

zione di un atto non espressamente menzionato in tale disposi zione possa ugualmente valere a far decorrere il termine di

sessanta giorni per l'impugnazione. È il caso, appunto, controverso in questo giudizio, dell'avviso

di mora, che non è elencato nel 1" comma dell'art. 16 decreto

del 1972, e, per contro, risulta espressamente contemplato nell'art. 7 decreto del 1981.

Un'interpretazione estensiva del più volte citato art. 16, 1°

comma, sarebbe possibile solo se l'atto in questione — l'avviso di

mora — per completezza strutturale e piena attitudine a fornire

un'informazione adeguata al contribuente, si dovesse necessaria mente comprendere ed inquadrare nella sostanziale previsione normativa, che, al di là della letterale formulazione del testo,

corrisponda alla reale volontà del legislatore. Ma a questo proposito la sentenza d'appello, con ineccepibile

argomentazione imperniata sul confronto fra l'art. 25 e l'art. 46

d.p.r. n. 602 del 1972, ha posto in evidenza che l'avviso di mora

(art. 46), per la sua peculiare struttura e il suo particolare e

ristretto contenuto, non equivale alla notificazione della cartella

esattoriale (art. 25) e non possiede, pertanto, l'attitudine a fornire

al contribuente quella completa informazione sui dati dell'imposi zione fiscale (tributo, periodo d'imposta, imponibile, aliquota

applicata, ammontare dell'imposta accessoria, rispetto alla sola

indicazione dell'esistenza e dell'ammontare del debito), che è

necessaria per poter valutare l'opportunità di proporre il ricorso.

Conformemente, pertanto, alla decisione in esame e contro

un'opinione, seppure autorevole, della dottrina, ritiene di collegio che nel caso in argomento non sia consentita, nella esegesi del

1" comma dell'art. 16, decreto n. 636/72, quella particolare

operazione ermeneutica che va sotto il nome di interpretazione estensiva.

Di conseguenza, deve essere riconosciuto, su questo punto, il

carattere innovativo della disposizione (peraltro, di incerta legit timità costituzionale) contenuta nell'art. 7 del successivo decreto

n. 738/81. Avendo i giudici di merito correttamente ritenuto ammissibile e

proponibile l'impugnazione del contribuente, deve essere, dunque,

respinto, in questa sede, il ricorso proposto dall'amministrazione

finanziaria.

L'accoglimento del ricorso principale comporta la cassazione

della sentenza impugnata e il rinvio del giudizio, per nuovo

esame, ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli. (Omissis)

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 7 aprile

1986, n. 2415; Pres. Scanzano, Est. Sensale, P.M. Martinelli

(conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Laporta) c. Soc.

Essevi (Avv. Scalzo). Conferma App. Milano 29 giugno 1982.

Dogana — Rimborso di imposte indebitamente pagate — Legit

timazione — Importatore — Eventuale traslazione del tributo

sull'acquirente delle merci sottoposte alle imposte doganali —

Irrilevanza (Cod. civ., art. 2033).

Dogana — Rimborso di imposte indebitamente pagate — Disci

plina nazionale — Condizioni — Prova documentale della

mancata traslazione dell'imposta — Effetto retroattivo — Con

trasto con la normativa comunitaria (Cod. civ., art. 2033; d.l.

30 settembre 1982 n. 688, misure urgenti in materia di entrate

fiscali, art. 19; 1. 27 novembre 1982 n. 873, conversione in

legge, con modificazioni, del d.l. 30 settembre 1982 n. 688).

Dogana — Rimborso di imposte indebitamente versate — Interes

si sulle somme in misura superiore a quella legale — Maggior danno da svalutazione monetaria — Prova — Ammissibilità

(Cod. civ., art. 1224; djp.r. 23 gennaio 1973 n. 43, t.u. delle

disposizioni legislative in materia doganale, art. 93; 1. 18 aprile

1978 n. 130, misura degli interessi moratori in materia di tasse

e imposte indirette sugli affari, art. 1). Danni in materia civile — Obbligazioni pecuniarie — Maggior

danno da svalutazione monetaria — Qualità personali del

creditore — Liquidazione (Cod. civ., art. 1224).

Il rimborso delle imposte doganali indebitamente versate può esser chiesto solo dal solvens (nella specie, l'importatore) che

abbia effettuato il relativo pagamento, a nulla rilevando la

circostanza che l'importatore abbia potuto trasferire su altri

soggetti l'onere economico del pagamento del tributo. (1) L'art. 19 d.l. 30 settembre 1982 n. 688, convertito con modifica

zioni in l. 27 novembre 1982 n. 873, che subordina, con effetto

retroattivo, l'esercizio della condictio indebiti alla prova docu

mentale di non avere l'importatore trasferito su altri soggetti il

relativo onere economico, è incompatibile con il diritto comuni

tario in quanto rende praticamente impossibile la tutela giudi ziaria del diritto al rimborso e come tale non può ritenersi

rilevante al fine della disciplina della ripetizione delle imposte

doganali indebitamente versate. (2) La previsione normativa che fissa nella misura del 3 % semestrale

il saggio d'interesse sulle somme dovute dall'amministrazione

finanziaria in occasione del rimborso di diritti doganali non

preclude al creditore di provare il maggior danno da svaluta

zione monetaria con le conseguenze di cui all'art. 1224 c.c. (3)

La liquidazione del danno ex art. 1224, 2" comma, c.c. attraverso

dati di comune esperienza e presunzioni è ammessa quando il

creditore rivesta la qualifica di imprenditore commerciale. (4)

(1) Giurisprudenza costante sul punto: v. Cass. 12 novembre 1983, n. 6734, Foro it., 1984, I, 75, con nota di richiami; nonché Cass. 25

marzo 1983, n. 2090, id., Rep. 1983, voce Dogana, n. 77, che dichiara

la legittimazione del solvens (in quanto proprietario o detentore della

merce importata) ad esperire la condictio indebiti; App. Milano 12

ottobre 1982, id., Rep. 1984, voce cit., n. 44, secondo la quale la

capacità contributiva (e, quindi, la titolarità delle azioni di rimborso) in materia doganale è espressa dalla detenzione delle merci sottoposte al tributo.

(2-5) I. - Coloro che hanno pagato, senza doverlo, somme per l'importazione di merci sottoposte ai tributi doganali possono tirare un

sospiro di sollievo: il tentativo del nostro legislatore di * paralizzare

'

le azioni di ripetizione con l'introduzione dell'art. 19 dJ. 1. 688/82 (e, profilo non meno rilevante, di sconfessare un orientamento giurispru denziale ormai assestato nel tutelare i diritti dei contribuenti dalle

pretese, a dir poco eterodosse, della nostra amministrazione finanziaria) è fallito ingloriosamente sotto i colpi inferti alla normativa nazionale dalla Corte di giustizia CE, prima, e dalla Cassazione con la sent.

2415/86 (ma il * mandante ', ricordiamolo, era stata la Corte costitu

zionale). Difatti, dopo l'intervento di Corte cost. 23 aprile 1985, n. 113, Foro it., 1985, I, 1600, con nota di richiami, con cui era stato

precisato il contenuto del ' nuovo corso ' della giurisprudenza costitu

zionale in tema di diretta applicabilità del diritto comunitario (tenuto a battesimo da Corte cost. 8 giugno 1984, n. 170, id., 1984, I, 2062, con nota di A. Tizzano), ecco puntuale la sortita della Cassazione (che può già vantare un nutrito gruppo di precedenti, a cominciare da Cass. 18 ottobre 1985, n. 5129, id., Mass., 948, per esteso in Giust. civ., 1985, I, 2979, con nota di Scarpa, Disapplicazione di norme nazionali incompatibili con precetti comunitari e con norme del G.a.t.t.; 24 ottobre 1985, n. 5235, Foro it., Mass., 966; 30 gennaio 1986, n. 600, id., Mass., 116; 26 marzo 1986, n. 2145, inedita; per finire a Cass. 7 maggio 1986, n. 3061, 3 maggio 1986, n. 3014, 29 aprile 1986, n. 2961, 16 aprile 1986, n. 2719, tutte inedite) in cui si è messo in luce, con chiarezza e senza esitazioni, il contrasto tra l'insegnamento ricevuto da Corte giust. CE 9 novembre 1983, causa 199/82, id., 1984, IV, 297, con nota di Daniele (annotata anche da Maresca, L'azione di ripetizione delle tasse di effetto equivalente tra diritto interno e diritto comunitario: un'importante pronuncia, in Dir. maritt., 1984, 644; Id., L'integrazione fra il diritto comunitario e il diritto interno nella disciplina della ripetizione dell'indebito in materia fiscale comunitaria, in Dir. e pratica trib., 1984, II, 3) e la nuova normativa in tema di rimborso delle imposte doganali, san cendone, cosi, l'inapplicabilità alle azioni di ripetizione. La giuris prudenza di merito, invece, sembra restia ad abbandonare l'idea che la traslazione dell'onere tributario impedisca di ottenere il rimborso delle somme, versate indebitamente, tanto più che una tale posizione è '

incoraggiata ' dal dettato dell'art. 19 cit.: cfr., da ultimo, App.

