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sezione I civile; sentenza 7 giugno 1999, n. 5557; Pres. Grieco, Est. Plenteda, P.M. Schirò (concl.conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Di Martino) c. Paderni. Dichiara inammissibile ricorsoavverso Comm. trib. reg. Lombardia 14 dicembre 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 7/8 (luglio-agosto 1999), pp. 2189/2190-2191/2192Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194978 .
Accessed: 10/06/2014 19:02
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Tale esame non è stato compiuto dal giudice di rinvio, il qua
le, nello sviluppo della motivazione, ha dato particolare rilievo
alla pronuncia rescindente, soffermandosi sull'insindacabilità e
immodificabilità della massima affermata dai giudici di legitti mità, evidentemente al fine di smentire le sollecitazioni dell'am
ministrazione appellata al riesame delle questioni risolte in sede
di legittimità. È evidente, però, che la vicenda sul controllo ester
no dell'atto amministrativo di prelazione artistica, non è stata
ripercorsa dal giudice di rinvio, il quale ha assunto come dato
oggettivo l'avvenuto annullamento di quell'atto, per effetto del
rifiuto di registrazione da parte della Corte dei conti, che, vice
versa, nell'economia della pronuncia rescindente, assumeva il
ruolo di ipotetico presupposto. Né può in qualche modo desu
mersi che il riscontro, cui era chiamato per effetto della pro nuncia di cassazione, sia stato implicitamente compiuto dal giu dice: la convinzione circa l'avvenuta caducazione dell'atto, si
rivela apodittica nella misura in cui non si ritengono necessari
ulteriori accertamenti istruttori, sulla scorta dell'«esame com
pleto della fattispecie della quale era stata investita» a suo dire
effettuato dalla Suprema corte. L'incidentale riferimento agli effetti del controllo negativo della Corte dei conti, che sarebbe
presente nella proposizione «sostenere che l'annullamento di un
impegno eccedente lo stanziamento di spesa comporta la mera
inefficacia dell'obbligazione . . . significa entrare in conflitto con
il principio vincolante segnato dalla decisione della Corte di cas
sazione», non può esser qualificato come accertamento di fatto
della circostanza che costituisce il presupposto per la decisione
della causa, perché, allora, la sentenza rescissoria sarebbe del
tutto carente di motivazione.
Nella vicenda sono intervenuti, come si desume dalla narrati
va sullo «svolgimento del processo», ben tre atti di controllo
della Corte dei conti, con le decisioni 30 settembre 1983, n.
1379 (id., Rep. 1984, voce Antichità, n. 54, e voce Contabilità
dello Stato, n. 26); 21 maggio 1984, n. 1452 (id., Rep. 1985, voce Antichità, n. 63); 23 maggio 1985, n. 1560 (ibid., n. 62), relativi a tre distinti impegni di spesa assunti dall'amministra
zione. Il riesame, che il nuovo giudice di rinvio dovrà compiere,
riguarderà non solo l'incidenza di tali atti sugli impegni di spe
sa, oggetto specifico del controllo, ma soprattutto gli effetti che
i riscontri di correttezza giuscontabile, necessariamente effet
tuati su atti di rilievo finanziario assunti successivamente alla
nascita dell'obbligazione, hanno determinato sull'originario at
to, di amministrazione attiva, con cui fu esercitata la prelazione artistica.
L'accoglimento del primo motivo del ricorso principale com
porta l'assorbimento del secondo e terzo motivo, e inoltre degli ulteriori quattro motivi del ricorso incidentale, dei quali il quin
to, sollecitando un nuovo esame dell'art. 23 1. 42/86, prospetta una questione di legittimità costituzionale allo stato priva di
rilevanza, essendo l'applicabilità di quella norma al caso di spe cie subordinata alla validità dell'esercizio della prelazione arti
stica, ed i restanti attengono alle conseguenze economiche della
riconosciuta validità del contratto di compravendita tra Bossi
Pucci e Mattiola s.r.l., che va considerata questione tuttora sub
iudice.
Alla cassazione della sentenza segue il rinvio alla Corte d'ap
pello di Bologna per un nuovo giudizio.
Il Foro Italiano — 1999.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 7 giugno
1999, n. 5557; Pres. Grieco, Est. Plenteda, P.M. Schirò
(conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Di Martino) c. Pademi. Dichiara inammissibile ricorso avverso Comm. trib.
reg. Lombardia 14 dicembre 1996.
