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Sezione I civile; sentenza 7 novembre 1983, n. 6558; Pres. Santosuosso, Est. Caturani, P. M....

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Sezione I civile; sentenza 7 novembre 1983, n. 6558; Pres. Santosuosso, Est. Caturani, P. M. Grimaldi (concl. conf.); Mastrangeli (Avv. Vergnano) c. Ferrovie dello Stato (Avv. dello Stato Stipo). Conferma App. Roma 4 febbraio 1980 Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 1 (GENNAIO 1984), pp. 113/114-117/118 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175944 . Accessed: 28/06/2014 13:05 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.194.38 on Sat, 28 Jun 2014 13:05:09 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 7 novembre 1983, n. 6558; Pres. Santosuosso, Est. Caturani, P. M.Grimaldi (concl. conf.); Mastrangeli (Avv. Vergnano) c. Ferrovie dello Stato (Avv. dello StatoStipo). Conferma App. Roma 4 febbraio 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 1 (GENNAIO 1984), pp. 113/114-117/118Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175944 .

Accessed: 28/06/2014 13:05

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Il ripudio di entrambe tali tesi è imposto, invero, senza che

necessiti ulteriore argomentazione idonea a coonestarlo, dalla

sentenza 30 novembre 1982, n. 204 della Corte costituzionale (Foro

it., 1983, I, 854), che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dei

comma 1°, 2° e 3° dell'art. 7 1. 20 maggio 1970 n. 300, se interpretati nel senso della loro inapplicabilità ai licenziamenti disciplinari, per i quali detti comma non siano espressamente richiamati dalla nor

mativa legislativa, collettiva o validamente posta dal datore di la

voro. Questa pronuncia, quindi, ha fatto venir meno, con efficacia

retroattiva (salva, s'intende, l'intangibilità delle situazioni giuridi che pregresse), nei confronti dei licenziamenti disciplinari, come

quello di cui si tratta, la disposizione che, giusta l'interpretazione adottata in modo prevalente dalla giurisprudenza del Supremo

collegio (cfr., da ultimo, tra le altre, la sent. 28 marzo 1981, n.

1781 delle sezioni unite, id., 1981, I, 1283), era riscontrabile nei

suddetti tre comma del citato art. 7 e in base alla quale le garanzie

procedurali in essi previste erano applicabili anche al licenziamento

disciplinare, solo se espressamente richiamate da altre fonti, le

gislative o contrattuali.

È appena il caso di rimarcare che l'intervenuta espunzione della disposizione che, in mancanza di una specifica normativa

(legislativa o contrattuale), consentiva l'applicazione dei licenzia

menti disciplinari anche senza l'osservanza delle garanzie impera tivamente previste dall'art. 7 1. n. 300/70 — nel quale, come è

affermato nella summenzionata sentenza della Corte costituziona

le, con i comma 2° e 3° è stata introdotta l'osservanza del

contraddittorio tra datore di lavoro e lavoratore « quale indefetti

bile regola » di formazione delle misure disciplinari, onde l'esclu

derne « il licenziamento disciplinare ... suona offesa dell'art. 3 »

Cost. — rende palese l'infondatezza delle censure, di cui al primo

mezzo, fondate sul rilievo che le disposizioni costituenti oggetto della stessa pronuncia d'illegittimità costituzionale non abbiano

natura di norme imperative.

In proposito basti ribadire, del resto, quanto già affermato da

questa corte (v. sent. n. 3130 del 1983, id., 1983, I, 2147),

secondo cui, cioè, è rimasto ormai stabilito che forma legale essenziale per la legittimità del licenziamento disciplinare è altresì

l'osservanza delle garanzie del contraddittorio, imposta a pena di

nullità — la quale è, quindi, rilevabile d'ufficio dal giudice a

norma dell'art. 1421 c.c. — avuto riguardo alle formule imperati ve usate nell'art. 7 e, in particolare, per quel che qui interessa, nel 2° comma: « Il datore di lavoro non può adottare alcun

provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza

avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averto senti

to a sua difesa ».

