sezione I civile; sentenza 8 maggio 2003, n. 6975; Pres. Graziadei, Est. Macioce, P.M. Pivetti(concl. diff.); Prefetto di Pescara e altro (Avv. dello Stato Vicoli) c. Lopez Aguirre. Cassa Trib.Pescara, decr. 22 settembre 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 2 (FEBBRAIO 2005), pp. 541/542-545/546Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200554 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
2. - L'esame dei motivi di ricorso è assorbito dalla dichiara
zione, cui questa corte deve provvedere d'ufficio, della nullità
del provvedimento impugnato, ai sensi dell'art. 161, 2° comma,
c.p.c., per le ragioni che si passa ad illustrare.
2.1. - Occorre premettere che il provvedimento impugnato ha
forma di ordinanza e, come tale, è sottoscritto dal solo presi dente del collegio, e che al processo in esame si applicano, ra
tìone temporis, le norme del codice di rito come novellato dalla
1. 26 novembre 1990 n. 353 (a successive modifiche). A seguito della sostituzione — ad opera dell'art. 55 citata 1.
353/90 — dell'art. 350 c.p.c., con la soppressione della figura dell'istruttore nel giudizio d'appello e del potere allo stesso at
tribuito di dichiarare con ordinanza l'inammissibilità, l'impro cedibilità o l'estinzione del gravame, nonché dell'abrogazione — ad opera dell'art. 89 stessa legge (come modificato dall'art.
3 d.l. 7 ottobre 1994 n. 571, convertito in 1. 6 dicembre 1994 n.
673) — dell'art. 357 c.p.c., che prevedeva il reclamo al collegio contro le ordinanze dell'istruttore dichiarative dell'inammissi
bilità, improcedibilità o estinzione dell'appello, deve ritenersi
che l'adozione di siffatti provvedimenti spetti senz'altro al col
legio (nella nuova struttura collegiale del giudizio d'appello
prevista dal nuovo testo dell'art. 350 c.p.c.: struttura applicabi le, ratione temporis, alla fattispecie in esame, nonostante la re
introdotta monocraticità del giudizio di appello davanti al tribu
nale — ad opera dell'art. 74 d.leg. 19 febbraio 1998 n. 51, che
ha ulteriormente modificato l'art. 350 c.p.c. — in virtù della
norma transitoria di cui all'art. 135, 1° comma, d.leg. cit.), il
del provvedimento impugnato, che inevitabilmente si riflette sull'esito
dell'impugnazione: in tal senso, v., specialmente, Cerino Canova, Or
dinanza, cit., e Tarzia, Profili della sentenza civile impugnabile, Mila
no, 1967, 68 ss. Una siffatta applicazione «estensiva» del principio della prevalenza
della sostanza sulla forma, inoltre, fa sì che ogni provvedimento deciso rio erroneamente emesso in forma di ordinanza o di decreto sia imman cabilmente nullo per difetto di sottoscrizione e conduca inevitabilmente all'annullamento con rinvio al giudice a quo: v. ancora Cerino Canova, Ordinanza, cit., nonché Carratta, Sul provvedimento giudiziale, cit.
Si è notato, altresì, che l'unica norma violata, quando venga erro neamente pronunciata un'ordinanza in luogo di sentenza, è l'art. 279
c.p.c., che stabilisce per l'appunto le ipotesi in cui il giudice deve pro nunciare con sentenza. La circostanza che l'ordinanza sia poi sotto scritta dal solo presidente non costituisce, a ben vedere, un vizio auto
nomo, bensì una mera conseguenza dell'errore compiuto dal giudice nell'individuazione del tipo di provvedimento, che non può influire sulla validità dell'atto impugnato; per questo rilievo, v. già Garbagna
ti, Ancora in tema di appello contro un provvedimento erroneamente emesso informa di ordinanza, in Foro pad., 1957, I, 25; nello stesso senso si sono poi espressi anche Tarzia, Profili, cit., e Cerino Canova,
op. cit. In argomento, v., inoltre, più recentemente, Besso, La sentenza civile inesistente, Torino, 1997, 292 ss.; nonché Auletta, In tema di
sottoscrizione, cit., e Ronco, Appunti sparsi, cit., i quali, alla luce del
regime d'invalidità introdotto dall'art. 50 quater c.p.c. per l'ipotesi di violazione delle norme sulla composizione dell'organo giudicante, si chiedono come possa ancora ritenersi che la mancata sottoscrizione di
una ordinanza «anomala» {id est, con contenuto di sentenza) da parte del giudice estensore, pur costituendo senza dubbio un vizio di minor
importanza, sia invece rilevabile d'ufficio ed implichi l'annullamento con rinvio al giudice a quo.