Tributi in genere — Commissione tributaria regionale — Deci
sione — Ricorso per cassazione — Termine — Decorrenza — Notifica della decisione all'ufficio finanziario (R.d. 30 ot
tobre 1933 n. 1611, approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giu dizio dello Stato e sull'ordinamento dell'avvocatura dello Stato, art. 11; d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, disposizioni sul pro cesso tributario in attuazione della delega al governo conte
nuta nell'art. 30 1. 30 dicembre 1991 n. 413, art. 51).
Nel caso in cui l'ufficio finanziario sia stato, innanzi alla com
missione tributaria regionale, in giudizio direttamente, senza
avvalersi del patrocinio dell'avvocatura dello Stato, la notifi ca della sentenza all'ufficio stesso vale a far decorrere il ter
mine breve per la proposizione del ricorso per cassazione av
verso la decisione di tale giudice. (1)
Svolgimento del processo. — Con atto 20 ottobre 1991 Pa
derni Ennio propose ricorso alla Commissione tributaria di pri mo grado di Milano, avverso un avviso di liquidazione dell'uf
ficio Iva di Milano del 25 luglio 1991, che gli aveva liquidato un debito d'imposta di lire 5.264.000 al netto di interessi, come
da dichiarazione del contribuente per il 1° trimestre 1985. De
dusse il ricorrente l'illegittimità dell'atto perché non era stato
preceduto da avviso di accertamento e la sua decadenza perché notificato oltre il quinquennio previsto dall'art. 57 d.p.r. 633/72.
La commissione respinse il ricorso rilevando che l'avviso di
accertamento non era necessario, trattandosi di liquidazione d'im
posta dichiarata dal contribuente e non pagata, ma la decisione
fu riformata dalla commissione tributaria regionale che il 12
dicembre 1996 accolse l'appello del Paderni, ritenendo decadu
ta dall'azione l'amministrazione finanziaria, ai sensi dell'art. 58
d.p.r. 633/72, risalendo la violazione al 1985 ed essendo stato
l'avviso di liquidazione notificato nell'anno 1991.
Avverso quella sentenza notificata il 5 aprile 1997 ha propo sto ricorso per cassazione il ministero delle finanze con atto
9 giugno 1997 deducendo come un unico motivo di censura la
violazione e falsa applicazione degli art. 55, 58 e 60 d.p.r. 633/72
(1) Negli stessi termini, v. Cass. 21 ottobre 1998, n. 10420, Foro
it., 1999, I, 917, con nota di richiami (Cass., ord. 28 dicembre 1998, n. 1061, ivi citata come inedita, è ora riportata in Riv. giur. trib., 1999, 303, con nota di Rocchitta), e Riv. dir. trib., 1998, II, 894, con nota di E. Manzon, Sentenza d'appello favorevole al contribuente e decor renza del termine breve per l'impugnazione nella recente evoluzione della
giurisprudenza della Cassazione-, nonché, più di recente, Cass. 7 giugno 1999, n. 5556, Foro it., Mass., fase. 5, e 28 aprile 1999, n. 4276, ibid.; contra, e cioè nel senso che la decisione della commissione tributaria
regionale deve essere notificata all'avvocatura generale dello Stato ai fini della decorrenza del termine breve per la proposizione del ricorso
per cassazione, v. Cass. 17 giugno 1998, n. 6034, id., 1999, I, 917. In dottrina, v., da ultimo, S. Muleo, in Bollettino trib., 1999, 5, e R. Lunelli, in Fisco, 1999, 5850.
In materia è recentemente entrato in vigore l'art. 21 1. 13 maggio 1999 n. 133 (disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale), Le leggi, 1999, I, 1912, che ha sancito che «l'art.
38, 2° comma, d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, si interpreta nel senso che le sentenze pronunciate dalle commissioni tributarie regionali e dal le commissioni tributarie di secondo grado delle province autonome di Trento e Bolzano, ai fini del decorso del termine di cui all'art. 325, 2° comma, c.p.c., vanno notificate all'amministrazione finanziaria presso l'ufficio dell'avvocatura dello Stato competente ai sensi dell'art. 11,2° comma, testo unico approvato con r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, e suc cessive modificazioni». Assumono l'incostituzionalità della norma, E. De Mita, Interpretazioni a misura d'erario, in II Sole-24 Ore, 16 giu gno 1999, 23 (che parla di «una retroattività imprevedibile camuffata da interpretazione autentica e che urta contro i principi più elementari del diritto e della convivenza civile»); C. Glendi, Il sistema richiede
certezza giuridica, id., 29 maggio 1999, 20 (per il quale «l'art. 21 del
collegato fiscale è (. . .) palesemente in contrasto con il canone costitu zionale di uguaglianza e di razionalità e costituisce vero e proprio ecces so di potere legislativo»), e R. Lupi, Avvocatura e ufficio tra notifica della sentenza e del ricorso per cassazione, in Corriere trib., 1999, 1441.
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2191 PARTE PRIMA 2192
e l'incongruenza della motivazione, in quanto l'art. 58 concerne
l'ipotesi di irrogazione di pene pecuniarie e soprattasse, nella
specie non applicate. Non si è costituito il resistente.
Motivi della decisione. — Preliminarmente va verificata l'am
missibilità del ricorso, a fronte di quanto rilevato in udienza
dal p.m.
Risulta, infatti, che la sentenza impugnata, pronunciata il 12
dicembre 1996 e depositata il 14 successivo, fu notificata all'uf
ficio Iva di Milano il 5 aprile 1997 a mezzo di ufficiale giudizia rio. Il ricorso per cassazione risulta, invece, proposto con atto
notificato al Paderni il 9 giugno 1997 e, quindi, dopo il termine
di sessanta giorni dalla notifica della sentenza, stabilito dall'art.
51, 1° comma, d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546 che disciplina il contenzioso tributario attualmente in vigore.
Né può dubitarsi della ritualità della notifica della sentenza, al punto che non opererebbe il termine breve previsto da tale
norma, e ciò per il fatto che essa non avvenne presso gli uffici
dell'avvocatura dello Stato secondo quanto prescritto dall'art.
11,2° comma, r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611. Come questa corte
ha di recente statuito (Cass. 21 ottobre 1998, n. 10420, Foro
it., 1999, I, 917), ribadendo un indirizzo giurisprudenziale con
solidato con riguardo ai giudizi di opposizione all'ordinanza di
ingiunzione per violazioni di sanzioni amministrative, promossi ai sensi dell'art. 22 1. 24 novembre 1981 n. 689, la notifica degli atti giudiziari deve essere effettuata presso l'ufficio che ha emesso
l'ordinanza, ammenocché esso non abbia affidato la propria
rappresentanza giudiziale all'avvocatura dello Stato; e ciò in
quanto l'art. 23 della legge citata attribuisce a tale autorità la
capacità di stare in giudizio personalmente, eventualmente av
valendosi di funzionari appositamente delegati (Cass. 9385/94,
id., Rep. 1994, voce Sanzioni amministrative e depenalizzazio
ne, n. 124; 9556/92, id., Rep. 1993, voce Circolazione stradale, n. 103; 7608/91, id., Rep. 1991, voce Sanzioni amministrative
e depenalizzazione, n. 119; 7506/91, id., Rep. 1992, voce cit., n. 93; 2104/89, id., Rep. 1989, voce Tributi in genere, n. 1074;
6254/88, id., 1990, I, 518; 2174/88, id., 1988, I, 1536). Nel vigente processo tributario l'art. 10 d.leg. 546/92 attribuisce la
qualità di parte all'ufficio del ministero delle finanze che ha
emanato l'atto ovvero ha omesso di emanarlo se dovuto, e l'art.
11, cpv., a quell'ufficio riconosce il potere di stare in giudizio
direttamente, essendo solo in secondo grado consentito di avva
lersi dell'assistenza dell'avvocatura dello Stato (art. 12, 4°
comma). Ne consegue che, ove sia mancata siffatta assistenza, la noti
fica della sentenza debba essere effettuata all'ufficio medesimo, affinché valuti l'opportunità di impugnarla ovvero di annullare
l'atto oggetto del contenzioso, nell'esercizio del potere di auto
tutela.
Tanto nella specie è correttamente avvenuto, sicché il ricorso di cui trattasi avrebbe dovuto essere proposto entro il 4 giugno
1997; la sua tardività, pertanto, non può che comportare l'i
nammissibilità.
Il Foro Italiano — 1999.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 3 giugno
1999, n. 5441; Pres. Bucciarelli, Est. Giannantonio, P.M.
Mele (conci, parz. diff.); Ciarleglio (Avv. Paoletto, Occhi
pinti) c. Soc. Pandolfo alluminio (Aw. Mescoli). Cassa Trib.
Trento 12 giugno 1995.
Agenzia (contratto di) e agente di commercio — Star del crede
re — Colpa o dolo dell'agente — Irrilevanza (Cod. civ., art.
1736). Agenzia (contratto di) e agente di commercio — Star del crede
re — Compenso all'agente — Disciplina (Cod. civ., art. 1736,
1746).
L'agente non può sottrarsi all'obbligo assunto con lo star del
credere dimostrando di aver tenuto un comportamento dili
gente nello scegliere il cliente o di aver segnalato alla società
preponente eventuali dubbi di insolvenza. (1) Le parti di un rapporto di agenzia, quando prevedono lo star
del credere, possono stabilire un particolare compenso o una
maggiore provvigione per l'agente esplicitamente o anche im
plicitamente (attraverso il richiamo dell'art. 1736 ovvero del
l'art. 1746 c.c.). (2)
(1-2) La Cassazione torna a pronunciarsi in materia di star del crede re nel rapporto di agenzia, evidenziando come, su alcune questioni af ferenti l'applicazione di detta clausola, manchi, anche in sede di legitti mità, un orientamento giurisprudenziale dominante. Il primo problema al vaglio della Suprema corte nella odierna sentenza, riguarda la possi bilità (negata nella fattispecie: massima 1), per l'agente di liberarsi dalla
responsabilità dimostrando di essere stato diligente (nel caso di specie, questi aveva informato la società preponente delle difficili condizioni economiche in cui versava il terzo, ma era stato dalla stessa invitato
per iscritto a concludere il contratto). In motivazione si legge che la
responsabilità dell'agente tenuto allo star del credere deve essere consi derata meramente oggettiva, per cui risulta irrilevante ed inutile qual siasi accertamento circa la sua diligenza (così Cass. 4 febbraio 1993, n. 1359, Foro it., Rep. 1993, voce Agenzia, n. 25; parzialmente diffor
me, Cass. 18 dicembre 1985, n. 6476, id., 1986, I, 939; contra, G.
Giordano, Il contratto di agenzia, Bari, 1959, 215). La seconda, e più dibattuta questione, su cui si è pronunciata la corte
nella sentenza in epigrafe, riguarda la sussistenza, in capo all'agente che sia tenuto allo star del credere, del diritto ad un compenso ulteriore o ad un aumento di provvigione, pur in mancanza di una previsione espressa in tal senso. La Cassazione, in proposito, ha ritenuto (massima 2) che le parti possono stabilire detto compenso anche implicitamente, richiamando come applicabile in via residuale l'art. 1736 c.c., ovvero anche l'art. 1746 c.c. (cfr. Cass. 14 giugno 1991, n. 6741, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 29, in extenso Riv. dir. comm., 1992, II, 373, con nota di F. Chiomenti). Sul punto, si ravvisa una giurisprudenza oscillante. I precedenti contrari all'odierna pronuncia ritengono che, essendo applicabile allo star del credere dell'agente la disciplina prevista in sede di contrattazione collettiva, vada esclusa, in tale ambito, l'ope ratività dell'art. 1736 c.c. (cfr., da ultimo, Cass. 19 luglio 1997, n. 6647, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 19; 27 marzo 1996, n. 2749, id., 1996, I, 2057, e Giust. civ., 1996, I, 2609, con nota di R. Triola). Anche la dottrina, sul punto, manifesta orientamenti assai divergenti. Per ulte riori considerazioni, v. la nota di F. Di Ciommo che segue.
* * *
Il contratto di agenzia tra nuove regole e vecchie incertezze: lo «star del credere» ancora al vaglio della Cassazione.
I. - Nuove regole e vecchie incertezze. Mentre — con il d.leg. n. 65 del 15 febbraio 1999 (Le leggi, 1999, I, 843), che integra il d.leg. n. 303 del 10 settembre 1991 — il legislatore completa il recepimento della direttiva 86/653/Cee del consiglio, datata 18 dicembre 1986, e in tal modo apporta sostanziali modifiche alla vigente disciplina in ma teria di contratto di agenzia, torna in Cassazione lo spinoso problema della disciplina applicabile allo star del credere dell'agente. L'annosa
questione pare ancora lungi dal giungere ad una definitiva sistemazio
ne, considerati i divergenti orientamenti che la giurisprudenza — anche di legittimità — e la dottrina hanno manifestato sul punto.
Alla luce delle problematiche nuovamente sollevate dalla sentenza in
epigrafe — che si pone in contrasto con un corposo filone di precedenti —, pare giunto il momento di affidare alle sezioni unite il compito di sciogliere, una volta per tutte, i dubbi che in subiecta materia agita no l'operatore. È, infatti, chiaro che su alcune delle questioni afferenti a detta clausola si sono oramai cristallizzate due divergenti posizioni. Tali questioni possono essere riassunte nel seguente interrogativo: quando nel rapporto di agenzia è pattuito lo star del credere, si può (ovvero
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