Trento 12 novembre 1983, Foro it., Rep. 1984, voce Dogana, n. 96 (an notata da Floridia, Traslazione d'imposta e ripetizione d'indebito, in Dir. scambi internaz., 1984, 170); non mancano decisioni che inferisco no direttamente dal contenuto dei regolamenti comunitari il diritto al rimborso delle somme indebitamente percepite: v. Trib. Roma 18 ottobre 1983 e Trib. Torino 19 settembre 1983, Foro it., Rep. 1984, voce Comunità europee, nn. 300, 301 (la seconda pronuncia è ripro dotta in Dir. scambi internaz., 1984, 150, con nota di Ballarino, Rimborsi, ripetizione d'indebito e art. 177 trattato CEE).

II. - Nel mentre si risolve questo primo, delicato problema, Cass.

Il Foro Italiano — 1986.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 25 feb

braio 1986, n. 1200; Pres. Scanzano, Est. Sensale, P.M.

Martinelli (conci, parz. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato

Laporta) c. Soc. Linoleum Due Palme (Avv. Del Moro). Cassa

App. Napoli 30 novembre 1981.

Dogana — Importazioni da paesi appartenenti all'area G.a.t.t. —

Ripetizione di diritti doganali indebitamente pagati — Disci

plina interna — Disapplicazione per contrasto con la normativa

comunitaria — Condizioni — Questione di costituzionalità —

Esame della rilevanza (D.l. 30 settembre 1982 n. 688, art. 19; 1.

27 novembre 1982 n. 873, art. unico).

Nell'ipotesi in cui chi ha indebitamente corrisposto diritti dogana li per merci importate dall'area G.a.t.t., o comunque provenien ti da paesi aderenti ad altri accordi internazionali diversi dal

trattato CEE, chieda il rimborso delle somme pagate, se l'ille

gittimità del tributo possa comunque farsi risalire ad un

regolamento del mercato comune, al giudice nazionale è consen

tita la disapplicazione dell'art. 19 d.l. 688/82 che pone limiti

al rimborso delle somme suddette in contrasto con la normati

va comunitaria-, diversamente, il giudice avrà il potere di

valutare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale

della stessa norma. (5)

1200/86 (seguita da Cass. 18 giugno 1986, n. 4063) introduce un'im

portante precisazione circa la disciplina che regola le azioni di ripeti zione dei tributi doganali percepiti rispetto ad importazioni effettuate da paesi non appartenenti alla CEE.

I termini della questione non sono del tutto nuovi: Cass. 5129/85 era intervenuta in un'analoga controversia, dove i tributi di cui si chiedeva la restituzione erano stati percepiti per importazioni da paesi non facenti parte della CEE. In quell'occasione, l'amministrazione finanziaria aveva sollevato la questione relativa all'inapplicabilità del divieto comunitario (di riscossione di diritti costituenti misure di effetto equivalente a dazi doganali) per le importazioni da paesi terzi; ma il tutto si era risolto in una dichiarazione d'inammissibilità del ricorso per non aver impugnato le due concorrenti ragioni che stavano a base della decisione di merito. Oggi la Cassazione arriva al dunque e ribadisce il dictum di Corte cost., ord. 23 aprile 1985, n. 118 (Giur. costit., 1985, II, 731, ed in Giur. it., 1986, I, 1, 28, con nota di Bellocci, Sul nuovo orientamento della Corte costituzionale in tema di

rapporti fra ordinamento comunitario e ordinamento interno) secondo il quale nulla cambia se l'illegittimità delle tasse percepite sulle importa zioni discende da regole comunitarie valevoli anche per gli scambi ex tracomunitari (id est, il già ricordato divieto di riscossione di tasse di effetto equivalente a dazi doganali, su cui v. Corte cost. 26 ottobre 1881, n. 177, Foro it., 1982, I, 359, con nota di A. Tizzano, che si rifà a Cor te giust. OE 28 giugno 1978, causa 70/77, id., 1978, IV, 481, con nota di richiami, per affermare l'illegittimità di tale riscossione anche nei rap porti con paesi non appartenenti alla CEE; sulla nozione di misura di effetto equivalente a dazio doganale v. ancora Corte giust. CE 8 novem bre 1979, causa 251/78 e 31 maggio 1979, causa 132/78, id., 1981, IV, 425 e 427, con nota di richiami; 7 aprile 1981, causa 132/80, id., 1982, IV, 428, con nota di richiami; 5 maggio 1982, causa 15/81, id., 1983, IV, 286, con nota di richiami; in dottrina v. Maresca, Le « tasse di

effetto equivalente », Padova, 1984). Sui rapporti tra normativa comunitaria e G.a.t.t. v., da ultimo, Corte

giust. CE 16 marzo 1983, cause 266/81, 267-269-81, Foro it., 1984, IV, 170, con nota di richiami; in dottrina cfr. Rollero, Orientamenti della

giurisprudenza comunitaria ed applicazione degli accordi internazionali, in particolare della normativa G.a.t.t., negli ordinamenti degli Stati membri della CEE, in Dir. scambi internaz., 1983, 369.

III. - Intanto si profilano due (nuovi) quesiti di non poco conto, in relazione al tormentato settore del rimborso delle imposte doganali: se finora l'applicabilità dell'art. 19 cit. è stata valutata in relazione a

rapporti sorti anteriormente all'entrata in vigore della 1. 873/82, quid iuris quando si tratterà di applicare la stessa norma a rimborsi riguardanti importazioni compiute dopo questo termine (nel senso che la prova documentale della non avvenuta traslazione può essere chiesta solo in relazione a domande presentate dopo l'entrata in vigore della

legge, anche se riferentisi a somme versate precedentemente, v. Trib. Genova 24 gennaio 1983, Foro it., Rep. 1984, voce Dogana, n. 100, e in Dir. e pratica trib., 1983, II, 1237, con nota di Maresca, Sul rimborso dei tributi contrastanti con la normativa comunitaria)? Rico nosciuto il diritto a! rimborso delle somme indebitamente versate, in che misura spetteranno al solvens gli interessi su detta somma?

A questo secondo interrogativo Cass. 2415/86 dà risposta sul punto relativo al rapporto tra saggio d'interesse ex 1. 130/78 e maggior danno da svalutazione (anche in questo caso si contano già alcuni

precedenti: v. Cass. 4 marzo 1986, n. 1345, Foro it., Mass., 244; 600/86, cit.). Per ciò che riguarda la massima (3), si erano già pronunciate nello stesso senso (anche se in obiter) Cass. 5 novembre 1984, nn. 5594, 5596 e 5597, id., Rep. 1984, voce cit., nn. 104-106; 8 novembre 1984, n. 5641, ibid., n. 107; contra Trib. Genova 24

gennaio 1983, ibid., voce Tributi in genere, n. 1011, e in Dir. e

I

Svolgimento del processo. — Con citazione del 23 novembre

1977, la s.r.l. Essevi conveniva innanzi al Tribunale di Milano

l'amministrazione delle finanze dello Stato, chiedendone la con

danna alla restituzione delle imposte corrisposte sulla importa zione di acqueviti di vino provenienti da paesi della CEE, per un

ammontare superiore a quello corrispondente alle imposte gra vanti sul prodotto nazionale similare, in violazione dell'art. 95 del

trattato istitutivo della GEE.

Nella resistenza dell'amministrazione, l'adito tribunale, previa consulenza tecnica diretta ad accertare la sussistenza dell'afferma ta disparità di trattamento fiscale, accoglieva parzialmente la

domanda, disponendo la restituzione alla società attrice della

somma di lire 18.720.205, con gl'interessi nella misura del 10 %

dalla domanda fino all'entrata in vigore della 1. 18 aprile 1978 n.

130 e, per il periodo successivo, nella misura del 6 % per ogni semestre compiuto.

L'amministrazione proponeva appello principale e la società Essevi proponeva appello incidentale, chiedendo la liquidazione del maggior danno ai sensi dell'art. 1224, 2° comma, c.c.

Con la sentenza impugnata in questa sede, la corte d'appello ha rigettato il gravame dell'amministrazione, osservando che, contrariamente all'assunto di questa, l'importatore che presenta la merce alla dogana ovvero la dichiara all'atto dell'entrata nel

territorio nazionale è, per ciò solo, assoggettato al pagamento delle imposte e, in quanto dichiarante, ottiene l'emissione a

proprio nome delle relative bollette, assumendo in tal modo la

veste di soggetto passivo del rapporto doganale, con conseguente

legittimazione in ordine a tutti i diritti e all'esercizio delle azioni

che da tale rapporto derivano.