Ora, disattese, per le assorbenti ragioni esposte, le esaminate, surriferite doglianze di cui al primo mezzo del ricorso e la prima

censura, formulata nel secondo mezzo, in ordine all'asserita

inapplicabilità delle suddette garanzie procedurali al licenziamen

to in questione, debbono essere ritenute fondate, per converso, le

altre doglianze di cui al secondo e al terzo mezzo, relative,

rispettivamente, all'asserita, concreta e piena osservanza, da parte della società, delle garanzie stesse ed all'erronea configurazione, come misura disciplinare (di cui all'art. 53 dell'indicato c.c.n.l.), della sospensione cautelare del Grimaldi dal lavoro.

Come risulta testualmente affermato nella parte motiva dell'im

pugnata sentenza, la lettera 3 ottobre 1977, di contestazione, al

Grimaldi, dei fatti a costui addebitati, « attuò immediatamente la

sanzione della sospensione cautelativa ... sino a successiva comu

nicazione e, pertanto, anche in violazione dell'art. 53, n. 3, del

contratto collettivo ... perdurò fino al 12 ottobre 1977, cui risale

la data del licenziamento ».

Mia, giusta il surriferito tenore della detta lettera 3 ottobre 1977

indicato dalle parti e dallo stesso giudice a quo, nella quale, oltre

all'addebito ed all'esplicito preannuncio della correlata, eventuale

sanzione contrattualmente prevista, costituita « dal licenziamento

in tronco senza preavviso », è precisato che, « in attesa » del

supplemento di indagini relativamente ai fatti nella medesima

lettera cennati, « viene disposta la sospensione ... anche a caratte

re cautelare, sino a ... successiva comunicazione », non può non

ritenersi, ad avviso del collegio, che, contrariamente a quanto

opinato dal giudice d'appello, tale sospensione del Grimaldi dal

lavoro, in quanto cautelativa (come espressamente definita —

ripetesi — dallo stesso giudice a quo), nonché disposta (a differenza di quella prevista dal contratto collettivo, indicata nella

parte motiva della sentenza impugnata) per un indeterminato

periodo di tempo e destinata a venir meno all'esito dei cennati

accertamenti, sia stata erroneamente considerata una misura di

sciplinare e, come tale, soggetta alla procedura dettata dall'art. 7

1. n. 300/70. Il che, peraltro, trova riscontro, sotto l'aspetto prettamente

giuridico, nei principi, già enunciati da questa corte, secondo

cui anche nel rapporto di lavoro privato la sospensione dal

servizio del dipendente, perché sottoposto a procedimento disci

plinare, non integra una sanzione, ma configura una misura

cautelare e provvisoria, destinata ad essere travolta dall'esauri

mento di tale procedimento (v. sez. un. 26 marzo 1982, n. 1885,

id., 1982, I, 967), per cui la sua applicazione, in quanto non

comporta l'espressione di potere disciplinare e sanzionatorio del datore di lavoro, non è soggetta alla suindicata procedura ex art. 7 1. 20 maggio 1970 n. 300 (ofr. sent. 17 febbraio 1981, n. 940,

id., 1981, I, 2223 e 13 maggio 1981, n. 3149, id., Rep. 1981, voce Lavoro (rapporto), nn. 1373, 1529, 1610).

Quanto al diritto di difesa, disciplinato dal citato art. 7, 2°

comma, 1. n. 300/70, è, del pari, erronea la surriferita statuizione del giudice d'appello, secondo il quale, nel caso di specie, tale diritto non sarebbe stato concretamente assicurato al Grimaldi, dovendo attribuirsi, alla locuzione della norma (« sentito a dife sa »), il significato letterale di convocazione del lavoratore per un

giorno determinato al fine di essere sentito personalmente. Trattasi, invero, di una tesi, la cui inesattezza è confermata

dal principio da ribadire, a tenore del quale la normativa del 2° comma dell'art. 7 1. 20 maggio 1970 n. 300, secondo cui il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei

confronti del lavoratore senza averlo sentito a sua difesa, previa contestazione dell'addebito, deve essere interpretata nel senso che, ove il lavoratore lo chieda espressamente, il datore di lavoro è

tenuto a sentire oralmente il lavoratore stesso, ma, in difetto di

tale richiesta, non esiste alcun onere del datore di lavoro di

invitare il lavoratore a discolparsi oralmente, essendo quest'ulti mo, peraltro, libero di esercitare il suo diritto di difesa nella più

completa libertà di forme e, quindi, anche per iscritto o mediante

l'assistenza di un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato (Cass. 1° ottobre 1982, n. 5048,

id., 1982, I, 2422). Il ricorso, in conclusione, deve essere accolto, per quanto di

ragione, secondo le precisazioni che precedono, restando assorbi

ta, nell'accoglimento delle censure ritenute fondate nei termini

suesposti, ogni altra dedotta questione non esaminata qui dalla

corte e non ancora preclusa. La sentenza impugnata deve essere, di conseguenza, cassata e

la causa rinviata, per nuovo esame, ad altro giudice di grado

pari a quello che ha pronunciato la detta sentenza.

Il giudice di rinvio, che si designa nel Tribunale di Lucerà

(sezione lavoro) e che, nel procedere al riesame della controver

sia, vorrà attenersi ai criteri ed ai principi di diritto summenzio

nati, provvederà, a norma dell'art. 385, 3° comma, c.p.c., anche

sulle spese di questo giudizio di cassazione.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 7 novem

bre 1983, n. 6558; Pres. Santosuosso, Est. Caturani, P. M.

Grimaldi (conci, conf.); Mastrangeli (Avv. Vergnano) c. Fer

rovie dello Stato (Avv. dello Stato Stipo). Conferma App. Ro

ma 4 febbraio 1980.

Edilizia popolare ed economica — Cessione in proprietà — Morte

dell'assegnatario — Conferma della domanda di riscatto —

Termine — Decadenza (D.p.r. 17 gennaio 1959 n. 2, norme concernenti la disciplina della cessione in proprietà degli allog gi di tipo popolare ed economico, art. 10: 1. 27 aprile 1962 n.

231, modifiche al d.p.r. 17 gennaio 1959 n. 2, art. 7).

Il termine di trenta giorni dalla morte dell'assegnatario che l'art. 10 d.p.r. 17 gennaio 1959 n. 2 concede al coniuge, ai discen

denti entro il terzo grado e agli ascendenti conviventi per confermare ia domanda di riscatto già proposta dall'assegnata rio, decorre contemporaneamente nei confronti di tutti i legit timati; pertanto, in caso di successiva morte di quello fra essi

che ha confermato la domanda, non è ammissibile la riapertura del termine stesso, già decorso, nei confronti degli altri legitti mati. (1)

(1) Non risultano precedenti in termini. V., tuttavia, Cass. 13 luglio 1979, n. 4074, Foro it., Rep. 1979, voce Edilizia popolare ed economica, n. 159, la quale sebbene in riferimento all'art. 25, lett. a, d.p.r. n. 2 del 1959, stabiliva l'insussistenza di alcun ordine successivo fra le

categorie di soggetti che la norma (come anche l'art. 10, 3° comma, d.p.r. cit.) prevede quali successibili in caso di morte dell'assegnatario.

Sulla natura del termine di trenta giorni dalla morte dell'assegnata rio dell'alloggio entro cui il coniuge, i discendenti entro il terzo grado e gli ascendenti conviventi possono confermare la domanda di cessione in proprietà già presentata dall'assegnatario deceduto prima della

Il Foro Italiano — 1984 — Parte 1-8.

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PARTE PRIMA

Svolgimento del processo. — Con citazione del 26 giugno 1974,

Mastrangeli Luciana e Nello, quest'ultimo in proprio e quale procuratore ad negotìa di Alfredo e Sergio Mastrangeli, conveni vano innanzi al Tribunale di Roma il ministero dei trasporti —

azienda autonoma delle ferrovie dello Stato — esponendo che il 5 febbraio 1970 Sergio Mastrangeli, padre di essi attori e pensio nato delle ferrovie aveva chiesto, ai sensi del d.p.r. 17 gennaio 1959 n. 2 e della 1. 27 aprile 1962 n. 231, la cessione in proprietà

dell'alloggio da lui occupato in concesssione da parte dell'azienda

dall'aprile 1935, sito in Roma via dei Ramni n. 6 scala I inter.

