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sezione I civile; sentenza 7 dicembre 1999, n. 13656; Pres. Senofonte, Est. Papa, P.M. Ceniccola(concl. conf.); Dragone (Avv. Pittelli) c. Comune di Catanzaro (Avv. Garcea, Mirigliani).Conferma App. Catanzaro 19 luglio 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 1 (GENNAIO 2000), pp. 57/58-73/74Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195301 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
«Il caso di malattia del lavoratore, con riguardo al quale l'art.
2110, 2° comma, c.c., prevede che il recesso del datore di lavo
ro può essere esercitato solo dopo il protrarsi dell'impossibilità della prestazione per il periodo di tempo stabilito dalla legge, dalle norme collettive, dagli usi o secondo equità (c.d. periodo di comporto), va inteso non in senso limitato alla malattia a
carattere unitario e continuativo, ma è comprensivo dell'ipotesi di un succedersi di malattie a carattere intermittente o reiterato, ancorché frequenti e discontinue in relazione ad uno stato di
salute malfermo (c.d. eccessiva morbilità). Consegue, stante la
prevalenza dell'art. 2110 c.c. (disposizione speciale) sulla disci
plina generale della risoluzione del rapporto di lavoro, che, an
che nell'ipotesi di reiterate assenze del dipendente per malattie, il datore di lavoro non può licenziarlo per giustificato motivo, ai sensi dell'art. 3 1. 15 luglio 1966 n. 604, ma può esercitare
il recesso solo dopo il periodo all'uopo fissato dalla contratta
zione collettiva, ovvero, in difetto, determinato secondo equità. Nel caso di sopravvenuta infermità permanente e di conse
guente impossibilità della prestazione lavorativa, che è ipotesi nettamente distinta dalla malattia del dipendente — anch'essa
causa di impossibilità della prestazione lavorativa — in quanto ha natura e disciplina giuridica diversa atteso che, a differenza
della malattia, avente carattere temporaneo, essa ha, invece, ca
rattere permanente o, quanto meno, durata indeterminata o in
determinabile, è ravvisabile un giustificato motivo di recesso del
datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato ex art. 3
1. n. 604 del 1966 e 1463 e 1464 c.c., indipendentemente dal
superamento del periodo di comporto, soltanto quando la so
pravvenuta incapacità fisica abbia carattere definitivo e manchi
un apprezzabile interesse — del datore di lavoro — alle future
prestazioni lavorative (ridotte) del dipendente».
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 7 dicem
bre 1999, n. 13656; Pres. Senofonte, Est. Papa, P.M. Ce
niccola (conci, conf.); Dragone (Avv. Pittelli) c. Comune
di Catanzaro (Aw. Garcea, Mdugliani). Conferma App. Ca
tanzaro 19 luglio 1996.
Espropriazione per pubblico interesse — Determinazione del
l'indennità — Area edificata abusivamente — Indennizzo com
misurato alla sola area — Demolizione non disposta o non
eseguita — Irrilevanza (L. 22 ottobre 1971 n. 865, programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sul
l'espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazio ni alle leggi 17 agosto 1942 n. 1150, 18 aprile 1962 n. 167,
29 settembre 1964 n. 847, ed autorizzazione di spesa per in
terventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, age
volata e convenzionata, art. 16; 1. 28 gennaio 1977 n. 10,
norme per l'edificabilità dei suoli, art. 15; 1. 28 febbraio 1985 n. 47, norme in materia di controllo dell'attività urbanistico
edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie, art.
47; d.l. 11 luglio 1992 n. 333, misure urgenti per il risana
mento della finanza pubblica, art. 5 bis; 1. 8 agosto 1992 n.
359, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 11 lu
glio 1992 n. 333).
La determinazione dell'indennità di esproprio relativamente ad
un'area edificata in assenza di concessione edilizia, deve ef
fettuarsi, come prescritto dall'art. 19, 9° comma, l. 22 otto
bre 1971 n. 865, in base al valore della sola area, pur se ri
guardo alla costruzione abusiva non sia stata disposta o ese
guita la demolizione, dovendosi ritenere che tale circostanza
Il Foro Italiano — 2000.
non sia rilevante ai fini indennitari, ma attenga ad autonomo
e concorrente profilo sanzionatolo. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 22 lu
glio 1999, n. 499/SU; Pres. Bile, Est. Vignale, P.M. Lo Ca
scio (conci, parz. diff.); Soc. La Meridionale (Aw. Di Mar
tino) c. Pres. cons, ministri e altro. Cassa App. Napoli, giunta
speciale espropriazioni, 16 gennaio 1997.
Espropriazione per pubblico interesse — Determinazione del
l'indennità — Zone terremotate — Programma straordinario
di edilizia residenziale — Edificio abusivo — Valutazione —
Rilascio di concessione in sanatoria — Accertamento (L. 15
gennaio 1885 n. 2892, norme per il risanamento della città
di Napoli, art. 13; 1. 14 maggio 1981 n. 219, conversione in
legge, con modificazioni, del d.l. 19 marzo 1981 n. 75, recan
te ulteriori interventi in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981. Provve
dimenti organici per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori
colpiti, art. 80, 81, 84). Espropriazione per pubblico interesse — Occupazione d'urgen
za — Decorrenza (L. 25 giugno 1865 n. 2359, espropriazioni
per causa di pubblica utilità, art. 71; 1. 22 ottobre 1971 n.
865, art. 20; 1. 14 maggio 1981 n. 219).
Nella valutazione di un immobile abusivamente costruito, ai fi ni della determinazione dell'indennità di occupazione e di
esproprio per la realizzazione del programma straordinario
di edilizia residenziale per le zone terremotate, è necessario
l'accertamento dell'avvenuto rilascio di concessione in sana
toria, non essendo sufficiente la sola considerazione dell'av
venuta presentazione della relativa domanda. (2) Nelle occupazioni per le quali è prevista una presa di possesso
dell'immobile entro un termine a pena di perdita dell'effica
cia, il periodo di durata dell'occupazione decorre dalla data
di immissione in possesso. (3)
(1-2, 7) Elemento di decisiva importanza, coincidente con l'entrata in vigore dell'art. 5 bis 1. 359/92, è stato colto, parallelamente alla pre visione delle potenzialità legali di edificazione quale presupposto per
l'applicabilità dei nuovi criteri indennitari (su cui v., da ultimo, Cass. 15 marzo 1999, n. 2272, Foro it., 1999, I, 1432, con nota di richiami), nella necessità di una preventiva verifica di compatibilità delle entità
indennizzabili alla disciplina urbanistica (Vignale, Espropriazione per
pubblica utilità e occupazione illegittima, Napoli, 1998, 257). L'edificabilità di fatto, in precedenza concepita come edificabilità «che
prescinde da un'espressa previsione legale», e dunque caratterizzata da
connotati «agiuridici», quando non «antigiuridici» (Vignale, op. cit., 258 s. Secondo Cass. 20 marzo 1990, n. 2317, Foro it., Rep. 1990, voce Elettrodotto, n. 4, ai fini della liquidazione dell'indennizzo, pote va ritenersi il carattere edificatorio del terreno anche in mancanza di
uno sviluppo edilizio attuale della zona, quando ricorressero elementi
certi ed obiettivi attestanti una concreta attitudine all'edificazione, te
nendo conto degli strumenti urbanistici in vigore, ma anche di eventuali concrete attività di edificazione, anche abusive, che di fatto avessero avuto inizio nel comprensorio, determinando un incremento della do manda e quindi del valore di suoli utilizzabili nello stesso modo, aventi
analoghe caratteristiche, di ubicazione, accessibilità, ecc., ancorché an
che in tale ipotesi decurtato delle spese necessarie per le infrastrutture), non può che essere ancorata, oggi, e nella limitata misura in cui debba farsi ricorso ad essa (ovvero in assenza di disciplina urbanistica), ad
un paradigma di legalità. Il principio assume una doppia valenza, diret
ta e indiretta: come valutazione dei suoli da espropriare su cui insistano
edifici (indennizzabili in base al valore di mercato: Cass. 21 maggio
1998, n. 5064, id., 1999, I, 1231, con nota di Benini), e come valutazio
ne dei suoli localizzati in aree non interessate da una disciplina urbanistica.
All'auspicata interruzione del circolo vizioso ingenerato dalla tradi
zione giurisprudenziale sull'edificabilità di fatto, perviene, sia pure con
l'applicazione di una vecchia regola, la prima pronuncia in epigrafe, affermativa dell'indennizzabilità della sola area ove l'edificio vi sia sta
to costruito senza licenza, indipendentemente dalla demolizione: il cri
terio stabilito dall'art. 16, 9° comma, 1. 22 ottobre 1971 n. 865, per le costruzioni eseguite senza licenza, secondo cui della costruzione «de
ve essere disposta ed eseguita la demolizione, ai sensi dell'art. 26 stessa
legge, e l'indennità è determinata in base al valore della sola area», ha carattere inderogabile, come si evince dall'art. 15, 7° comma, 1. 28
gennaio 1977 n. 10, in relazione all'art. 12, 1° comma, 1. 865/71, e
natura sanzionatoria, concorrente con la demolizione e non consequen
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PARTE PRIMA
Ill
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 30 dicem
bre 1998, n. 12880; Pres. Grieco, Est. Benini, P.M. Nardi
(conci, conf.); Ballerini e altra (Avv. Agati) c. Min. finanze.
Cassa App. Roma 6 novembre 1995.
Espropriazione per pubblico interesse — Indennità di esproprio — Opposizione alla stima — Effetti (L. 22 ottobre 1971 n.
865, art. 19).
Espropriazione per pubblico interesse — Ampliamento della do
tazione immobiliare del presidente della repubblica — Deter
minazione dell'indennità — Criteri — Specialità (L. 15 gen naio 1885 n. 2892, art. 13; 1. 23 luglio 1985 n. 372, rivaluta
zione dell'assegno personale e della dotazione immobiliare del
presidente della repubblica, art. 5; d.l. 11 luglio 1992 n. 333, art. 5 bis; 1. 8 agosto 1992 n. 359).
Espropriazione per pubblico interesse — Determinazione del
l'indennità — Area già inserita in piano di lottizzazione —
Successiva approvazione di piano regolatore — Modifica del
regime edificatorio — Effetti (L. 17 agosto 1942 n. 1150, leg
ge urbanistica, art. 4, 10, 28).
Espropriazione per pubblico interesse — Determinazione del
l'indennità — Decadenza di vincolo preordinato ad esproprio — Valutazione dell'area — Criterio dell'edificabilità di fatto — Applicabilità — Limiti (L. 19 novembre 1968 n. 1187, mo
difiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942
n. 1150, art. 2; 1. 28 gennaio 1977 n. 10, art. 4; 1. 23 luglio 1985 n. 372, art. 5; d.l. 11 luglio 1992 n. 333, art. 5 bis; 1. 8 agosto 1992 n. 359).