Non va sottaciuto, infine, che l'orientamento giurisprudenziale do minante porta a ritenere che la nullità dell'ordinanza decisoria sotto scritta dal solo presidente sia deducibile anche al di fuori del sistema delle impugnazioni attraverso un'autonoma actio nullitatis\ risultato,
questo, palesemente incongruo, giacché la mancata sottoscrizione del l'estensore deriva esclusivamente da un errore che l'organo giudicante ha compiuto, «a monte», in relazione alla scelta della forma del prov vedimento.
Per completezza, peraltro, è bene avvertire che la dottrina, differen temente dalla giurisprudenza, non è affatto concorde nel ritenere che
anche il difetto parziale di sottoscrizione determini la nullità assoluta e
insanabile della sentenza ai sensi dell'art. 161, 2° comma, c.p.c. Alcuni
autori, infatti, seppure sulla base di argomentazioni tra loro molto di
verse, ritengono che tale norma sia applicabile solamente quando nes
suno dei magistrati deliberanti abbia apposto la propria firma sull'ori
ginale della sentenza, restando altrimenti il vizio assoggettato al princi
pio di conversione delle nullità in motivi di gravame: sul punto, cfr.,
diffusamente, Balena, La rimessione della causa al primo giudice, Na
poli, 1984, 229 ss.; Besso, La sentenza, cit., la quale limita addirittura
l'applicazione dell'art. 161, cpv., alla sola ipotesi in cui il presidente e
l'estensore si rifiutino di sottoscrivere il provvedimento e tale rifiuto ri
sulti dal testo della sentenza, e Auletta, Nullità e «inesistenza» degli atti processuali civili, Padova, 1999, 189 ss. [R. Tarantino]
Il Foro Italiano — 2005.
quale provvede con sentenza (cfr. Cass. 5250/99, Foro it., Rep. 2000, voce Appello civile, n. 135, e 5610/01, id., Rep. 2001, vo
ce cit., n. 91). Si tratta, invero, di provvedimenti che definiscono il giudizio
decidendo una questione pregiudiziale attinente al processo, e
che devono, dunque, rivestire la forma della sentenza ai sensi
dell'art. 279, n. 2, c.p.c. Conseguentemente, per il principio della prevalenza della sostanza sulla forma affermato dalla con
solidata giurisprudenza di questa corte in tema di distinzione tra
sentenza e ordinanza, anche allorché la statuizione d'improce dibilità sia stata — come nella specie
— erroneamente assunta
con ordinanza, tale provvedimento, avendo sostanza di senten
za, è comunque soggetto alla disciplina di quest'ultima per
quanto riguarda sia il regime delle impugnazioni (onde l'am
missibilità del ricorso per cassazione in esame), sia i requisiti formali di validità, che sono quelli di cui all'art. 132 c.p.c. e
dunque, in particolare, la sottoscrizione sia del presidente che
del giudice estensore; di guisa che, ove il presidente non cumuli
in sé anche la qualità di relatore, la presenza della sua sola sot
toscrizione rende il provvedimento medesimo viziato dalla nul
lità insanabile di cui all'art. 161, 2° comma, c.p.c., la quale può essere fatta valere con il ricorso per cassazione, ma, in caso di
proposizione di questo per motivi diversi, deve essere rilevata, anche d'ufficio, dalla corte di legittimità, con cassazione del
provvedimento impugnato e rinvio della causa ad altro giudice
equiordinato, cui spetta di verificare l'effettiva sussistenza dei
presupposti per la declaratoria d'improcedibilità e, nell'ipotesi affermativa, di provvedervi nelle forme di legge (cfr. Cass.
