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sezione I civile; sentenza 8 luglio 1996, n. 6205; Pres. Cantillo, Est. Vitrone, P.M. Palmieri...

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sezione I civile; sentenza 8 luglio 1996, n. 6205; Pres. Cantillo, Est. Vitrone, P.M. Palmieri (concl. conf.); Soc. Montedison ed altre (Avv. Giorgianni, Casella, Mariconda, Punzi, Ribolzi, Tarzia) c. Soc. Enichem (Avv. Gambino, Arcidiacono, Bonelli, Consolo, Ranieri). Regolamento di competenza avverso Trib. Milano 27 marzo 1995 Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 9 (SETTEMBRE 1996), pp. 2713/2714-2721/2722 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23191578 . Accessed: 28/06/2014 11:07 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.120 on Sat, 28 Jun 2014 11:07:33 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 8 luglio 1996, n. 6205; Pres. Cantillo, Est. Vitrone, P.M. Palmieri(concl. conf.); Soc. Montedison ed altre (Avv. Giorgianni, Casella, Mariconda, Punzi, Ribolzi,Tarzia) c. Soc. Enichem (Avv. Gambino, Arcidiacono, Bonelli, Consolo, Ranieri). Regolamento dicompetenza avverso Trib. Milano 27 marzo 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 9 (SETTEMBRE 1996), pp. 2713/2714-2721/2722Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191578 .

Accessed: 28/06/2014 11:07

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Il principio di irretroattività della legge comporta che una

nuova legge non possa applicarsi ai rapporti giuridici anteriori

alla sua entrata in vigore, né a quelli sorti anteriormente ed

ancora in vita. Non contrasta con il principio l'applicabilità del

principio alle situazioni esistenti, o sopravvenute in un momen

to posteriore all'entrata in vigore della nuova legge, pur se de

terminate da un fatto anteriore, quando esse debbono essere

considerate a prescindere dal fatto che li ha posti in essere in

modo che attraverso tale disciplina non resti modificata la di

sciplina giuridica del fatto generatore. Quando il fatto espro

priativo sia avvenuto in epoca in cui la disciplina normativa

dell'indennizzo coinvolgeva il valore di mercato del bene, la legge successiva che regoli diversamente il rapporto in base a diffe

renti criteri ed eventualmente restringa il diritto indennitario ad

una minore entità, finisce per modificare la disciplina giuridica del fatto generatore, né può fondatamente sostenersi che la si

tuazione concernente l'indennizzo debba considerarsi distinta dal

fatto generatore di essa.

La previsione, quindi, dell'applicazione della nuova discipli na regolante l'indennità di esproprio delle aree fabbricabili alle

indennità di tale natura non ancora definite per essere in corso

le relative controversie giudiziali, ancorché il fatto indennizza

bile sia anteriore ed esaurito, integra un'ipotesi di retroattività

della nuova legge. Retroattività legittima (sent. 188/95 della Corte

costituzionale, id., 1996, I, 464), ma caratterizzata dall'eccezio

nalità. La disciplina dell'art. 5 bis ha carattere generale nei suoi

precetti sostanziali; essa ha tuttavia carattere eccezionale nella

disciplina del suo 7° comma relativa all'applicabilità ai procedi menti in corso, anche se relativi a fatti generatori anteriori al

l'entrata in vigore della legge. Se ciò è vero, ne deriva che l'art. 5 bis, che dispone soltanto

per l'indennità di esproprio e sui criteri per la sua determinazio

ne, non può essere analogicamente applicata alle indennità di

occupazione legittima di un fondo, in particolare quando l'oc

cupazione sia fatto costitutivo del diritto all'indennizzo conclu

so in periodo anteriore all'entrata in vigore della nuova discipli na normativa.

D'altronde, anche sul piano logico, oltre che su quello della

sequenza storica degli eventi, può non realizzarsi coincidenza

concettuale tra indennità di esproprio ed indennità da occupa zione legittima, quando la seconda, pur funzionalmente colle

gata alla prima, abbia presupposti con essa non coincidenti,

posto che il terreno interessato all'esecuzione dell'opera pubbli ca possa essere interamente occupato, ma non espropriato, o

non interamente espropriato. Non varrebbe sostenere in contrario (tesi svolta in udienza

dalla difesa del comune di Cagliari) che il mancato aggancio delle due indennità (di esproprio e di occupazione) al medesimo

valore di base, finirebbe per avvantaggiare illogicamente il pro

prietario nella fase di occupazione rispetto a quella espropriati va. L'oservazione, che può avere una logica coerenza nel caso

di contemporanea applicazione della stessa disciplina normativa

alle due situazioni, non regge quando in due tempi diversi, a

due distinte situazioni siano applicabili due criteri non identici.

Basti ricordare che il criterio equitativo di indennizzo dell'occu

pazione, sulla base dell'interesse legale applicato ad un valore

capitale di base, corrisponde al concetto, come già rilevato, di

corrispondere al proprietario i frutti che egli avrebbe percepito se gli fosse stata corrisposta, al momento dell'occupazione, una

somma pari al valore del bene. Se ciò è vero, deve ritenersi

altrettanto conseguente che il valore del bene, secondo le leggi

vigenti al momento dell'occupazione, avrebbe dovuto comun

que essere determinato in base al valore venale, per cui è ben

compatibile con la successione di leggi nel tempo che un evento

anteriore sia determinato in base ad un criterio distinto rispetto

a quello applicabile ad un evento diverso posteriore (l'espro

priazione, il cui provvedimento nella specie non risulta essere

stato emesso). II motivo pertanto va rigettato. III. - Con il terzo mezzo di cassazione il comune ricorrente

deduce l'errata valutazione degli atti di causa, la carenza ed

inidoneità della motivazione, la violazione di legge con riferi mento all'art. 360, n. 3, c.p.c. ed all'art. 200, 1° comma, r.d.

1775/33. La doglianza coglie la sentenza di secondo grado nel punto

in cui, ritenendo la pronuncia di primo grado affetta da un

Il Foro Italiano — 1996.

errore materiale, ha elevato il valore globale del fondo e, conse

guentemente, l'indennizzo da occupazione. Poiché i giudici del merito si sono basati, nelle loro valuta

zioni, sulle emergenze del c.t.u., il Tribunale superiore delle ac

que pubbliche non ha rilevato che la c.t.u. non ha determinato

il valore unitario del bene, ma solo il valore globale. È stato

il giudice di primo grado che ha determinato il valore unitario

dividendo il valore globale per la superficie dell'area. Se quindi, il punto fisso dell 'iter logico seguito era il valore globale, l'erro

re di calcolo attineva alla divisione di detto valore per i metri

quadrati di superficie, per cui non pareva logicamente legittima

l'operazione inversa.

La doglianza è ammissibile nel punto in cui, evidenziando

un vizio logico nella ricostruzione matematica della base (il va

lore del fondo elevato dal giudice di secondo grado da lire

1.163.800.000 a lire 1.307.670.000), su cui calcolare l'indenniz

zo, non deduce a doglianza un rilievo su situazione di fatto, ma un vizio essenziale nella logica ricostruttiva delle componen ti poste a base della valutazione finale; vizio che non individua

una distinta linea logica cui la corte del merito si sarebbe atte

nuta e come tale da rispettare nei limiti della disciplina impu

gnativa dell'art. Ill Cost., ma la mancanza di una qualsiasi linea logica accettabile.

Ed invero, il Tribunale superiore delle acque rilevò esatta

mente un errore di mero calcolo in cui era incorso il tribunale

regionale, indicando in lire 1.163.800.000 il valore totale del

terreno pacificamente esteso mq 28.740 ed in lire 40.500 il valo

re dello stesso terreno al mq. I due dati non erano comparabili in quanto, se restava fermo il valore globale, quello unitario

avrebbe dovuto essere 45.500; se fosse rimasto fermo il valore

unitario, quello globale avrebbe dovuto elevarsi a lire

1.307.670.000. Il Tribunale superiore delle acque, senza ade

guata motivazione ritenne pacificamente che il valore unitario

dovesse precedere quello globale e determinarlo, senza valutare

che il procedimento logico seguito dal tribunale regionale era

stato esattamente inverso. Detto organo aveva assunto a valore

globale quello indicato nella c.t.u. (nella quale il valore unitario

di lire 40.500 non era per nulla indicato), e solo incidentalmente

aveva calcolato il valore unitario. L'errore di calcolo, quindi,

pur esistente, non entrava per nulla nella logica del computo del valore globale, la cui rettifica in secondo grado pertanto non corrispondeva ad una linea logica corretta e percepibile.

Conseguente è l'accoglimento del terzo motivo di ricorso. La

cassazione della sentenza del Tribunale superiore delle acque

pubbliche, pertanto, deve avvenire senza rinvio, rimanendo va

lide le determinazioni dell'indennità già fissata dal Tribunale

regionale per le acque pubbliche della Sardegna. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 8 luglio

1996, n. 6205; Pres. Cantillo, Est. Vitrone, P.M. Palmieri

(conci, conf.); Soc. Montedison ed altre (Avv. Giorgianni,

Casella, Mariconda, Punzi, Ribolzi, Tarzia) c. Soc. Eni

chem (Avv. Gambino, Arcidiacono, Bonelli, Consolo, Ra

nieri). Regolamento di competenza avverso Trib. Milano 27

marzo 1995.

Arbitrato e compromesso — Arbitrato rituale — Identica con

troversia — Contemporanea pendenza avanti gli arbitri e il

tribunale — Incompetenza del tribunale — Condizioni.

La devoluzione al tribunale della cognizione della stessa contro

versia già incardinata avanti il costituito collegio arbitrale ri

tuale impone al giudice ordinario di dichiarare la propria in

competenza, in presenza della tempestiva proposizione della

relativa eccezione da parte dei convenuti. (1)

(1) Con l'affermazione riassunta in massima la corte si discosta dal

suo precedente orientamento, espresso dalle pronunzie richiamate in mo

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2715 PARTE PRIMA 2716

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato

il 30 luglio 1993 la Montedison s.p.a., la Ateca Finanziaria s.r.l., la Montecatini s.p.a. e la Clediafin s.r.l. esponevano:

— che con contratto denominato di vendita acquisto, sotto

scritto il 19 novembre 1990 dall'Eni e il 22 novembre successivo

dal gruppo Montedison, era stata convenuta la risoluzione della

convenzione del 15 dicembre 1988 istitutiva di Enimont e la

cessione dei pacchetti azionari di uno dei due soci all'altro, se

condo un meccanismo che aveva operato nel senso che le azioni

del gruppo Montedison erano state acquistate dall'Eni;

tivazione, ora definito esplicitamente «tralaticio», per il quale, nel caso

di contemporanea pendenza della medesima controversia avanti l'auto

rità giudiziaria e gli arbitri rituali, il giudice ordinario non poteva di

chiarare la litispendenza ma doveva o negare la propria competenza,

nell'ipotesi di ritenuta sussistenza di quella arbitrale, o, in caso contra

rio, dichiararsi competente e decidere la causa nel merito. Il ridetto

orientamento, collegato al principio secondo cui ogni giudice è giudice della propria competenza (principio che, contrariamente a quanto af

fermato dalla prima sezione civile, risulta ribadito anche nella motiva zione della citata Cass. 28 marzo 1991, n. 3361, Foro it., Rep. 1992, voce Arbitrato, n. 104, per esteso, con nota di Fadel, in Giur. it., 1992, I, 1, 552, dopo l'attribuzione alla clausola compromissoria del l'effetto processuale di sottrarre al giudice ordinario la cognizione di una o più controversie con la conseguente devoluzione di esse al giudice

privato) non è, invero, ad avviso della sentenza in rassegna, invocabile allorché la questione di competenza si delinei dopo la costituzione del

collegio arbitrale, perché in tal caso «il giudice dinanzi al quale sia

portata la medesima controversia deve limitarsi a prendere atto che le

parti hanno già dato concreta attuazione all'accordo derogatorio della

competenza dell'autorità giudiziaria, e astenersi da ogni ulteriore accer tamento in ordine all'esistenza e al valido conferimento della potestas iudicandi in favore degli arbitri, ai quali resta attribuita in via esclusiva la verifica dei propri poteri». E la soluzione attualmente propugnata dalla corte, nella quale riecheggiano, in particolare, i rilievi e le consi derazioni a suo tempo svolti da Colesanti, Cognizione sulla validità de! compromesso in arbitri, in Riv. dir. proc., 1958, 1, 244, a commen to di Cass. 27 luglio 1957, n. 3167, Foro it., 1957, I, 1618, con nota di richiami, se, per un verso, trova un significativo punto di riferimento nelle considerazioni recentemente formulate da Fazzalari [(Briguglio, Fazzalari, Marengo, La nuova disciplina dell'arbitrato, Giuffrè, Mi

lano, 1994, 144), ad illustrazione dell'art. 819 bis c.p.c. (introdotto dal l'art. 11 1. 5 gennaio 1994 n. 25), abolitore del principio dell'assorbi mento della competenza arbitrale in quella del giudice ordinario nel caso di connessione tra controversia avanti gli arbitri e giudizio dinanzi a quest'ultimo: in argomento, tra le altre, Cass. 25 gennaio 1995, n.

874, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 99; 22 ottobre 1991, n. 11197, id., 1992, I, 1623, con nota di richiami] per il quale «il giudice ordina rio può essere spogliato mediante tempestivo esercizio della exceptio compromissi» (la cui omissione determina la prosecuzione del processo statale fino alla pronuncia, ma non far venir meno il patto compromis sorio, in base al quale la parte può instaurare il procedimento arbitrale che prosegue anch'esso, parallelamente al giudizio ordinario, finché uno dei due non si concluda con una statuizione definitiva: Coli. arb. Lucca 30 novembre 1993, id., Rep. 1994, voce cit., n. 105, per esteso, con nota di Marengo, in Riv. arbitrato, 1994, 343), per altro verso, non

appare del tutto in linea con altre pur recenti opinioni dottrinali. Secon do Ricci e Ruosi, Legge 5 gennaio 1994 n. 25, Cedam, Padova, 1995, 113-114, ad es., si pone ancora oggi nei medesimi termini di un tempo il problema, finora risolto negativamente, dell'invocabilità dell'art. 39

c.p.c. nei rapporti tra arbitrato e processo civile ordinario. Da un lato, dunque, — per i ricordati a. — nemmeno anteriormente alla riforma

gli arbitri hanno trovato un ostacolo ai loro poteri nella precedente proposizione della controversia avanti il giudice togato; dall'altro lato,

quest'ultimo non ha trovato ostacolo ai propri poteri nella preventiva proposizione della controversia avanti gli arbitri. Il principio — per Ricci e Ruosi — è stato sempre nel senso che sia l'arbitro sia il giudice togato deve risolvere autonomamente il problema, se la controversia sia o non sia investita dall'accordo compromissorio, per ricavare le op portune conseguenze circa i propri poteri. L'estraneità della controver sia all'oggetto dell'accordo compromissorio — per i ridetti a. — è dun

que l'unico motivo, per il quale l'arbitro può e deve rifiutare l'esame del merito; mentre l'appartenenza della controversia all'oggetto dell'ac cordo compromissorio è l'unico motivo, per il quale l'esame del merito

può essere rifiutato dall'autorità giudiziaria. Ancora più peculiare si

rivela, poi, la posizione di La China, L'arbitrato - Il sistema e l'espe rienza, Giuffrè, Milano, 1995, 44, per il quale, nel caso di contempora nea adizione della via arbitrale e di quella giudiziaria, «il concorso e conflitto di procedure non è nell'ordinamento interno italiano evitabile — salvo il molto problematico ricorso all'art. 700 c.p.c. per inibire all'arbitro di procedere finché la sua convenzione arbitrale è contestata avanti il giudice — e l'unica remora a crearne di proposito la coesisten

II Foro Italiano — 1996.

— che nel suddetto contratto era stato espressamente previsto che conservassero vigore, tra l'altro, le garanzie prestate dalle

parti in relazione agli apporti rispettivamente effettuati a suo

tempo in Enimont, e che le controversie derivanti dal contratto

sarebbero state deferite ad un collegio arbitrale che avrebbe pro ceduto ad arbitrato rituale di diritto;

— che tali garanzie riguardavano: le conseguenze della non

conformità alla normativa ecologico-ambientale di natura pena le e amministrativa di taluni impianti conferiti in Enimont; gli

obblighi di indennizzo a carico delle ricorrenti per danni a terzi; le obbligazioni risarcitorie per inadempimento all'obbligo di ve

ridicità, esattezza e completezza dei dati relativi alla conformità

degli impianti alla normativa ambientale; l'inesistenza di debiti

e passività ulteriori rispetto a quelle risultanti in sede di appor

to; infine, altri vari obblighi che sarebbero rimasti inadempiuti; — che alla fine del 1990 le parti avevano concordato la nomi

na dei rispettivi arbitri e la costituzione del collegio arbitrale

si era completata in data 12 marzo 1991, come da relativo

verbale; — che con lettera del 27 giugno 1991, sottoscritta sia dall'Eni

che dall'Enichem (già Enimont) — che però non era parte del

contratto di vendita acquisto contenente la clausola compromis soria — era stata effettuata, con richiamo alle garanzie prestate dalle società venditrici, tutta una serie di contestazioni, all'esito

delle quali erano state specificate le richieste di indennizzo avan

zate nei confronti delle danti causa; — che con lettera sottoscritta nei giorni 2, 3 e 11 giugno

1992 sia dal gruppo Eni che dal gruppo Montedison era stata

comunicata al collegio arbitrale costituito con verbale del 12

marzo 1991 in forza dell'art. 22 del contratto di vendita acqui sto la volontà concorde di sottoporre al suo giudizio ogni con

trovesia connessa o derivante dalle garanzie previste come da

convenzione Eni-Montedison all'atto e in conseguenza degli ap

porti in Enimont (attualmente Enichem), ed ogni altra relativa

all'interpretazione, esecuzione, validità ed efficacia delle garan zie stesse;

— che il giudizio arbitrale fra tutte le parti aveva avuto inizio

in data 7 luglio 1992, come risultava dal relativo verbale di udien

za, sui numerosi quesiti formulati da Eni ed Enichem, ed era

tuttora pendente. Tutto ciò premesso le società attrici convenivano in giudizio

dinanzi al Tribunale di Milano l'Eni s.p.a. e l'Enichem s.p.a.

per sentir dichiarare che la lettera in data 2-3-11 giugno 1992

non costituiva né un compromesso, né una clausola compro missoria idonea a sottoporre la controvesia al giudizio del colle

gio arbitrale; che in ogni caso le pretese avanzate da Eni ed

Enichem non erano per loro natura compromettibili; che, in

subordine, le domande erano improponibili per intervenuta ri

nuncia o decadenza o prescrizione; che, previa sospensione del

processo in attesa della definizione dei giudizi penali in corso

relativi alle problematiche ecologiche e di altre cause civili aven

ti natura pregidiziale, venissero respinte tutte le pretese credito

rie di Eni ed Enichem, con condanna dei convenuti a varie som

me per causali diverse.

Costituitesi in giudizio, le società convenute eccepivano preli minarmente l'incompetenza del giudice adito in dipendenza del

patto compromissorio stipulato fra le parti e della cognizione

za sta, per ora, nel timore di perdere o la causa o l'arbitrato, che do vrebbe distogliere la parte la cui posizione giuridica è più debole dall'at tivare l'una procedura mentre è già in corso o sta per avviarsi l'altra, allo scopo di intralciare quella che meno le conviene».

Resta solo da aggiungere, a questo punto che, la prima sezione civile, cedendo ancora una volta a fuorviami ed ultronee suggestioni didascali

che, ha richiamato l'art. 16 1. 10 dicembre 1981 n. 741, che ha ritenuto esclusivo di ogni possibilità di deroga alla competenza arbitrale se non in via preventiva (con apposita clausola inserita nel bando o invito di

gara, ovvero nel contratto di appalto stipulato a trattativa privata), mo

strando, così, di ignorare che la Corte costituzionale, con sentenza 9

maggio 1996, n. 152, Foro it., 1996, I, 1905, con osservazioni di C. M.

Barone, aveva dichiarato illegittima la norma de qua proprio perché, attraverso la formulazione ritenuta ancora vigente dalla riportata sen

tenza, aveva finito con rendere obbligatorio l'arbitrato «in spregio al

principio, più volte ribadito, secondo cui solo a fronte della concorde e specifica volontà delle parti (liberamente formatasi) sono consentite

deroghe alla regola della statualità della giurisdizione». [C. M. Barone]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

arbitrale in corso, voluta da tutte le parti; in subordine chiede

vano il rigetto delle domande proposte dalle attrici, nei cui con

fronti riproponeva tutte le istanze che avevano costituito ogget to dei quesiti sottoposti all'esame del collegio arbitrale.

Con sentenza del 9 febbraio-27 marzo 1995 il tribunale di

chiarava l'incompetenza del giudice ordinario per essere la con

troversia devoluta agli arbitri.

Osservava il tribunale — con riferimento alla portata dell'ac

cordo contenuto nella lettera del 2, 3, 11 giugno 1992, principa le oggetto di contestazione fra le parti — che la competenza

degli arbitri a giudicare in ordine all'esistenza e alla validità

del compromesso e della clausola compromissoria e, quindi, in

ordine alla sussistenza della potestas iudicandi loro conferita

dalle parti, non escludeva la concorrente cognizione del giudice ordinario sull'esistenza e la validità del patto arbitrale, quando

egli fosse investito della risoluzione della controversia sottopo sta alla cognizione arbitrale. Tale regola doveva ritenersi ope rante anche nel caso di pendenza contemporanea del giudizio ordinario e di quello arbitrale, la quale non poteva dar luogo ad alcuna situazione di litispendenza, presupponendo questa la

contemporanea pendenza dello stesso giudizio dinanzi a giudici diversi che fossero entrambi forniti di giurisdizione ordinaria.

Ciò premesso osservava che nell'accordo in contestazione non

poteva essere ravvisata una clausola compromissoria, poiché il

contratto cui essa avrebbe dovuto essere riferita non poteva es

sere né la vendita acquisto del 1990, cui la Enichem s.p.a. era

rimasta estranea, né la convenzione istitutiva di Enimont del

1988, la quale conteneva autonoma clausola compromissoria, e che, inoltre, era rimasta travolta dalla risoluzione della con

venzione operata dalle società contraenti nel 1990. Né poteva

poi ravvisarsi nella clausola compromissoria contenuta nell'art.

22 del contratto del 1990 un contratto a favore del terzo attua

tosi con l'accettazione di Enichem, poiché tale costruzione giu ridica risultava del tutto estranea alla reale volontà delle parti.

Neppure, infine, poteva essere considerata come clausola com

promissoria un accordo stipulato con riferimento ad un conten

zioso già attuale e dopo l'avvenuta costituzione del collegio ar

bitrale: l'accordo in questione doveva essere invece interpretato

quale compromesso, senza che a ciò potessero ostare l'eccepita indeterminatezza dell'oggetto e la non compromettibilità delle

controversie in atto fra le parti. A tal proposito la ricostruzione

dell'effettiva volontà negoziale — premessa la impossibilità di

ogni convalida di un compromesso nullo ad opera di scritture

successive che non fossero di tal portata da integrare, autono

mamente, un nuovo patto arbitrale — consentiva di ritenere

che il testo contenuto nella lettera di adesione del giugno del

1992 non era formulato in maniera da escludere la riferibilità

dell'accordo alle controversie in corso tra gli stessi sottoscritto

ri, le quali avevano avuto il loro momento di maggior rilievo

nella lettera di contestazioni inviata da Eni ed Enichem il 27

giugno 1991 ed erano continuate con successive comunicazioni

tra le parti relative ai procedimenti penali pendenti e al conten

zioso amministrativo in corso. A tali rilievi poteva poi aggiun

gersi l'invio della lettera-compromesso al collegio arbitrale e tutte

le ulteriori attività successivamente poste in essere, conclusesi

con l'intervento di ciascuna delle parti alla riunione del 7 luglio 1992 dinanzi al collegio arbitrale, preceduto da formale convo

cazione e deposito di regolari procure per la rappresentanza pro cessuale e la difesa tecnica.

