Sezione I civile; sentenza 7 ottobre 1961, n. 2049; Pres. Lonardo P., Est. Caporaso, P. M. Pedote(concl. conf.); Scopetti (Avv. Mirenghi) c. Fabrizi (Avv. Fazzalari) e Soc. Fonit Cetra (Avv. Sequi,Grande Stevens)Author(s): A. T.Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 1 (1962), pp. 67/68-69/70Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151970 .
Accessed: 28/06/2014 09:22
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 193.105.245.35 on Sat, 28 Jun 2014 09:22:10 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
67 PARTE PRIMA 68
avviene con l'atto di intimazione che, al pari di ogni altro
atto introduttivo, deve contenere tutte le domande contro
di essa proposte, e in base alle quali soltanto può essere
pronunciato il provvedimento del giudice. La legge appunto dà in via eccezionale all'ordinanza di convalida contenuto
decisorio, contro i principi dettati dall'art. 279 cod. proc. civ. come pure, per la celerità cui tutto il procedimento si
ispira, consente che tale provvedimento di natura decisoria,
ohe avrebbe dovuto essere emanato nella forma della sen
tenza, si sottragga al principio generale dell'impugnazione
previsto dall'art. 323, solo in quanto viene attribuita una
notevole importanza al comportamento del debitore, il
quale può rimanere passivo di fronte all'azione dell'inti
mante, perchè anzi dà tale sua inattività possa essere per
seguito ancor meglio lo scopo del giudizio monitorio di
convalida. Contro i principi dell'onere della prova, viene
data così rilevanza alla adesione legale del convenuto alla
domanda contro di lui proposta. In particolare lo sfratto per morosità può essere inti
mato solo indicando con precisione quali mensilità siano
scadute, perchè o tale morosità viene sanata, e allora non
sarebbe più possibile il provvedimento di convalida, o la
morosità persiste, e allora la mancata comparizione deve
essere interpretata come ammissione legale della domanda, in deroga al principio dell'art. 232 cod. proc. civile.
Data quindi l'importanza delle conseguenze, che, pro
prio per attuare le finalità del procedimento, vengono attribuite al comportamento del debitore, occorre che costui
sia posto in condizioni di conoscere con precisione tutto
l'ambito della domanda proposta. È da tempo che questo Supremo collegio, in conside
razione delle ragioni qui svolte, ha ritenuto che il provvedi mento di convalida, di norma non impugnabile (infatti il
rimedio di cui all'art. 668 cod. proc. civ. costituisce solo'una
riammissione in termini o là correzione di un errore, limi
tatamente alla irregolarità della notificazione per caso for
tuito o per forza maggiore), va soggetto al normale gravame
dell'appello, quando Sia stato emesso al di fuori delle con
dizioni tassativamente previste dalla eccezionalità del pro cedimento monitorio stesso (Cass. 5 maggio 1956, n. 1440, Foro it., 1956, T, 859, e molte altre fino a Cass. 5 maggio
I960, n. 1017 id., Rep. 1960, voce Sfratto, n. 33). È in
fatti prevalso il principio, condiviso dalla dottrina, che non
possa logicamente ammettersi che l'errore del giudice sia
sufficiente per sottrarre la sua decisione a quel controllo
della giustizia, cui sono appunto preordinati i mezzi di
impugnazione delle sentenze.
Per dimostrare la fondatezza di tale ormai costante
indirizzo giurisprudenziale si deve por mente che l'organo
giurisdizionale al di fuori dei presupposti per l'emanazione
dell'ordinanza non impugnabile, avrebbe dovuto provve dere a mezzo della normale forma della sentenza che avrebbe
portato alla impugnazione a mezzo di appello. Basti pen sare infatti alla citata ipotesi del pagamento dei canoni
richiesti con l'atto di intimazione prima della udienza fis
sata per' la convalida, perchè, mentre non sarebbe stata
possibile una convalida, non per questo viene meno quel
l'inadempimento, che per l'art. 1453 cod. civ. non può essere sanato dopo la domanda di risoluzione del contratto,
quale è certamente anche l'intimazione di convalida. La
conseguenza è che in tale ipotesi non è più applicabile il procedimento speciale, subentrando le norme ordinarie
del giudizio di cognizione per la valutazione degli effetti
giuridici della mora con l'applicazione della norma di di
fitto sostanziale (Cass. 30 gennaio 1960, n. 133, Foro it.,
Rep. 1960, voce cit., n. 2). Orbene tra le ipotesi di mancanza di presupposti for
mali, in presenza dei quali poter emettere il provvedimento
impugnabile di convalida, vi è certamente anche quello del giudizio su domanda non proposta nell'atto di intima
zione, come è avvenuto nella fattispecie, in cui il locatore
aveva chiesto soltanto i canoni scaduti e questi gli erano
stati pagati prima della udienza fissata per la convalida.