In particolare — prosegue la corte d'appello — il debitore-so/

vens ha il potere di esigere, ex art. 2033 c.c., la restituzione

dell'indebito, mentre tale potere non compete all'acquirente della

merce « allo Stato estero », trattandosi di soggetto estraneo al

rapporto intercorso con la dogana per effetto della importazione. La corte del merito ha, inoltre, respinto l'appello dell'ammini

strazione sul punto relativo all'applicabilità del diritto erariale

sulle acqueviti di vino importate dai paesi della CEE. Ha invece

accolto l'appello incidentale della società, accordandole, a titolo

di maggior danno, gl'interessi nella misura del 15 %, argo mentando dalla entità della somma in contestazione e dei tassi

medi degl'interessi attivi risultanti dagli indici elaborati dall'Asso

ciazione bancaria italiana, nonché dalla effettiva fruttuosità del

denaro anche se investito nella forma più elementare, e per un

imprenditore anche più inerte, del deposito bancario.

Contro tale sentenza l'amministrazione ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi, cui resiste la soc. Essevi con

controricorso e memoria.

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo, l'ammini

strazione ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2033 c.c., censurando la decisione impugnata nella parte in cui ha affermato che la titolarità del diritto alla restituzione

di somme indebitamente corrisposte a titolo di diritti doganali non possa riconoscersi ad altri se non all'importatore-so/vercs,

pratica trib., 1983, II, 1237, con nota di Maresca, cit. In dottrina cfr.

Perulli, Gli interessi legali, convenzionali e moratori nelle nuove leggi tributarie in materia di tasse ed imposte indirette sugli affari, derivate dalla riforma disposta con legge-delega 9 ottobre 1971 n. 825, in Iva e trib. erariali, 1980, 657.

Sul profilo delle qualità personali del creditore in riferimento alla liquidazione del maggior danno da svalutazione monetaria si rinvia a Cass., sez. un., 5 aprile 1986, n. 2368, Foro it., 1986, I, 1265, con nota di Pardolesi e Amatucci, e 1539, con nota di Valcavi.

Resta da stabilire il dies a quo per il computo degli interessi secondo l'orientamento ora ricordato: la Cassazione si è recentemente espressa a favore della tesi che individua tale momento nel giorno in cui è stata proposta la domanda dal solvens, argomentando dalla buona fede dell'amministrazione nel momento in cui erano state ri scosse le tasse doganali '(cfr. Cass. 5594/84, 5596/84, 5597/84, 5641/84, cit.); ma mette conto ricordare come in Francia prevalga un orientamento ben più realistico secondo il quale « \'administration des douanes ha riscosso i tributi in cattiva fede, non potendo essa ignorare la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità

europee », per cui « essa è tenuta a corrispondere gli interessi sulla somma percepita dal giorno del pagamento fino alla data del suo rimborso»: cosi Cass. Francia 26 aprile 1982, id., Rep. 1984, voce Comunità europee, n. 302; per un aggiornamento delle vicende francesi in ordine alla restituzione dei tributi doganali percepiti in violazione del diritto comunitario v. Mauro, Mauvaise foi, faute et

paiement des intérèts des sommes indùment retenues. Les cas des

Douanes, in Gaz Pai., 21-22 mars 1986, Doct., 2. [S. Di Paola]

Il Foro Italiano — 1986.

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2191 PARTE PRIMA 2192

dovendosi escludere, in particolare, che il terzo acquirente (ed effettivo proprietario) del prodotto importato, in quanto estraneo al rapporto tributario, sia legittimato ad esperire la condictio di cui all'art. 2033 c.c. Secondo l'amministrazione, tali conclusioni danno luogo ad una palese distorsione della ratio e della finalità della norma citata. Presupposto della condictio indebiti sarebbe,

infatti, un depauperamento del solvens, che nella specie non

sussiste, perché il tributo verrebbe in definitiva a gravare sull'ac

quirente della merce che lo rimborsa o lo anticipa all'importato re; e, aderendo alla tesi contraria, si verificherebbe un illecito

arricchimento dell'importatore che otterrebbe un rimborso pur non avendo mai subito un effettivo depauperamento. La norma

generale di cui all'art. 2033 c.c. non potrebbe essere, quindi,

applicata nei casi in cui il solvens abbia rimosso il pregiudizio economico trasferendo su altri soggetti (nella specie gli acquirenti della merce allo Stato estero) le conseguenze patrimoniali dell'in

debito pagamento, essendo conforme a leggi di mercato, in un

regime a economia libera, che l'importatore-so/vens includa l'one

re fiscale fra i costi del prodotto offerto al consumo, recuperan dolo in tal modo nel prezzo di vendita.

Con il terzo motivo l'amministrazione ricorrente deduce che

l'annullamento della impugnata sentenza andrebbe in ogni caso

disposto in applicazione della sopravvenuta normativa di cui

all'art. 19 d.l. 30 settembre 1982 n. 688, convertito in 1. 27

novembre 1982 n. 873, espressamente richiamato per effetto della

prevista retroattività della nuova disciplina, con la quale il

rimborso di diritti doganali indebitamente corrisposti è stato

subordinato alla prova della non avvenuta traslazione del relativo

onere economico.

2. - La società resistente ha eccepito l'inammissibilità del

ricorso, in quanto prospetterebbe una questione nuova non dibat

tuta in sede di merito, nella quale il problema della titolarità

dell'azione di rimborso sarebbe stata esaminata con esclusivo

riferimento alla circostanza dell'importazione di merci vendute

allo Stato estero.

L'eccezione dev'essere disattesa. La tesi sostenuta dall'ammini

strazione nelle fasi di merito si sostanzia nell'affermazione che, in

ipotesi di importazione di merce venduta allo Stato estero, l'im

portatore, che provvede al pagamento dei diritti doganali, non

subisce alcun depauperamento che gli consenta la ripetizione dei

tributi pagati, o perché il relativo importo è soltanto anticipato

dall'importatore per conto dell'acquirente (e quindi traslato su di

lui mediante la inclusione delle imposte anticipate nel prezzo di

vendita) o perché egli ha già ricevuto tale importo dall'acquirente che ne è perciò il solvens effettivo.

I giudici del merito hanno respinto tale tesi, facendo applica zione della costante giurisprudenza di questa corte, espressa in

numerose sentenze, in base alla quale la condictio indebiti nei

confronti dell'amministrazione finanziaria in relazione al paga mento di tributi doganali (da inquadrarsi nello schema dell'art.

2033 c.c.) può essere esercitata da chi abbia assunto la veste di

soggetto passivo del rapporto tributario per avere effettuato in

proprio detto pagamento, in qualità di presentatore o detentore

della merce al passaggio della linea doganale, mentre resta a tal fine irrilevante l'eventuale spettanza della proprietà della merce

medesima a persona diversa, ancorché indicata dal presentatore o

dal detentore; cosi come la circostanza che quest'ultimo abbia

potuto trasferire, oppure no, su altri l'onere economico dell'indi

cato esborso.

Cardine dell'indirizzo ora richiamato è l'assoluta irrilevanza, ai

fini della individualizzazione dei soggetti del rapporto tributario e

quindi del soggetto cui spetta l'azione di ripetizione, della

coincidenza fra il solvens e l'effettivo proprietario della merce, nonché della eventuale traslazione del tributo da parte del

solvens sull'acquirente della merce medesima; e tale principio, accolto dalla corte d'appello con specifico riferimento alle ipotesi di importazione di merce venduta « allo Stato estero », ha portata

generale, nel senso che prescinde dalla ipotesi considerata in

concreto e trova applicazione in ogni caso di ripetizione di tributi

non dovuti da parte del solvens.

Con il primo motivo del ricorso l'amministrazione non solo

non ha investito la relativa statuizione contenuta nella sentenza

impugnata con riferimento alla importazione di merce venduta

allo Stato estero (impedimento in tal modo che essa passasse in

giudicato e lasciando quindi aperta la questione in modo da

rendere applicabile lo ius superveniens), ma ha censurato il

fondamento di tale statuizione, identificato nel principio afferma

to, anche in via generale, da parte di questa corte, riproponendo la tesi che la titolarità dell'azione di ripetizione non possa riconoscersi al solvens che non abbia subito, in via definitiva, un

effettivo depauperamento del suo patrimonio. E ciò ha sostenuto sia in base alla considerazione della normale inclusione dell'impor to del tributo nel prezzo di vendita (fra i costi che sulla determina zione di esso incidono), sia sulla scorta dello ius superveniens, costituito dall'art. 19 d.l. 30 settembre 1982 n. 688, convertito nella 1. 27 novembre 1982 n. 873 (successivo alla data di

pubblicazione della sentenza impugnata), a norma del quale chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all'importazione, im

poste di fabbricazione, imposte di consumo e diritti erariali, anche anteriormente alla data di entrata in vigore del citato

decreto, ha diritto al rimborso delle somme pagate quando prova documentalmente che l'onere relativo non è stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti.