Tale successione di fatti consentiva di ritenere che la scrittura

del 2, 3, 11 giugno 1992 non era intervenuta prima che insor

gessero rapporti contenziosi fra le parti ma aveva in realtà inci

so su rilevantissime controversie la cui consistenza e attualità

al giugno del 1992 era confermata dalla pronta successiva atti

vazione del procedimento arbitrale. E del resto, tenuto conto

dei canoni di ermeneutica contrattuali applicabili anche nell'in

terpretazione del compromesso, l'esame del comportamento com

plessivo delle parti anche posteriore alla sua conclusione e l'ap

plicazione del canone fondamentale che impone di interpretare la volontà dei contraenti secondo buona fede, indicavano chia

ramente che i sottoscrittori avevano ben presente al momento

della stipulazione del patto arbitrale l'oggetto delle controversie

in corso, relative alla operatività delle garanzie per gli apporti di Montedison in Enimont, e ciò consentiva di affermare la de

terminabilità dell'oggetto del compromesso. Per quanto attene

va poi alla asserita non compromettibilità della massima parte delle controversie deferite agli arbitri, la causa petendi dedotta

Il Foro Italiano — 1996.

in giudizio non era costituita dalla violazione delle norme am

bientali, ma solo dalle conseguenze giuridico-patrimoniali della

violazione delle garanzie contrattuali, rispetto alla quale la con

formità degli impianti alla normativa ambientale veniva in con

siderazione solo quale res facti.

E, quand'anche si fosse ritenuto che la questione relativa al

l'accertamento della conformità degli impianti alla normativa

ambientale integrasse gli estremi di una questione pregiudiziale non conoscibile dagli arbitri, l'effetto processuale che ne sareb

be conseguito sarebbe stato quello della mera sospensione del

procedimento arbitrale e non la devoluzione dell'intera contro

vesia al giudice ordinario, il quale nella medesima situazione, non avrebbe potuto comportarsi diversamente in presenza di

cause pregiudiziali esorbitanti dalla sua competenza. Contro la sentenza hanno proposto regolamento di compe

tenza affidato a tre motivi la Montedison s.p.a., la Ateca Fi

nanziaria s.r.l., la Montecatini s.p.a. e la Cladiafin s.r.l. Han

no depositato memoria l'Eni s.p.a. e l'Enichem s.p.a. Il pubbli co ministero ha depositato le sue conclusioni in data 2 dicembre

1995. Le società ricorrenti hanno replicato con memoria.

Motivi della decisione. — Va preliminarmente dichiarata l'ir

ricevibilità della seconda memoria depositata dalle ricorrenti, non essendo consentito il deposito di memorie di replica nel

procedimento regolato dall'art. 47 c.p.c. Con i tre motivi articolati in ricorso si denuncia, rispettiva

mente, la violazione degli art. 806 e 807 c.p.c. per essere stato

erroneamente ravvisato nell'accordo delle parti un compromes

so, benché l'esame del testo dello stesso non consentisse, di per sé solo, di pervenire alla determinabilità dell'oggetto del con

tratto (primo motivo); la violazione degli art. 9, 38, 817 e 829

c.p.c., per essere stata applicata la disciplina della competenza arbitrale in una fattispecie in cui era in questione la nullità o

addirittura l'inesistenza del compromesso, con esclusione di ogni

potestas iudicandi degli arbitri (secondo motivo); infine, la vio

lazione e la falsa applicazione degli art. 806, 819, 34, 295 c.p.c., 75 c.p.p. e 1966 c.c. per non aver la sentenza impugnata consi

derato che né il giudice civile né, meno che mai, l'arbitro, pos sono conoscere delle conseguenze civili dell'illecito penale o am

ministrativo se non quando essi siano incontroversi o siano già stati accertati in sede propria con pronuncia definitiva (terzo

motivo). Il ricorso non può trovare accoglimento e la sentenza impu

gnata dev'essere confermata, previa doverosa correzione e inte

grazione della sua motivazione in applicazione del disposto del

l'art. 384, 2° comma, c.p.c., la cui disciplina opera anche nel

giudizio di cassazione relativo ad istanza di regolamento neces

sario di competenza (per un lontano precedente: Cass. 21 feb

braio 1949, n. 312, Foro it., Rep. 1949, voce Produzione nazio

nale, n. 13). Premesso che non è dato dubitare dell'esperibilità di tale mezzo

di impugnazione avverso la sentenza che declini la competenza in favore di arbitri nel presupposto del carattere rituale dell'ar

bitrato, e indipendentemente da ogni controllo sulla correttezza

dell'individuazione della natura del compromesso (Cass. 31 lu

glio 1986, n. 4902, id., Rep. 1986, voce Competenza civile, n. 119), vanno tuttavia evidenziati gli aspetti peculiari che il rego lamento necessario di competenza viene ad assumere quando

l'incompetenza del giudice adito sia causata da un accordo de

rogatorio con il quale le parti abbiano deferito ad arbitri la

decisione della controversia.

La sentenza della Cassazione che statuisce sulla competenza non è infatti vincolante per gli arbitri, nei cui confronti non

è ipotizzabile alcuna prosecuzione del processo, poiché la sua

portata si esaurisce nell'accertamento, in via definitiva, dell'esi

stenza di una deroga alla competenza dell'autorità giudiziaria: ciò non comporta infatti alcuna preclusione per il collegio arbi

trale, costituendo o già costituito, in ordine alla verifica della

propria legittimazione a pronunziarsi sulla controversia ad essi

deferita dai compromittenti, né, d'altro lato, impedisce che il

lodo da essi emesso possa essere impugnato per nullità del com

promesso, e cioè per motivi che escludono il valido conferimen

to agli arbitri del potere di decidere la controversia insorta fra

le parti (art. 829, n. 1, c.p.c.). La diversa funzione alla quale assolve il regolamento necessa

rio di competenza allorquando la questione sottoposta all'esa

me della corte regolatrice consista non già nell'individuare in

via definitiva quale sia il giudice competente a conoscere della

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2719 PARTE PRIMA 2720

controversia, ma ad accertare, invece, se la competenza appar

tenga al giudice adito ovvero non appartenga ad alcun giudice a causa dell'accordo derogatorio all'uopo stipulato fra le parti,

impone di investigare quali modifiche subisca la disciplina det

tata dal codice di rito nell'ipotesi in cui — come nella specie — la medesima controversia penda contemporaneamente dinanzi

al giudice e dinanzi agli arbitri. La sentenza impugnata ha risolto il problema prestando ade

sione all'orientamento tralaticio secondo cui la regola generale

per la quale gli arbitri sono tenuti a giudicare sulla propria «com

petenza», e cioè ad accertare l'esistenza, la validità e la esatta

portata del compromesso o della clausola compromissoria, non

vale ad escludere la concorrente cognizione del giudice ordina

rio sulla questione dell'esistenza e della validità del patto com

promissorio, quand'anche il giudizio arbitrale sia già stato in

staurato.

Il consolidato orientamento giurisprudenziale, cui si richiama

con dovizia di riferimenti la sentenza impugnata, si fonda es

senzialmente sulla considerazione che la litispendenza trova il

suo criterio regolatore nel princicpio di prevenzione, il quale

presuppone l'esistenza di due giudici dotati di pari competenza

istituzionale, e ciò esclude che possa darsi litispendenza tra un

giudizio pendente davanti all'autorità giudiziaria e un giudizio instaurato davanti ad arbitri: in tal caso il contrasto non può essere risolto in base alla priorità della proposizione della do

manda, ma dev'essere risolto, invece, sulla base dell'esistenza, della validità e dei limiti del compromesso o della clausola com

promissoria. Ciò perché, secondo la disciplina normativa all'e

poca vigente, la proposizione della domanda davanti al collegio arbitrale non poteva produrre gli stessi effetti della domanda

proposta davanti al giudice, tenuto conto del fatto che il proce dimento arbitrale acquistava carattere giurisdizionale solo col

decreto del pretore che dichiarava l'esecutività del lodo, trasfor

mandolo in sentenza arbitrale; da ciò conseguiva che, in attesa

che il procedimento arbitrale acquistasse retroattivamente, fin

dalla sua instaurazione, carattere giurisdizionale, non poteva ri

conoscersi alla proposizione della domanda davanti agli arbitri

gli stessi effetti di quella proposta davanti agli organi giurisdi

zionali, sicché il giudice adito non poteva limitarsi a dichiarare

la litispendenza, ma era tenuto a declinare la propria competen za se ravvisava quella del collegio arbitrale, ovvero, in caso con

trario, doveva riconoscere la propria competenza a decidere nel

merito la controversia (Cass. 9 maggio 1956, n. 1504, id., Rep.

1956, voce Diritti promiscui, n. 47; 17 aprile 1968, n. 1143,

id., Rep. 1968, voce Opere pubbliche, n. 200; 28 gennaio 1970, n. 177, id., Rep. 1970, voce Competenza civile, n. 256; 4 aprile

1979, n. 1943, id., Rep. 1979, voce cit., n. 149. Tra le sentenze

citate nella sentenza impugnata inconferente appare però il ri

chiamo a Cass. 28 marzo 1991, n. 3361, id., Rep. 1992, voce

Arbitrato, n. 104, trattandosi di decisione resa su una contro

versia nella quale il giudizio arbitrale non era stato ancora in

staurato, poiché una parte, dopo aver ricevuto la notificazione

della nomina dell'arbitro effettuata dalla controparte, aveva im

mediatamente proposto un'azione di mero accertamento della

nullità della clausola compromissoria, senza dedurre peraltro in giudizio alcuna controversia in ordine alle situazioni soggetti ve sostanziali in contestazione).

L'orientamento suddetto, non solo si è formato in tempi or

mai remoti, ben lontani dalla evoluzione della normativa in te

ma di arbitrato (la quale non rileva, tuttavia, agli effetti della

decisione del regolamento necessario di competenza in esame), ma neppure mostra di aver recepito le distinzioni prospettate dalla dottrina del tempo, formulate sia nel contesto delle opere

specialistiche, sia nelle note pubblicate nelle più correnti riviste

giuridiche. Non può infatti negarsi che il principio secondo cui ogni giu

dice è giudice della propria competenza non opera con i medesi

mi effetti se la questione di competenza sorga anteriomente alla

costituzione del collegio arbitrale ovvero dopo la sua costituzione.

Nel primo caso non può dubitarsi che il giudice adito, dinan

zi al quale sia stata eccepita la pregressa stipulazione di un ac

cordo derogatorio della competenza, sia tenuto a pronunciarsi sulla propria competenza, declinandola a favore degli arbitri, ovvero dichiarandola e pronunziando nel merito: se si verifica

tale ipotesi non può determinarsi alcun conflitto potenziale di

giudicati, poiché le parti non procederanno, ovviamente, alla

Il Foro Italiano — 1996.

costituzione del collegio arbitrale sin quando non sia divenuta

definitiva la pronuncia sulla competenza del giudice adito.

Nel caso, invece, in cui gli arbitri siano già stati investiti della

controversia non si pone più la questione dell'esistenza della

validità e della portata dell'accordo compromissorio, ma solo

quella della legittimazione degli arbitri a decidere tutte le que stioni sottoposte al loro giudizio e, preliminarmente, ad accer

tare l'esistenza di un valido accordo compromissorio che fondi

la loro potestas iudicandi.

Verificandosi tale ipotesi, il giudice dinanzi al quale sia por tata la medesima controversia deve limitarsi a prendere atto che

le parti hanno già dato concreta attuazione all'accordo deroga torio della competenza dell'autorità giudiziaria, e astenersi da

ogni ulteriore accertamento in ordine all'esistenza e al valido

conferimento della potestas iudicandi in favore degli arbitri, ai

quali resta attribuita in via esclusiva la verifica dei propri poteri. Ciò perché, se si ammette che sia il giudice, sia il collegio

arbitrale possano pervenire contestualmente ad affermare la pro

pria competenza, si determina la possibilità che le parti, nel

vigore della attuale disciplina, si trovino contemporaneamente vincolate all'osservanza di un lodo, eventualmente esecutivo e

definitivo, e da una sentenza passata in giudicato che hanno

deciso in maniera difforme la medesima controversia, mancan

do qualsiasi disciplina dei rapporti tra giudizio ordinario e pro cedimento arbitrale che possa apprestare rimedi preventivi. Non

vale infatti invocare il rimedio approntato dall'art. 829, n. 8,

c.p.c., che sanziona di nullità il lodo che sia contrario a un

precedente lodo non più impugnabile o a precedente sentenza

passata in giudicato fra le parti, purché la relativa eccezione

sia stata dedotta nel giudizio arbitrale, poiché, come si è già

rilevato, il giudizio contenzioso ordinario segue di norma l'in

staurazione del procedimento arbitrale e ciò non consente di

ipotizzare la proponibilità dell'eccezione di giudicato dinanzi agli

arbitri, attesa la diversa durata dei due procedimenti; sicché si

avrà un giudicato formatosi in epoca successiva all'acquisto della

definitività da parte del lodo, senza che a ciò possa porsi rime

dio attraverso l'impugnazione per revocazione ai sensi dell'art.