3; che, in data 6 aprile 1972 Sergio Mastrangeli era deceduto e la

di lui moglie Caterina Aloisi con lettera 29 aprile 1972 aveva confermato a proprio favore la domanda di riscatto proposta dal

coniuge, poi defunto, che successivamente anche la Aloisi era

deceduta ed i figli, istanti nel giudizio con domanda dell'I 1

ottobre 1973 diretta all'azienda ferroviaria, compartimento di

Roma, avevano chiesto quali eredi che venisse ceduto loro in

proprietà l'alloggio. Chiedevano pertanto gli attori che fosse dichiarato il loro

diritto alla cessione e che il ministero convenuto fosse condan

nato al risarcimento dei danni da liquidarsi separatamente subiti

a seguito del reiterato rifiuto di promuovere la cessione in

oggetto ed in ogni caso per non aver potuto conseguire la

proprietà dell'alloggio per fatto e colpa dell'amministrazione.

Nella resistenza dell'azienda convenuta il tribunale adito con

sentenza del 19 ottobre 1976 respingeva le domande. Su gravame del soccombente, la corte di Roma con la sentenza

in questa sede impugnata rigettava l'appello confermando la decisione di primo grado.

Riteneva la corte che, trattandosi di una designazione congiun ta e non in via successiva, il termine di trenta giorni dall'evento entro cui i soggetti legittimati devono confermare la domanda di cessione in proprietà dell'alloggio, in caso di decesso dell'aspiran te, coinvolge contemporaneamente tutti i legittimati e, pertanto, non si opera in caso di ulteriori decessi dei detti legittimati, la

riapertura del termine medesimo in favore dei superstiti. Trattasi infatti di successione iure proprio in un diritto dell'assegnatario di natura personalissima. Nella specie pertanto, avendo conferma to la domanda di cessione soltanto la madre degli appellanti, i

vantaggi conseguenti vennero a prodursi esclusivamente nei suoi

confronti, né poteva ammettersi una successione degli altri le

gittimati in un diritto personalissimo, siccome avente riscontro in una prestazione amministrativa di pubblico servizio. D'altra parte, era inapplicabile al caso di specie l'art. 7 della sopravvenuta 1. 8

agosto 1977 n. 513 che ha abrogato dalla data della sua entrata in vigore le disposizioni contenute nel d.p.r. 17 gennaio 1959 n. 2 e nella 1. 14 febbraio 1963 n. 60 allorché il rapporto giuridico abbia esaurito, come nel caso concreto, i suoi efletti nel vigore della precedente normativa in seguito al decesso del coniuge avvenuto in data anteriore all'entrata in vigore della 1. n. 513/77 citata. Ritenuto l'assorbimento del motivo di appello che riguarda il mancato riconoscimento del requisito della convivenza doveva infine respingersi la domanda di risarcimento del danno sia

perchè non era ancora decorso il termine entro cui la p.a. aveva

l'obbligo di stipulare il contratto (non essendo stato ancora comunicato agli interessati il valore venale dell'alloggio), sia

perchè non era stato provato un comportamento omissivo e

dilatorio ascrivibile a colpa dell'amministrazione.

Per la cassazione della suddetta sentenza ricorrono Mastrangeli Luciano, Alfredo e Nello, quest'ultimo in proprio e quale procura tore ad negotia di Mastrangeli Sergio, sulla base di cinque motivi; resiste con controricorso l'azienda autonoma delle ferrovie dello Stato.

stipulazione del contratto di cessione, v. Cass. 8 febbraio 1982, n. 729, id., 1982, I, 2555, che, al pari della decisione riportata, ritiene che esso sia posto a pena di decadenza.

Sull'intrasmissibilità iure hereditaria del diritto dell'assegnatario alla cessione in proprietà dell'alloggio, v. Cass. 13 ottobre 1980, n. 5460, id., Rep. 1980, voce cit., n. 148; 24 ottobre 1977, n. 4557, id., Rep. 1977, voce cit., n. 234; 12 luglio 1976, n. 2682, id., 1977, I, 1285.

Sulla successione in materia di edilizia economica e popolare, cfr.

Jannarelli, Le vicende dell'assegnazione in locazione di alloggio economico e popolare in caso di morte dell'assegnatario, in Riv. giur. edilizia, 1982, II, 218, ma con specifico riferimento all'ipotesi di decesso dell'assegnatario il quale abbia già presentato domanda di cessione in proprietà dell'alloggio, 228 ss.; nonché Severini, Il diritto di successione nell'edilizia residenziale pubblica {la questione degli « eredi »), ibid., 39, 42.