L'opposizione alla stima determina il venir meno del carattere
vincolante della determinazione amministrativa, essendo com
pito del giudice, indipendentemente dall'indicazione delle parti, la corretta individuazione ed applicazione dei criteri indenni
tari applicabili alla procedura ablatoria intrapresa. (4)
ziale ad essa, essendo quest'ultima posta «a cura e spese del proprieta rio» (art. 15, 3° comma, e successivamente art. 7, 3° comma, 1. 28 febbraio 1985 n. 47) e non nell'interesse dello stesso. Ciò comporta l'inoperatività del principio di diritto amministrativo, stabilito a tutela dello ius aedificandi, del consolidamento della posizione del privato, e l'indennizzabilità commisurata al solo valore dell'area, pur se non si sia ancora proceduto alla demolizione. Il principio affermato è in linea con l'art. 5 bis 1. 359/92, anche se la sentenza ne prende le distan
ze, «non trattandosi qui di quantificare il valore del bene espropriato secondo una qualitas fundi immune da manifestazioni di abusivismo, ma intendendosi elidere qualsiasi concreta incidenza del fenomeno stes so». Il richiamo all'art. 16, 9° comma, di cui detta pronuncia non pone questione di sopravvivenza alla dichiarazione d'incostituzionalità della 1. 865/71 (problema altrove risolto in senso positivo, con consequenzia le incomputabilità nell'indennità di espropriazione del valore di un fab bricato per abitazione costruito, mediante trasformazione di un edificio rurale pericolante per vetustà ed inagibile, senza la necessaria conces sione edilizia: Trib. sup. acque 31 maggio 1990, n. 44, id., Rep. 1990, voce Espropriazione per p.i., n. 149. La vigenza dell'art. 16, 9° com ma, 1. 865/71, si desume anche da Cass. 9 ottobre 1998, n. 10012, id., Rep. 1998, voce cit., n. 139, che peraltro ne esclude l'applicabilità al risarcimento per danni conseguenti all'esecuzione di opere di pubbli ca utilità, ex art. 46 1. 25 giugno 1865 n. 2359), è per la verità presente (ma per negarne l'applicabilità analogica, attesa la diversità della fatti
specie), in altra pronuncia riguardante il risarcimento per l'occupazione appropriativa di un terreno abusivamente edificato, salva la possibilità di far valere l'illegittimità della costruzione ai fini della concreta valuta zione dell'immobile occupato (Cass. 13 maggio 1997, n. 4188, ibid., n. 494). In una fattispecie di valutazione dell'immobile, con esclusione, a norma dell'art. 42 della legge del 1865, dei vantaggi che siano conse
guenza diretta dell'opera di pubblica utilità cui l'espropriazione è preor dinata, si afferma la computabilità dei benefici che derivino da opere diverse, preesistenti ed indipendenti, pur se si tratti di opere di urbaniz zazione eseguite nella zona dello stesso espropriante (prima dell'occupa zione) ed incidenti sulla cosiddetta edificabilità di fatto, considerando che dell'esclusione di tale computabilità, prevista dall'art. 16 1. n. 865 del 1971, non può tenersi conto, per effetto della dichiarazione di (par ziale) illegittimità di questa norma (Cass. 6 febbraio 1990, n. 798, id., Rep. 1990, voce cit., n. 108). Con riguardo all'applicazione di una nor mativa speciale (espropriazioni disposte in attuazione della 1. 22 novem bre 1972 n. 771, istitutiva di una seconda università statale in Roma), ed al fine dell'indennizzabilità, separata ed aggiuntiva, delle costruzioni abitative che si trovino sul fondo espropriato, secondo la previsione dell'8° comma dell'art. 2 di detta legge, la condizione fissata dalla nor
II Foro Italiano — 2000.
Il carattere speciale della disciplina indennitaria contenuta nel
l'art. 5 I. 23 luglio 1985 n. 372, che, regolando l'indennità
per l'espropriazione delle aree situate nella tenuta di Capo cotta, ai fini dell'ampliamento della dotazione immobiliare
del presidente della repubblica, si richiama al criterio di de
terminazione della l. 15 gennaio 1885 n. 2892, sul risanamen
to di Napoli, comporta l'inapplicabilità dell'art. 5 bis d.l. 11 luglio 1992 n. 333. (5)
Agli effetti della classificazione del suolo come edificabile o non
edificabile, e dell'individuazione della normativa applicabile, va tenuto conto della disciplina urbanistica alla data del de
creto di esproprio, restando irrilevante la pregressa approva zione di un piano di lottizzazione, ove l'amministrazione ab
bia adottato in prosieguo differenti scelte urbanistiche. (6)
Nell'ipotesi di sopravvenuta inefficacia di un vincolo di inedifi cabilità gravante su suolo soggetto ad esproprio, nell'impossi bilità di individuare una disciplina urbanistica agli effetti del la determinazione dell'indennità di esproprio, occorre tener
conto delle possibilità effettive di edificazione dell'area, con
esclusione, tuttavia, degli effetti indotti da abusive opere di
urbanizzazione. (7)
ma medesima, cioè l'erezione di tali costruzioni «con regolare licenza
edilizia», è stata ritenuta operante indipendentemente dal fatto che esse siano anteriori o posteriori alle modifiche alla legge urbanistica 17 ago sto 1942 n. 1150 introdotte dalla 1. 6 agosto 1967 n. 765, tenuto conto
che, anche prima di tale legge del 1967, ogni costruzione da eseguirsi nel territorio del comune di Roma, pure se fuori dal centro abitato o dalle zone di espansione, era soggetta alla preventiva autorizzazione del sindaco, a norma dell'art. 1 del regolamento edilizio comunale del 1934 (Cass. 16 marzo 1984, n. 1792, id., Rep. 1984, voce cit., n. 141).
Con riguardo alle espropriazioni per l'attuazione del programma straor dinario per le zone terremotate, i criteri di determinazione delle inden
nità, dettati dagli art. 12 e 13 1. 15 gennaio 1885 n. 2892, siccome ri chiamati dall'art. 80, 6° comma, 1. 14 maggio 1981 n. 219 (è il caso di rammentare che in virtù delle disposizioni normative che si sono suc cedute nel prevedere speciali poteri espropriativi al commissario straor dinario del governo per le zone colpite dal sisma del 1980 — 1. 14 mag gio 1981 n. 219; 1. 26 giugno 1981 n. 333; 1. 18 aprile 1984 n. 80; 1. 28 ottobre 1986 n. 730 — le aree espropriabili per la realizzazione di un programma straordinario di edilizia residenziale sono soltanto quelle «disponibili ed immediatamente utilizzabili», cioè i terreni rurali o quelli sui quali insistono edifici da demolire per effetto di lesioni prodotte dal terremoto e non anche quelle su cui insistono edifici non lesionati dal sisma, ma che richiedono la demolizione per ragioni urbanistiche inerenti alla realizzazione del programma: Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1996, n. 644, id., Rep. 1996, voce cit., n. 51; pur se l'art. 84 ter ha reso possibile la demolizione di edifici esistenti sulle aree acquisite an che in base a più generali ragioni urbanistiche: Cons. Stato, sez. IV, 29 gennaio 1998, n. 101, id., Rep. 1998, voce cit., n. 64), sono applica bili non già alle sole aree edificabili, ma più in generale agli immobili
espropriati, e quindi anche ai fabbricati (Cass. 2 marzo 1999, n. 109/SU, id., 1999, I, 785, con nota di richiami). A tal proposito, però, se da una parte si è escluso che l'avvenuto rilascio della concessione edilizia sia un presupposto dell'indennizzabilità per l'ablazione dell'immobile
(ancorché dell'eventuale carenza possa tenersi conto in quanto suscetti bile d'incidere sul valore venale: Cass. 6 novembre 1998, n. 11210, id., Rep. 1998, voce cit., n. 235), indipendentemente dall'eventuale previ sione di non indennizzabilità delle costruzioni abusive prevista da ordi nanze commissariali (Cass. 11 novembre 1998, n. 11354, ibid., n. 263), dall'altra la necessaria determinazione della condizione urbanistica di
esso, ai fini dell'accertamento del reale valore, comporta la necessità
dell'indagine sull'avvenuto rilascio della concessione, non essendo suf ficiente la sola considerazione della presentazione dell'istanza (in tal senso la seconda pronuncia in epigrafe).
Il ricorso al criterio residuale dell'edificabilità di fatto, per le aree non interessate da disciplina urbanistica, è condizionato ad una compa tibilità di tale natura con le generali scelte urbanistiche (Cass. 17 set tembre 1997, n. 9242, ibid., n. 203): così la destinazione urbanistica a zona agricola non può essere smentita da una edificabilità effettiva, poiché, diversamente, l'edificazione di un'area, benché illecita, finireb be con l'attribuire, sia pure in via di mero fatto, natura edificatoria al suolo circostante non ancora edificato (Cass. 29 aprile 1999, n. 4300, id., Mass., 512). L'art. 5 bis adotta una propria nozione d'edificabilità, perché non considera all'uopo sufficiente l'edificabilità c.d. di fatto an che se divergente dalle previsioni degli strumenti urbanistici, ma richie de l'armonizzarsi delle possibilità legali e delle possibilità effettive di edificazione al momento dell'apposizione del vincolo espropriativo (3° comma), e, pertanto, comporta l'assoggettamento alle regole del titolo II della 1. 22 ottobre 1971 n. 865 (4° comma), oltre che dei fondi che abbiano destinazione agricola sulla scorta della disciplina urbanistica, pure dei fondi che siano dalla medesima sottoposti a vincolo d'inedifi
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
Motivi della decisione. — Denunziando violazione e falsa ap
plicazione dell'art. 15, 3° e 7° comma, 1. 10/77 e 16, 9° com
ma, 1. 865/71, il Dragone contrasta gli argomenti che hanno
indotto il giudice a quo a negare l'indennizzabilità per la perdi ta del fabbricato — a suo tempo realizzato senza licenza edilizia
—, rilevando che non è stato mai emesso né eseguito, nei suoi
confronti, alcun ordine di demolizione: sostiene infatti essere
richiesta, ai fini dell'operatività del più restrittivo criterio di de terminazione dell'indennità in base al valore della sola area, la demolizione ai sensi dell'art. 26 della citata legge, poiché «solo
l'eliminazione della permanenza in rerum natura dell'opera ille
citamente realizzata può legittimare la limitazione dell'indenni
tà espropriativa». Contesta l'assunto il controricorrente comune, ribadendo la
mancanza, in ordine alla costruzione abusiva, del «requisito pri mario perché si possa ipotizzare una sua valutazione economi
ca, vale a dire una sua lecita commerciabilità».
Viene, per la prima volta ex professo, posta all'esame della
corte la questione circa l'applicabilità dell'art. 16, 9° comma, 1. 865/71 in ipotesi di espropriazione per pubblica utilità di una
costruzione senza licenza (poi, concessione: arg. art. 21 1. 10/77)
edilizia, in mancanza di previa demolizione.
cabilità, a prescindere da un'eventuale situazione fattuale d'inosservan za di quest'ultimo (Cass. 9 giugno 1997, n. 5111, id., Rep. 1998, voce
cit-, n. 202). Con riguardo all'ipotesi di sopravvenuta inefficacia (per decorso del
quinquennio ex art. 2 1. 19 novembre 1968 n. 1187) di un vincolo di inedificabilità gravante su suolo soggetto ad esproprio, cui è conseguen temente applicabile la disciplina dell'art. 4, ultimo comma, 1. 28 gen naio 1977 n. 10, con i limitati indici di fabbricabilità ivi previsti (sulla questione di legittimità costituzionale della reiterazione dei vincoli, v. Corte cost. 20 maggio 1999, n. 179, id., 1999, I, 1705, con nota di
Benini), la determinazione dell'indennità di esproprio, anche in una sfera di non applicabilità dell'art. 5 bis 1. 359/92, deve tener conto delle
possibilità effettive di edificazione, con esclusione, tuttavia, degli effetti indotti da abusive opere di urbanizzazione o dalla presenza nella zona di costruzioni edilizie non autorizzate (conf. alla terza pronuncia in epi grafe, Cass. 2 settembre 1998, n. 8702, id., Rep. 1998, voce cit., n.