395, n. 5, c.p.c., che è chiamata a dirimere un conflitto fra

giudicati e non quello tra una sentenza passata in giudicato e

un lodo non impugnato e non più impugnabile.

Né, del resto, l'esistenza dell'ipotizzato conflitto può essere

negata attribuendo prevalenza alla decisione dei giudici, avente

forza di giudicato, sul lodo definitivo, che resta pur sempre un atto di autonomia privata, ancorché dotato, in ipotesi, di

efficacia esecutiva, poiché ciò implicherebbe il riconoscimento

in favore di ciascuna delle parti dell'accordo compromissorio, di una sorta di ius poenitendi che le consentirebbe di sottrarsi

unilateralmente agli effetti dell'accordo derogatorio senza alcun

limite di tempo, in assenza di un meccanismo analogo a quello

previsto dall'art. 47 del capitolato generale di appalto per le

opere di competenza del ministero dei lavori pubblici (d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1063), nel testo vigente prima della modifica

introdotta dall'art. 16 1. 10 dicembre 1981 n. 741, che ha esclu

so ogni possibilità di deroga alla competenza arbitrale se non

in via preventiva, con apposita clausola inserita nel bando o

invito di gara, ovvero nel contratto di appalto stipulato a trat

tativa privata.

E, poiché secondo la normativa attualmente vigente a seguito delle modifiche di cui alla 1. 5 gennaio 1994 n. 25, il lodo vinco

la le parti sin dalla sua emanazione, indipendentemente dalla

sua esecutività (mentre anteriormente l'attività degli arbitri ac

quistava rilevanza nel mondo del diritto solo dopo il decreto

di esecutività del pretore, restando, prima di tale momento, as

solutamente improduttiva di effetti giuridici), viene ad assume

re ancor maggiore validità l'orientamento dottrinale formatosi

prima che avesse inizio l'evoluzione normativa dell'istituto, e

deve perciò essere ribadito che la costituzione del collegio arbi

trale sottrae al giudice ordinario ogni potere di deliberare in

ordine all'esistenza, alla validità e alla portata dell'accordo de

rogatorio della sua competenza, restando tale accertamento af

fidato in via esclusiva agli arbitri, la cui pronuncia sarà suscetti

bile di impugnazione per nullità qualora dovesse essere eccepita la mancanza della loro potestas iudicandi per qualsiasi motivo

che comporti carenza dell'investitura da parte dei privati con

traenti.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

In conclusione, la pronuncia declinatoria di competenza che

forma oggetto del regolamento necessario proposto dalle quat tro società ricorrenti si giustifica non già per la constatata sti

pulazione di un valido compromesso fra tutte le parti in causa, bensì per il solo fatto che deve ritenersi preclusa alle parti, che

abbiano provveduto all'instaurazione del procedimento arbitra

le, la proposizione della medesima domanda dinanzi al giudice ordinario affinché si pronunci nel merito dopo aver accertato

l'inesistenza o la nullità dell'accordo compromissorio posto a

fondamento dell'avvenuto deferimento ad arbitri della contro

versia tra esse insorta.

La ricostruzione dei rapporti fra giudizio ordinario e giudizio arbitrale che emerge dalle considerazioni che precedono com

porta perciò il rigetto dei primi due motivi di ricorso e l'assor

bimento dell'esame del terzo, avente natura subordinata.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 21 giugno

1996, n. 5768; Pres. Borruso, Est. Rovelli, P.M. Martone

(conci, conf.); Soc. Gastaldi International (Avv. Porretta,

Sorrentino) c. Soc. Alitalia; Soc. Alitalia (Avv. P. Guerra,

Balestra) c. Soc. Gastaldi International. Conferma App. Ge

nova 20 marzo 1992.

Trasporto marittimo e aereo, noleggio e locazione di nave e

di aeromobile — Consegna in difformità — Termine di deca

denza breve — Applicabilità (L. 19 maggio 1932 n. 841, ap

provazione della convenzione per l'unificazione di alcune re

gole sul trasporto aereo internazionale, stipulata a Varsavia

il 12 ottobre 1929, art. 26).

La decadenza breve prevista dall'art. 26 della convenzione di

Varsavia si applica ad ogni ipotesi di consegna non conforme al titolo di trasporto. (1)

Svolgimento del processo. — Con l'atto introduttivo, la Ga

staldi International s.r.l. conveniva davanti al Tribunale di Ge

nova l'Alitalia linee aeree s.p.a., esponendo che: — con lettera di vettura aerea del 25 febbraio 1984, Alitalia

aveva assunto il trasporto a Lusaka di sedici casse di materiale;

(1) La Suprema corte ripropone, con riferimento all'art. 26, n. 2, della convenzione di Varsavia, la «nozione lata ed estensiva» del termi

ne «avaria», così come era già avvenuto in Cass. 20 novembre 1990, n. 11202, Foro it., Rep. 1991, voce Trasporto marittimo e aereo, n.