Sui problemi di diritto intertemporale relativi all'applicabilità del l'art. 27 1. 513/77, quale ius superveniens, ai rapporti sorti preceden temente all'entrata in vigore della normativa, v. Cass. 22 gennaio 1983, n. 615 e 23 novembre 1982, n. 6327, Foro it., 1983, 1, 1266, con nota di richiami di F. Macario.

Motivi della decisione. — Con i cinque motivi del ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 10 d.p.r 17

gennaio 1959 n. 2, come modificato dalla 1. 27 aprile 1962 n. 231, dell'art. 27 1. 8 agosto 1977 n. 513, degli art. 1218 s. c.c. nonché

difetto di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) i ricorrenti si

dolgono che l'impugnata sentenza li abbia considerati con con

traddittoria motivazione decaduti dal diritto di chiedere la cessio

ne in proprietà dell'alloggio, • mentre per essi il termine di

decadenza decorreva dalla morte del coniuge superstite dovendo

intendersi la designazione prevista dalla legge operante non già in via congiunta, ma successiva. Inoltre si sostiene che erronea

mente si è ritenuta inapplicabile alla fattispecie la nuova discipli na prevista dalla 1. 8 agosto 1977 n. 513 non essendo il rapporto esaurito prima della entrata in vigore della stessa e che la corte

d'appello avrebbe dovuto motivare sul requisito della convivenza e non avrebbe dovuto respingere la domanda di risarcimento del

danno risultando il comportamento colpevole dell'amministrazione.

Le riassunte censure sono infondate. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa corte il principio secondo cui il

diritto dell'assegnatario di un alloggio economico e popolare alla

cessione in proprietà dell'alloggio medesimo nel quadro della

disciplina prevista dal d.p.r. 17 gennaio 1959 n. 2, modificato dalla

1. 27 aprile 1962 n. 231 non è trasmissibile iure ereditatis (sez, un. 13 ottobre 1980, n. 5460, Foro it., Rep. 1980, voce Edilizia

popolare ed economica, n. 148; 24 ottobre 1977, n. 4557, id.,

Rep. 1977, voce cit., n. 234; 12 luglio 1976, n. 2682, id., 1977, I,

1285). A sostegno di tale indirizzo si è osservato che la riconosciuta

natura di diritto soggettivo dell'aspirante all'assegnazione dell'al

loggio non implica necessariamente la trasmissione del diritto

stesso agli eredi poiché nel nostro ordinamento giuridico accanto ai diritti trasmissibili agli eredi sussistono diritti intrasmissibili

per loro natura o per volontà di legge.

Orbene il diritto dell'assegnatario di un alloggio economico e

popolare alla cessione in proprietà dell'alloggio medesimo, nella ricorrenza della prescritte condizioni è un diritto di credito

riconosciuto a colui che per essere assegnatario di un alloggio economico e popolare fa parte della popolazione meno abbiente e tale diritto ha la finalità non di assicurare la proprietà di un

cespite patrimoniale ma di garantire il diritto di abitazione.

In questa prospettiva si spiega come il legislatore sia nel d.p.r. 17 gennaio 1957 n. 2 sia nella 1. modificativa 27 aprile 1962 n. 231

per il caso di morte dell'avente diritto dopo la presentazione della domanda di cessione (art. 10) e anche prima di tale

presentazione (art. 25) abbia riconosciuto un diritto proprio all'assegnazione in favore del coniuge, dei discendenti entro il terzo grado e degli ascendenti conviventi con l'assegnatario e nulla abbia detto circa la trasmissibilità iure hereditario.

D'altra parte la stessa disciplina giuridica degli aventi diritto alla cessione dopo la morte dell'aspirante, i quali devono versare in una determinata condizione (rapporto di parentela, convivenza) con l'originario titolare, esclude che la individuazione dei soggetti

legittimati a far valere in tal caso il diritto alla cessione dell'al

loggio possa poi rinvenirsi nelle norme generali sulla successione

mortis causa, per l'evidente conflitto che in tal modo si creerebbe tra i diversi soggetti rispettivamente vantanti diritti iure proprio e iure hereditario.