In una ipotesi analoga in quella in esame, cui si riferisce l'ordinanza di questa corte n. 449/83 (Foro it., Rep. 1983, voce Cassazione civile, n. 52), non si è dubitato dell'ammissibilità del

ricorso, formulato in termini non dissimili da quelli in cui è stato

proposto quello in questa sede esaminato. Si è infatti osservato che la nuova norma viene ad inserirsi in un contesto giurispru denziale per il quale il pagamento indebito, relativo a merci

importate, d'imposte doganali o di diritti amministrativi di effetto

equivalente, previsti dalle norme nazionali, ma vietati dall'ordi

namento della CEE, legittima l'importatore alla ripetizione delle somme a tale titolo corrisposte, indipendentemente dalla persi stenza di un suo depauperamento, e cioè anche quando abbia in

tutto o in parte trasferito su altri l'incidenza di quei tributi a

seguito della rivendita delle merci stesse e mediante congloba mento dell'ammontare dei tributi nel prezzo di vendita. E si è

poi precisato che l'esame circa l'applicabilità della lex superve niens in quel giudizio (ma analoghe considerazioni possono svolgersi con riguardo al presente giudizio) era ammissibile, in

base al criterio secondo il quale detto esame, nel corso del

giudizio di legittimità, è consentito ogni qual volta il rapporto controverso, cui la legge sopravvenuta si riferisca, sia ancora

suscettibile di sindacato da parte del giudice di legittimità, in

quanto quest'ultimo sia stato validamente investito dal ricorso e

in quanto l'indagine non sia preclusa dai limiti del giudizio

d'impugnazione, quali un giudicato interno, l'inammissibilità del

ricorso o del motivo riguardante la questione disciplinata dallo ius superveniens (sent. 3586/78, id., Rep. 1978, voce cit., n. 79).

3. - Il ricorso dell'amministrazione, che può quindi esaminarsi

nel merito, è tuttavia infondato.

In ordine al primo motivo è sufficiente ricordare che, alla

stregua dei principi fìssati dalla Corte di giustizia delle Comunità

europee con sentenza del 10 luglio 1980 (in causa n. 826/79, id.,

1980, I, 117), l'azione di ripetizione, in ipotesi quale quella ricorrente nel caso in esame, va riconosciuta all'importatore e

deve ritenersi disciplinata secondo le norme dell'ordinamento

nazionale e quindi nel quadro dell'art. 2033 c.c., la cui interpre tazione, espressa nella costante giurisprudenza di questa corte (v. sent. 1290/82, id., 1982, I, 1297; 4682/81, ibid., 1298; 5448/81, id., Rep. 1981, voce Dogana, n. 46), cui si è uniformata la corte

d'appello nella sentenza impugnata, va tenuta ferma in questa sede, risultando già confutati, nei detti precedenti, i contrari

argomenti addotti dall'amministrazione. La controversia deve pe raltro esaminarsi alla stregua della citazione nonnativa sopravve nuta, che, per la sua portata retroattiva, si riferisce anche ai tri buti indebitamente versati prima della sua entrata in vigore ed è

quindi applicabile anche alla fattispecie in questione.

Trattasi di normativa che questa corte ha già denunciato alla Corte costituzionale, per la non manifesta infondatezza della

questione di legittimità costituzionale, con ordinanze n. 495/84 delle sezioni unite (id., 1984, I, 2449) e 760/83 (ibid., 76) e

449/83 della prima sezione civile, rispettivamente sotto il profilo del contrasto con gli art. 3 e 24 Cost, e in relazione all'art. 11

Cost.

4. - L'accennata situazione processuale risulta ora superata, per quanto concerne la controversia in esame, dalle due pronunzie della Corte costituzionale n. 170/84 (id., 1984, I, 2062) e n.

113/85 (id., 1985, I, 1600). Con la prima di tali decisioni la Corte costituzionale —

innovando la sua precedente giurisprudenza circa gli effetti del l'ordinamento interno del conflitto tra norma comunitaria e nor ma nazionale (considerato per il passato sotto il profilo della incostituzionalità della norma interna successiva per violazione dell'art. 11 Cost.) — ha statuito che, attesa la immediata e diretta

applicabilità nel territorio nazionale delle disposizioni comunitarie

(la cui efficacia non può essere scalfita dalle norme dello Stato, siano esse anteriori o successive), la norma interna incompatibile con quella comunitaria non viene in rilievo per la definizione

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

della controversia dinanzi al giudice nazionale. Ne consegue che

la questione di legittimità costituzionale della norma interna

incompatibile è priva di rilevanza, salvo che si tratti (ma non

è questa l'ipotesi ricorrente nel caso in esame) di disposizione diretta ad impedire o a pregiudicare, la perdurante osservanza del

trattato istitutivo della CEE, in relazione al sistema o al nucleo

essenziale dei suoi principi.

Con la seconda delle richiamate decisioni, la Corte costituziona

le ha ulteriormente precisato che il principio espresso dalla

precedente sentenza (secondo cui la norma comunitaria entra e

permane in vigore, nel nostro territorio, senza che i suoi effetti

siano intaccati dalla legge ordinaria dello Stato, e ciò tutte le

volte che essa soddisfa il requisito della immediata applicabilità) vale non soltanto per la disciplina prodotta dagli organi della

CEE mediante regolamento, ma anche per le statuizioni risultanti

dalle sentenze interpretative della Corte di giustizia, ed ha quindi dichiarato inammissibili le questioni di costituzionalità pure in

riferimento agli altri parametri diversi dell'art. 11, che erano stati

invocati nelle ordinanze di rinvio, trattandosi di specie ricadente

sotto il disposto del diritto comunitario destinato a ricevere

immediata e necessaria applicazione nell'ambito territoriale dello

Stato.

5. - Dopo le citate pronunzie, la questione da affrontare riflette

la contrarietà, o meno, della norma interna (l'art. 19 citato) con

le statuizioni risultanti dalle sentenze interpretative della Corte di

giustizia. In proposito occorre innanzi tutto richiamare le sentenze nn.

811 e 826, emanate da detto organo giudicante il 10 luglio 1980

(id., 1981, IV, 117). In esse si è affermato che nulla impedisce, dal

punto di vista comunitario, che i giudici nazionali tengano conto, conformemente al loro diritto interno, del fatto che tasse indebita

mente percepite abbiano potuto essere incorporate nei prezzi del

l'impresa assoggettata alla tassa e trasferite sugli acquirenti e che è

l'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro che

designa il giudice competente e stabilisce le modalità procedurali delle azioni giudiziarie intese a garantire la tutela dei diritti

spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie aventi

efficacia diretta. Ma si è poi precisato che tali modalità (e le

condizioni cui l'azione di ripetizione è subordinata) non possono

essere meno favorevoli di quelle relative ed analoghe azioni del

sistema processuale nazionale né, in alcun caso, possono essere

strutturate in modo da rendere praticamente impossibile l'eserci

zio dei diritti che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare.

Va, inoltre, ricordata la sentenza 9 novembre 1983 (in causa

199/82, id., 1984, IV, 297), con la quale la Corte di giustizia —

investita della questione in una controversia vertente (non diver

samente da quella ora in esame) sulla ripetizione di oneri fiscali

scontati indebitamente dagl'importatori su merci soggette al regi me del mercato comune, con riferimento all'art. 10 dJ. 10 luglio 1982 n. 430, poi decaduto, recante disposizioni sostanzialmente

identiche a quelle che ora figurano nell'art. 19 citato — ha

ribadito che è incompatibile con il diritto comunitario ogni

disposizione legislativa nazionale, la quale, in punto di presunzio ni o condizioni di prova, lasci al contribuente l'onere di dimostra

re che i tributi indebitamente versati non sono stati trasferiti su

altri soggetti ovvero ponga particolari limitazioni in merito alla

prova da fornire come l'esclusione di qualsiasi prova non docu

mentale.

Secondo la pronuncia ora richiamata, va infine ricordato, la

legge nazionale, che non conforma il regime del rimborso alle

suddette prescrizioni in materia di prova, viola il diritto comuni

tario anche quando essa eviti di offendere il principio di non

discriminazione per avere contemplato la traslazione ad altri

soggetti come causa estintiva della ripetizione di tutti indistinta

mente gli oneri fiscali riscossi indebitamente dall'amministrazione.

6. - Alla luce dei criteri di cui sopra, per stabilire se sussista, o

meno, nella specie, il conflitto fra normativa interna e normativa

comunitaria, occorre prendere le mosse dalla disciplina nazionale,

la quale, in linea di principio, regola la materia delle ripetizioni di indebito, in assenza di una disciplina comunitaria.

La norma generale è, nel diritto interno, contenuta nell'art.

2033 c.c., il quale, secondo la giurisprudenza di questa corte,

anteriore all'art. 19, richiede, ai fini della condictio indebiti,

soltanto la prova del pagamento indebito. Rispetto a questa

disciplina generale, l'art. 19 si presenta indubbiamente con carat

teri di specialità per quanto riguarda un settore particolare

dell'ordinamento, richiedendo per esso che il solvens provi, anche

retroattivamente, la non avvenuta traslazione dell'imposta su altri

soggetti. Ora, tenuto conto della sfera di applicazione dell'art. 19, che

riguarda non soltanto i diritti doganali ma i tributi nazionali, va

considerato il criterio affermato dalla giurisprudenza comunitaria, secondo cui le modalità della condictio nel diritto interno non

possono essere meno favorevoli di quelle relative ad analoghe azioni del sistema processuale nazionale.

A tal fine va rilevato che rientra nei poteri del legislatore nazionale disciplinare i singoli settori del proprio ordinamento

anche in deroga a principi posti a base della materia presa in

esame in via generale. Non viola, in sé, quindi, alcun principio comunitario la deroga alle regole sulla condictio che il legislatore italiano abbia ritenuto di attuare nel campo degli oneri fiscali riscossi dall'amministrazione, disciplinando direttamente questa materia, in quanto il raffronto va fatto all'interno stesso della materia trattata in via speciale e da questo punto di vista sussiste

perfetta identità di disciplina fra il rimborso dei diritti doganali e

degli oneri fiscali indebitamente riscossi dall'amministrazione. Il conflitto tra normativa interna e normativa comunitaria deve

ritenersi esistente invece allorché si esamini il contenuto della

disciplina speciale di cui all'art. 19. A giudizio della corte l'incompatibilità fra le due normative è

di un duplice ordine alla stregua dei criteri interpretativi desunti in particolare dalla sentenza 9 novembre 1983 (in causa 199/82) della Corte di giustizia. In primo luogo, la prova negativa, con effetto retroattivo estensibile al passato, della non avvenuta tra slazione dell'onere fiscale; inoltre, la esclusione di qualsiasi prova non documentale (circa la suddetta non traslazione) incidono sulla stessa possibilità di far valere in giudizio il diritto al

rimborso, in quanto è praticamente impedita la tutela giudiziaria del diritto stesso allorché si richiede retroattivamente, cioè ora

per allora, la prova negativa di un evento passato non rilevante

all'epoca del suo verificarsi e di cui pertanto è sommamente diffìcile precostituirsi ex post una dimostrazione scritta.

Né potrebbe replicarsi con fondamento che la prova documen

tale delle scritture contabili dell'impresa è imposta dal diritto interno ai sensi degli art. 2214 ss. c.c. A parte il fatto che tali

scritture non costituiscono prova a favore dell'imprenditore se

non in casi particolari (art. 2710 c.c.), la loro tenuta assolve ad una esigenza di legalità e di controllo, nonché di garanzia, di una

ordinata gestione dell'impresa del tutto distinta da quella della

prova documentale della non traslazione nel prezzo di vendita della merce importata, con deviazione della naturale funzione delle scritture medesime per la documentazione di un evento

passato non rilevante quando furono redatte, cioè della non tra slazione del versamento di tributi non dovuti, e ciò al fine della

esperibilità della ripetizione dell'indebito, con la conseguenza del la perdita del diritto alla ripetizione in difetto di detta diversa utilizzabilità. : j ;

Inoltre, nel quadro dei criteri accolti dalla Cprte CEE cui' innanzi si è fatto riferimento, poiché in definitiva ciò che in materia è in contrasto con il diritto comunitario è il vincolo

probatorio imposto al giudice nazionale circa il fatto della non traslazione attraverso la ritenuta (indispensabile) prova documenta

le, al fine della individuazione del conflitto in esame, perde rilievo

qualsiasi riferimento a norme interne che, ad altri fini, impongano all'imprenditore la tenuta dei documenti contabili, che il legisla tore comunitario esclude — ai fini considerati — possano assur

gere a dignità di prova (negativa) esclusiva.

La Corte CEE ha, invero, sottolineato, nella sentenza da ultimo

citata, che traslazione in se e per se non può ritenersi vietata dall'ordinamento comunitario, ma il giudice nazionale deve essere libero di valutare e di apprezzare nelle singole fattispecie se la detta vicenda si sia o meno verificata.

Incidendo, pertanto, la disciplina dell'art. 19 sullo stesso diritto di difesa giurisdizionale del solvens — diritto che la giurispru denza comunitaria ha inteso garantire in modo assoluto in quanto il diritto al rimborso degli oneri indebitamente riscossi dall'am ministrazione perché in contrasto con il diritto comunitario (come i diritti doganali sulla importazione delle acqueviti di vino, di cui si contende in questo giudizio) costituisce ed è considerato come una conseguenza ed un complemento del diritto alla abolizione del dazio doganale, garantito dall'ordinamento comunitario —

deve ravvisarsi una incompatibilità assoluta fra l'art. 19 in esame e la disciplina comunitaria.

7. - Nella discussione orale, l'avvocatura dello Stato ha rilevato

che, stando comunque ai principi contenuti nell'accennata senten za interpretativa della Corte CEE, il problema dei rapporti tra ordinamento comunitario si porrebbe in termini diversi dopo la

più recente sentenza n. 113/85 della Corte costituzionale, la quale non avrebbe funzione esplicativa e chiarificatrice della precedente (n. 170/84), ma al contrario avrebbe introdotto alcune novità

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2195 PARTE PRIMA 2196

sostanziali nella impostazione e soluzione dei relativi problemi. In sintesi, afferma la difesa dell'amministrazione che, mentre in

base a quanto ritenuto dalla sentenza n. 170/84 il problema da

risolvere consiste nel dirimere il contrasto tra una norma comuni

taria e una norma interna secondo il criterio di specialità, per cui

la norma interna incompatibile va disapplicata nei confronti della

norma comunitaria che disciplina diversamente la materia rien

trante nella sua competenza esclusiva, con la successiva sentenza

n. 113 la Corte costituzionale, avendo riconosciuto che la preva lenza sulla norma interna deve essere ritenuta dal giudice nazio

nale anche quando il conflitto insorge con le statuizioni e i

principi risultanti dalle sentenze interpretative della Corte di

giustizia CEE, diversi sarebbero i poteri del giudice in questa seconda fattispecie. In tal caso, si sostiene, non si tratterebbe di

disapplicare in toto la norma interna incompatibile, ma di stabilire

caso per caso quali sono le sue statuizioni confliggenti con i

principi ed i criteri generali affermati dalla Corte di giustizia, cosi

che — in analogia a quanto si è ritenuto dalla giurispudenza costituzionale — sarebbe possibile emettere delle sentenze « ma

nipolative » dell'ordinamento, dato che la norma interna rimar

rebbe ferma per la parte che non urta contro alcun principio

comunitario, mentre dovrebbe cadere soltanto in riferimento alla

disciplina in essa contenuta che sia in contrasto con quei prin

cipi. Ed in applicazione di tale criterio si afferma che, non

confliggendo l'art. 19 con alcun principio comunitario per quanto attiene al requisito della non traslazione dell'imposta, l'art. 19

dovrebbe essere letto nel senso che, ai fini dell'esercizio della

condictio indebiti in materia, l'importatore sarebbe tenuto a dare

la prova della non avvenuta traslazione dell'imposta sui terzi

consumatori della merce, ma questa prova (ammessa nell'ordina

mento comunitario) non dovrebbe essere documentale, secondo i

principi affermati dalla Corte CEE nella menzionata sentenza, e

potrebbe quindi darsi con tutti i mezzi consentiti dall'ordina

mento.

Non ritiene tuttavia la corte che sussista il presupposto da cui

prende le mosse la tesi prospettata dall'amministrazione, in quan to la sentenza n. 113/85 non ha sostanzialmente innovato quanto

già risultante, sia pure per implicito, dalla precedente sentenza n.

170/84, avendo adeguato il principio della disapplicazione ai

rapporti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario, di

fronte al quale sono vincolanti per il giudice nazionale non solo le

norme giuridiche emanate dalle istituzioni comunitarie, ma anche

i principi contenuti nelle sentenze interpretative della Corte CEE

ex art. 177 del trattato.