98 (per esteso in Giust. civ., 1991, I, 929). Si è infatti considerato che

la previsione del termine breve sia atta a «produrre l'effetto di superare la presunzione che la merce sia giunta a destino e riconsegnata in buo no stato e conformemente al titolo di trasporto», con la conseguenza che «non solo la consegna in cattivo stato, ma anche in difformità ri

spetto al titolo di trasporto, rappresenta quella avaria che deve essere

fatta rilevare dal ricevitore mediante la tempestiva protesta, a pena di

decadenza dell'azione di responsabilità contro il vettore aereo». Questo

perché, appunto, il ricevitore è in grado di percepire ogni difformità

tra merce a lui consegnata e merce inventariata nel titolo di trasporto. Alla luce di tali considerazioni, è possibile apprezzare la ratio delle

decisioni che precludono al danneggiato la possibilità di proporre azio

ne per il risarcimento dei danni, nei casi di ricezione della merce senza

reclamo proposto nei termini stabiliti dalle condizioni generali del vet

tore aereo: v. Trib. Cagliari 9 gennaio 1991, Foro it., Rep. 1993, voce

cit., n. 87, e Dir. trasporti, 1993, 117, con nota di Piras.

Inoltre, vista la frequenza dei traffici odierni, il binomio «nozione

ampia di avaria - termine breve di decadenza» appare in linea con l'o

nere a carico del vettore per l'esonero da responsabilità in caso di per dita o danni alla merce: un termine lungo contribuirebbe a rendere ar

due l'individuazione della causa del danno e la dimostrazione della sua

eventuale non imputabilità al vettore stesso (v. Trib. Genova 30 marzo

1990, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 67, e Dir. maritt., 1991, 1073).

Il Foro Italiano — 1996.

— che, all'arrivo, una delle casse non era stata consegnata al ricevitore Star Commercial Ltd.;

— che il ricevitore aveva ceduto all'attrice i diritti derivanti

dal contratto di trasporto; — che il danno ammontava ad oltre lire 13.000.000. Chiede

va pertanto la condanna della convenuta al risarcimento del dan

no da determinarsi in corso di causa.

L'Alitalia, costituendosi eccepiva gradatamente, la carenza di

giurisdizione del giudice italiano; l'incompetenza territoriale del

l'adito tribunale; la carenza di legittimazione passiva della con

venuta; il difetto di legittimazione attiva della Gastaldi; la deca

denza di cui all'art. 454 c. nav. e la prescrizione di cui agli art. 955 e 438 c. nav.; in via subordinata, l'applicazione del

limite di responsabilità, ex art. 952 c. nav.

Il Tribunale di Genova, affermata la giurisdizione del giudice

italiano, disattesa l'eccezione di incompetenza territoriale, rico

nosciuta la legittimazione attiva della Gastaldi, accoglieva inve

ce l'eccezione di difetto di legittimazione passiva dell'Alitalia,

rigettando la domanda risarcitoria.

La Corte d'appello di Genova, adita su impugnazione della

Gastaldi rigettava l'appello sulla base di una differente motiva

zione, con sentenza depositata il 20 marzo 1992. Rilevava la

corte ligure essersi formato il giudicato interno tanto in ordine

alla giurisdizione che alla competenza, nonché sulla legittima zione attiva della Gastaldi.

Dissentiva, poi dal tribunale là dove questo aveva negato la

legittimazione passiva di Alitalia, non avendo (il tribunale) rite nuto assolto l'onere della prova della stipulazione di un con

tratto aereo in cui la compagnia di bandiera abbia assunto la

qualità di vettore ed essendo contestato in causa che la «Hill

e Delamoin» che ha rilasciato la lettera di vettura, sia local agent di Alitalia. Riteneva invece raggiunta la prova di tale riferibilità

alla rappresentata dell'attività negoziale esplicata dall'agente, in

quanto le indicazioni «Alitalia Cargo Sistem» e degli estremi

del volo AZ/QZ 1946, risultano tanto dalla lettera di vettura

originale (master air waybill), che da quella di «servizio» (Hou

se air waybill)', che l'intestazione del documento, pur in sé non

decisiva, assume rilevanza indiziaria nel senso dell'assunzione

della qualità di vettore del soggetto esercente l'attività di tra

sporto che ha predisposto il modello sul quale è emerso il tito

lo, fino a prova contraria, non data e neppure offerta da Alita

lia (dovendo altresì l'associazione delle sigle indicative di Alita

lia e Zambia airways intendersi come ricorrenza di un trasposto con pluralità di vettori, di cui solo il primo riveste verso il mit

tente la qualità di parte del contratto, responsabile dell'esatto

adempimento della prestazione vettoriale). Riteneva tuttavia fon

data l'eccezione di decadenza, prevista dall'art. 26 della con

venzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 modificata dall'art.

15 del protocollo dell'Aja del 29 settembre 1955, non risultando

che, della perdita di un collo sia stato dato dal destinatario pro testa entro il termine di giorni quattordici dal ritiro.

Precisava che «nessun reclamo risulta essere stato inviato dal

l'Alitalia in qualità di vettore entro il termine di decadenza di

quattordici giorni decorrente dal 6 marzo 1994»; e che «nessu

na rilevanza possano assumere in tal senso le comunicazioni

emesse dalla Commercial Star, e dalla Hill e Delamoin Climax

alla Zambia airways, della quale non è documentata la data

di arrivo, risulta spedita il 14 maggio 1984 (e non il 12 marzo

1984 come leggesi nella comparsa conclusionale dell'appellante) mentre la seconda, datata 12 marzo 1984, risulta pervenuta, come da timbro a inchiostro impresso sulla stessa, il 13 giugno

1984»; restando così «assorbito» il problema dell'opponibilità ad Alitalia dei reclami indirizzati a Zambia airways, né potendo ravvisarsi nella lettera indirizzata a Zambia airways dalla Hill

e Delamoin Climax di Lusaka, indicata come dstinataria nella

lettera di vettura, un riconoscimento del diritto, sia perché la

lettera non proviene da soggetto identificabile con la Hill e De

lamoin che si qualifica rappresentante di Alitalia, sia perché dal tenore di essa esula qualsiasi significato ammissivo in ordi

ne alla pretesa risarcitoria fatta valere nei confronti del primo vettore.

Avverso detta sentenza, la Gastaldi proponeva ricorso per cas

sazione, adducendo un unico articolato motivo. Resisteva Ali

talia notificando controricorso, con il quale veniva proposto ri

corso incidentale subordinato affidato a due motivi. Memoriae

utrimque.

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