Sezione I civile; sentenza 7 febbraio 1984, n. 931; Pres. Santosuosso, Est. Cantillo, P. M. Minetti(concl. conf.); Cusumano (Avv. Salvago) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Palatiello). ConfermaComm. trib. centrale 28 giugno 1980, n. 2492Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 3 (MARZO 1984), pp. 695/696-699/700Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175854 .
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PARTE PRIMA
prima, non definitiva (pubblicata il 10 marzo 1977), respingeva l'appello incidentale dell'E.n.el. osservando che la competenza (funzionale) del tribunale regionale delle acque pubbliche sussiste
ai sensi dell'art. 140, lett. e), t.u. approvato col r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, solo nel caso in cui il danno lamentato abbia uno
stretto rapporto di causalità con l'esecuzione dell'opera idraulica,
non, quindi, allorché viene dedotta in giudizio la commissione di un fatto illecito, ai sensi dell'art. 2043 c.c.; e, nel caso concreto, era stata denunciata, proprio, la colposa omissione (attribuita al
personale dipendente del gestore della opera idraulica) di un'atti vità diretta a evitare la (prevedibile) apertura automatica di tutte le paratoie.
Con la seconda sentenza, definitiva (pubblicata il 31 marzo
1981), accoglieva l'appello principale e, pertanto, condannava l'E.n.el. al risarcimento dei danni (da liquidarsi in separato giudizio), dopo avere dichiarato la responsabilità dei dipendenti dell'ente predetto, nella premessa che il danno lamentato non
aveva attinenza né con l'opera idraulica in sé, né con le modalità di progettazione e funzionamento della stessa, ma derivava uni camente dalla comprovata illiceità del comportamento del perso nale addetto al suo funzionamento, il quale aveva: a) colposa mente omesso di graduare lo svuotamento della diga, fino al
limite di sicurezza, prima che entrasse in funzione il sistema automatico di scaricamento; b) determinato l'entrata in funzione dello « scarico di fondo » quando già era in funzione il mecca nismo di scaricamento automatico {di modo che si era riversata a valle una massa d'acqua superiore a quella che si sarebbe
riversata, nell'unità di tempo, se fosse entrato in funzione il solo
meccanismo automatico). Contro entrambe le sentenze l'E.n.el. ha proposto ricorso, con
due motivi di censura. L'intimata impresa Poeta resiste mediante controricorso.
Motivi della decisione. — Col primo motivo di ricorso (denun ciando, ai sensi dell'art. 360, n. 2, c.p.c., la violazione dell'art.
140, lett. b ed e, t.u. sulle acque pubbliche approvato col r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775) l'E.n.el. impugnava la sentenza non
definitiva con la quale la corte d'appello ha dichiarato che la
controversia apparteneva alla competenza del giudice (ordinario) non specializzato. Sostiene che si sarebbe dovuta, invece, ritenere la competenza (funzionale) del tribunale regionale delle acque pubbliche, posto che: a) la controversia concerneva il risarcimen
to di un danno il cui accertamento {ai fini della dichiarazione di
responsabilità) comportava un preciso accertamento dell'ubicazio
ne delle cose danneggiate, rispetto al limite dell'alveo del fiume:
e le controversie che comportano un accertamento sulla ubicazio
ne dell'alveo appartengono, incontestabilmente, alla competenza del giudice specializzato; b) la stessa controversia, inoltre, con
cerneva il risarcimento di un danno che si asseriva determinato
da una colposa omissione attribuita al personale addetto al
funzionamento della diga: e la legge attribuisce alla competenza dei tribunali regionali delle acque pubbliche anche le controversie
relative ai danni cagionati dal colpevole comportamento dei
dipendenti della p.a., quando lo stesso inerisca (come in concreto) a operazioni strettamente e specificamente attinenti alla manuten
zione o all'esercizio dell'opera idraulica.
Osserva la corte che le due questioni prospettate vanno esamina
te in ordine inverso: per prima, cioè, deve essere affrontata e risolta — per evidenti ragioni di priorità logica — la questione riguardante la (asserita) inerenza all'esercizio dell'opera idraulica dell'attività
concretamente svolta (in senso omissivo o commissivo) dai dipen denti dell'E.n.el. addetti al funzionamento dell'opera predetta. Se,
infatti, la competenza del giudice adito dovesse restare esclusa al
l'esito di tale esame, resterebbe assorbita (mentre non sarebbe l'in
verso) ogni ulteriore indagine volta a stabilire la concreta incidenza
di quella (asserita) colpa sulle modalità di causazione del danno.