D'altro canto, la tesi in esame non considera che i poteri d'incidenza del giudice nazionale sull'ordinamento giuridico non

sono quelli della Corte costituzionale, cui compete la potestà di

annullamento delle leggi, e che la stessa disapplicazione della

norma interna confliggente con il diritto comunitario non implica alcuna possibilità di incidere sul suo contenuto, che quindi rimane immutato; ma soltanto di prescindere dalla relativa disci

plina giuridica quando questa non si uniformi alla normativa

comunitaria, con specifico riferimento alla fattispecie dedotta in

giudizio, per cui la norma interna continua ad operare ad ogni altro effetto giuridico.

Ciò non vuol dire che non sia ammissibile una disapplicazione

parziale della norma interna confliggente con il diritto comunita

rio, ma deve essere precisato quello che è il limite intrinseco

della relativa nozione.

Esplica infatti rilevanza decisiva, nella specie, la nozione di

precetto « indivisibile », il quale ricorre tutte le volte in cui la

portata del testo legislativo non consente alcun frazionamento se

non attraverso un'opera creativa dell'interprete, che alteri non

soltanto la testuale formulazione ma incida altresì' sul contenuto

del precetto. Questa operazione deve ritenersi possibile soltanto a

livello legislativo ma non a livello giurisdizionale, che non

consente all'interprete innovazione alcuna dell'ordinamento giuri dico.

In applicazione di tale principio, il precetto contenuto nell'art.

19, in tema di restituzione dell'indebito doganale, si presenta con

carattere di indivisibilità per quanto concerne i requisiti della

condictio voluti dalla legge nazionale, in quanto il diritto alla

restituzione è stato riconosciuto soltanto se e nei limiti in cui

risulti documentalmente provato dall'importatore la non traslazio

ne dell'imposta sui terzi consumatori della merce. Non è possibile, invero, enucleare dal testo normativo, come vorrebbe l'ammini

strazione, una duplicità di precetti tra loro autonomi e del tutto

distinti: l'uno riflettente il requisito della non traslazione, e

l'altro attinente al regime della sua prova in giudizio. Non si

tratta di precetti tra loro divisibili e quindi suscettibili di diverso

trattamento dal punto di vista della disapplicazione, poiché la

legge nazionale, nel disciplinare la condictio in materia doganale, ha unitariamente considerato i presupposti che devono ricorrere

per l'accoglimento dell'azione di restituzione.

Se una parte della norma — quella relativa alla prova documen

tale — si pone in conflitto con i principi comunitari e quindi non

è suscettibile di applicazione in giudizio, questo risultato anzi che

determinare una disapplicazione parziale del testo normativo, ne

provoca invece la disapplicazione totale. Ritenere il contrario por terebbe alla conseguenza di incidere sul contenuto della disciplina

giuridica unitariamente considerata dal legislatore nazionale, dando

cosi vita ad un precetto diverso da quello voluto dal medesimo, in violazione dei limiti che incontra la funzione giurisdizionale

rispetto ai poteri legislativi di altri organi dello Stato. Non può

ammettersi, cioè, che disapplicato il profilo probatorio della dispo

sizione, si possa dall'interprete legittimamente richiamare la disci

plina generale sull'onere della prova contenuta dall'art. 2697 c.c.

Una tale artificiosa ricostruzione del precetto normativo non rien

trerebbe nel concetto di disapplicazione (né totale né parziale), in

quanto il giudice, lungi dal rendere irrilevante in giudizio la norma

illegittima, procederebbe all'arbitraria elaborazione di un nuovo

precetto non contenuto nel diritto interno. Il che risulta dimostrato

dalla considerazione che, in mancanza di un precetto attinente al

profilo probatorio della condictio in materia doganale, l'interprete sarebbe costretto a foggiare di propria iniziativa un precetto diverso che non risulta ricavabile dal testo, per il motivo assor

bente che manca una norma, la quale legittimamente abbia

risolto il problema dell'onere della prova circa la non traslazione, e non vi sono argomenti interpretativi per concludere nel senso

che l'onere probatorio ha per il diritto interno quel contenuto che

si pretende di ricavare da altre disposizioni dello stesso ordina

mento.

Quanto precede non esclude ovviamente la possibilità per il

giudice nazionale di una disapplicazione parziale della norma

interna illegittima, ma dai rilievi sopra svolti risulta in maniera

evidente che il concetto di disapplicazione parziale postula l'au

tonomia e la divisibilità dei precetti normativi che vengono in

rilievo nella fattispecie. Autonomia e divisibilità, le quali implica no che ciascun precetto possa vivere di vita propria in maniera

avulsa e indipendente dall'altro; il che deve escludersi per la

disciplina della condictio di cui all'art. 19, per la illustrata

compenetrazione e reciproca interdipendenza che sussiste tra le

varie disposizioni che lo compongono.

8. - Ne consegue che, dovendosi nella specie disapplicare (in

toto) la norma dell'art. 19 per quanto riguarda la decisione in

parte qua del ricorso, la controversia va decisa esclusivamente

sulla base della disciplina comunitaria che richiama il diritto

interno e quindi sulla base della norma generale che regola la

condictio indebiti (l'art. 2033 c.c.). Pertanto, la conclusione cui

sul punto sono pervenuti i giudici d'appello, che hanno accolto la

domanda di rimborso della società importatrice, non merita

alcuna censura.

9. - Non resta, quindi, che esaminare il secondo motivo, con il

quale l'amministrazione ricorrente denuncia la violazione degli art. 93 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43 e 1224 c.c., nonché il

vizio d'insufficienza di motivazione, censurando la sentenza im

pugnata nella parte in cui ha attribuito alla società attrice, sulle

somme alla stessa rimborsabili, gl'interessi nella misura del 15 %

a titolo di maggior danno ai sensi dell'art. 1224, 2" comma, c.c.

Non solo la corte d'appello avrebbe erroneamente desunto la pro va presuntiva del maggior danno dalla sola qualità d'imprenditore commerciale della società creditrice, ma non avrebbe verificato

l'attendibilità della cosi posta presunzione alla luce dell'altra che

(secondo l'amministrazione) ragionevolmente induceva ad esclude

re l'esistenza del maggior danno in ragione del già avvenuto

recupero dell'indebito, traslato « in avanti » col prezzo di vendita

del prodotto. Inoltre, la speciale disciplina dettata (da ultimo con

d.p.r. n. 43/73) in tema di interessi dovuti per effetto di rimborso

di diritti doganali deroga ai principi dell'art. 1224 c.c., sostan

zialmente predeterminando l'ammontare del maggior danno nei

punti percentuali accedenti la misura degl'interessi legali. La censura è infondata.

10. - In relazione al secondo argomento svolto dall'amministra

zione, questa corte — dopo aver rilevato che la questione circa

la disciplina applicabile agl'interessi nella materia de qua (se cioè essa debba ricercarsi nell'ambito dell'art. 2033 c.c. ovvero

nelle norme speciali dettate in tema di ripetizione di tributi

indebitamente riscossi) non si pone in questa sede, non avendo

tale punto formato oggetto di censura — osserva che le norme

cui l'amministrazione fa riferimento (e che stabiliscono un tasso

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

d'interessi superiore a quello legale) non precludono al creditore

di provare il maggior danno, in quanto non hanno lo scopo di

predeterminare le misure dell'intero danno da lui subito.

Invero, anche nella previsione dell'art. 1224 c.c., l'obbligo di

corrispondere gli interessi rappresenta — al pari di altre ipotesi in cui sia previsto un tasso d'interessi diverso — una valutazione

legale tipica dell'esistenza e della misura del danno, salva la

prova del danno ulteriore. Il limite posto dalla norma — come

quello analogamente previsto da norme speciali che fissano in

misura predeterminata gli interessi — si sostanzia in ciò che

entro quel limite il creditore è esonerato dal fornire la prova del

danno subito, ma non è privato del diritto di chiedere e

dimostrare il maggior danno, ove esistente. E poiché la finalità

della predeterminazione del tasso d'interessi è la stessa, qualun

que sia il parametro cui altre norme ancorano il limite entro il

quale il creditore non ha l'onere di provare il danno, ne consegue che la deroga operata dalla norma speciale rispetto all'art. 1224

c.c. riguarda soltanto il tasso d'interessi, poiché nulla induce a

ritenere che quelle norme abbiano inteso incidere tanto profon damente sul regime vigente in materia, da sacrificare (ingiustifica

tamente) la tutela giudiziaria del maggior danno a favore del

creditore.

11. - Quanto alla prima parte della censura deve innanzi tutto

osservarsi che, se ai fini della condictio non può ritenersi

rilevante il depauperamento che il solvens abbia effettivamente

subito e se, quindi, è stato riconosciuto alla società importatrice il diritto alla restituzione, non può tenersi conto dell'eventuale

recupero del tributo per effetto di traslazione neppure ai fini

dell'accertamento del maggior danno. Una volta che, infatti, sia

riconosciuto il credito del solvens, è in relazione ad esso, in sé

considerato, che l'eventuale maggior danno dev'essere accertato.

12. - Infine, in relazione alla presunzione tratta dalla corte del

merito dalla qualità d'imprenditore del solvens (peraltro in una

alla considerazione di tassi medi degl'interessi attivi risultanti

dagli indici elaborati dall'associazione bancaria italiana, all'effetti

va fruttuosità del capitale anche se investito nella forma più ordinaria — e per un imprenditore anche più inerte — del

deposito bancario), deve osservarsi che con la sentenza n.

3776/79 (id., 1979, I, 2622) le sezioni unite precisarono che il

danno, nel quadro della disciplina di cui all'art. 1224, 2° comma,

c.c., può essere valutato sulla base di elementi indiziari e presun tivi, con necessarie differenziazioni secondo la figura e l'attività

del creditore e con riferimento, anche sulla base del « notorio », al presumibile modo d'impiego del denaro in relazione alla

condizione soggettiva — personale e professionale — del credito

re. Il criterio personalizzato di normalità, che, secondo la citata

sentenza, deve essere adottato nella liquidazione del maggior danno derivante dall'inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, consiste dunque in ciò che, una volta dimostrata la qualità

personale e professionale del creditore — dimostrata, ad esempio, la sua qualità d'imprenditore commerciale — il danno può essere

liquidato tenendo conto dell'impiego del denaro che un creditore

avente quella qualità avrebbe fatto, secondo quanto può presu mersi in base a fatti notori acquisiti alla comune esperienza.

È vero che fra le successive decisioni conformi alle indicazioni

dettate dalla citata sentenza e ribadita dalle sezioni unite con la

sentenza n. 5572/79 (id., 1979, I, 2555) alcune hanno escluso che

la qualità d'imprenditore rivestita dal creditore sia sufficiente per legittimare la liquidazione del danno ex art. 1224, 2° comma, c.c.

(ed è questa la tesi sostenuta dall'amministrazione), tuttavia altre

decisioni, con maggior aderenza ai principi enunciati dalle sezioni

unite (e da queste ulteriormente confermate con la sentenza n.

2318/83, id., Rep. 1983, voce Danni civili, n. 206), hanno

affermato che la qualità personale del creditore, e, in specie,

quella d'imprenditore commerciale, costituisce elemento sufficiente

per consentire al giudice di far ricorso a connessi dati di comune

esperienza ed a presunzioni, ai fini della liquidazione del maggior

danno.

A tale indirizzo — cui il collegio aderisce per le ragioni poste a fondamento delle citate sentenze delle sezioni unite — si è

correttamente attenuta la corte del merito allorché ha ritenuto,

con apprezzamento insindacabile in questa sede, che, essendo

incontestata la qualità di imprenditore commerciale della società

creditrice, era lecito presumere, in base ai rilevanti dati di

comune esperienza, l'investimento che avrebbe fatto del denaro in

forma atta ad evitare o a contenere gli effetti della svalutazione

monetaria, tenuto conto del « notorio » costituito, comunque, dal

l'ammontare degl'interessi mediamente conseguibili mercé il depo sito del denaro presso istituti di credito.

13. - Pertanto, il ricorso dev'essere rigettato. (Omissis)

II

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione del 23

novembre 1977, la s.p.a. Linoleum Due Palme chiese condannarsi

l'amministrazione delle finanze al rimborso di quanto aveva

pagato a titolo di diritti per servizi amministrativi sull'importa zione, tra il 1964 e il 1971, di merci provenienti da paesi aderenti

all'accordo GATT, assumendo che il pagamento non era dovuto

per violazione dell'art. II di detto accordo.

Nella resistenza dell'amministrazione, l'adito Tribunale di Na

poli rigettò la domanda, ritenendo che l'applicazione dei diritti

per servizi amministrativi, in quanto avvenuta in sostituzione del

preesistente diritto di licenza, non implicava aggravamento del

prelievo doganale applicabile alla data del 10 ottobre 1949, cui

faceva riferimento la normativa GATT.

La corte d'appello è andata in contrario avviso, ritenendo che,

agli effetti del divieto di aggravamento stabilito dall'art. 2 del

GATT, non potesse attribuirsi rilievo al carico fiscale globalmente

gravante alla data di assoggettamento della merce al regime GATT, perché era in contrasto con l'art. II dell'accordo la

riscossione dei diritti per servizi amministrativi istituito in epoca successiva all'adesione dell'Italia al GATT.

Sulla somma da restituire la corte d'appello riteneva dovuti, dalla data della domanda di rimborso (che indicava nel 5 gennaio 1964), gl'interessi nella misura stabilita dalle 1. 26 gennaio 1961 n.

29 e 18 aprile 1978 n. 130.

Contro tale sentenza l'amministrazione ha proposto ricorso per cassazione in base a due motivi. La soc. Linoleum ha resistito

con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo l'ammini

strazione ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. II dell'accordo GATT, reso esecutivo in Italia con 1. 5

aprile 1950, n. 295, in relazione agli art. 288 e 234 del trattato

istitutivo della CEE ed all'art. XXIV, § 8, dell'accordo generale, censurando la sentenza impugnata per avere del tutto trascurato

di considerare le conseguenze che sulla portata della normativa

GATT sono scaturite per effetto della istituzione di una unione

doganale tra i paesi membri della Comunità europea. Premesso

che, a decorrere dalla istituzione della CEE, la politica commer

ciale dei paesi a questa aderenti è rimasta riservata alla compe tenza degli organi comunitari; che caratteristica essenziale di una

unione doganale è, per la norma GATT, l'applicazione verso i pae si terzi di una identica regolamentazione doganale e che, nell'ambi

to dell'ordinamento comunitario, le norme GATT devono ritenersi

idonee a conferire ai singoli posizioni direttamente tutelabili in

giudizio, l'amministrazione sostiene che i giudici del merito non avrebbero potuto ravvisare il fondamento della pretesa della soc.

Linoleum nella norma in cui all'art. l'I del GATT, per essere

questa inidonea, quanto meno con effetto dalla creazione della

unione doganale europea, a conferire ai singoli soggetti dell'ordi

namento interno italiano una situazione, giudizialmente tutelabile, con effetti e portata diversi da quelli nascenti dalla stessa norma

dell'accordo per i soggetti degli ordinamenti interni degli altri

paesi della CEE.

2. - Le argomentazioni svolte dall'amministrazione hanno già formato oggetto di esame da parte delle sezioni unite (sent. n.

5009/84, Foro it., Rep. 1984, voce Dogana, n. 72) a seguito della

decisione 16 marzo 1983 (in cause 267-268/81, id, 1984, IV, 170) della Corte di giustizia delle Comunità europee, la quale ha

affermato la propria competenza all'interpretazione pregiudiziale dell'accordo GATT per il periodo posteriore al 1° luglio 1968

(data in cui, con l'entrata in vigore della tariffa doganale comune, la Comunità si è sostituita agli Stati membri per quanto riguarda

l'adempimento degl'impegni contemplati in detto accordo) ed ha

confermato la propria giurisprudenza circa la mancanza di effica

cia diretta delle norme dell'accordo negli ordinamenti nazionali

degli Stati.

In relazione a tale decisione, le sezioni unite hanno rilevato

come la Corte di giustizia dalle suesposte premesse abbia tratto la

conseguenza che i quesiti interpretativi che le erano stati proposti in ogni caso, anche cioè se avesse ritenuto che dalla disciplina GATT derivano soltanto obblighi internazionali per gli Stati

membri (quesiti concernenti, fra l'altro, il significato da attribuire

al divieto di aggravamento del carico fiscale sancito dall'art. II, n.

2, dell'accordo generale), rimanevano privi di oggetto. E ne hanno

tratto la conclusione che tale decisione avesse valore di una

pronuncia declinatoria di competenza e postulasse l'accettazione

del principio secondo cui la competenza pregiudiziale della Corte

CEE, mentre si conferma esistente ex art. 177 del trattato in

tema di questioni interpretative di norme comunitarie o comuni

Il Foro Italiano — 1986 — Parte I-143.

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2199 PARTE PRIMA 2200

tarizzate, non comprende le controversie insorte tra soggetti dell'ordinamento interno quando la disciplina GATT non venga in discussione direttamente ma per via indiretta, come criterio

ermeneutico utilizzabile ai fini della interpretazione della legge interna, cosi come accade per la 1. n. 330 del 1950 istitutiva dei

d.s.a. Procedendo in questo iter argomentativo, le sezioni unite

hanno rilevato ulteriormente che, dovendo sempre sussistere un

giudice cui competa per legge l'interpretazione della norma da

applicare, il giudice nazionale non solo può rilevare in maniera

autonoma che non si pone nella specie alcun problema di

giurisdizione, trattandosi di decidere una controversia relativa a

diritti soggettivi che si assumono derivare dall'interpretazione del

la legge interna, ma può procedere ad una propria interpretazione del contenuto della disciplina GATT; hanno quindi concluso che i

d.s.a. su merci in regime GATT non sono dovuti in forza

dell'interpretazione data alla legge nazionale ed hanno proceduto alla interpretazione della normativa GATT, tenendo presente che

non avrebbe esplicato alcun rilievo l'epoca in cui erano avvenute

le importazioni (anteriore o posteriore al 1° luglio 1968), poiché, essendosi sganciato il problema interpretativo della disciplina GATT dalla competenza pregiudiziale della Corte CEE, l'interpre tazione di tale disciplina sarebbe stata in ogni caso univoca ed

improntata agli stessi criteri, con uniformità di giudizio per tutti i

periodi in contestazione.