910/95, id., 1995, I, 1849, in fattispecie d'appello secondo il rito del lavoro, nel quale, com'è noto, il principio della tratta
zione collegiale preesisteva alla richiamata novella del 1990). Il provvedimento qui impugnato reca, come si è all'inizio e
videnziato, la sola sottoscrizione del presidente, in tale esclusiva
qualità (non anche, come pure sarebbe in astratto possibile, in
quella dì estensore), mentre risulta espressamente dal provve dimento stesso che relatore della causa era altro componente del
collegio (ciò che fa presumere, in mancanza di diverse indica
zioni in atti, che lo stesso giudice fosse anche estensore del
provvedimento). Esso, pertanto, non può che essere dichiarato
nullo ai sensi della citata disposizione dell'art. 161 c.p.c. e cas
sato con rinvio ad altro giudice, individuato in altra sezione del
Tribunale di Palermo.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 8 mag
gio 2003, n. 6975; Pres. Graziadei, Est. Macioce, P.M. Pivet
ti (conci, diff.); Prefetto di Pescara e altro (Avv. dello Stato
Vicoli) c. Lopez Aguirre. Cassa Trib. Pescara, decr. 22 set
tembre 2000.
Straniero — Espulsione — Contenzioso — Ministero del
l'interno — Legittimazione a ricorrere — Esclusione
(D.leg. 25 luglio 1998 n. 286, t.u. delle disposizioni concer
nenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizio
ne dello straniero, art. 13 bis; d.leg. 13 aprile 1999 n. 113, di
sposizioni correttive al t.u. delle disposizioni concernenti la
disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero, a norma dell'art. 47, 2° comma, 1. 6 marzo 1998 n.
40, art. 4). Cassazione civile — Provvedimento impugnato
— Copia au
tentica — Mancato deposito — Improcedibilità del ricorso — Esclusione — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 369).
Straniero — Decreto di espulsione — Giudizio di opposizio ne — Termine per la decisione — Perentorietà — Esclu
sione (Cod. proc. civ., art. 152; d.leg. 25 luglio 1998 n. 286, art. 13).
Nelle controversie concernenti l'espulsione dello straniero, le
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PARTE PRIMA 544
gittimato a ricorrere in Cassazione è il prefetto che ha adot
tato l'atto espulsivo e non il ministro dell'interno. (1) Ove il ricorso in Cassazione sia proposto contro provvedimento
giuridicamente (geneticamente e graficamente) non distinto
dal verbale di causa (contenuto, in originale, nel fascicolo
d'ufficio tempestivamente richiesto ed acquisito), il mancato
deposito in cancellerìa di copia autentica del provvedimento
impugnato nei venti giorni dall'ultima notifica del ripetuto ricorso, non ne determina l'improcedibilità. (2)
Nel giudizio di opposizione al decreto di espulsione dello stra
niero, il termine previsto dall'art. 13, 8° comma, d.leg. 25 lu
glio 1998 n. 286, per la decisione «in ogni caso» del ricorso, non ha carattere perentorio. (3)
(1) La sentenza in epigrafe si uniforma all'orientamento assoluta mente consolidato nella giurisprudenza di legittimità.
Nel senso dell'inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dal ministro dell'interno avverso la pronuncia giurisdizionale resa nel
procedimento di opposizione al decreto prefettizio di espulsione a cari co dello straniero, v. Cass. 13 febbraio 2002, n. 2036, Foro it., Rep. 2002, voce Straniero, n. 200; sez. un. 28 novembre 2001, n. 15141, id.,
Rep. 2001, voce cit., n. 129; 14 novembre 2001, n. 14152, ibid., n. 130; 7 luglio 2000, n. 9084, id., Rep. 2000, voce cit., n. 165.
Per l'affermazione secondo cui, in materia di opposizione al provve dimento prefettizio di espulsione dello straniero, l'art. 13 bis d.leg. 25
luglio 1998 n. 286, introdotto dall'art. 4 d.leg. 13 aprile 1999 n. 113, conferisce al prefetto esclusiva legittimazione personale a contraddire
l'opposizione dello straniero, v. Cass. 5 dicembre 2001, n. 15414, id..