Passando, quindi, all'esame della detta questione, va osservato,
anzitutto, che le opposte tesi sostenute dalle parti contendenti
trovano, ciascuna, un preciso riscontro in due, ben noti {e
contrastanti), enunciati giurisprudenziali. L'attore (odierno resistente) aveva sostenuto, e sostiene, che
sussisteva la competenza del giudice '(ordinario) non specializzato,
perché la controversia era relativa a un danno ricollegato al fatto
illecito del concessionario dell'opera idraulica, non già alla esecu
zione dell'opera stessa. E questa tesi (adottata, poi, dalla corte di
merito) ha l'avallo di talune pronunce di questa corte (v., ad. es., le sent. 10 febbraio 1971, n. 350, Foro it., Rep. 1971, voce Acque
pubbliche, n. 63, e 21 luglio 1977, n. 3259, id., Rep. 1977, voce
cit., n. 88), le quali interpretano l'art. 140, lett. è), t.u. approvato col r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775 — nella parte in cui
attribuisce alla cognizione dei tribunali regionali delle acque
pubbliche « le controversie per i risarcimenti dipendenti da qua
lunque opera eseguita dalla p.a. » — come se avesse inteso
indicare le controversie « per i risarcimenti dipendenti dalla
esecuzione delle opere (eseguite) dalla p.a. » (v., in particolare, la seconda delle citate sentenze).
L'odierno ricorrente (convenuto nel giudizio di merito) invoca, invece, quell'altro indirizzo giurisprudenziale i(ormai prevalente) secondo cui le domande volte a conseguire la condanna della p.a, al risarcimento dei danni (ai sensi della citata disposizione del t.u. sulle acque pubbliche), anche se fatte valere in forza della
generale previsione dell'art. 2043 c.c., devono ritenersi devolute alla cognizione dei tribunali regionali delle acque pubbliche tutte le volte in cui i danni siano direttamente dipendenti dall'esecu
zione, manutenzione e funzionamento dell'opera idraulica, restan done escluse solo quelle che si ricollegano a fatti connessi in via meramente indiretta od occasionale con le vicende relative al
governo delle acque (v., ad es., le sent. 29 gennaio 1974, n. 240,
id., Rep. 1974, voce cit., n. 102, e 2 novembre 1978, n. 4975, id.,
Rep. 1978, voce cit., n. 79).
Ora, nel contrasto delle due impostazioni, ritiene il collegio di
dover prestare adesione alla seconda, perché più aderente alla
lettera e allo spirito della legge. Alla lettera, perché la locuzione « risarcimento dei danni » è riferibile più all'ipotesi di responsabi lità per atto illecito (ovviamente, del dipendente della p.a.), doloso o colposo, secondo lo schema dell'art. 2043 c.c., che non
all'ipotesi della c.d. « responsabilità per atto legittimo ». Allo
spirito, perché ogni qual volta il danno si presenti eziologicamen te dipendente dall'attività (materiale o provvedimentale) concer
nente le opere idrauliche e il governo delle acque pubbliche, non
possono non venire in questione quegli apprezzamenti di natura
squisitamente tecnica, in funzione della cui necessità, e della
maggiore idoneità ad espletarli, si giustifica la preferenza accorda
ta dal legislatore alla cognizione del giudice specializzato. Orbene, adottato tale criterio generale di attribuzione della
competenza, deve concludersi che nel caso concreto la competen za a conoscere della causa spettava al tribunale regionale delle
acque pubbliche, perché l'attività attribuita dai dipendenti del
concessionario e gestore della diga appare direttamente connessa al
funzionamento della predetta opera idraulica. Infatti, lo stabilire
se sussista colpa nell'avere omesso lo svuotamento graduale del
bacino, ovvero nell'essere intervenuti manualmente ad aprire anche lo « scarico di fondo » quando già era in funzione l'im
pianto di scaricamento automatico, comporta la formulazione di
un giudizio squisitamente tecnico che assume, come parametro, un criterio di « normale » funzionamento dell'opera idraulica. Il
fatto illecito attribuito ai dipendenti del concessionario predetto,
cioè, è connesso con l'attività concernente il governo delle acque
pubbliche non già in modo generico od occasionale, bensì in
modo diretto, poiché in presenza di straordinarie precipitazioni atmosferiche che avevano determinato l'innalzamento del livello
delle acque oltre il limite di sicurezza della diga, era pur sempre necessario procedere al parziale svuotamento dell'invaso: ed è
ovvio che il giudizio sulla correttezza tecnica, o meno, del
concreto operato (cioè del modo con cui fu operato lo svuota
mento predetto) deve essere attribuito a quel giudice che, per la
sua particolare composizione, è a ciò tecnicamente attrezzato.
Ritenuta, quindi, l'incompetenza del giudice adito, poiché la
causa appartiene alla cognizione del tribunale regionale delle
acque pubbliche, devono essere cassate senza rinvio (appunto
perché pronunciate da un giudice funzionalmente incompetente) le
due sentenze in grado di appello (non definitiva e definitiva) e
quella di primo grado. Resta, quindi, assorbita l'altra delle questioni prospettate, la
quale — come si è detto all'inizio — attiene all'accertamento del
luogo ove si trovavano le cose travolte dalle acque, rispetto all'alveo del fiume, a valle della diga. Assorbito resta, anche, il
secondo motivo di ricorso, proposto per censurare il giudizio di
accertamento concreto della responsabilità. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 7 feb
braio 1984, n. 931; Pres. Santosuosso, Est. Cantillo, P. M.
Minetti (conci, conf.); Cusumano (Avv. Salvago) c. Min. fi
nanze (Avv. dello Stato Palatiello). Conferma Comm. trib.
centrale 28 giugno 1980, n. 2492.
Tributi in genere — Condono — Imponibile — Determinazione — Ultima pronuncia di merito — Nozione — Fattispecie (L. 19 dicembre 1973 n. 823, conversione in legge, con modifica
zioni, del d.l. 5 novembre 1973 n. 660, norme per agevolare la
definizione delle pendenze in materia tributaria, art. 2).
Agli effetti della determinazione dell'imponibile, ai fini dell'appli cazione del condono previsto dalla l. n. 823/73, è irrilevante la
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
pronuncia giurisdizionale (nella specie, decisione di secondo
grado della commissione provinciale) che venga notificata suc
cessivamente all'entrata in vigore della legge istitutiva del
condono, anche se emessa anteriormente a tale data, i(l)
Svolgimento del processo. —■ Il 18 febbraio Vincenzo Cusuma no presentò, ai sensi del d.l. 5 novembre 1973 n. 660, convertito nella 1. 19 dicembre 1973 n. 823, domanda di condono delle controversie relative alla determinazione dell'imposta complemen tare e di quella di r.m. per gli anni 1967 e 1968, in ordine alle
quali, essendo intervenuta la decisione della commissione distret
tuale, risultava pendente il giudizio di appello innanzi alla com missione provinciale di Palermo.
L'ufficio accettò l'istanza ed iscrisse a ruolo le relative imposte ai sensi dell'art. 2, lett. b), 1. cit., senza tenere conto della
decisione di secondo grado frattanto intervenuta, che era stata comunicata ad esso ufficio e notificata al contribuente dopo la
domanda di condono, ancorché resa precedentemente. Avverso l'iscrizione il Cusumano propose ricorso assumendo
che l'ufficio, ai sensi dell'art. 2, lett. e), della legge, avrebbe
dovuto liquidare il tributo in base all'imponibile « risultante dall'ultima pronuncia di merito » cioè non quella di primo grado, ma quella di appello. Questa tesi fu seguita dalle commissioni
tributarie di I e di II grado, mentre la Commissione tributaria centrale con la decisione ora denunziata è andata in contrario
avviso. Premesso che, per la natura eccezionale della normativa di
condono, le disposizioni relative vanno interpretate secondo il
significato testuale, la commissione ha osservato che, ai fini della
determinazione automatica dell'imponibile da prendere a base del
condono, l'art. 2 faceva sempre riferimento, nell'individuare le
varie ipotesi di controversia trubutaria pendente (previste nelle
lett. da a ad /) alla notifica delle eventuali decisioni e sentenze
rese dagli organi giurisdizionali (ordinari e speciali), sicché dove
vano essere prese in considerazione solo le pronunzie già notifica
te alla data di entrata in vigore della legge, senza che avesse
rilievo una semplice cognizione de facto da parte dell'ufficio.
Nella specie, essendo pacifico che la domanda di condono era
stata presentata molti mesi prima della notifica della decisione
della commissione provinciale di Palermo, correttamente l'ufficio
aveva liquidato il tributo con i criteri stabiliti dall'art. 2, lett. b), della legge e provveduto all'iscrizione a ruolo.