Da quanto precede — e segnatamente dalla considerazione che

il diritto fatto valere in giudizio trova la sua fonte nella norma

interna e che la disciplina GATT viene in discussione non

dilettamente ma solo come criterio ermeneutico utilizzabile ai fini

della interpretazione della legge nazionale (nel caso in esame la 1.

n. 330 del 1950) — deriva la infondatezza delle argomentazioni svolte dall'amministrazione in contrasto con i principi enunciati

nella citata sentenza delle sezioni unite.

3. - Peraltro, essendo tuttora contestato dall'amministrazione il

diritto della soc. Linoleum al rimborso di quanto da essa pagato a titolo di diritti per servizi amministrativi, sia pure sotto il

profilo dedotto della impossibilità di fondare la pretesa della

norma GATT (art. II), e dovendosi applicare il principio in base

al quale, fin quando la controversia sul rapporto in contestazione

sia ancora aperta e non sia preclusa, trova applicazione lo ius

superveniens che regoli diversamente la pretesa fatta valere in

giudizio, occorre stabilire se possa pervenirsi ad una decisione

diversa da quella contenuta nella sentenza impugnata facendosi

applicazione dell'art. 19 d.l. n. 688/82, convertito in 1. n. 873/82, alla stregua del quale chi ha indebitamente corrisposto diritti

doganali all'importazione, imposte di fabbricazione, imposte di

consumo o diritti erariali, anche anteriormente alla entrata in

vigore della legge suddetta, ha diritto al rimborso delle somme

pagate quando prova documentalmente che l'onere relativo non è

stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti.

Trattasi di normativa che questa corte ha già denunciato alla

Corte costituzionale con ordinanze nn. 495/84 (id., 1984, I, 2449) delle sezioni unite e 760/83 (ibid., 76) e 449/83 (id., Rep. 1983, voce cit., n. 68) della prima sezione civile sotto il profilo del

contrasto con gli art. 3 e 24 Cost, e in relazione anche all'art. 11 Cost.

Tuttavia, nelle more delle decisioni sulle accennate questioni di

costituzionalità la Corte costituzionale, con sentenza n. 170 del

1984 (id., 1984, I, 2062), innovando la sua precedente giurispru denza circa gli effetti dell'ordinamento interno del conflitto tra

norma comunitaria e norma nazionale, considerati per il passato sotto il profilo della incostituzionalità della norma interna succes

siva, per violazione dell'art. 11 Cost., ha ritenuto che, attesa la

immediata e diretta applicabilità nel territorio nazionale delle

disposizioni della CEE, la cui efficacia non può essere scalfita

dalle norme dello Stato, siano esse anteriori o successive, la

norma interna incompatibile con quella comunitaria non viene in

rilievo per la definizione della controversia innanzi al giudice nazionale.

Ne consegue che la questione di lettimità costituzionale della

norma interna incompatibile è inammissibile, salvo che si tratti di

disposizione diretta ad impedire o pregiudicare la perdurante osservanza del trattato istituzionale della CEE in relazione al

sistema o al nucleo essenziale dei suoi principi. E l'accennata

regola è applicabile, giusta la successiva sentenza della Corte

costituzionale <n. 113 del 1985, id., 1985, I, 1601), anche quando manchi una specifica norma comunitaria che disciplini diretta

mente la materia di cui si è occupata la legge dello Stato e la

contrarietà si ponga non già tra norma interna e regolamento comunitario, ma tra norma interna e principi e regole generali

ricavate, in sede d'interpretazione dell'ordinamento comunitario,

dalla Corte di giustizia delle Comunità europee nell'esercizio dei suoi compiti istituzionali ai sensi dell'art. 177 del trattato.

Con la sentenza da ultimo citata, pertanto, la Corte costituzio nale ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità dell'art. 19, sollevata con le ordinanze di cui sopra da questa corte nel quadro della precedente giurisprudenza costituzionale

(sent. n. 232/75, id., 1975, I, 2661, e 183/73, id., 1974, I, 314) Dalle precedenti considerazioni discende che in questo giudizio

in tanto può porsi un problema di disapplicazione dell'art. 19 per contrasto con la disciplina comunitaria (su cui cfr. le recenti

sentenze di questa corte n. 5129 e 5235/85, id., Mass., 948 e 966) e

ritenersi quindi inammissibile la relativa questione di legittimità costituzionale, in quanto si tratti d'importazione di merce soggetta alla normativa CEE.

La Corte costituzionale, con ordinanza n. 118/85, ha infatti

chiarito che, ove si tratti di merci importate dall'area GATT

o comunque provenienti da paesi aderenti ad altri accordi inter

nazionali diversi dal trattato CEE, permane tuttora la necessità di

procedere, in punto di rilevanza della questione di costituzionali

tà, ad uno specifico accertamento diretto a stabilire se la illegit timità del tributo riscosso, pur dove esso gravi su merci importa te da paesi fuori dell'area della CEE, possa comunque farsi

risalire ad un regolamento del mercato comune: nel senso — va

precisato — che si tratti di tassa di effetto equivalente al dazio

doganale anche nella sfera degli scambi extracomunitari (cfr. la

sentenza della Corte costituzionale n. 177/81, id., 1982, I, 359). Nel caso di specie, non risulta dalla impugnata sentenza né la

natura delle merci importate né il paese o i paesi di provenienza, ma emerge genericamente dalla motivazione che si tratta di merci

provenienti da paesi dall'area GATT, il che costituisce un

accertamento insufficiente ai fini che si considerano, dato che, se tutti i paesi membri della CEE hanno aderito al GATT, non

è vera la posizione inversa.

Pertanto, il giudizio di rilevanza della questione di costituziona

lità dell'art. 19 (ove l'importazione de qua non sia soggetta al

diritto comunitario alla stregua degli accennati principi) dev'esse

re necessariamente affidato al giudice di rinvio.

4. - In conclusione, pronunciando sul primo motivo, s'impone per le ragioni accennate, la cassazione dell'impugnata sentenza con rinvio della causa ad altro giudice, che si designa in altra

sezione della Corte d'appello di Napoli, la quale nella definizione della controversia, si atterrà ai principi innanzi enunciati e

pronunzierà anche sulle spese del giudizio di cassazione (art. 385

c.p.c.). Resta, in conseguenza, assorbito il secondo motivo, con il quale

l'amministrazione, denunziando la violazione e falsa applicazione degli art. 5 1. 26 gennaio 1961 n. 29 e 1 1. 18 aprile 1978 n. 130, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha statuito sulla decorrenza e sulla misura degli interessi dovuti sulle somme

ritenute ripetibili da parte della soc. Linoleum.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 26 marzo

1986, n. 2166; Pres. Parisi, Est. Pierantoni, P. M. Minetti (conci, diff.); Frangiamone (Avv. Cavalieri) c. Bucchieri (Aw. Biscari). Cassa App. Catania 28 agosto 1982.

Contratto in genere — Azione generale di rescissione per lesione — Contratto stipulato dal curatore dell'eredità giacente —

Stato di bisogno — Riferimento al patrimonio ereditario (Cod. civ., art. 1448).

In caso di eredità giacente, lo stato di bisogno va valutato in

funzione del patrimonio ereditario, si che è ammissibile l'azione di rescissione per lesione di un contratto stipulato dal curatore (nella specie, questi aveva provveduto, previa autorizzazione del tribunale, alla vendita di un mobile per evitare azione esecutiva esattoriale). (1)

(1) Sul punto specifico non risultano precedenti editi. Tuttavia, l'odierno decisum si rapporta, senza incertezze, alle diretti

ve elaborate con riguardo all'applicabilità dell'art. 1448 c.c. in ipotesi di rappresentanza legale o volontaria: cfr. Cass. 28 aprile 1980, n. 2680, Foro it., Rep. 1980, voce Contratto in genere, n. 265 e 3 marzo 1967, n. 507, id., Rep. 1967, voce Obbligazioni e contratti, n. 344; in dottrina, v. Mirabelli, Carresi, La fattispecie della rescissione per lesione, in Studi in onore di P. Greco, Padova, 1965, I, 113, 134 ss.

Il Foro Italiano — 1986.

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