Rep. 2001, voce cit., n. 126; 13 aprile 2001, n. 5537, ibid., n. 133; 7 lu
glio 2000, n. 9078, id., Rep. 2000, voce cit., n. 173; 19 giugno 2000, n.
8284, ibid., n. 174. Con specifico riguardo al difetto di legittimazione passiva del mini
stero dell'interno, v. Cass. 6 giugno 2003, n. 9088, e 6 febbraio 2003, n. 1748, id., Rep. 2003, voce cit., nn. 241 e 240; 5 aprile 2002, n. 4847, id., Rep. 2002, voce cit., n. 191; 13 ottobre 2000, n. 13653, id., Rep. 2000, voce cit., n. 164. V., altresì, Cass., sez. un., ord. 7 novembre
2000, n. 118, ibid., n. 163, secondo cui il ricorso per cassazione, avver so il provvedimento emesso all'esito del giudizio d'opposizione al de creto prefettizio d'espulsione dello straniero, deve essere proposto (in analogia con il modello procedimentale delineato, in tema di sanzioni
amministrative, dall'art. 23 1. 24 novembre 1981 n. 689) a pena d'i nammissibilità nei confronti dell'autorità che ha emanato il decreto im
pugnato e deve essere notificato presso di essa, salvo che nella prece dente fase di merito il patrocinio non sia stato assunto dall'avvocatura dello Stato.
(2) Per una recente conferma dell'orientamento che ricollega sen z'altro l'improcedibilità del ricorso in Cassazione al mancato tempesti vo deposito della copia autentica della sentenza impugnata, Cass. 20 novembre 2002, n. 16385, Foro it., 2003, I, 809, con ampia nota di ri chiami ai più significativi precedenti in argomento tra i quali, anche, Cass. 25 novembre 1998, n. 11932, id.. Rep. 1999, voce Cassazione ci
vile, n. 245, e 28 ottobre 2000, n. 14240, id., Rep. 2000, voce cit., n.
242, richiamate e condivise dalla riportata sentenza.
Mette, tuttavia, conto notare che, mentre per la citata Cass. n. 16385 del 2002, l'improcedibilità del ricorso in Cassazione per mancato tem
pestivo deposito della copia autentica della sentenza impugnata si giu stifica con l'inosservanza di un termine perentorio, quale quello previ sto dall'art. 369 c.p.c., in parte qua, per la successiva Cass. 16 dicem bre 2002, n. 17995, id., Rep. 2002, voce cit., n. 229, la medesima im
procedibilità si ricollega alla violazione della regola formale richie dente l'autenticità del documento dettata a disciplina e salvaguardia della fedeltà documentale.
(3) In termini, v. Cass. 3 aprile 2002, n. 4754, Foro it., Rep. 2002, voce Straniero, n. 196, secondo cui, con riferimento all'espulsione amministrativa dello straniero, il termine di dieci giorni dal deposito del ricorso avverso il decreto prefettizio, posto all'autorità giurisdizio nale per provvedere sullo stesso ricorso dall'art. 13 d.leg. 286/98, non
ha, nel silenzio della norma sul punto, carattere perentorio, ma rientra nel novero di quei termini acceleratori in senso lato, la cui funzione è
quella di determinare l'accelerazione delle fasi dei diversi procedimenti civili, costringendo il giudice a contenere i ritmi entro il lasso di tempo previsto, e la cui violazione è priva di sanzione diretta. Fondandosi su tale affermazione, la Cassazione ha ritenuto che l'inosservanza di detto termine non ha effetti sul processo, né preclude al giudice la pronuncia tardiva del provvedimento conclusivo del processo, ma comporta la
possibilità di ricorrere a vie indirette per evitarne l'elusione, quali l'a zione ex art. 55 c.p.c., ora disciplinata dalla 1. 13 aprile 1988 n. 117, o 10 stimolo all'esercizio dei poteri disciplinari degli organi giudiziari preposti e, nei casi più gravi, il rimedio dell'art. 328 c.p. Nel medesimo
senso, v. Cass. 24 gennaio 2002, n. 787, id.. Rep. 2003, voce cit., n.
245; 14 dicembre 2001, n. 15825, id., Rep. 2001, voce cit., n. 119.