Tale indirizzo trova ulteriore conferma sia pure indiretta nelle sentenze 12 luglio 1976, n. 2682 e 24 ottobre 1977, n. 4557, con cui le sezioni unite se da un lato hanno statuito che, a norma

degli art. 255 ss. t.u. 28 aprile 1938 n. 1165 e della 1. 30 marzo 1965 n. 255, l'assegnatario di un alloggio economico e popolare costruito a spese dello Stato nelle località colpite dal terremoto ha il diritto ad ottenere la cessione in proprietà e nel caso in cui

egli sia morto prima della stipulazione dell'atto di vendita in tale

diritto subentra il successore a titolo universale hanno avuto cu

ra di precisare che questa disciplina speciale in tanto opera in

quanto in materia di alloggi per terremoti non si applica la normativa del d.p.r. n. 2 del 1959 (modificata dalla 1. n. 231 del

1962) il cui art. 25 ricomprende nel novero dei soggetti titolari del diritto alla cessione in caso di morte dell'assegnatario il

coniuge superstite, i discendenti entro il terzo grado, e gli ascendenti a date condizioni e si è espressamente ribadito che

trattasi di un diritto attribuito direttamente a tali soggetti e non

acquistato iure hereditatis.

Né miglior fondamento ha la tesi dei ricorrenti secondo cui in caso di morte dell'assegnatario dopo la domanda di cessione in

proprietà dell'alloggio, ma prima del perfezionamento della vendi

ta, i soggetti menzionati nell'art. 10 d.p.r. 1959 n. 2 sono

designati in via successiva e non congiuntiva, per modo che, ove, come nel caso di specie, sia deceduto uno dei soggetti ivi previsti (nella specie il coniuge superstite) che da solo ha presentato

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

domanda di conferma, non sarebbe impedito agli altri aventi

diritto considerati dalla norma di far valere a loro volta il diritto

alla cessione nel termine dei trenta giorni da quell'evento. L'art. 10, ult. comma, d.p.r. 17 gennaio 1959, riportato inte

gralmente dall'art. 7, 4° comma, 1. 27 aprile 1962 n. 231 cosi statuisce: « In caso di decesso dell'aspirante il coniuge, i di

scendenti entro il terzo grado e gli ascendenti conviventi con

l'aspirante possono confermare la domanda entro trenta giorni dall'evento ».

Come già questa corte ha ritenuto (sent. 13 luglio 1979, n. 4074,

id., Rep. 1979, voce cit., n. 159; sia pure con specifico riferimento all'art. 25, lett. a, d.p.r. 1959 n. 2 ma con motivazione che

coinvolge anche l'art. 10, 3° comma, in esame) la norma non stabilisce fra le tre categorie di soggetti alcun ordine successivo, ma anzi esclude ogni graduatoria fra i successibili in caso di

morte dell'assegnatario privilegiando invece in un certo ambito

familiare criteri di collegamento costituiti da relazioni di fatto

quali la convivenza e l'attualità del godimento giustificata dalla

mancanza dell'autonomia economica. Ne deriva pertanto che — conformemente a quanto ha ritenuto

l'impugnata sentenza — il termine dei trenta giorni dalla morte

dell'assegnatario entro cui i soggetti legittimati devono confermare

la domanda da costui proposta opera contemporaneamente nei

confronti di tutti, per modo che, in caso di successiva morte di

uno di essi, non è ammissibile alcuna riapertura del termine di

decadenza.

Circa il rigore cui la disciplina giuridica è ispirato specie sotto

il profilo dei termini già questa corte ha precisato, invero che, il

termine in questione ha natura perentoria, data da un lato la

necessità di circoscrivere nel tempo la situazione di privilegio accordata ai soggetti abilitati all'indicata conferma senza quegli ulteriori requisiti (dell'attuale godimento dell'alloggio; della man

canza di autonomia economica) richiesti per la ipotesi di decesso

anteriore alla domanda e considerato dall'altro l'esigenza della

p.a. in relazione all'ordinato svolgimento della propria attività ed

alla tutela dei suoi interessi economici, di individuare al più

presto con certezza giuridica i definitivi assegnatari degli alloggi. Alla stregua delle precedenti considerazioni deve quindi rico