Avverso questa decisione il contribuente ha proposto ricorso in
base a tre motivi. Resiste l'amministrazione con controricorso.
Motivi della decisione. —• 1. - Con i primi due motivi, che
vanno esaminati insieme perché strettamente connessi, il ricorren
te denunzia la violazione dell'art. 2 d.l. 5 novembre 1973 n. 660, convertito nella 1. 19 dicembre 1973 n. 823, e critica sotto al
trettanti profili la decisione della Commissione tributaria centrale
per avere affermato che la pronunzia della commissione provin ciale era irrilevante ai fini del condono, in quanto non notificata
prima dell'entrata in vigore della legge: sostiene che la disposi
zione, pur menzionando le sole decisioni notificate, debba essere
intesa nel senso che comprende, per l'assoluta identità delle due
situazioni, anche le decisioni emesse e non ancora notificate; in
subordine, deduce che il presupposto della notificazione deve
sussistere già alla data di vigenza della legge o di presentazione della domanda di condono, ma al momento in cui l'ufficio
provvede in concreto a liquidare il tributo, sicché, nella specie, ricorrendo questa condizione, la domanda avrebbe dovuto essere
accolta secondo le più vantaggiose condizioni previste dalla lett.
/) della norma.
Le critiche sono infondate, giacché entrambe le proposte esege tiche non trovano riscontro nel testo e nella ratio della disposi zione.
Occorre considerare, al riguardo, che la legge in oggetto — con
la quale si intendeva favorire l'avvio della riforma tributaria,
agevolando non tanto la regolarizzazione mediante sanatoria di
(1) Nello stesso senso cfr. Cass. 13 maggio 1983, n. 3299, Foro it., Mass., 688; nonché la decisione ora confermata, Comm. trib. centrale 28 giugno 19801, n. 2492, id., 'Rep. 1982, voce Tributi in genere, n. 1077.
Comm. trib. secondo grado Trapani 30 ottobre 1979, ibid., n. 1064, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, lett. 6), 1. 19 dicembre 1973 n. 823 « che prevede la liquidazione dell'imposta in relazione all'accertamento anziché alla decisione della commissione tributaria nel caso di ritardata notifica della decisione stessa ».
Corte cost. 25 giugno 1980, n. 96, citata in motivazione, è riportata id., 1980, I, 2100.
Sulla nozione di « ultima pronuncia di merito » v. anche Cass. 21 febbraio 1980, n. 1241, ibid., 2849, con nota di richiami, a cui dire rientra nella definizione legislativa « anche una decisione della Com missione centrale emessa in materia di estimazione semplice ».
situazioni contra legem, quanto la definizione con metodo sem
plificato delle pendenze e controversie relative ai vecchi tributi —
stabilisce metodi di accertamento dell'imponibile e criteri di quan tificazione dell'imposta ispirati ad un rigido automatismo, preve dendosi, in relazione alla prima operazione, diverse ipotesi corre
late allo stato del procedimento o della controversia, quale risultante da elementi oggettivi certi in una precisa data di
riferimento; e, ai fini della liquidazione dei tributi, riduzioni e
maggiorazioni forfettarie della base imponibile cosi accertata, in
modo da escludere qualsiasi discrezionalità dell'amministrazione.
In particolare, in tema di imposte dirette, per i periodi per i
quali era stato notificato avviso dì accertamento entro il 31
ottobre 1973 (data fissata con la legge di conversione, in luogo di
quella di entrata in vigore del decreto), l'art. 2 cit. elenca sei
fattispecie — descritte nelle lett. da b) a /) — in cui la
definizione dell'imponibile e l'entità delle riduzioni sono ancorate
alle decisioni rese nel processo dal giudice speciale od ordinario, al grado del giudizio in cui sono adottate e alla possibilità, o
meno, di impugnativa da parte dell'amministrazione o del contri
buente; e in tutte le ipotesi si richiede che la decisione « sia stata
notificata », cosi come, per converso, la disposizione sub lett. a)
impone di far riferimento all'imponibile accertato dall'ufficio e a
quello dichiarato dal contribuente quante volte « non sia stata
notificata alcuna decisione in sede contenziosa ».