Conformemente, v., altresì, Cass. 26 febbraio 2002, n. 2790, id., Rep. 2002, voce Procedimento civile, n. 174, che ha rilevato come l'inosser vanza dei termini stabiliti per il compimento degli atti del giudice (e dei
11 Foro Italiano — 2005.
Svolgimento del processo. — Con decreto 31 agosto 2000 il
prefetto di Pescara disponeva l'espulsione dal territorio nazio
nale di Lopez Aguirre Luz Stella ai sensi dell'art. 13, 2° com
ma, lett. b), d.leg. 286/98 per essersi trattenuta in Italia senza
essere munita del permesso di soggiorno. Oppostasi la straniera, il tribunale, sentita la stessa ed il funzionario delegato dal pre fetto di Pescara, con provvedimento a verbale 22 settembre
2000, rilevato che il provvedimento stesso veniva emesso oltre i
dieci giorni dalla data di deposito del ricorso, dichiarava ineffi
cace l'opposto decreto di espulsione. Per la cassazione di tale
decreto il ministro dell'interno ed il prefetto di Pescara hanno
proposto ricorso il 6 novembre 2001 deducendo la nullità del
provvedimento per avere, con richiamo ad una norma inesi
stente e con motivazione affatto apparente, dichiarato la nullità
dell'atto amministrativo per tardività della decisione che sullo
stesso atto doveva essere resa. L'intimata non si è costituita.
Motivi della decisione. — Preliminarmente, va dichiarata la
carenza di legittimazione a ricorrere del ministero dell'interno, tale legittimazione
— nelle controversie afferenti l'espulsione dello straniero ed ai sensi dell'art. 13 bis, 1° e 2° comma, d.leg. 286/98 (come modificato dal d.leg. 113/99 e non abrogato dalla
1. 189/02) — appartenendo in via esclusiva al prefetto che ebbe
ad adottare l'atto espulsivo. Ancora preliminarmente va preso in esame il rilievo di im
procedibilità del ricorso ai sensi dell'art. 369, n. 2, c.p.c., rilievo
formulato in udienza dal procuratore generale con riguardo al
fatto che il ricorrente ha prodotto copia non autentica del ver
bale di udienza contenente l'impugnata ordinanza e non rile
vando — ad avviso del requirente — che nel fascicolo di ufficio
(tempestivamente richiesto ed acquisito) sussista l'originale del
verbale e del provvedimento in esso assunto.
Il rilievo non può essere condiviso.
Ed infatti, non ignora il collegio l'indirizzo più recente di questa corte, formulato dalla sentenza resa a sezioni unite
11932/98 (Foro it., Rep. 1999, voce Cassazione civile, n. 245) e seguito da altri pronunziati (ex multis, Cass. 14240/00, id.,
Rep. 2000, voce cit., n. 242, e 12434/02, id., Rep. 2002, voce
cit., n. 231) per il quale la sanzione di improcedibilità ex art.
369, n. 2, c.p.c., per mancato deposito, comunque nel termine
di venti giorni dall'ultima notificazione, di copia autentica
della sentenza impugnata, non può essere esclusa sulla base di
suoi ausiliari) resti sottratta alla disciplina dettata dagli art. 152 ss.
c.p.c., in quanto, pur incidendo detti termini sulla durata complessiva del processo, essi non sono ulteriormente qualificati dalle norme che li
prevedono, né ricevono sanzione in conseguenza della loro inosservan
za, poiché l'atto compiuto dopo la relativa scadenza conserva validità ed efficacia, salvi eventuali riflessi di carattere disciplinare ex art. 9, 6° comma, 1. 20 dicembre 1995 n. 534, che pone a carico dei dirigenti de
gli uffici giudiziari l'obbligo di sorvegliare sulla scrupolosa osservan
za, da parte dei magistrati, dei doveri d'ufficio, compresi quelli relativi all'osservanza dei termini previsti dal codice di rito e dalle altre leggi vigenti.
Nel senso che l'opposizione al decreto prefettizio di espulsione a norma dell'art. 13 d.leg. 286/98 non ha automatico effetto sospensivo, v. Cass. 5 dicembre 2001, n. 15414, id., Rep. 2001, voce Straniero, n.
128, che, sulla base di questo principio, ha ritenuto legittima, decorso il termine previsto per la decisione da parte del giudice, l'espulsione ese
guita coattivamente dal questore, a meno che ricorrano i casi, particola ri ed eccezionali, che legittimano il giudice ad adottare un provvedi mento cautelare di sospensione.
Per la declaratoria di infondatezza della questione di legittimità co stituzionale dell'art. 11, 8° e 9° comma, 1. 40/98, trasfuso nell'art. 13
d.leg. 286/98, nella parte in cui, prevedendo termini brevissimi per la
proposizione e per la decisione del ricorso avverso il decreto di espul sione dello straniero dal territorio dello Stato, non consentono di so
spendere in via cautelare l'efficacia del provvedimento impugnato, v. Corte cost. 31 maggio 2000, n. 161, id., Rep. 2000, voce cit., n. 141.
Cfr., inoltre. Corte cost., ord. 9 novembre 2000, n. 485, id., Rep. 2001, voce cit., n. 122, che ha dichiarato manifestamente infondate le que stioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, 8° e 9° comma, d.leg. 286/98, nelle parti in cui fissano i termini, rispettivamente, per la pro posizione del ricorso avverso il decreto prefettizio di espulsione degli stranieri e per la conclusione del relativo procedimento, in quanto: a) il termine di dieci giorni stabilito per la definizione del giudizio di oppo sizione al decreto prefettizio di espulsione non è incongruo, posto che la necessità di una sollecita definizione del procedimento d'impugna zione risponde all'interesse generale di un efficace controllo dell'im
migrazione da paesi extracomunitari; b) l'espulsione degli stranieri con decreto prefettizio è, nell'ambito dell'art. 13, finalizzata ad assicurare una razionale gestione dei flussi di immigrazione.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
equipollenti quali il deposito di copia della sentenza da parte del controricorrente o l'esistenza di detta copia nel fascicolo di
ufficio. Con tale indirizzo è stata negata validità alla risalente
quanto consolidata affermazione per la quale la sanzione in di
scorso non si sarebbe mai potuta applicare le volte in cui la
sentenza impugnata comunque risultasse, in forma integrale ed
autentica, nel fascicolo di ufficio (Cass. 740/53, id., Rep. 1953, voce cit., n. 197; 2764/61, id., Rep. 1961, voce cit., n. 176;
1605/64, id., 1964, I, 1604; 2876/69, id., Rep. 1969, voce cit., n. 288; 1313/79, id., Rep. 1979, voce cit., n. 230; 3555/79, ibid., n. 226; 1957/80, id., Rep. 1980, voce cit., n. 212; 3277/84, id., Rep. 1984, voce cit., n. 114; 10959/95, id., 1996, I, 138). Ma ritiene il collegio che non costituisca sottrazione
all'osservanza del principio (autorevole quanto esatto) posto dalle sezioni unite il rilievo per il quale esso non è applicabile nella ben diversa ipotesi
— propria del caso sottoposto
— nella
quale il provvedimento impugnato non sia atto giuridicamente
(quanto geneticamente e graficamente) distinto dal verbale di
causa ma sia contenuto nel verbale stesso e tale verbale sia
contenuto, non già in copia autentica ma, ovviamente, in origi
nale, nel fascicolo di ufficio tempestivamente richiesto ed ac
quisito. In tal caso, invero, e solo in tal caso (posto che gli originali
delle sentenze non riposano nei fascicoli ma nei «volumi» di cui
all'art. 35 disp. att. c.p.c. e che di esse possono estrarsi solo co
pie, l'originale non potendo mai transitare nel fascicolo del
l'impugnazione) non si pone neanche il problema di non am
messa equipollenza di adempimenti rispetto all'obbligo di pro durre copia autentica del provvedimento impugnato, dato che la
parte ricorrente ha comunque fatto acquisire —
pur se in adem
pimento del diverso obbligo ex art. 369, ultimo comma, c.p.c. — addirittura l'originale del provvedimento stesso. Non avreb
be senso, pertanto, applicare una sanzione, per l'inosservanza di
un obbligo strumentale all'acquisizione di copia autentica della
decisione, ad una vicenda nella quale il giudice di legittimità di
spone dell'originale testo della decisione stessa, della stessa
sanzione difettando in realtà il presupposto applicativo. Ed è sulla base di tali considerazioni che pare al collegio non
debbasi dichiarare l'improcedibilità del ricorso.
Venendo, dunque, all'esame dell'unico motivo di ricorso —
sintetizzato nella precedente narrativa — ritiene il collegio che
esso sia fondato, avendo il giudice del merito — con l'impu
gnato provvedimento, pervero privo di alcuna motivazione —
ritenuto che l'inosservanza del termine di dieci giorni per la de
cisione «in ogni caso» del ricorso (termine portato a venti gior
ni, con identica formula, dall'art. 12 1. 189/02 sostitutivo dell'8°
comma dell'art. 13 d.leg. 286/98) determini, per la perentorietà del termine, l'inefficacia dell'atto espulsivo impugnato. Orbene,
questa corte (Cass. 4754/02, id., Rep. 2002, voce Straniero, n.
196) ha già avuto recente modo di negare che il termine in pa rola abbia carattere perentorio, tal statuizione fondando su:
1) la previsione di generale ordinatorietà dei termini non
espressamente dichiarati perentori (art. 152 c.p.c.);
2) la riconducibilità dell'espressione «in ogni caso» di cui al
testo normativo alla volontà di imporre rapida sorte a tutte le
ipotesi di accoglimento o rigetto del ricorso;
3) la significativa diversa espressa previsione dell'art. 309, 9° e 10° comma, c.p.p. (sulla perdita di efficacia dell'ordinanza
custodiale in difetto di tempestiva definizione del procedimen
to); 4) l'inconferenza del richiamo alle previsioni di sopravve
nuta inefficacia dell'ordinanza ingiunzione per inosservanza del
termine di cui all'art. 204 cod. strada (trattandosi di atto del
procedimento amministrativo — art. 2 1. 241/90 — e non di atto
del processo);
5) l'inesistenza di conseguenze pregiudizievoli per lo stranie
ro per la qualificazione del termine come «acceleratorio», posto
che, a sanzionarne l'inosservanza, egli avrà rimedi ordinamen
tali risarcitori e disciplinari e, ad impedire che il procedimento abbia a concludersi dopo che l'espulsione abbia acquisito effi
cacia (nella disciplina di cui al d.leg. 286/98), egli disporrà co
munque della tutela cautelare.
Sulla base delle esposte considerazioni, deve, in accoglimento del ricorso, cassarsi l'impugnato provvedimento e disporsi rin
vio al Tribunale di Pescara perché provveda all'esame della
proposta opposizione.
Il Foro Italiano — 2005 — Parte I-10.
CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA; ordinanza 25 agosto 2004; Pres. Castiglione, Rei. De Santis; Pesaresi e altro
(Avv. Amaduzzi) c. Antonini e altra (Avv. Roli).
CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA;
Ingiunzione (procedimento per) — Sentenza di primo grado di rigetto dell'opposizione — Provvisoria esecutorietà —
Inibitoria — Inammissibilità — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 283, 351,653).
E inammissibile per carenza d'interesse l'istanza d'inibitoria
della provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado che abbia rigettato l'opposizione a decreto ingiuntivo, che
non sia già esecutivo. ( 1 )
(1) Nulla in termini. In senso solo apparentemente identico, v. App. Milano 9 ottobre 2001, Giur. milanese, 2002, 158, e App. Venezia 25 marzo 1999, Foro it., Rep. 1999, voce Esecuzione provvisoria, n. 4, e,
per esteso, Riv. arbitrato, 1999, 475, con nota critica di Consolo, Alla ricerca della inibitoria, che hanno ritenuto inammissibile per carenza d'interesse l'istanza di sospensione dell'esecutorietà della sentenza di
rigetto dell'opposizione a decreto ingiuntivo, ma in casi nei quali, es sendo il decreto immediatamente esecutivo ai sensi dell'art. 642 c.p.c. e non trovando perciò applicazione il disposto dell'art. 653, 1° comma,
c.p.c., l'esecutorietà del decreto non dipendeva da quella della senten za. Analogamente, App. Milano 22 dicembre 1995, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 9. e, per esteso, Giur. it., 1996,1, 2, 480, con nota di Con
solo, In tema di inibitoria in appello di sentenza che rigetta l'opposi zione monitoria, ha ritenuto inammissibile l'inibitoria perché, essendo
l'opposizione stata proposta tardivamente, il decreto ingiuntivo era già stato dichiarato esecutivo ai sensi dell'art. 647 c.p.c.
Invece, nel senso che l'inibitoria della sentenza di rigetto dell'oppo sizione a decreto ingiuntivo debba considerarsi senz'altro ammissibile, v. App. Taranto 17 gennaio 2003, Foro it., Rep. 2003, voce cit., n. 4, e,
per esteso, Arch, civ., 2003, 1185; App. Roma 9 aprile 2002, Giur. ro
mana, 2002, 292, che ha fatto leva sulla considerazione che la sentenza in discorso non ha natura meramente dichiarativa, costituendo un unico titolo esecutivo assieme al decreto ingiuntivo opposto. In dottrina, nello stesso senso, v. Consolo, Alla ricerca della inibitoria, cit., 478; Ronco, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000, 519, che precisa altresì che, essendo la sentenza di rigetto dell'opposizione a decreto in
giuntivo provvisoriamente esecutiva ai sensi dell'art. 282 c.p.c., l'ini bitoria della stessa sentenza trova fondamento non nell'art. 649, ma nell'art. 283 c.p.c.
* * *
Provvisoria esecuzione senza inibitoria?
1. - Mai sinora si era dubitato che, essendo l'istituto dell'inibitoria il naturale «contraltare della provvisoria esecutorietà» (1) della sentenza
civile, l'operatività delle norme in tema di esecuzione provvisoria non
potesse essere in alcun caso disgiunta da quella delle norme che regola no l'inibitoria e che, perciò, a ogni sentenza provvisoriamente esecutiva fossero de plano applicabili anche le disposizioni che consentono di so
spenderne l'esecutorietà o l'esecuzione.
Sennonché, tale ovvio e logicissimo principio riceve oggi una smen tita dall'ordinanza in epigrafe, secondo la quale la sentenza di primo grado che abbia rigettato l'opposizione a decreto ingiuntivo, pur essen do provvisoriamente esecutiva ipso iure, non potrebbe in alcun caso formare oggetto d'inibitoria in appello. Nella specie, era stata proposta opposizione avverso un decreto ingiuntivo del quale non era stata di chiarata l'esecutorietà né ab origine, ai sensi dell'art. 642 c.p.c., né nel corso del giudizio di opposizione, ai sensi dell'art. 648 c.p.c. L'opposi zione era stata rigettata e, in sede d'appello, l'opponente aveva chiesto la sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado. Con la pronuncia sopra riportata, la corte d'appello, pur dando atto che la sentenza di rigetto era provvisoriamente esecutiva ipso iure e aveva perciò reso esecutivo il decreto ai sensi dell'art. 653, 1° com
ma, c.p.c., ha ritenuto che l'istanza d'inibitoria fosse inammissibile per carenza d'interesse, motivando che «la sospensione dell'efficacia im mediata della sentenza di primo grado non potrebbe sortire alcun ef
fetto utile per bloccare l'esecuzione forzata, che sarebbe autonoma
mente possibile in base al decreto ingiuntivo». Per quanto nell'ordinanza in epigrafe non sia richiamato alcun pre
cedente, è da notare che anche in altre occasioni la giurisprudenza di
merito ha ritenuto inammissibile per carenza d'interesse l'istanza d'i
nibitoria della sentenza (provvisoriamente esecutiva) di rigetto dell'op posizione a decreto ingiuntivo (2). Tuttavia, tali pronunce, che a tutta
(1) Così Carpi, La provvisoria esecutorietà della sentenza, Milano, 1979.225.
(2) App. Milano 9 ottobre 2001, Giur. milanese, 2002, 158; App. Venezia 25 marzo 1999, Foro it., Rep. 1999, voce Esecuzione provvi
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