noscersi che l'impugnata sentenza si sottrae alle proposte censure

anche per quanto riguarda il risolto problema di successione di

leggi nel tempo. È noto che in materia di cessione in proprietà di alloggi di

tipo economico e popolare l'art. 27 1. 8.agosto 1977 n. 513 ha

dettato una speciale procedura transitoria relativa alle domande

presentate anteriormente all'entrata in vigore della detta legge,

per le quali, per qualsiasi motivo, non sia stato stipulato o

concluso il contratto di compravendita: le domande accettate in

precedenza e per le quali fosse stato altresì comunicato all'asse

gnatario il prezzo della cessione (se non previsto dalla legge) continuano ad essere regolate sotto ogni profilo dalle leggi abro

gate (d.p.r. 1959 n. 2 e 1. 1962 n. 231), e quelle non ancora

accettate, invece, anche se fosse pendente alla data di entrata in

vigore della nuova normativa il procedimento giurisdizionale, devono essere ugualmente esaminate, se confermate dall'interessa

to (nei termini perentori previsti dalla legge) e il prezzo di

riscatto va stabilito non già secondo la vecchia disciplina, ma ai

sensi dell'art. 28 1. n. 513 del 1977 modificata dalla 1. n. 457 del

1978 (sent. 9 maggio 1981, n. 3062, id., Rep. 1981, voce cit., n. 98).

Orbene, a parte la questione che tale indirizzo ha innovato

quanto già statuito da questa corte in epoca precedente (sent. 13

luglio 1979, n. 4074, id., Rep. 1979, voce cit., n. 170; 2 febbraio

1978, n. 464, id., Rep. 1978, voce cit., n. 136; 29 novembre 1977, n. 5189, ibid., n. 137, che hanno invece sostenuto la irretroattivi

tà della nuova disciplina rispetto ai rapporti pendenti ove la

relativa applicazione si traduca nel disconoscimento degli effetti

già verificatisi ad opera del pregresso fatto generatore del rappor to ovvero in una modifica della disciplina giuridica del fatto

stesso) nel caso di specie non è necessario al fine della decisione

del ricorso prendere posizione su questo specifico problema di

diritto intertemporale, giacché, anche a voler ritenere, come

sembra più plausibile, secondo il criterio adottato dalla sentenza

1981 n. 3062, cit., la irretroattività della nuova disciplina ai

rapporti pregressi nei limiti ivi considerati, un ostacolo insormon

tabile si frapporrebbe alla applicazione dello ius superveniens ed

è la circostanza che la impugnata sentenza ha giustamente ritenu

to il rapporto de quo in seguito alla decadenza in cui sono

incorsi i ricorrenti alla stregua del diritto anteriore esaurito in

epoca precedente alla entrata in vigore della nuova legge (cfr. nella motivazione la cit. sent. 1981 n. 3062). (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 27 ot

tobre 1983, n. 6350; Pres. F. Greco, Est. Vela, P. M. Miccio

(conci, conf.); A.v.i.s. (Avv. Piaggio) c. Stolzoli ed altri

(Avv. Bazzani). Dichiara inammissibile ricorso avverso Cons.

Stato, sez. VI, 24 febbraio 1981, n. 69.

Giustizia amministrativa — Decisioni del Consiglio di Stato —

Ricorso in Cassazione — Termine — Decorrenza — Notificazio

ne (R.d. 17 agosto 1907 n. 642, regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, art. 87).

Il ricorso in Cassazione avverso le decisioni del Consiglio di

Stato deve essere proposto nel termine di sessanta giorni decorrente dalla notificazione della decisione presso la sede

dell'amministrazione, e non presso il domicilio eletto per il

precedente giudizio se trattasi di amministrazione non stata

le. (1)

Rilevato in fatto. — Loreto Venditti, licenziato I'll novembre

1975 dall'Associazione volontari italiani del sangue (A.v.i.s.), pres so la quale prestava servizio, impugnò il provvedimento innanzi

al T.A.R. per il Lazio, lamentando di essere stato colpito da una

sanzione disciplinare non solo adottata senza l'osservanza della

procedura prevista dall'art. 7 1. 20 maggio 1970 n. 300 e comun

que senza la preventiva contestazione degli addebiti, ma anche

ingiustificata. Il tribunale respinse il ricorso perchè ritenne inapplicabile il

cit. art. 7 al rapporto di impiego pubblico e, in ogni caso, insussistente il licenziamento disciplinare, in luogo del quale ravvisò un provvedimento di dispensa dal servizio.

Di diverso avviso è stato però il Consiglio di Stato, il quale, su

appello del Venditti, dopo aver qualificato l'atto come licenzia

mento e più specificamente come rimozione dal servizio, giusta la

previsione dell'art. 41 del regolamento organico dell'ente, ne ha

pronunciato l'annullamento per difetto della preventiva contesta

zione degli addebiti in esso enunciati.

La decisione, pubblicata all'udienza del 24 febbraio 1981 (Foro

it., Rep. 1981, voce Impiegato dello Stato, n. 335), è stata noti

ficata il 24 aprile 1981 all'A.v.i.s., in persona del legale rap

presentante, insieme ad un atto di precetto per la relativa ese

cuzione, su istanza dei successori del Venditti, intanto decedu

to, e cioè della vedova, Elda Stolzoli, e delle figlie Anna Maria e

Maria Gabriella.

L'A.v.i.s. ha proposto ricorso per difetto di giurisdizione, con

atto notificato alle predette, presso il loro procuratore, il 10 aprile 1982 e depositato il successivo 29 aprile. La Stolzoli e le Venditti

resistono con controricorso, cui hanno fatto seguire un « controri

corso aggiunto». Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Osserva in diritto. — Il ricorso è inammissibile.

È tale non per le lacune ravvisate dalle resistenti, mediante

esame delle copie loro notificate, nella procura rilasciata al

difensore dell'ente (ciò che rileva è l'esistenza di una valida e

regolare procura a corredo dell'originale: Cass. 24 febbraio 1983, n. 1423, id., Mass., 293, e 5 dicembre 1981, n. 6553, id.,

Rep. 1982, voce Cassazione civile, n. 176); e neppure per inosservanza del termine annuale (altra eccezione delle resistenti, le quali non considerano che quel termine non può operare nella

specie, come subito si dirà); ma perchè esso è stato proposto oltre il termine di sessanta giorni, previsto dall'art. 362 c.p.c. e

dalla giurisprudenza di questa corte ritenuto applicabile anche

<1) Le sezioni unite confermano il precedente orientamento {Cass. 5 marzo 1979, n. 1357, Foro it., Rep. 1979, voce Sicilia, n. 81; 4 gen naio 1975, n. 9, id., Rep. 1975, voce Giustizia amministrativa, n. 82; 22 settembre 1970, n. 1657, id., Rep. 1970, voce cit., n. 266; 12 mag gio 1969, n. 1614, id., 1969, I, 1434; 28 luglio 1964, n. 2121, id., Rep. 1964, voce cit., n. 637) che è conforme all'orientamento seguito dal Consiglio di Stato per ciò che concerne la decorrenza del termine -per proporre appello: nel caso di amministrazione pubblica non sta

tale, il termine decorre soltanto dalla notificazione presso la sede della p.a., Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 1982, n. 270, id., 1982, III, 474, con nota di richiami (sulla scia di ad. plen. 23 marzo 1979, n. 9, id., 1979, III, 310, con nota di richiami; in senso diverso, però, si è espressa sez. V 10 luglio 1982, n. 615, id., Rep. 1982, voce cit., n. 335, annotata da Vacirca, in Foro amm., 1982, I, 1477, e 15 luglio 1983, n. 326, Cons. Stato, 1983, 'I, 759).

Come la sentenza riconosce, ciò non vale nel caso di amministra zione statale, per la quale il termine decorre soltanto a partire dalla notificazione presso l'avvocatura dello Stato: nello stesso senso, pro prio con riferimento al ricorso in Cassazione avverso le decisioni del

Consiglio di Stato, Cass. 11 aprile 1981, n. 2113, Foro it., 1982, I, 786, con nota di richiami.

Anche su questo punto conforme è l'orientamento del Consiglio di Stato: sez. IV 25 marzo 1983, n. 162, in questo fascicolo, III, con nota di C. E. Gallo.

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