Ciò detto, risulta anzitutto evidente che l'interpretazione tesa a
svalutare il requisito della notificazione si póne in aperto contra
sto con l'univoco dato letterale, il quale fa esclusivo e tassativo
riferimento alla notifica e non alla mera pronuncia di eventuali
decisioni e sentenze, per modo che la loro rilevanza agli effetti della norma è condizionata al compimento di tale atto formale
partecipativo. Questo assume, quindi, il valore di elemento costitutivo delle
singole fattispecie suddette, nelle quali l'imponibile da prendere a base del condono deve essere calcolato in relazione alle decisioni medesime; e tanto si conforma, come si è visto, nella fattispecie della lett. a), correlata alla mancanza di una decisione (di primo grado) avente quel requisito, per cui il calcolo dell'imponibile va fatto esclusivamente in base agli atti dell'ufficio e del contribuen te ancorché una pronunzia giurisdizionale sia stata adottata, ma non ancora notificata.
In questo sistema è escluso in radice che si possa superare la
portata dell'enunciato testuale attraverso l'interpretazione estensi va o quella analogica.
Quando alla prima, se si attribuisce alla decisione non notifica ta, eventualmente conosciuta de facto, gli effetti giuridici che la
legge ricollega, invece, alla sua notifica, si verrebbe non già ad
esplicitare il precetto in relazione ad un'ipotesi in esso virtual mente compresa, bensì a modificarlo radicalmente, facendo venir meno proprio il requisito che esso impone; il quale, poi, è in linea con la ratio legis sopra ricordata, ove si consideri che nel sistema del passato contenzioso tributario (in cui le decisioni si intendevano pubblicate quando pervenivano all'ufficio) la notifica zione era l'unico elemento oggettivo certo e di agevole acquisi zione idoneo a dimostrare l'esistenza di una decisione efficace e, soprattutto, la sua conoscenza da parte del contribuente, interes sato a valutarne le conseguenze ai fini della disciplina del condono e, dunque, della convenienza di presentare la relativa domanda.
Tanto meno è possibile far ricorso all'analogia, alla quale, oltre alle ragioni dette, osta il rilievo che le norme in materia di condono fiscale, derogando per casi e tempi limitati alle disposi zioni generali relative alla determinazione degli imponibili e al sistema sanzionatorio, hanno carattere eccezionale e, come tali, sono insuscettibili di interpretazione analogica.
2. - Anche l'esegesi sostenuta in subordine dal ricorrente contrasta con l'enunciato testuale, il quale — come questa corte ha già precisato (v. sent. n. 3299 del 1983, Foro it., Mass., 688) — è strutturato in modo che la data del 31 ottobre 1973, indicata in via generale nella prima proposizione dell'art. 2 cit. ed
espressamente richiamata per -l'ipotesi sub a), deve ritenersi
implicitamente dettata anche per quelle successive (di cui alle lett. b-f). Sotto il profilo grammaticale, infatti, il riferimento a
quella data è chiaramente sottinteso nelle formule adoperate, in cui non si trova espresso solo per evitare inutili ripetizioni; sotto il profilo logico-giuridico, quel riferimento è essenziale, posto che la mancanza di un preciso termine rispetto al quale vanno verificati i presupposti del condono renderebbe estremamente incerta la disposizione, in contrasto con le finalità e i principi che caratterizzano il provvedimento.
3. - Appunto con riguardo a queste finalità, la Corte costituzio
nale, con sentenza 25 giugno 1980, n. 96 (id., 1980, I, 2100), ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale
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PARTE PRIMA
dell'art. 2 cit., con riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui
differenzia le possibilità di condono sulla base dell'avvenuta
notifica, o meno, di una decisione giurisdizionale nel termine
stabilito, osservando che questo appare del tutto ragionevole, dovendo il legislatore stabilire un punctum temporis cui riferire
rigidamente la possibilità di utilizzare del condono e l'esistenza
degli elementi necessari alla liquidazione delle imposte; ed è tale
da non discriminare le situazioni dei contribuenti, che vanno
necessariamente riferite alle diverse fasi del rapporto tributario
(amministrative o contenziose) come risultavano venute in essere
alla data prescelta. Questa sentenza, che conferma altresì l'esattezza dell'interpreta
zione della norma accolta da questa corte, fa cadere anche il
terzo motivo di ricorso — con il quale viene ipotizzato lo stesso
profilo di illegittimità cost escluso — e pertanto il ricorso
medesimo deve essere rigettato. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II civile; sentenza 6 feb braio 1984, n. 896; Pres. De Biasi, Est. Anglani, P. M. Leo
(conci, conf.); Condominio via Sessanta n. 10/12, Genova
(Avv. Santelli, La China) c. De Luca <Avv. Caroleo, Carbone, Cigliuti). Conferma App. Genova 1" agosto 1980.
Comunione e condominio — Condominio negli edifici — Delibe razione assembleare — Approvazione del rendiconto annuale — Specificità del bilancio — Difetto — Annullamento della delibera (Cod. civ., art. 1130, 1135).
Va annullata la delibera assembleare con cui venga approvato il
rendiconto annuale, presentato dall'amministratore senza la spe cificazione della voce relativa alle spese generali, sia pure per grandi linee e per raggruppamenti omogenei. (1)
Motivi della decisione. — Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli art. 1130, ult.
comma, 1135, n. 3, 1131 c.c., e deduce che: a) la corte di merito, nel ritenere che la mancanza di un rendiconto di sostanza
intellegibile ai condomini destinatari di esso costituisca un motivo di invalidità della deliberazione assembleare di approvazione del
consuntivo ha « trasformato quello che, in denegata ipotesi, sarebbe solo un errore di apprezzamento dell'assemblea in un
vizio di legalità della delibera approvativa; il che la legge non consente »; b) non ha considerato che sia la tecnica delle
procedure assembleari, sia la struttura delle procedure di rendi
conto, consentono ampia tutela dell'« interesse o diritto del preteso destinatario del conto alla intellegibilità del conto stesso: in
assemblea attraverso la discussione, in sede di rendiconto attra
verso la specifica facoltà di richiedere documentazione e di
contestare analiticamente singole partite, desumibile dalla norma
tiva ex art. 269 c.p.c. in quanto applicabile ai rendiconti sostan ziali». Poiché «nella specie è pacifico e provato dal verbale che l'assemblea esplicò attivamente le sue funzioni critiche, la asserita
inintelligibilità del bilancio 75/76 è solo una gratuita supposizione mentre l'ipotetica mancanza, affermata dal De Luca, ma non
valorizzata dalla corte, di un separato documento definibile come
(1) Non constano precedenti specifici in termini; ma la decisione in epigrafe non fa che precisare l'orientamento della corte di legittimità in base al quale era stata ritenuta sufficiente, ad integrare i requisiti di validità della relativa delibera di approvazione, l'intelligibilità del bilancio redatto dall'amministratore in relazione alle voci di entrata e spesa (cfr. Cass. 7 ottobre 1982, n. 5150, Foro it., Rep. 1982, voce Comunione e condominio, n. 104; 29 aprile 1981, n. 2625, id., Rep. 1981, voce cit., n. 87; 25 luglio 1977, n. 3309, id., Rep. 1977, voce cit., n. 149; 25 novembre 1975, n. 3936, id., Rep. 1975, voce cit., n. 89).
In dottrina v. Lazzaro-Stincardini, L'amministratore del condo
minio, Milano, 1982, 232, a cui dire l'amministratore è libero di
scegliere il tipo di contabilità e di resa del conto da adottare, anche in relazione alle dimensioni del condominio, ma in ogni caso è necessario il requisito della chiarezza della contabilità in modo tale che ogni condomino possa rendersi conto dell'esattezza e dell'oculatez za della gestione; Branca, Comunione-Condominio negli edifici2, in
Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, 584, secondo il quale l'amministratore deve rendere il conto « secondo i canoni contabili-amministrativi che presiedono a questa materia » ; Rovelli-Caviglione, Il condominio negli edifici, Torino, 1978, 691 s.; Salis, Il condominio negli edifici2, in Trattato fondato da Vassalli, Torino, 1959, 317, che non ritiene necessarie particolari formalità per la redazione del bilancio, ferma restando le necessità di « rendere intellegibili ai partecipanti il modo in cui sono stati impiegati i fondi comuni, le spese erogate, i lavori compiuti, ecc. ».
consuntivo non avrebbe potuto impedire al De Luca di chiedere un approfondimento o proporre altra iniziativa contro l'ammini
stratore. Non può pertanto essere accordata al De Luca, che non risulti abbia preso alcuna delle iniziative suindicate, una tutela maggiore di quella di cui non ha ritenuto avvalersi ».
Con il secondo motivo il ricorrente denunzia « omessa motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c. deducendo che i giudici hanno omesso di valutare adeguatamente (sia pure per escluderne la
decisività) la circostanza indicativa della perfetta conoscenza della
composizione analitica delle varie voci del bilancio, mostrata dal De Luca, e cioè l'avere quest'ultimo, durante lo svolgimento della riunione assembleare, mosso circostanziate contestazioni su tre spe cifici importi (150.000, 218.000 e 28.000) relativi a tre distinte causali enunciate in verbale. In definitiva, se tale circostanza fosse stata adeguatamente valutata, la pretesa inintellegibilità del conto
per incompletezza documentale avrebbe potuto essere esclusa sulla base del tipo di critiche specifiche ed uniformate che il condomino dissenziente mosse in assemblea ».
Le censure sopra riassunte, esaminate congiuntamente in quan to strettamente connesse, sono infondate.
Va premesso che l'art. 1130, ult. comma, nel disporre che l'amministratore alla fine di ciascun anno deve rendere il conto della sua gestione e l'art. 1135, n. 3, nel disporre che l'assemblea deve provvedere all'approvazione del rendiconto annuale del
l'amministratore, non indicano — direttamente o mediante rinvio
espresso ad altra norma — i criteri in base ai quali il conto debba essere redatto, sicché occorre tener presente i fondamentali canoni contabili-amministrativi in materia di bilancio consuntivo.
Nel caso del condominio — che, quale ente di gestione, rientra, sotto l'aspetto economico contabile, tra le cosiddette « aziende di
erogazione » (nelle quali, il reddito, destinato all'appagamento di
bisogni di varia natura, non è prodotto direttamente ma proviene da altre fonti, quali ad es. le contribuzioni) — il documento contabile assume la forma semplificata {rispetto alle « aziende di
produzione») di «rendiconto finanziario». Tale documento deve contenere nella parte relativa alle spese: gli impegni di uscita, distinte per importi pagati, rimasti da pagare e totali; eventual mente l'importo dei residui passivi.
Questa corte in due recenti decisioni (Cass. 29 aprile 1981, n.
2625, Foro it., Rep. 1981, voce Comunione e condominio, n. 87 e 7 ottobre 1982, n. 5150, id., Rep. 1982, voce cit., n. 104) ha affermato che la validità dell'approvazione da parte dell'assemblea
dei condomini del rendiconto di un determinato esercizio e del bilancio preventivo dell'esercizio successivo nonché dei relativi
riparti, non postula che la predetta contabilità sia stata redatta dall'amministratore in rigorose forme analoghe a quelle previste per i bilanci della società, essendo sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibili ai condomini le voci di entrata e di spesa.
Siffatto principio — da questo collegio in linea di massima
condiviso — va però ulteriormente precisato nel senso che l'idoneità va riscontrata con riferimento alla specificità delle
partite. Il requisito della specificità costituisce infatti (come si desume degli art. 263/265 c.p.c. disciplinanti la procedura di
rendiconto ed applicabili anche al rendiconto sostanziale) il
presupposto del sorgere dell'onere del destinatario del conto, d'indicare specificamente le partite che intende contestare ed il cui mancato assolvimento produce il medesimo effetto dell'accet tazione del conto.
Nella specie è stato accertato incontestabilmente che l'ammi nistratore non aveva redatto alcun conto consuntivo con le modalità sopra precisate, ma si era limitato a indicare l'ammonta re delle spese in sede di riparto tra i vari condomini, senza
redigere un conto consuntivo articolato in specifiche voci. Ora se non può escludersi che per quanto riguarda le categorie speciali di spesa costituenti partita specifica, il condomino potesse, in base alle semplici indicazioni contenute nel riporto delle spese stesse, essere in grado di contestare l'esistenza o la esatta entità di essi, o, comunque, di richiedere chiarimento o l'esibizione di
documenti giustificativi, altrettanto non può ritenersi per le « ca
tegorie generali » nelle quali, essendo comprese più voci, la
conoscenza, e la conseguente possibilità di controllo da parte del
destinatario del conto, postula che gli importi delle varie compo nenti siano stati specificamente riportati nel conto consuntivo.
Esattamente, pertanto, la corte del merito ha tratto dalla constatazione (non impugnata quale accertamento materiale) che
nel riporto mancava la specificazione delle spese generali « sia
pure per grandi linee e per raggruppamenti omogenei », la
conseguenza della « contrarietà alla legge » della deliberazione
assembleare di approvazione di un rendiconto privo del requisito della specificità.
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