La dichiarazione che il procuratore dell'attore faceva, nella
contumacia dell'intimata, che la morosità persistesse per
gli interessi sui canoni, era dichiarazione che non trovava
il suo fondamento nè in ragioni sostanziali nè in ragioni formali.
Non sotto il profilo sostanziale, in quanto l'art. 1282.
cap., cod. civ. pone la norma eccezionale che i crediti per fitti e pigioni, salvo patto contrario, non producono inte
ressi se non dalla costituzione in mora. Tale costituzione
in mora non può essere ritenuta superflua, ai sensi del
l'aTt. 1219, n. 3, per la scadenza del termine della obbli
gazione, in quanto il credito per fitti e pigioni, previsto dall'art. 1282, presuppone appunto la scadenza degli stessi,
perchè connaturata con essa. Occorre la precisa domanda
giudiziale e la diffida ad adempiere, e questa avveniva
solo all'udienza di convalida, quando l'altra parte, fidando
nel rispetto delle formalità del procedimento monitorio
di convalida, ben poteva ritenere che col pagamento dei
canoni richiesti non potesse più essere fatta quella dichia
razione di persistenza della morosità, necessaria per la ema
nazione del provvedimento pretorile, ai sensi dell'art. 663.
cap., cod. proc. civile.
Ma la dichiarazione di persistenza della morosità urtava
ancor più contro ragioni processuali, in quanto il contrad
dittorio, costituitosi sui soli elementi indicati dall'atto di
intimazione, vedeva ampliarsi tale suo ambito a una do
manda precedentemente non formulata, onde il provve dimento veniva emanato chiaramente ultra petita, e il giu dizio sulla morosità relativamente a tale domanda acces
soria, anche se non escluso, avrebbe potuto essere svolto
solo nella via ordinaria del giudizio di cognizione, che non
solo avrebbe dovuto tener conto della scarsa importanza
dell'inadempimento (anche a tutto concedere gli interessi
avrebbero potuto decorrere dalla intimazione dei canoni
che era di soli pochi giorni anteriore, onde gli interessi
consistevano in una somma notevolmente esigua ai fini
del loro inadempimento), ma avrebbe consentito l'impugna zione a mezzo di appello.
Nè ricorreva la figura del provvedimento abnorme, sorta, come è noto, nella processualistica penale ed applicata con
favore anche in quella civile, provvedimento abnorme che
avrebbe dato luogo al solo mezzo straordinario del ricorso
in Cassazione ai sensi dell'art. Ili della Costituzione. Invero
è provvedimento abnorme quello che abbia contenuto di
verso da quello previsto tipicamente dalla legge, in quanto affetto da eccesso o difetto di potere.
Nella specie invece il provvedimento ebbe il contenuto
previsto dalla legge in quanto dato nella forma legale del
l'ordinanza e contenente l'ordine di convalida. Il vizio, che ne minava inondamento giuridico, atteneva non alla
forma nè al contenuto del provvedimento stesso, bensì ai
particolari presupposti processuali per la emanazione del
provvedimento speciale nel duplice profilo del difetto di
contraddittorio e della pronuncia di convalida sulla base di una domanda non precedentemente intimata.
Erroneamente quindi fu dichiarata la improcedibilità
dell'appello proposto avanti al Tribunale di Milano e la
causa va pertanto rimessa avanti ad altro giudice, per
l'accoglimento del quarto motivo di ricorso, ivi assorbiti
gli altri.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 7 ottobre 1961, n. 2049 ; Pres. Lonardo P., Est. Caporaso, P. M. Pedote (conci,
conf.) ; Scopetti (Avv. Mirenghi) c. Fabrizi (Aw. Pazzalaei) e Soc. Ponit Cetra (Avv. Sequi, Grande
Stevens).
(Conferma App. Homo 9 giugno 1939)
Cognome, nome e pseudonimo Attribuzione di nome alimi ad un personaggio di fantasia — Illi ceitìi Norma applicabile (Cod. civ., art. 7, 2043).