218, e 11 gennaio 1999, n. 181, id., Mass., 16, irt extenso, Giur. it., 1999, 1511, tutte sulle espropriazioni della tenuta di Capocotta: nella
specie, in cui l'esproprio era destinato a realizzare l'ampliamento della dotazione immobiliare del presidente della repubblica, l'indennità era
da determinare in base ai criteri di cui all'art. 5, 5° comma, 1. 23 luglio 1985 n. 372, richiamantesi all'art. 13 1. 15 gennaio 1885 n. 2892).
(3) Conf. Cass. 21 novembre 1998, n. 11773, in questo fascicolo, I, 213, con nota di richiami. La soluzione adottata vale per le occupa zioni regolate dall'art. 20 1. 22 ottobre 1971 n. 865, in cui è previsto un termine (trimestrale) entro cui deve essere effettuata l'occupazione, con il che è scongiurato il pericolo che l'occupazione possa essere effet
tuata in ogni tempo. Nelle occupazioni preordinate all'esproprio per la realizzazione del programma straordinario di edilizia per le zone ter
remotate, però, in assenza di una specifica disciplina per l'occupazione d'urgenza, si ritiene (Vignale, Espropriazione per pubblica utilità e oc
cupazione illegittima, Napoli, 1998, 476) che essa resti regolata dalla 1. 25 giugno 1865 n. 2359 (art. 71).
Per le occupazioni per l'installazione di containers nelle zone terre
motate, v. Cass., sez. un., 5 febbraio 1999, n. 26/SU, Foro it., 1999, I, 2581, con nota di richiami.
(4) L'opposizione alla stima non si configura come fase di mera im
pugnazione del provvedimento amministrativo, caratterizzandosi, inve
ce, come giudizio di autonoma quantificazione dell'indennità da parte del giudice (Cass. 2 settembre 1998, n. 8702, Foro it., Rep. 1998, voce
Espropriazione per p.i., n. 276), il quale, in mancanza di specifica istanza, da parte dell'espropriarne, di ridurre l'indennità stabilita in via ammini
strativa — anche se non articolata in via formalmente riconvenzionale — deve decidere unicamente sulla richiesta dell'opponente di un'inden
nità maggiore rispetto a quella fissata in sede amministrativa, compien
do, per l'effetto, una rivalutazione dell'intero immobile espropriato (Cass. 9 marzo 1996, n. 1891, id., Rep. 1996, voce cit., n. 113); il giudice
procede dunque alla determinazione dell'indennità indipendentemente dalle richieste delle parti, le cui deduzioni non ineriscono al petitum immediato, già compiutamente definito dalla domanda di determina
zione dell'indennità (Cass. 27 gennaio 1998, n. 774, id., Rep. 1998, voce cit., n. 289; 9 luglio 1999, n. 7185, id., Mass., 831).
Sul sopravvento della stima definitiva nel corso del giudizio di accer
tamento dell'indennità, agli effetti processuali, Cass. 30 marzo 1998, n. 3320, id., 1999, I, 1232; sulla determinazione giudiziale dell'indenni
tà, Cass. 5 marzo 1999, n. 1872, ibid., 3195, con nota di richiami,
e, successivamente, Cass. 14 settembre 1999, n. 9814, id., Mass., 1030.
Il Foro Italiano — 2000.
La norma della quale si discute è del seguente tenore: «Per
l'espropriazione delle aree che risultino edificate o urbanizzate
ai sensi dell'art. 8 1. 6 agosto 1967 n. 765, l'indennità è determi
nata in base alla somma del valore dell'area, definito a norma
dei precedenti commi — come sostituiti dall'art. 14 1. 10/77
ed in parte interessati dalla dichiarazione d'illegittimità di Corte cost. 5/80 (,Foro it., 1980, I, 273) —, e del valore delle opere di urbanizzazione e delle costruzioni, tenendo conto del loro
stato di conservazione. Se la costruzione è stata eseguita senza
licenza o in contrasto con essa o in base ad una licenza annulla
ta e non è stata ancora applicata la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 41, 2° comma, 1. 17 agosto 1942 n. 1150, e successive
modificazioni, ne deve essere disposta ed eseguita la demolizio
ne ai sensi dell'art. 26 della stessa legge e l'indennità è determi
nata in base al valore della sola area». Per quanto attiene alla
disciplina di ordine generale — enunciata nella prima parte del
la disposizione —, il criterio indennitario relativo al suolo, eli
minato dall'intervento di Corte cost. 5/80 cit., è stato sostituito dal sopravvenuto art. 5 bis 1. 359/92: esso riguarda testualmen
te le «aree edificabili», onde la giurisprudenza è saldamente at
testata, in ordine agli espropri di fabbricati, nel senso della li
quidazione unitaria, secondo il criterio del valore venale com
plessivo dell'edificio e del suolo su cui il medesimo insiste, a
norma dell'art. 39 1. 2359/1865 (Cass. 11918/95, id., Rep. 1997, voce Espropriazione per p.i., n. 175; 12036/95, id., 1996, I,
(5) Conf. Cass. 10 marzo 1998, n. 2645, Foro it., 1998, I, 1422, con nota di richiami, riguardo alla sopravvivenza dei criteri di cui al l'art. 13 1. 15 gennaio 1885 n. 2892, sul risanamento di Napoli, richia mati dall'art. 80, 6° comma, 1. 14 maggio 1981 n. 219 (ritenuti applica bili anche in materia di indennizzo per l'imposizione di servitù: Cass. 18 dicembre 1998, n. 12700, id., Rep. 1998, voce Espropriazione per p.i., n. 180; 26 febbraio 1999, n. 104/SU, id., Mass., 228); 16 marzo
1999, n. 143/SU, ibid., 240, e, specificamente, riguardo ai criteri inden nitari per l'espropriazione della tenuta di Capocotta, Cass. 2 settembre
1998, n. 8702, id., Rep. 1998, voce cit., n. 233.
Riguardo alla specialità dei criteri per l'attuazione del piano regolato re di Roma, Cass. 11 marzo 1998, n. 2666, ibid., n. 188; 1° settembre
1997, n. 8308, id., Rep. 1997, voce cit., n. 179.
L'affermazione di legittimità costituzionale di una pluralità di regimi indennitari fu affermata proprio in riferimento all'art. 5 1. 23 luglio 1985 n. 372, che per le espropriazioni finalizzate all'ampliamento della dotazione immobiliare presidenziale, si richiama al regime indennitario dell'art. 13 1. 15 gennaio 1885 n. 2892, sul risanamento di Napoli (Cor te cost. 19 aprile 1990, n. 216, id., 1990, I, 2735, con nota di R. Caso).
Sul carattere di norma fondamentale di riforma economico sociale dell'art. 5 bis 1. 8 agosto 1992 n. 359, v. Corte cost. 30 aprile 1999, n. 147, id., 1999, I, 1723, con nota di richiami.
(6) Conf. Cass. 2 settembre 1998, n. 8702, Foro it., Rep. 1998, voce
Espropriazione per p.i., n. 199; 11 gennaio 1999, n. 181, id., Mass., 16. Sul necessario riferimento alle potenzialità edificatorie al momento
del decreto di esproprio, Cass. 25 agosto 1998, n. 8434, id., Rep. 1998, voce cit., n. 249, in extenso, Corriere giur., 1999, 880, con nota di
Benini. Sulla disciplina urbanistica di riferimento ai fini indennitari, non dovendosi tener conto dell'incidenza negativa del vincolo preordi nato ad esproprio, Cass. 15 marzo 1999, n. 2272, Foro it., 1999, I,
1432, con nota di richiami.
La pregressa approvazione di un piano di lottizzazione non priva il comune dei suoi poteri pubblicistici in materia di disciplina del territo rio a difesa di esigenze di ordine generale, ivi incluso quello di modifi
care o revocare gli strumenti urbanistici, in relazione a situazioni so
pravvenute, ovvero anche all'adozione di nuovi criteri di valutazione
ritenuti più corrispondenti alle suddette esigenze (Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 1993, n. 711, id., 1994, III, 290, con nota di richiami, nonché, di recente, Cons. Stato, sez. IV, 5 maggio 1997, n. 481, id., Rep. 1998, voce Edilizia e urbanistica, n. 234; 6 marzo 1998, n. 382, ibid., n. 239; 26 maggio 1998, n. 886, ibid., n. 250).
Ove tale potere venga esercitato, le posizioni di diritto soggettivo del
privato contraente restano degradate a meri interessi legittimi, e la loro
tutela, pertanto, è affidata alla giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo in via d'impugnazione degli atti ostativi all'attuazione
dei precedenti progetti edificatori, mentre si deve negare la facoltà di
agire davanti al giudice ordinario per far valere la responsabilità risarci
toria dell'ente territoriale, non essendo questa configurabile in relazione
alla lesione di interessi legittimi (Cass. 16 gennaio 1987, n. 307, id.,
Rep. 1987, voce cit., n. 426). La valutazione che precede è ovviamente
da riconsiderare alla luce dei nuovi criteri di ripartizione delle giurisdi
zioni, secondo l'art. 34 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, e tenendo conto
delle possibilità di estensione della tutela risarcitoria anche a posizioni diverse dal diritto soggettivo (Cass. 22 luglio 1999, n. 500/SU, id., 1999,
I, 2487, con nota di Palmieri-Pardolesi, e ibid., 3201, con note di
Caranta, Fracchia, Romano, Scoditti).
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PARTE PRIMA
2181; 1113/97, id., Rep. 1997, voce cit., n. 184; 7202/97, ibid., n. 389; 3320/98, id., 1999, I, 1232; 5064/98, ibid., 1231; 6718/98, ibid., 1230; 11911/98, ibid.), escludendo la possibilità di una valutazione separata dell'area di sedime (pure adombrata da Cor
te cost. 442/93, id., 1994, I, 4, n. 3 della parte motiva), non
esplicitamente prevista dalla nuova disciplina, oltre che artifi
ciosa in assenza di una proprietà superficiaria e, comunque, difficilmente attuabile, con riguardo sia all'individuazione di un
reddito dominicale di terreni già legittimamente edificati, sia —
per converso — alla determinazione del valore dell'edificio se
parato da quello del suolo su cui insiste e che ne costituisce
ormai parte integrante. Ciò posto, passando alla fattispecie san
zionata nella seconda parte della disposizione, non sorgono que stioni in ordine all'alternativa — della quale lo stesso ricorrente
non dubita — fra valutazione unitaria, ai sensi del cit. art. 39
1. 2359/1865, della fabbrica e del terreno su cui la medesima
insiste, ovvero valutazione della sola area — beninteso, secondo
i criteri fissati nell'art. 5 bis 1. 359/92 —, per impossibilità di considerare l'opera abusiva, nel caso in esame, perché eseguita in assenza di licenza edilizia (cfr., fra le più recenti, Cass.
4188/97, id., Rep. 1998, voce cit., n. 494, che la più restrittiva
determinazione dell'art. 16, 9° comma, seconda parte, cit. limi
ta alla materia indennitaria, negando l'applicazione analogica a quella risarcitoria da occupazione appropriativa; nonché, nel
lo stesso ambito indennitario, Cass. 10012/98, ibid., n. 139, che pure giunge a conclusioni negative con riguardo all'inden
nizzo previsto dall'art. 46 1. 2359/1865, «in difetto di ogni ri
chiamo normativo fosse pure implicito e considerata la specifi cità della norma»; ed ancora, nel senso dell'inapplicabilità del
computo restrittivo, Cass., sez. un., 11210/98, ibid., n. 235, e 11354/98, ibid., n. 263, relativamente alle espropriazioni re
golate dall'art. 80, 6° comma, 1. 219/81, in ragione della spe cialità del criterio di base, costituito «dal valore venale degli
immobili, cioè dal valore che questi avrebbero in una libera
contrattazione di mercato, indipendentemente dall'avvenuto ri
lascio della licenza edilizia (ora concessione) ove si tratti di fab
bricati, ancorché di tale carenza possa tenersi conto in quanto suscettibile d'incidere su quel valore»). In definitiva dunque, fermo restando che l'ipotesi qui considerata attiene ad una espro
priazione per pubblica utilità assoggettata alle regole generali, la questione, anche alla stregua del devolutum, resta limitata
all'operatività del criterio più restrittivo di liquidazione nel caso
in cui dell'opera abusiva non sia stata «disposta ed eseguita la demolizione ai sensi dell'art. 26 della stessa legge» (1150/42), secondo la lettera del ripetuto art. 16, 9° comma.
La risposta al quesito — così dal ricorrente proposto — non
può, ad avviso del collegio, che essere affermativa.
Premesso che — come rettamente si afferma nella sentenza
impugnata e non è contestato dal ricorrente — l'opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione si configura non co
me giudizio d'impugnazione, nel quale sia precluso al giudice l'esame delle questioni specificamente non proposte, ma come
ordinario processo di cognizione per la determinazione della giu sta indennità, e prescinde quindi dai criteri estimativi adottati
nella fase amministrativa, anche se non espressamente impu
gnati, dovendo il giudice applicare quelli risultanti dalle norme
che regolano la materia in esame (Cass. 5018/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 152; 6790/92, id., Rep. 1993, voce cit., n. 242;
e, più di recente, Cass. 8702/98, id., Rep. 1998, voce cit., n.
276; 12880/98, in epigrafe), tanto premesso, l'art. 16, 9° com
ma, 1. 865/71 si pone, in tale schema, come norma assoluta
mente inderogabile. Non può condividersi invero la lettura del
l'inciso finale della disposizione, offerta dal ricorrente, che dà
valore di inscindibile endiadi alle locuzioni a tenore delle quali, della costruzione eseguita senza licenza (o concessione) «deve»
essere disposta ed eseguita la demolizione «e» l'indennità è de
terminata in base al «valore della sola area»: ritiene il collegio trattarsi di un concorrente profilo sanzionatorio, che — nel ca
so, qui appunto ricorrente, della mancata applicazione della pe na pecuniaria — si realizza in occasione della procedura ablato
ria, e non di una conseguenza unitaria, legata da una sorta di
vincolo teleologico, secondo cui la limitazione del diritto all'in
dennità sarebbe condizionata all'«eliminazione della permanen za in rerum natura dell'opera illecitamente realizzata».
La ragione di ciò si trae agevolmente dall'art. 15, 3° e 7°
comma, 1. 10/77 — puntualmente richiamati dalla corte di me
rito — e, più in generale, dal sistema normativo in tema di
Il Foro Italiano — 2000.
abusivismo, che, nella materia in esame, va riguardato in un'ot
tica diversa da quella sottesa all'art. 5 bis 1. 359/92 nei rapporti fra possibilità «legali» ed «effettive» di edificazione (su cui, fra le più recenti, Cass. 181/99, id., Mass., 16), poiché qui non
si tratta di quantificare il valore del bene espropriato secondo
una qualitas fundi immune da manifestazioni di abusivismo,
ma si intende elidere qualsiasi concreta incidenza del fenomeno
stesso, pure in presenza di un'area edificabilc di diritto e di
fatto, sulla sola considerazione della mancanza di licenza o con
cessione, non altrimenti sanabile — nel caso di specie, a cagio ne dell'anteriorità dell'espropriazione rispetto all'introduzione
dei rimedi della 1. 47/85, punto del pari non controverso —.
Il marchio di «incommerciabilità» introdotto dall'art. 15, 7°
comma, cit. (nel senso che «gli atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione sono nulli ove
da essi non risulti che l'acquirente era a conoscenza della man
canza di concessione») va infatti, nella fattispecie in contesta
zione, correlato alla possibilità di cessione volontaria da parte
dell'espropriato (art. 12, 1° comma, 1. 865/71), certamente pre clusa dalla mancanza di licenza edilizia e sottratta, in materia
di contratto di diritto pubblico, all'autonomia della contraente
amministrazione. Coerentemente con tale sistema, il «dovere»
della pubblica amministrazione medesima di promuovere e fare
eseguire la demolizione attiene all'azione del soggetto pubblico e non anche al rapporto espropriativo propriamente detto, nel
cui ambito l'assenza di un diritto soggettivo di corrispondente contenuto dell'espropriato è resa palese dalla considerazione che
l'art. 15, 3° comma, cit. vede questo stesso in una situazione
di mera soggezione (persino autonomamente sanzionata), po nendo «a cura e spese del proprietario» la demolizione della
costruzione abusiva (e facendo seguire alla mancata esecuzione
addirittura l'acquisizione gratuita ad opera del comune non so
lo della costruzione ma della stessa area di sedime). Sistema
sanzionatorio, questo, che — vigente al momento della conclu
sione della procedura ablatoria, come si precisa nella sentenza — è stato abrogato dall'art. 2 1. 47/85, tuttavia soltanto per consentire la sanatoria delle opere ultimate alla data del 1° ot
tobre 1983, avendo la nuova disciplina confermato il regime della demolizione/acquisizione (art. 7), mantenuto e rafforzato
il marchio di incommerciabilità (art. 17), con divieto di stipula zione degli atti espressamente esteso ai notai (art. 21 e 40).
Deve pertanto concludersi che il criterio di determinazione
dell'indennità di espropriazione, stabilito dall'art. 16, 9° com
ma, ultima parte, 1. 865/71 per le costruzioni eseguite senza
licenza (poi, concessione) edilizia, ha carattere inderogabile —
come si evince dall'art. 15, 7° comma, 1. 10/77 in relazione
all'art. 12, 1° comma, citata 1. 865/71 — e natura sanzionato
ria, concorrente con la demolizione e non conseguenziale ad
essa, essendo quest'ultima posta «a cura e spese del proprieta rio» (art. 15 cit., 3° comma, e, successivamente, art. 7, 3° com
ma, 1. 47/85) e non quindi nell'interesse dello stesso. Da ciò deriva l'impossibilità di applicare alla fattispecie espropriativa, relativa ad edificio eseguito in assenza di concessione e non de
molito, il principio di diritto amministrativo, stabilito a tutela
dello ius aedificandi, del consolidamento della posizione del pri vato (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 12/83, id., 1983, III, 374), in quanto l'inderogabilità della disciplina e l'autonomia della
sanzione, comportando l'impossibilità per l'espropriante di cor
rispondere l'indennità in misura superiore al «valore della sola
area», inducono ad affermare che il «fatto» deve, nella materia
considerata, cedere sempre al «diritto».
Il ricorso va in definitiva respinto.
II
Motivi della decisione. — Con il primo motivo di ricorso, la soc. La Meridionale critica la sentenza impugnata per assolu
ta mancanza di motivazione in merito all'affermata carenza di
legittimazione passiva della presidenza del consiglio dei mini
stri, sostenendo che la decisione non ha dato conto delle que stioni, prospettate dalla ricorrente, circa la natura meramente
strumentale delle attività compiute da essa concessionaria.
La censura è infondata. Non è affatto rispondente a verità
che la motivazione della sentenza impugnata in merito alla le
gittimazione passiva sia del tutto carente. Il giudice a quo, in
fatti, si è dilungato sul tema, peraltro uniformandosi alla co
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
stante giurisprudenza di questa corte, secondo la quale, ai sensi
degli art. 80, 81 e 84 1. 14 maggio 1981 n. 219, tutte le volte
in cui l'attuazione delle opere esecutive del piano straordinario
di edilizia residenziale nella città di Napoli siano state affidate
ad un concessionario, all'ente concessionario è demandato il com
pimento in nome proprio di tutte le operazioni materiali, tecni
che e giuridiche, occorrenti per la realizzazione del programma, ivi comprese quelle di espletamento delle procedure ablatorie, nelle quali il concessionario stesso, quale soggetto del rapporto
espropriativo, diviene titolare di tutte le obbligazioni indennita
rie (ossia anche di quella relativa all'occupazione legittima) che
ad esso si ricollegano (cfr. Cass. n. 2644 del 1998, Foro it.,
Rep. 1998, voce Espropriazione per p.i., n. 298; n. 917 del 1996,
id., Rep. 1997, voce cit., n. 93; n. 11078 del 1993, id., Rep. 1993, voce cit., n. 79).
In ordine logico, vanno poi esaminati il terzo motivo d'impu
gnazione e parte del quarto, con i quali la ricorrente sostiene,
rispettivamente, che le opposizioni alla stima dell'indennità di
esproprio e di quella di asservimento non potevano essere am
messe, non essendo ancora stati pronunciati i decreti di espro
prio e quello di asservimento.
La censura è fondata. Come questa corte ha stabilito (Cass. 7 luglio 1999, n. 385/SU, id., Mass., 688), la pronuncia del decreto di esproprio — così come, parallelamente, di quello di
asservimento — rappresenta condizione dell'azione di opposi zione alla stima dell'indennità, tal che questa deve dichiararsi
inammissibile se il provvedimento amministrativo totalmente o
parzialmente ablatorio non sia stato emesso.
La fondatezza della doglianza in merito all'ammissibilità del
l'opposizione alla stima delle indennità di esproprio e di asser
vimento comporta l'assorbimento del secondo e del quarto mo
tivo, nelle parti in cui investono la rideterminazione dell'inden
nità di esproprio e di asservimento per le costruzioni abusive.
Resta tuttavia in piedi l'esame delle stesse doglianze nella mi
sura in cui sono riferite alla determinazione dell'indennità di
occupazione legittima, posto che la domanda per il suo conse
guimento, in base alla sentenza della Corte costituzionale n.
470 del 1990 (id., 1990,1, 3057), è disancorata dalla proponibi lità di quella di opposizione alla stima.
Va, a tal ultimo fine, esaminata innanzitutto quella parte del
quarto motivo del ricorso, nella quale la ricorrente si duole che
la giunta, nelPaccogliere la domanda di pagamento di un'inden
nità temporanea per il diminuito godimento temporaneo del
l'immobile, sarebbe incorsa nei vizi di incompetenza funzionale
(ossia in quello di aver emesso una pronuncia senza essere stata
investita di potestà giurisdizionale) e di extrapetizione. La tesi secondo la quale la giunta speciale sarebbe stata priva
di giurisdizione in merito alla domanda di pagamento dell'«in
dennità temporanea per il diminuito godimento dell'area asser
vita» deve essere rigettata. A tal riguardo va, infatti, osservato
che con molteplici decisioni, dalle quali non sussiste valido mo
tivo per discostarsi, questa corte ha stabilito che l'art. 80 1. 14
maggio 1981 n. 219 non ha inciso sulla competenza giurisdizionale attribuita dal d.leg.lgt. 27 febbraio 1919 n. 219 alla giunta spe
ciale presso la Corte d'appello di Napoli, in quanto il rinvio formulato dalla prima norma agli art. 12 e 13 1. 15 gennaio 1885 n. 2892 investe sia la disciplina sostanziale che quella pro cessuale prevista per le relative espropriazioni, compresa l'attri
buzione della competenza in materia di determinazione giudi ziale dell'indennità tanto di espropriazione quanto (in base al
l'art. 18 1. 219/81) di occupazione (cfr., tra le tante, Cass. n.
5804 n. 1995, id., Rep. 1995, voce cit., n. 147; n. 6083 del
1994, id., Rep. 1994, voce cit., n. 46). Risulta poi dalla stessa sentenza impugnata che siffatta do
manda fu effettivamente formulata dal proprietario (per cui,
non ricorre un'ipotesi di extrapetizione), atteso che le trascritte
conclusioni delle parti confermano che l'opponente, nella do
manda introduttiva, dopo essersi doluto anche del fatto che il
suolo di sua proprietà fosse stato sottoposto ad un viadotto,
aveva chiesto che per tutto il pregiudizio subito (anche, quindi,
per quello conseguente al ridotto godimento dell'immobile deri
vato dalla costruzione di quel viadotto) fossero congruamente
determinate, oltre all'indennità di esproprio, anche quella di oc
cupazione legittima. E la liquidazione di questa, come è eviden
te, è collegata appunto ad un diminuito godimento temporaneo
dell'immobile. Con il secondo motivo, inoltre, la ricorrente sostiene che il
Il Foro Italiano — 2000 — Parte 1-2.
giudice a quo, eccedendo dai suoi poteri, abbia riconosciuto
al proprietario il diritto all'indennità, pur facendo difetto la prova della legittimità urbanistica del manufatto dell'opponente e del perfezionamento della procedura amministrativa per la con
cessione del condono edilizio.
Con la prima parte del quarto motivo, essa deduce, poi, che
l'indennità di esproprio non poteva essere stimata senza tener
conto delle questioni relative all'illegittimità della costruzione
realizzata sul suolo.
Le due doglianze possono essere esaminate congiuntamente, stante la loro stretta connessione.
Sempre premettendo che questa decisione si limita a valutare
la correttezza della sola liquidazione dell'indennità di occupa zione legittima, va rilevato che, l'art. 80, 6° comma, 1. n. 219
del 1981 (recante la normativa per la realizzazione del program ma straordinario di edilizia residenziale, nei cui ambito furono
realizzati gli interventi di cui è causa) fissa un criterio particola re di determinazione dell'indennità di esproprio (che funge usual
mente da parametro per la liquidazione dell'indennità di occu
pazione legittima), ossia quello stabilito dall'art. 13 1. n. 2892 del 1885.
In base a questa norma, uno dei due elementi della media
in rapporto alla quale deve essere determinata quell'indennità è dato dal valore venale dell'immobile, ossia dal valore che l'im
mobile avrebbe potuto avere in una libera contrattazione di
mercato.
Ciò posto, nella sentenza impugnata è detto che gli immobili
di proprietà del Casola erano stati costruiti abusivamente intor
no al 1966, che avevano formato oggetto di un'istanza di con
dono, ma non che fosse stata rilasciata una concessione edilizia
in sanatoria.
Malgrado questa presa d'atto, la giunta speciale determinò
l'indennità di occupazione senza spiegare se ed in quale misura
i parametri per la valutazione degli immobili fossero stati scelti
tenendo conto della loro particolare condizione edilizia, ma si
limitò ad affermare che, a tal fine, erano stati presi in conside
razione terreni simili a quelli da valutare ubicati nella stessa
zona. Non risulta però che questi suoli versassero nella stessa
condizione di quelli occupati. Ed invero, la giunta ha mostrato di dare peso solo al fatto
che il proprietario aveva inoltrato domanda di condono. Questa sola indicazione, tuttavia, non è da sola sufficiente per determi
nare il valore di un immobile versante in quella condizione ur
banistica. Ed invero, l'art. 33 1. 28 febbraio 1985 n. 47 contempla an
che ipotesi di opere assolutamente insuscettibili di sanatoria; l'art.
35, poi, pone un termine perentorio per presentare la domanda
di concessione in sanatoria; mentre l'ultimo comma dell'art. 31
della stessa legge dispone che per le opere ultimate anteriormen
te al 1° settembre 1967 che avrebbero richiesto il rilascio della
licenza di costruzione, gli interessati potevano conseguire la con
cessione in sanatoria previo pagamento, a titolo di oblazione,
di una certa somma (determinata a norma del successivo art.
34). L'art. 34 stabilisce, infine, che il versamento della somma stabilita a titolo di oblazione costituisce condizione per ottenere
la concessione.
Orbene, non risulta che la giunta speciale abbia eseguito al
cuno di tali accertamenti nel senso suddetto, laddove è chiaro
che la condizione urbanistica dell'immobile non può non inci
dere anche nella scelta dei parametri per la valutazione del suo
valore venale.
Le doglianze circa l'insufficiente motivazione della sentenza,
sotto questo profilo devono, in conclusione, ritenersi fondate.
Nella seconda parte del quarto motivo, la ricorrente osserva,
ancora: a) che la liquidazione dell'indennità di occupazione tem
poranea era stata effettuata sulla base di criteri «convenziona
li», inapplicabili nella specie, in mancanza di una convenzione
tra proprietario ed occupante; b) che erroneamente il dies a quo
dell'occupazione era stato riferito alla pronuncia del decreto di
occupazione e cioè ad un momento antecedente a quello del
l'immissione in possesso dell'immobile. La doglianza sub a) va rigettata, poiché il giudice a quo, lad
dove ha definito «convenzionale» la misura degli interessi legali
utilizzati per il calcolo della liquidazione dell'indennità di occu
pazione, ha inteso riferirsi, con locuzione certamente impropria
ma dall'evidente significato, alla pratica consueta di liquidare
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PARTE PRIMA
l'indennità predetta sulla base degli interessi legali sull'indenni
tà di esproprio. Fondata deve ritenersi invece la critica di cui alla lett. b),
giacché il termine iniziale dell'occupazione legittima — come
è stato stabilito in una recente sentenza (Cass. 21 novembre
1998, n. 11773, in questo fascicolo, I, 213), che ha modificato
il precedente orientamento giurisprudenziale formatosi con ri
guardo alle occupazioni realizzate in base all'art. 71 1. n. 2359
del 1865 — va riferito non già al momento della pronuncia del
decreto di occupazione temporanea, bensì al tempo in cui l'oc
cupante si è immesso nel possesso dell'immobile, giacché solo
da questo momento il proprietario perde la facoltà di godimen to e di utilizzazione dello stesso. Ed invero, per le occupazioni
per le quali è prevista la presa di possesso dell'immobile entro
un preciso termine a pena di perdita dell'efficacia, il periodo di occupazione decorre, per espressa disposizione legislativa, dalla
«data di immissione del possesso» (art. 20 1. n. 865 del 1971). Il ricorso deve, pertanto, essere accolto nei limiti indicati.
La sentenza impugnata va, conseguentemente, cassata, con rin
vio della causa alla giunta speciale per le espropriazioni presso la Corte d'appello di Napoli.
Ili
Motivi della decisione. — Deve preliminarmente disporsi la
riunione dei procedimenti ai sensi dell'art. 335 c.p.c., avendo
essi ad oggetto ricorsi avverso la stessa sentenza.
Con il primo motivo di ricorso, Ballerini Marcella e Manca
Grazia, denunciando mancata o erronea valutazione di fatti de
cisivi al fine del giudizio, muovono in realtà una serie di com
plesse censure alla sentenza impugnata, sostanzialmente per non
aver tenuto conto della potenzialità edificatoria dei terreni, ac
certata a seguito del giudizio amministrativo conclusosi (Tar La
zio, sez. II, 28 giugno 1977, n. 464) con l'accoglimento del ri
corso contro il silenzio rifiuto del comune di Roma relativa
mente alla domanda di autorizzazione alla lottizzazione a suo
tempo avanzata dai proprietari dei terreni, costituiti in consor
zio. La zona cui appartengono i terreni di cui è causa era infatti
considerata edificatoria dal p.r.g. di Roma del 1965, in base
al quale fu presentato all'amministrazione un piano di lottizza
zione convenzionata, su cui il comune non provvedeva, indu
cendo i lottizzanti ad attivare la procedura di accertamento del
silenzio rifiuto. Dopo un ulteriore ricorso al Tar, conclusosi
con sentenza che annullava la decisione del comune di sospen dere ogni determinazione sulla domanda di lottizzazione per es
sere stata adottata variante al p.r.g. che destinava l'area a par co pubblico, il rigetto definitivo della domanda di autorizzazio
ne a lottizzare veniva impugnato davanti al Tar, che però dichiarava la sopravvenuta carenza d'interesse dei ricorrenti per essere nel frattempo entrata in vigore la 1. 23 luglio 1985 n.
372 che autorizzava l'espropriazione dei beni necessari alla co
stituzione della tenuta di Capocotta, in cui sono compresi i beni
di proprietà delle ricorrenti. La nuova disciplina urbanistica non
avrebbe potuto essere opposta, ai fini che interessano la presen te causa, avente ad oggetto l'indennità di esproprio, ai proprie tari che in virtù del giudicato amministrativo sull'illegittimità del silenzio rifiuto serbato dall'amministrazione sulla richiesta di lottizzazione dell'area, avevano acquisito il diritto a costruire
secondo gli indici^ di fabbricabilità previgenti, di cui al p.r.g. del 1965. La sentenza di merito apparirebbe dunque viziata sot
to svariati profili: A) nella parte in cui afferma che i criteri e metodi per l'in
dennità di espropriazione sono autonomi rispetto alla disciplina dei rapporti tra privati proprietari e autorità preposta al gover no del territorio, tanto che le decisioni dei giudici amministrati
vi fatte valere dall'attrice non sono opponibili all'amministra
zione espropriante, convenuta in causa;
B) nella parte in cui esclude la configurabilità di un obbligo dell'amministrazione ad adottare un provvedimento esplicito di
autorizzazione a lottizzare, restando irrilevante qualsiasi varia
zione nel frattempo intervenuta allo strumento urbanistico;
Q nella parte in cui assume che l'autorità investita della do
manda di lottizzazione, anche a non considerare rilevante, a
tale limitato fine, la modifica della disciplina urbanistica, non
avrebbe comunque poi potuto rilasciare concessioni edilizie, quan
Ii Foro Italiano — 2000.
do invece queste ultime costituiscono solo meccanismi di attua
zione del piano di lottizzazione ormai consolidato;
D) nella parte in cui ha ritenuto che per effetto dell'adozione
di variante al p.r.g. scattavano gli effetti di salvaguardia ostati
vi all'attuazione della previgente disciplina urbanistica, mentre
il Tar, con la decisione 321/78, aveva affermato che le misure
di salvaguardia operano solo nel caso di richiesta di licenze edi
lizie e non per i piani di lottizzazione. Con il secondo motivo di ricorso, le ricorrenti censurano la
sentenza impugnata per violazione del principio giurispruden ziale secondo cui la determinazione del valore del bene corri
sponde alla naturale vocazione edificatoria dello stesso, indi
pendentemente dalla disciplina urbanistica cui è assoggettata l'a
rea in considerazione: la zona in cui sono compresi i terreni
espropriati è completamente urbanizzata, e ciò soltanto è rile
vante ai fini della determinazione dell'indennità, che va commi
surata al valore di mercato, con esclusione dell'influenza di qual siasi vincolo, vigente o scaduto, o della disciplina provvisoria di cui all'art. 4, ultima parte, 1. 10/77, che invece il giudice di merito ha ritenuto di applicare.
Con il terzo motivo, subordinatamente al mancato accogli mento dei precedenti, censurano la sentenza impugnata sotto
il profilo dell'inadottabilità, quale indice di edificabilità ai fini della determinazione dell'indennità espropriativa, del dato pre scritto dall'art. 4 1. 10/77, che oltre a regolare l'edificabilità
nei comuni sprovvisti di strumento urbanistico, ha la finalità, limitata e provvisoria, di ovviare alla decadenza dei vincoli di
inedificabilità o preordinati ad espropriazione previsti dallo stru
mento urbanistico, per decorso del quinquennio senza che siano
stati approvati i piani di attuazione (art. 2 1. 19 novembre 1968
n. 1187); il comune resta comunque obbligato all'adozione di
una nuova disciplina urbanistica per queste aree, e la sopravve
nienza, nel caso di specie, della 1. 372/85, determinerebbe, nel
l'impostazione adottata dalla corte d'appello, una definitività
che è contraria alla ratio legis, mentre appaiono correttamente
applicabili i principi adottati dalla giurisprudenza amministrati
va per l'ipotesi di annullamento del vincolo, ovvero la revivi
scenza della disciplina urbanistica previgente, cioè del p.r.g. del
1965. Con il quarto motivo, in estremo subordine, si censura la
sentenza per la genericità con cui ha applicato l'art. 4 1. 10/77, che per la precisione prevede tre distinte ipotesi, relative, rispet
tivamente, alle zone al di fuori del perimetro del centro abitato, all'interno del centro abitato, e degli edifici e complessi produt
tivi, delle quali la più attagliata al caso concreto sarebbe l'ulti
ma, attesa l'esistenza di attività turistiche e sociali.
Con il quinto motivo si censura la sentenza impugnata per aver disposto che l'indennità debba essere determinata tenendo
conto dei vincoli esistenti sulla zona, mentre in realtà nessun
vincolo speciale esisteva al momento dell'espropriazione. Con il sesto motivo viene richiesta l'indennità di occupazio
ne, avvenuta il 14 marzo 1987, nonché l'indennizzo per tre co
struzioni sanabili, nonché svalutazione e interessi.
Con il primo motivo del ricorso incidentale, il ministero delle
finanze censura la sentenza impugnata per ultrapetizione, posto che con la citazione in opposizione alla stima l'attrice aveva
solo chiesto l'applicazione dell'art. 39 1. 25 giugno 1865 n. 2359, e dunque di commisurare l'indennità al valore venale, con il
che la corte d'appello avrebbe dovuto limitarsi al rigetto della
domanda.
Con il secondo motivo il ricorrente incidentale censura in su
bordine la violazione degli art. 2 e 5 1. 372/85, 16 1. 1497/39 e 4 1. 10/77, oltre al difetto di motivazione su punti decisivi, avendo attribuito alla zona la limitata edificabilità di quest'ulti ma norma, mentre la vocazione a parco naturale dell'area, che
tra l'altro ha determinato l'intervento legislativo di creazione
della tenuta di Capocotta, ne comportava l'assoluta inedifica
bilità. Con il terzo motivo il ricorrente incidentale denuncia viola
zione dell'art. 5 bis 1. 359/92, che è applicabile anche alle espro
priazioni per le quali sia pendente il giudizio di stima, e che per aree del tipo di quella in discussione prevede l'adozione del
criterio del valore agricolo tabellare di cui alla 1. 22 ottobre
1971 n. 865. Si rende necessario, in ordine di priorità logica, l'esame del
primo motivo del ricorso incidentale, accedendo alla violazione
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di un principio di ordine processuale. Esso appare infondato.
L'opposizione alla stima, di cui all'art. 19 1. 22 ottobre 1971
n. 865, introduce un ordinario giudizio di cognizione avente
ad oggetto la determinazione dell'indennità di esproprio dovuta
per legge. La proposizione dell'azione determina, in primo luo
go, il venir meno del carattere vincolante della determinazione
amministrativa, e del riferimento ai presupposti normativi su
cui essa è basata. Compito del giudice è la corretta applicazio
ne, e prima ancora individuazione, dei criteri indennitari appli cabili alla procedura ablatoria avviata dai pubblici poteri, senza
per questo essere vincolato dalle indicazioni delle parti, ma con
il potere-dovere di autonoma individuazione delle norme appli
cabili, in ossequio al generale principio iura novit curia.
Anche il terzo motivo del ricorso incidentale è infondato. L'art.
5 bis 1. 359/92 costituisce ora norma di portata generale ai fini
della determinazione dell'indennità di esproprio, ma ciò non
esclude che si rendano applicabili normative di tipo diverso, ove se ne riconosca la «specialità» (Cass. 6 novembre 1993, n.
10998, Foro it., 1993, I, 3246; 10 novembre 1993, n. 11078,
id., Rep. 1993, voce Espropriazione per p.i., n. 79; 24 giugno
1994, n. 6083, id., Rep. 1994, voce cit., n. 46; 10 marzo 1998, n. 2645, id., 1998, I, 1422; 13 maggio 1998, n. 4821, id., Rep. 1998, voce cit., n. 194).
Il carattere speciale delle discipline indennitarie che, anterior
mente all'entrata in vigore della 1. 359/92, rinviano alla 1. 15
gennaio 1885 n. 2892, sul risanamento di Napoli, va ritenuto
in quanto esse sopravvengono (e l'argomentazione vale per l'art.
5, 5° comma, 1. 23 luglio 1985 n. 372, applicabile alla fattispe cie, come per l'art. 80, 6° comma, 1. 14 maggio 1981 n. 219),
quanto alla misura dell'indennizzo, al sistema generale instau
rato dalle leggi 865/71 e 27 giugno 1974 n. 247, e confermano,
viceversa, la specialità di un sistema, quello della legge sul risa
namento di Napoli, considerato da sempre alternativo al princi
pio generale dell'indennizzo commisurato al valore venale, di
cui all'art. 39 della fondamentale 1. 25 giugno 1865 n. 2359.
Prova ne sia che prima che fosse emanata la 1. 372/85 (e la
1. 219/81), si ritenne che i criteri posti dall'art. 16 1. 865/71
avessero abrogato quelli di cui alla legge di Napoli, ma in tal
caso fu una norma generale, l'art. 4 1. 247/74, a disporre l'e
stensione del citato art. 16 a tutte le espropriazioni comunque
preordinate alla realizzazione delle opere di enti pubblici, con
conseguente abrogazione di tutte le normative particolari (Cass. 14 ottobre 1988, n. 5599, id., 1989, I, 104; 9 maggio 1990, n. 3799, id., Rep. 1990, voce cit., n. 114; 21 dicembre 1990, n. 12151, ibid., n. 99) e riapplicabilità, dopo la declaratoria d'incostituzionalità del suddetto art. 16, del criterio del valore
venale di cui all'art. 39 1. 2359/1865. L'art. 5 1. 372/85 (come in precedenza l'art. 80 1. 219/81) ha poi attuato la reviviscenza
di quella normativa, usando di una tecnica legislativa che, a
limitati effetti, fa rivivere norme abrogate, come l'art. 13 della
legge sul risanamento di Napoli, e della quale si è ritenuta la
legittimità costituzionale (Corte cost. 19 aprile 1990, n. 216,
id., 1990, I, 2735, proprio per il sistema indennitario stabilito
per l'ampliamento della tenuta di Castelporziano). Passando all'esame del primo motivo del ricorso principale,
deve rilevarsi che esso è infondato.
L'esistenza di un piano di lottizzazione non priva l'ammini
strazione della potestà di adottare in prosieguo differenti scelte
urbanistiche, a condizione che siano esplicitate le ragioni di pub blico interesse che hanno indotto a ritenere superato il prece dente assetto urbanistico. In seguito al mutamento della disci
plina urbanistica, le aspettative del privato lottizzante al conse
guimento degli atti abilitativi alle costruzioni, restano sacrificate
(Cass. 4 ottobre 1990, n. 9792, id., Rep. 1991, voce Edilizia e urbanistica, n. 501), ed in riferimento a tali modifiche si de termina la degradazione dei diritti scaturenti dalla convenzione
urbanistica ad interessi legittimi, dalla cui lesione non scaturisce
responsabilità risarcitoria dell'amministrazione (Cass. 16 gen naio 1987, n. 307, id., Rep. 1987, voce cit., n. 426). La giuri sprudenza amministrativa citata da parte ricorrente (in partico
lare, Cons. Stato, sez. IV, 25 novembre 1983, n. 845, id., 1984,
III, 332), non ha attinenza all'oggetto della presente causa, poi ché riguarda la normativa di riferimento per la decisione della
domanda sul cui originario silenzio rifiuto si è formato il giudi cato di annullamento: l'illegittimità del comportamento omissi
vo della pubblica amministrazione, accertato dal giudice ammi
nistrativo, sull'istanza del privato lottizzante, non equivale ad
Il Foro Italiano — 2000.
accoglimento della domanda, ma comporta l'obbligo dell'ente
di provvedere esplicitamente sulla domanda, in base alla legge
vigente nel momento in cui è stata notificata la sentenza di an
nullamento. La sentenza dichiarativa dell'illegittimità del silen
zio rifiuto in ordine alla consequenziale stipulazione della con
venzione equivale a perfezionamento della fattispecie lottizzato
ria solo dopo che sia stata autorizzata la lottizzazione (Cons.
Stato, sez. V, 8 settembre 1992, n. 776, id., Rep. 1992, voce
cit., n. 582), dato che, in generale, il giudicato di illegittimità del silenzio serbato su una domanda equivale a provvedimento satisfattorio dell'interesse fatto valere solo quando quel provve dimento sia vincolato (Cons. Stato, sez. V, 16 ottobre 1989, n. 638, id., Rep. 1989, voce Giustizia amministrativa, n. 230), non anche quando sia il risultato di valutazioni discrezionali
dell'autorità (Cons. Stato, sez. IV, 17 marzo 1981, n. 253, id.,
Rep. 1981, voce cit., n. 840, proprio riguardo a domanda di
lottizzazione). Nella specie, dopo la notifica della sentenza che
ha annullato il silenzio rifiuto, che per le ragioni suddette non
equivale ad accoglimento nel merito della domanda di autoriz
zazione a lottizzare, e dopo l'annullamento di una nuova deci
sione soprasessoria, il giudice amministrativo ha dichiarato ces
sata la materia del contendere per essere nel frattempo entrata
in vigore la 1. 23 luglio 1985 n. 372: senza che un provvedimen to amministrativo di autorizzazione a lottizzare sia mai stato
emanato.
Le pregresse vicende concernenti la destinazione edificatoria
delle aree, configurabile in base al piano di lottizzazione sotto
posto dai proprietari all'approvazione comunale, non rilevano
comunque nella valutazione dei beni agli effetti indennitari.
Quanto al momento di riferimento per la determinazione del
l'indennità di esproprio, infatti, essa va compiuta con riguardo all'emanazione del decreto di esproprio, tenendo conto della di
sciplina urbanistica all'epoca vigente. Tale principio, costante
mente applicato dalla giurisprudenza al fine di evitare l'inciden
za di eventuali vincoli preordinati ad espropriazione (Cass. 8
maggio 1982, n. 2859, id., Rep. 1982, voce Espropriazione per
p.i., n. 85; 16 marzo 1993, n. 3126, id., Rep. 1994, voce cit., n. 112), è ora codificato dall'art. 5 bis, 3° comma, 1. 359/92,
per il quale la valutazione dell'edificabilità del suolo va com
piuta tenendo conto delle possibilità «esistenti al momento del
l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio». La stessa
Corte costituzionale ha avvalorato l'interpretazione della nor
ma alla luce dell'indirizzo consolidatosi in giurisprudenza, e, riconoscendo che nella determinazione dell'indennità deve pre scindersi dal vincolo espropriativo, ha tenuto fermo il momento
di riferibilità della valutazione del bene, alla data del decreto
di esproprio (Corte cost. 16 dicembre 1993, n. 442, id., 1994,
I, 4; in tal senso, dopo l'entrata in vigore dell'art. 5 bis, e con
espressa considerazione della disciplina urbanistica vigente, Cass.
8 gennaio 1998, n. 97, id., Rep. 1998, voce cit., n. 205; 26 settembre 1997, n. 9460, id., Rep. 1997, voce cit., n. 201; 25
agosto 1998, n. 8434, id., Rep. 1998, voce cit., n. 249). Al momento del decreto di esproprio delle aree già di pro
prietà delle ricorrenti, la disciplina, a non voler tenere conto
della destinazione a dotazione presidenziale, conferita dalla 1.
372/85, in quanto concernente un vincolo preordinato ad espro
prio, è quella configurata dall'art. 4, ultimo comma, 1. 28 gen naio 1977 n. 10, subentrato ad una destinazione urbanistica a
parco pubblico. La decadenza da tale precedente previsione di
piano non comporta la reviviscenza della precedente destinazio
ne urbanistica, avendo l'effetto, con l'applicabilità della disci
plina propria delle aree situate in comuni sprovvisti di strumen
ti urbanistici, di fare tabula rasa di eventuali potenzialità edifi
catorie assicurate da strumenti precedenti, indipendentemente dal problema, che si esamina oltre, dell'utilizzabilità degli indici volumetrici di cui all'art. 4 cit., ai fini del calcolo indennitario.
Il richiamo a risalenti regolamentazioni sull'edificabilità dell'a rea è da considerare inattuale.
Venendo all'esame del secondo motivo del ricorso principale, esso è da effettuare congiuntamente al terzo motivo che, vice
versa, nella prospettazione della difesa delle ricorrenti, è subor
dinato al mancato accoglimento del secondo, ed al secondo mo
tivo del ricorso incidentale, per ragioni di connessione legate al problema dei rapporti tra espropriazione e disciplina urbani
stica. Le doglianze contenute nei citati motivi attengono tutte
all'individuazione delle caratteristiche dei suoli espropriati, quali
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PARTE PRIMA
elementi rilevanti alla fissazione del valore su cui applicare la
formula di calcolo prevista dall'art. 13 1. 2892/1885.
Con la variante al piano regolatore, adottata nel 1974 e ap
provata nel 1979, le aree ora di proprietà delle ricorrenti riceve
vano la destinazione a parco pubblico. Quale che sia la natura
di tale destinazione, se essa preluda a successivi e specifici espro
pri delle singole aree o sia semplicemente rivolta a salvaguarda re una zona obiettivamente considerata e topograficamente de
limitata alla luce delle sue caratteristiche morfologiche, il vinco
lo di inedificabilità che essa comportava è da considerare
decaduto per decorso del quinquennio, in applicazione dell'art.
2 1. 19 novembre 1968 n. 1187. Da tale circostanza, pacifica tra le parti e presupposta dalla sentenza impugnata, non è dato
prescindere, ai fini dell'identificazione della disciplina vigente al momento dell'esproprio.
La questione dei vincoli urbanistici, allo stato attuale della
legislazione e dell'evoluzione della giurisprudenza costituziona
le, è caratterizzata dall'alternativa temporaneità-indennizzabilità: in particolare, alla luce della sentenza Corte cost. 12 maggio
1982, n. 92 (id., 1982, I, 2116), che ha considerato tuttora vi
gente la delimitazione temporale di cui alla 1. 1187/68, i vincoli
di inedificabilità imposti dal piano regolatore hanno efficacia quinquennale. Alla loro scadenza, in base ad un principio che
in virtù della costante applicazione della giurisprudenza ammi
nistrativa (a partire da Cons. Stato, ad. plen., 30 aprile 1984, n. 10, id., 1984, III, 281, fino alle recenti Cons. Stato, sez.
V, 1° febbraio 1995, n. 163, id., Rep. 1995, voce Edilizia e
urbanistica, n. 210; sez. IV 6 giugno 1997, n. 621, id., Rep.
1997, voce cit., n. 208; sez. V 9 ottobre 1997, n. 1117, ibid., n. 214; sez. IV 12 giugno 1998, n. 662, id., Rep. 1998, voce
cit., n. 216), costituisce diritto vivente, subentra l'applicabilità della disciplina dettata per i comuni sprovvisti di piano regola tore: l'art. 4, ultimo comma, I. 10/77, stabilisce, tra l'altro,
per le aree situate fuori dal perimetro dei centri abitati, un indi
ce massimo di edificabilità di 0,03 mc/mq. Va escluso, in parti colare, che alla decadenza del vincolo di inedificabilità possa rivivere la disciplina urbanistica previgente, per il semplice mo
tivo che l'esistenza del vincolo, pur divenuto inefficace, non
può essere negata ab origine, ma di esso va ritenuta la legittima
operatività per il quinquennio successivo alla sua imposizione. La decadenza prevista dalla legge al fine di salvaguardare il di
ritto dominicale da compressioni tendenzialmente definitive, non
può essere assimilata, come pretenderebbero le ricorrenti con
il terzo motivo, ad un annullamento, che operando ex tunc fa
rebbe rivivere diritti e situazioni ormai superate (Cons. Stato, sez. V, 9 dicembre 1996, n. 1486, id., Rep. 1997, voce cit., n. 215).
Al regime stabilito dall'art. 4 1. 10/77 non può però assegnar si il carattere di regolamentazione urbanistica. Solo l'attività pia
nificatoria, infatti, può realizzare l'assetto complessivo del ter
ritorio, attraverso l'articolata previsione delle destinazioni nelle varie zone, in rapporto alle interrelazioni fra di esse ed ai biso
gni della comunità. La soggezione delle aree, per le quali si
sia verificata la decadenza del vincolo di inedificabilità, alla di sciplina prevista per i comuni sprovvisti di strumento urbanisti
co, è situazione eccezionale e transeunte, nel senso che l'immo
dificabilità parziale dello stato dei luoghi partecipa della natura
soprasessoria, interinale e cautelare delle misure di salvaguar dia, per consentire alla pubblica amministrazione di riesaminare
la fattispecie e, se del caso, ribadire il vincolo decaduto. Tale
regime, dunque, non è condizione normale dell'area. Esso, dun
que, non può essere assimilato alle limitazioni allo ius aedifi candi introdotte dalla legge o dallo strumento urbanistico quali elementi conformativi della proprietà, ed in quanto tali inciden ti sul valore agli effetti espropriativi: ciò è da escludere sia in
considerazione della provvisorietà del regime (giacché sussiste un vero e proprio obbligo per l'amministrazione comunale di
provvedere all'integrazione dello strumento urbanistico nelle parti decadute: Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 1997, n. 621, cit.), sia perché non è dato anticipare se esse preludano ad una reite razione del vincolo, o comunque ad una nuova disciplina re
strittiva, o ad una piena riespansione delle facoltà dominicali.
Diversamente deve argomentarsi a proposito delle misure di sal
vaguardia in attesa dell'approvazione di un nuovo strumento
urbanistico, che pur provvisorie, anticipano gli effetti della nuova
regolamentazione urbanistica: per questo deve tenersene conto in sede di determinazione del valore (Cass. 11 novembre 1977,
Il Foro Italiano — 2000.
n. 4874, id., Rep. 1977, voce Espropriazione per p.i., n. 119; 27 giugno 1983, n. 4407, id., Rep. 1984, voce cit., n. 112).
Dovendosi, allora, escludere che per le aree la cui edificabili
tà sia regolata dall'art. 4 1. 10/77, tale disciplina possa conside
rarsi rilevante agli effetti indennitari, il secondo ed il terzo mo
tivo di ricorso appaiono in parte fondati, anche se la censura
in ordine alla mancata considerazione delle effettive potenziali tà edificatorie dei terreni espropriati, richiede alcune precisazio
ni, anche in riferimento al secondo motivo del ricorso incidentale.
Nell'applicazione dell'art. 5 bis 1. 359/92 si è ritenuto che qua lora un'area risulti priva di disciplina legale (e dunque soggetta ai limiti dell'art. 4, ultimo comma, 1. 10/77), può darsi ingres so, nella stima del bene, a valutazioni fattuali avulse dalla disci
plina legale del territorio, purché tali valutazioni risultino co
munque compatibili con le generali scelte urbanistiche (Cass. 17 settembre 1997, n. 9242, id., Rep. 1998, voce cit., n. 203). A tal proposito, riguardo alla pretesa dell'amministrazione ri
corrente in via incidentale, di configurare una «vocazione natu
ralistica» dell'area, quale elemento determinante l'intervento le
gislativo del 1985, non può non riconoscersi carenza e contrad
dittorietà di motivazione nella sentenza impugnata, nella parte in cui, nell'assenza di una disciplina urbanistica, determina l'in
dennità con esclusivo riferimento alla disciplina interinale di cui
all'art. 4, e nella complessiva pretermissione di qualsiasi consi
derazione fattuale, e quindi anche di ogni verifica di compatibi lità ambientale delle eventuali caratteristiche edificatorie dei be
ni espropriati, nello stesso tempo invita il consulente tecnico
a tener conto dei vincoli (ambientali?) esistenti sui beni.
La tesi della «vocazione naturalistica» della zona di Capocot ta presupporrebbe il riconoscimento di un carattere «conforma
tivo» del vincolo adottato dal comune di Roma nel 1974, che
dunque dovrebbe sopravvivere, in quanto non incidente su beni
determinati, al limite quinquennale della 1. 1187/68, per poi con
fluire in una definitiva destinazione naturalistica, assegnata dal
la 1. 372/85. Pur con ogni riserva sulla capacità dei vincoli am
bientali imposti dal p.r.g. ad operare a tempo indeterminato, alla stregua dei vincoli paesaggistici di cui alla 1. 29 giugno 1939
n. 1497 (non va dimenticato, infatti, che gli art. 7, nn. 2, 3
e 4, e 40 1. 17 agosto 1942 n. 1150 sono stati dichiarati incosti
tuzionali nella misura in cui prevedono che il p.r.g. imponga vincoli a contenuto sostanzialmente espropriativo: Corte cost.
29 maggio 1968, n. 55, id., 1968,1, 1361), alla legge sulla dota zione immobiliare del presidente della repubblica, la cui finalità
precipua è l'ampliamento della tenuta di Castelporziano, non
possono non riconoscersi, anche alla luce dei lavori parlamenta ri, intenti di tutela paesaggistica e dell 'habitat naturale, come
del resto ha rilevato la citata sentenza Corte cost. 19 aprile 1990, n. 216, cit.). E ciò a prescindere dall'inesistenza di vincoli a carattere paesaggistico ambientale, che le ricorrenti hanno rite
nuto di provare mediante il deposito (inammissibile alla luce
dell'art. 372 c.p.c.) di documenti, unitamente alla «memoria»
per la discussione.
La considerazione degli elementi fattuali di valutazione del
bene agli effetti indennitari, cui si dovrà informare il giudice di rinvio dopo la cassazione della sentenza impugnata, compor ta la necessità di alcune indicazioni. È vero, sotto un primo
profilo, che il carattere di serietà del ristoro, cui la norma costi tuzionale subordina il sacrificio della proprietà privata a fini
pubblici, impone alla discrezionalità del legislatore nella formu
lazione delle regole indennitarie la necessità di un aggancio al
valore venale: motivo per il quale il meccanismo della semisom
ma tra valore venale e fitti coacervati, di cui alla legge per il
risanamento di Napoli, ha superato indenne la verifica di costi
tuzionalità, come pure i sistemi normativi che ad esso si richia
mano (con specifico riferimento alla 1. 372/85, sulle espropria zioni di Capocotta, Corte cost. 19 aprile 1990, n. 216, cit.; sul l'art. 5 bis 1. 359/92, Corte cost. 16 giugno 1993, n. 283, id., 1993,1, 2089). Ne consegue che l'indennizzo può definirsi equo nella misura in cui nel calcolo del compenso spettante all'espro priato l'addendo costituito dal valore sia necessariamente anco rato ad elementi di effettualità, rispetto ai quali, ad esempio, l'influenza negativa delle limitazioni di cui all'art. 4, ultimo com ma, 1. 10/77, porrebbe seri dubbi di legittimità. Sotto un altro
profilo, tuttavia, «il massimo di contributo e di riparazione che, nell'ambito degli scopi d'interesse generale, la pubblica ammi
nistrazione può garantire all'interesse privato» (secondo la for mula impiegata dalla Consulta fin dalla sentenza 18 febbraio
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1960, n. 5, id., 1960, I, 356), non deve comportare l'attribuzio
ne di utilità che siano estranee alla mera reintegrazione della
perdita subita. Nel sistema indennitario creato dall'art. 5 bis 1.
359/92, che pur non direttamente applicabile alla fattispecie co
stituisce oggi, anche a seguito dell'estensione dei relativi criteri
(con opportuni correttivi) alla liquidazione del danno da occu
pazione appropriativa (art. 3, comma 65, 1. 23 dicembre 1996
n. 662), espressione di un principio generale in materia espro
priativa, è insita l'esigenza non solo di depurare l'indennizzo
da ogni rendita di posizione, «decurtandolo — come ha osser
vato Corte cost. 16 giugno 1993, n. 283, cit. — del valore ag
giunto determinato dall'azione della pubblica amministrazione», ma soprattutto di togliere ogni spazio alla teorizzazione di un'e
dificabilità contra legem, ovvero a dispetto della classificazione
urbanistica dei suoli in forza di presupposti creati in dispregio alla disciplina stessa. La priorità riconosciuta alle, «possibilità legali di edificazione» dalla giurisprudenza (Cass. 28 marzo 1996, n. 2856, id., 1996, I, 1630; 11 dicembre 1996, n. 11037, id., 1997, I, 814; 9 giugno 1997, n. 5111, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 202; 14 gennaio 1998, n. 259, ibid., n. 206; 10 aprile 1998, n. 3717, ibid., n. 225; 12 giugno 1998, n. 5893, id., 1998, I, 2823; 3 luglio 1998, n. 6522, id., Rep. 1998, voce cit., n. 229; 28 agosto 1998, n. 8570, ibid., n. 214; 25 agosto 1998, n. 8434,
cit.; 29 agosto 1998, n. 8648, ibid., n. 216; 5 settembre 1998, n. 8826, ibid., n. 220) chiamata a individuare i suoli cui appli care il criterio indennitario di cui all'art. 5 bis, 1° comma, 1. 359/92, sta anche a significare che la natura dell'area non può essere valutata in modo indiscriminato, fino a premiare l'even
tuale illiceità nella creazione delle opere di urbanizzazione, in
base alle quali un determinato suolo abbia acquisito qualità edi
ficabili. Di tale principio deve essere fatta applicazione, pur se
l'indennità di esproprio debba esser determinata secondo criteri
speciali, come quello stabilito dal combinato disposto degli art.
5 1. 372/85 e 13 1. 2892/1885. E la verifica si rende necessaria, nell'incompatibilità logica di una situazione effettuale delle aree
espropriate caratterizzata da una vocazione edificatoria, deter
minata da una completa urbanizzazione, secondo la prospetta zione delle ricorrenti, rispetto ad una vocazione naturalistica,
reclamata dall'amministrazione, per via della destinazione a parco fin dal 1974, cui è seguito ulteriore regime di inedificabilità, con l'entrata in vigore della 1. 372/85.
La pretesa completa urbanizzazione della zona cui apparten
gono le aree espropriate mal si giustifica alla luce del regime di inedificabilità che, oggettivamente, caratterizza l'area fin dal
1974. Tali opere sono bensì rilevanti, ai fini della valutazione
degli immobili espropriati, anche se compiute dallo stesso espro
priarne, in quanto assicuranti l'immediata utilizzazione edifica
toria dell'area, apprezzabile come sua qualità intrinseca, rile
vante in una libera contrattazione (Cass. 27 agosto 1998, n.
8523, ibid., n. 241; 29 agosto 1998, n. 8648, cit.). Ma l'esisten za di infrastrutture, collegamenti e servizi, come pure l'esisten
za di costruzioni nelle aree circostanti, elementi, questi, dai quali
dipende il concetto di edificabilità di fatto, potrebbero dipende
re da una serie di opere abusive, dei cui effetti incrementativi
il giudice non dovrebbe tener conto nella stima del valore in
dennitario dei suoli espropriati, o diversamente, come le ricor
renti assumono, preesistere alla destinazione a parco pubblico, in virtù di una precedente destinazione edificatoria che, tutta
via, richiedeva il previo convenzionamento con il comune.
In conclusione, l'accoglimento, per quanto di ragione, dei mo
tivi secondo e terzo del ricorso principale e secondo del ricorso
incidentale, comporta che il giudizio di rinvio, attribuito, anche
per le spese di questo grado, ad altra sezione della Corte d'ap
pello di Roma, dovrà accertare il valore venale dell'area (quale
addendo della semisomma) tenendo conto delle attitudini edifi
catorie, con esclusione dell'influenza negativa su di esso delle
limitazioni di cui all'art. 4 1. 10/77 e, tuttavia, depurandolo del plusvalore che l'area abbia eventualmente acquisito per ef
fetto di abusive opere di urbanizzazione o della presenza nella
zona di costruzioni edilizie non autorizzate.
Il quarto motivo, espressamente subordinato dalle ricorrenti
al mancato accoglimento dei precedenti, e attinente all'applica
zione dell'art. 4 1. 10/77, resta assorbito. Anche il quinto moti
vo resta assorbito, attesa la necessità di una riconsiderazione
dei valori ambientali, cui sovrintendono eventuali vincoli, nella
considerazione complessiva delle effettive potenzialità edificato
rie delle aree.
Il Foro Italiano — 2000.
Il sesto motivo del ricorso principale è parimenti inammissi
bile, attenendo ad oggetti, come l'indennità di occupazione, che
appaiono estranei al presente giudizio, in quanto il giudice d'ap
pello non ha provveduto in merito atteso il carattere non defini
tivo della decisione, oppure a circostanze che nella loro esposi zione («si conferma la richiesta di . . . indennizzo in lire venti
milioni per le costruzioni sanabili e ciò in base all'art. 16, 8°
comma, 1. 22 ottobre 1971 n. 865») risultano assolutamente inin
telligibili in rapporto all'esigenza di chiarezza cui presiede l'art. 366 c.p.c.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 22 novem
bre 1999, n. 12926; Pres. Lanni, Est. Castiglione, P.M. Cin
que (conci, diff.); Associazione Sos infanzia - Il telefono az
zurro (Aw. Silvestri, Ubaldini) c. Boschetti (Avv. Cossu,
Piccinini). Cassa Trib. Bologna 13 febbraio 1997.
Lavoro (rapporto di) — Licenziamento — Tutela reale o obbli
gatoria — Presupposti — Onere della prova (Cod. civ., art.
1218, 2697; 1. 15 luglio 1966 n. 604, norme sui licenziamenti individuali, art. 5, 8; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla
tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sinda
cale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento, art. 18; 1. 11 maggio 1990 n. 108, disciplina dei licenziamenti individuali, art. 1, 2).
Lavoro (rapporto di) — Licenziamento — Deroga alla tutela
reale — Organizzazione di tendenza (Cod. civ., art. 2082; 1.
20 maggio 1970 n. 300, art. 18; 1. 11 maggio 1990 n. 108, art. 1, 2, 4).
Anche dopo l'entrata in vigore della l. 11 maggio 1990 n. 108,
grava sul lavoratore licenziato l'onere di provare l'esistenza
dei requisiti occupazionali ai fini dell'applicazione della tutela
reale, da lui invocata, di cui all'art. 18 l. 20 maggio 1970
n. 300. (1) L'esclusione della tutela reale del posto di lavoro in materia
di licenziamenti, prevista dall'art. 4 l. 11 maggio 1990 n. 108,
richiede che il datore di lavoro, oltre a presentare i requisiti
tipici dell'organizzazione di tendenza come definita dall'art.
4 stesso, sia non imprenditore, vale a dire sia privo dei requi
siti, previsti dall'art. 2082 c.c., della professionalità, organiz
zazione, natura economica dell'attività, quest'ultima consistente
nella produzione di beni e di servizi, ovvero nell'interposizio ne nello scambio di beni o servizi. (2)
Motivi della decisione. — (Omissis). Con il terzo motivo del ricorso, in subordine vengono denunciate la violazione di nor
me di diritto (art. 360, n. 3, c.p.c.), in relazione all'art. 18 1.
(1) Dopo il recente revirement di Cass. 22 gennaio 1999, n. 613 (Foro it., 1999,1, 1204, con nota di richiami) di cui la sentenza sopra riporta ta è consapevole, la Corte di cassazione riafferma la sua precedente, consolidata giurisprudenza in argomento. Si pone comunque con ur
genza, anche in ragione dell'importanza del punto di diritto in questio ne, l'intervento delle sezioni unite.
Va sottolineato come Pret. Bologna 21 dicembre 1992, poi conferma
ta dalla sentenza cassata da Cass. 12926/99 in epigrafe, si sia pronun ciata con riguardo ad un licenziamento orale (sul cui regime, cfr., da
ultimo, nella giurisprudenza di legittimità, Cass. 5 maggio 1999, n. 4498,
id., Mass., 531), emettendo statuizione nel senso della nullità del licen
ziamento stesso, dell'ordine al datore di lavoro di reintegrare la lavora
trice nel posto, e della condanna del medesimo a pagare alla medesima
retribuzioni e contributi dal giorno del licenziamento a quello della rein
tegrazione effettiva.
(2) La sentenza in epigrafe utilizza la precedente elaborazione di le
gittimità in punto, espressamente richiamata: cfr. Cass. 16 settembre
1998, n. 9237, Foro it., 1998, I, 3533, con nota di richiami; v., inoltre, Cass. 29 ottobre 1998, n. 10826, id., Rep. 1998, voce Lavoro (rappor
to), n. 1521.
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