Cognome, nome e pseudonimo Attribuzione di nome
This content downloaded from 193.105.245.35 on Sat, 28 Jun 2014 09:22:10 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
69 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 70
altrui atl un personaggio di fantasia Azione Onere della prova (Cod. civ., art. 7. 2043. 2697).
1/attribuzione ad un personaggio irreale del nome di una
persona fisica, non potendo ingenerare confusione, non è
perseguibile ai sensi dell'art. 7 cod. civ., sibbene ai sensi
dell'art. 2043, qualora ne ricorrano i presupposti. (1) Sia che l'attribuzione del nome altrui ad un personaggio ir
reale s'inquadri nella fattispecie prevista nell'art. 7, sia che
s'inquadri in quella prevista nell'art. 2043, l'attore lia
l'onere di provare non solo il fatto materiale, ma altresì che tale fatto fu compiuto in modo indebito ed illegittimo, e che fu pregiudizievole per la persona offesa. (2)
La Corte, ecc. - Oggetto del primo motivo di ricorso è
la esatta applicazione ed il retto funzionamento della re
gola dell'onere della prova in rapporto all'azione ex art. 7 cod. civ., la quale è concessa a tutela del diritto al proprio nome.
Assume il ricorrente che la Corte avrebbe preteso dal
l'attore la prova non soltanto dell'uso, ma anche dell'uso
abusivo e perciò illegittimo del nome e cognome di esso
attore.
Siccome l'art. 7 sopra citato può dar luogo a differenti
azioni a seconda dei casi, è bene chiarire in fatto che nella
specie non si tratta della ipotesi in cui il nome sia stato
usurpato ed assunto come proprio da altri, sebbene dell'uso
del nome in un'opera d'arte teatrale ed in una scena incisa
suTdisco. Più precisamente, nello spettacolo di rivista, la,
persona del ricorrente sarebbe stata ridicolizzata ; nello
scketch discografico, il ricorrente sarebbe stato offeso nel
decoro e nella reputazione. L'azione giudiziale è, pertanto, diretta sia alla proibizione dell'uso del nome, sia alla distru
zione dei dischi in commercio, sia al risarcimento del danno.
Sembra quindi evidente che causa petendi e petitum s'in
quadrano più propriamente nella previsione della comune
actio iniuriarium, come fu già precisato in caso analogo nella sentenza 22 dicembre 1956, n. 4487 (Foro it., 1957,
I, 4 e 232). Con la quale fu stabilito che nessuna norma di
legge fa ritenere che sia sancito, come limite alla libertà
dell'arte, l'assoluto rispetto della propria riservatezza e della
propria personalità, salvo che l'operato dell'agente ricada
nello schema generale del fatto illecito.
Se così è, non può negarsi che al ricorrente spettava non solo l'onere di provare il fatto materiale, dovendo egli altresì dimostrare che tale fatto fu compiuto in maniera
indebita ed illegittima e, infine, che esso fu pregiudizievole
per la persona offesa.
Ma, anche a voler rigorosamente mantenersi nell'ambito
del citato art. 7, la situazione non muta ed all'attore in
combe il medesimo onere probatorio. Ciò è stato chiarito
(1) In senso conforme, in dottrina, v. 1)K (Juris, J diritti della personalità, Milano, 1950, 218 e segg. ; e dello stesso Autore, Uso cinematografico del nome altrui, in Foro it., 1955, I, 446. Nella giurisprudenza precedente non è chiara la distinzione tra l'azione nascente ex art. 7 cod. civ. e quella nascente ex art. 2043, vedi App. Koma 27 niaggio 1955, id., 1950, I, 792 ; Pret. Roma I marzo 1956, id., Rep. 1956, voce Cognome, n. 12 ; App. Milano 23 giugno 1951, id., Rep. 1951, voce cit., n. 0. In argomento vedi la motivazione di un'ordinanza della Pret. Roma 29 gennaio 1955, id., 1955, I, 446.
(2) Il principio accolto dalla Corte suprema trova numerosi
precedenti giurisprudenziali in senso conforme. Oltre quelli citati nella sentenza, vedi Cass. 17 ottobre 1960, n. 2772, Foro
il., 1961, I, 67, con nota di richiami. Nello stesso senso anche la dottrina dominante (vedi l'ampia trattazione di De Cupis, I
diritti della personalità, cit., 214), la quale afferma che la tutela
del nome si ha solo nei casi in cui l'uso indebito di esso comporti un pregiudizio patrimoniale o morale al soggetto titolare del
diritto, È appena il caso di accennare alla più profonda tutela che
l'ordinamento accorda all'immagine, il cui uso indebito può esser fatto cessare dall'avente diritto, indipendentemente dalla
esistenza di un danno. Sull'onere della prova, v. la sentenza
confermata App. Roma 9 giugno 1959, Foro it., Rep. 1960, voce
Cognome, n. 11. A. T. A. T.
con la sentenza n. 4487 sopra richiamata e, ancor più, con
quella del 3 agosto 1960, n. 2270 (Foro it., Rep. 1960, voce
Cognome, n. 7), con la quale è stato deciso che sia l'azione di
usurpazione, diretta contro colui che assume il nome senza
averne diritto, sia l'azione di proibizione diretta contro colui
che indebitamente faccia uso del nome pur senza assumerlo come proprio, non presuppongono la semplice assunzione o il semplice uso del nome stesso, ma richiedono, altresì, l'esistenza di un pregiudizio economico o morale, che si ha
allorché l'uso del nome, anche se autorizzato, avvenga in
modo tale da ledere la reputazione o il decoro del titolare del nome medesimo.
Sicché, la Corte del merito ha in ogni caso giustamente affermato l'onere dell'attore di provare gli estremi di cui
sopra, vale a dire l'uso abusivo e lesivo del nome altrui. Per altro, la Corte, dopo tale enunciazione di diritto
e nonostante essa, ha fatto dipendere l'esito della causa dalla indagine volta alla ricostruzione delle frasi recitate
dall'artista. Aldo Fabrizi, sia in teatro sia nel disco, per stabilirne l'attitudine offe nsiva, in astratto, ed il pregiu dizio che poteva in concreto derivarne, escludendo l'una e
l'altro. A tale ccopo è stato in effetti utilizzato tutto il
materiale di prova, diretta ed indiretta, comunque acqui sito agli atti del processo, analizzandolo partitamente e nel
suo complesso. Sicohè la domanda non è stata respinta in base alla,
regola actore non probante reus absolvitwr, come presuppone il motivo di ricorso di cui si discute, ma è stata respinta in seguito all'orarne delle prove esistenti nel processo, rego larmente esaminate e ritenute negative rispetto alla posi zione dell'attore. (Omissis)
Per questi motivi, rigetta, ecc.
I
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione 1 civile; sentenza 10 agosto 1961, n. 1953; Pres.
Lonardo P., Est. Fresa, P. M. Pedace (conci, conf.) ; Fall. Yasaturo (Avv. Minervini, De Bossi, Viola) c.
Banco di Napoli (Avv. Graziani, Ciotola).
(Conferma App. Napoli 7 luglio 1960)
II
CORTE D'APPELLO DI MILANO.
Sentenza 5 maggio 1961 ; Pres. Benedicenti P., Est.
Tedoldi ; Banca popolare di Lecco (Avv. Lillia) c.
Fall. Soc. Viscontea (Avv. Fekulano).
Fallimento Atti pregiudizievoli ai creditori Pre
scrizione dell'azione — Termine quinquennale —
Applicabilità (R. d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 67 ; cod. civ., art. 2903).
L'azione revocatoria fallimentare è soggetta al medesimo ter
mine quinquennale di prescrizione, cui è soggetta l'azione
revocatoria ordinaria. (1)
(1) È la prima volta che, a quanto consta, la Suprema corte si pronuncia in argomento. Unico precedente in termini : Trib.
Sala Consilina 18 maggio 1057, Foro it., Rep. 1958, voce Fal
limento, n. 346. La sentenza impugnata, App. Napoli 7 luglio 1960, si legge in Banca, borsa, ecc., 1961, II, 103, con nota con
traria di Laserra, Postilla sulla prescrizione della revocatoria
fallimentare secondo cui il termine di prescrizione è decennale. Dello stesso A., si veda La prescrizione della revoca fallimentare, in Dir. fallimentare, 1958, I, 170. In senso conforme alle sentenze
sopra riassunte: Picaro, Revocatoria ordinaria e fallimentare. Taranto, 1946, p g. 265 ; Azzolina, Il fallimento, Ti rino, 1953,
pag. 1129 ; Barbero, Sistema istituzionale, ecc., Torino, 1955,
IT, pag. 114. !1 Provinciali, Manuale, Milano, 1955, I, pag.
This content downloaded from 193.105.245.35 on Sat, 28 Jun 2014 09:22:10 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions