Sezione I civile; sentenza 8 settembre 1983, n. 5527; Pres. Sandulli, Est. Tilocca, P. M.Pandolfelli (concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Zotta) c. Soc. Zust Ambrosetti (Avv.Menghini, Casavecchia). Conferma Comm. trib. centrale 1° aprile 1980, n. 377Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 11 (NOVEMBRE 1983), pp. 2723/2724-2727/2728Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175423 .
Accessed: 28/06/2014 08:54
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 91.238.114.64 on Sat, 28 Jun 2014 08:54:05 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2723 PARTE PRIMA 2724
era stato presentato dopo la scedenza del termine di tre giorni
dal deposito dell'atto impugnato, previsto dall'art. 26 1. fall.
Nonostante ciò il tribunale si occupò anche del merito del
reclamo, giudicandolo infondato sia perchè il curatore non può
assumere la veste di debitore ceduto e sia perchè qualsiasi variazione soggettiva in ordine ai crediti ammessi può avvenire
solo in base ai provvedimenti del giudice modificativi dello stato
passivo. Avverso il decreto del tribunale il Crocioni ha proposto ricorso
affidato ad unico motivo. Resiste il fallimento con controricorso.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo, denunzian
do la violazione degli art. 26 e 110 r.d. 16 marzo 1942 n.
267, il ricorrente sostiene che il tribunale fallimentare abbia
erroneamente dichiarato inammissibile il reclamo, omettendo di
considerare, da un lato, che il decreto del giudice delegato non
risultava ritulmente depositato, sicché l'impugnativa, proposta nei
tre giorni dall'effettiva conoscenza dello stesso, doveva ritenersi
tempestiva; dall'altro, che non aveva avuto comunicazione del
deposito del progetto di riparto, a lui dovuto in quanto cessiona
rio del credito, sicché il decreto che aveva dichiarato esecutivo il
riparto medesimo era radicalmente nullo.
La censura è infondata per una ragione preliminare e assor
bente rispetto a quelle esposte nel provvedimento impugnato, la
cui motivazione va perciò corretta ex art. 384, 2° comma, c.p.c.
È noto che la Corte costituzionale, con sentenza del 23 marzo
1981, n. 42 (Foro it., 1982, I, 1228), ha dichiarato costituzional
mente illegittimo l'art. 26 1. fall, per contrasto con l'art. 24
Cost, nella parte in cui assoggetta al reclamo al tribunale,
disciplinato nel modo ivi previsto, i provvedimenti decisori emes
si dal giudice delegato in tema di piani di riparto; e in
conseguenza di questa pronuncia, come già avvertito questa
corte, il rimedio suddetto è venuto meno per tutti i decreti del
giudice delegato attinenti a diritti soggettivi, rimanendo fermo solo
per i provvedimenti aventi carattere amministrativo.
Secondo i principi elaborati in tema di efficacia nel tempo delle
decisioni della Corte costituzionale di accoglimento, l'atto proces suale disciplinato da una norma contraria alla Costituzione, e
compiuto prima della dichiarazione di incostituzionalità, va valu
tato dal giudice del processo, al quale inerisce, come se quella norma non fosse stata mai promulgata, con la conseguenza che
l'atto medesimo deve essere dichiarato invalido, inammissibile, ecc.
allo stesso modo degli atti eventualmente compiuti, in base alla
stessa norma, dopo la dichiarazione di incostituzionalità.
Non è possibile invocare in senso contrario, come talvolta è
stato fatto, la regola tempus regit actum, la quale, ispirata alla
esigenza di conservazione degli atti processuali legittimamente
compiuti in base ad una legge in vigore al tempo in cui furono
assunti, ha un senso nei casi di successione temporale di leggi,
quando la lex posterior viene ad abrogare quella precedente fissando nuovi e diversi elementi nella fattispecie dell'atto proces suale cui entrambe si riferiscono, mentre non può operare nelle
ipotesi di illegittimità costituzionale, in presenza, cioè, di un vizio
che inficia ab origine la legge in contrasto con la disposizione costituzionale.
Stante il combinato disposto degli art. 136, 1° comma, Cost, e
30, 3° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87, la norma processuale —
al pari di quella sostanziale — diventa inapplicabile dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione di incostituzionalità
sulla Gazzetta ufficiale, senza che sia dato distinguere fra
applicazione diretta, con riferimento, cioè, al compimento dell'atto
processuale prima disciplinato dalla norma incostituzionale, e
applicazione indiretta, con riguardo al controllo sulla validità dell'atto precedentemente compiuto: anche in questa ipotesi il
giudice del processo pendente deve considerare tamquam non
esset la normativa riconosciuta incostituzionale, rilevandone, dun
que, l'inidoneità a qualificare l'attività processuale svolta, tranne
che lo stesso controllo gli sia impedito in forza di una diversa
disposizione di legge; come accade in presenza di un giudicato o di una preclusione maturata prima della sentenza costituzionale di accoglimento, costituente ostacolo alla verifica in ordine alla validità ed efficacia dell'attività medesima.
Va pertanto affermato che la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 26 1. fall, sopraggiunta in pendenza del ricorso per cassazione avverso il decreto reso dal tribunale fallimentare su reclamo contro un provvedimento del giudice delegato avente carattere decisorio, impone a questa corte di rilevare, anche di
ufficio, l'inammissibilità del reclamo medesimo e conseguentemen te la nullità dell'intero procedimento svoltosi innanzi al tribunale
e del provvedimento terminale impugnato, il quale normalmente
deve essere cassato senza rinvio, non potendo la causa essere
restituita, manifestamente, né al medesimo tribunale, né al giudi ce delegato (functus est munere suo).
Nella specie, però, il Tribunale di Ancona ha dichiarato
inammissibile il reclamo, cioè ha adottato lo stesso provvedimen to che avrebbe dovuto assumere se il rimedio fosse stato speri mentato dopo la dichiarazione di incostituzionalità; e ciò com
porta che la pronuncia, con la diversa motivazione ora esposta, deve essere tenuta ferma, con conseguenziale rigetto del ricorso.
(Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 8 set
tembre 1983, n. 5527; Pres. Sandulli, Est. Tilocca, P. M.
Pandolfelli (conci, conf.); Min. finanze (Aw. dello Stato
Zotta) c. Soc. Zust Ambrosetti (Avv. Menghini, Casavecchia).
Conferma Comm. trib. centrale 1° aprile 1980, n. 377.
Registro (imposta di) — Concessione su beni demaniali — Ali
quota applicabile <R.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, legge del
registro, all. A, art. 1, 44).
La convenzione con cui l'azienda autonoma delle ferrovie dello Stato concede l'uso di talune aree demaniali non comporta necessariamente la costituzione di un diritto reale in favore del
concessionario, potendo la convenzione stessa essere qualificata, in base alle circostanze del caso di specie, come costitutiva di
diritti personali di godimento, come tale soggetta all'imposta di
registro secondo l'aliquota prevista per il contratto di loca
zione. (1)
Motivi della decisione. — Con il primo motivo l'amministra
zione delle finanze deduce la violazione dell'art. 8 r.d. 30 di
cembre 1923 n. 3269, degli art. 1 e 44 tariffa ali. A r.d. 1923 n.
3269, art. 823 c.c. e più in generale, dei principi di diritto
amministrativo relativi all'uso dei beni demaniali. Sostiene l'am
ministrazione che la Commissione centrale ha erroneamente rite
(1) La corte si allinea all'orientamento ormai prevalente nella giu risprudenza di legittimità che impone al giudice di merito l'esame, nel singolo caso, della concreta consistenza dei diritti nascenti dalle concessioni amministrative dell'uso esclusivo di un bene demaniale per un determinato periodo di tempo, in relazione a tutte le clausole del relativo contratto e ciò anche al fine dell'individuazione dell'aliquota dell'imposta di registro applicabile (cosi Cass. 28 novembre 1978, n. 5591, Foro it., Rep. 1978, voce Registro, n. 105, nell'ipotesi di concessione dell'uso esclusivo del lido e della spiaggia; v., altresì' Cass. 5 dicembre 1981, n. 6463, id., Rep. 1981, voce Tributi in genere, n. 878; nonché Cass. 11 agosto 1982, n. 4523, id., Rep. 1982, voce Registro, n. 136, nel caso di concessione temporanea, in favore della società incaricata del rifornimento di carburanti e lubrificanti per gli aeromobili presso l'aeroporto statale).
La tesi secondo la quale i diritti derivanti al concessionario dall'atto di concessione avrebbero carattere reale, per lungo termine indiscussa in giurisprudenza (v. Cass. 29 maggio 1972, n. 1688, id., Rep. 1973, voce cit., n. 181; 21 gennaio 1970, n. 130, id., 1970, I, 2141; 22 novembre 1969, n. 3085, ibid., 446; 6 giugno 1968, n. 1711, id., 1968, I, 3016, con nota di richiami. Val la pena di notare, tuttavia, come nelle ultime tre decisioni rammentate la durata della concessione era stata fissata rispettivamente in 50, 24 e 19 anni; ciò che può ben aver influito sull'assoggettamento delle convenzioni all'imposta di re gistro prevista per i trasferimenti immobiliari dall'art. 1 tariffa all. A r.d. n. 3269 del 1923. Ma v., quale esempio di un orientamento un tempo radicato anche presso le commissioni tributarie, Comm. trib centrale 7 ottobre 1971, n. 11965, id., Rep. 1972, voce cit., n. 225, che sancisce in maniera perentoria l'ininfluenza assoluta della durata della concessione in ordine alla qualificazione della situazione soggetti va del concessionario. In argomento v., anche, Pasini e Balucani, I beni pubblici e relative concessioni, Torino, 1978, 68 s.) trova tuttora largo accoglimento presso la dottrina (v., da ultimo e per tutti. M. S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 1981, 573; cosi chi ha analizzato specificamente la struttura e la tipologia dei diritti reali ha ritenuto trattarsi, per quel che concerne le facoltà derivanti dalle concessioni amministrative, di « diritti che, ancorché non reali strido sensu, sono ad essi assimilabili ed equiparabili, soprattutto sotto il profilo funzionale»: Comporti, Contributo allo studio del diritto reale, Milano, 1977, 385 ss., spec. 388, nonché, Diritti reali in generale, in Trattato, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1980, 254): non è mancato tuttavia chi, in considerazione delle diverse implicazio ni che la qualificazione della situazione del concessionario può com portare, ha rilevato l'opportunità di procedere alla valutazione delle situazioni e soprattutto delle clausole contrattuali differenti da caso a caso (cfr. A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo Napoli, 1982, II, 704; Silvestri, Concessione amministrativa, voce dell 'Enciclopedia del diritto, Milano, 1961, Vili, 380, il quale non elude la configurabilità del diritto personale di godimento per rapporti intuitu personae o di brevissima durata; e già Id., Natura giuridica dei diritti nascenti dalle concessioni amministrative sui beni demaniali, Milano, 1950, 35 ss., spec. 47).
This content downloaded from 91.238.114.64 on Sat, 28 Jun 2014 08:54:05 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
nuto che la « convenzione » in esame, « cedendo l'uso di talune
aree demaniali », sia assimilabile alla locazione e sconti l'imposta di registro ai sensi dell'art. 44 tariffa ali. A. In tal modo la
commissione non ha tenuto presente che, con l'attribuzione delle
aree facenti parte dello scalo ferroviario di Torino S. Paolo al
godimento esclusivo della s.p.a. Zust-Ambrosetti, l'azienda ferro
viaria abbia costituito, mediante concessione, un diritto reale a
favore della società, e che la tassa di registro dell'art. 1 tariffa
ali. A alla vecchia legge di registro segua di conseguenza. In ordine al motivo in esame la società resistente eccepisce
l'inammissibilità in quanto con esso l'amministrazione delle finan
ze proporrebbe una questione attinente all'interpretazione del
contratto e, quindi, di fatto, sottratta, come tale, al sindacato di
questa corte. In sostanza secondo la società resistente l'ammini
strazione delle finanze censurerebbe l'interpretazione circa l'inten
to pratico delle parti, data al contratto dalla Commissione centra
le delle imposte, per inferirne l'applicazione di una diversa
norma di diritto tributario.
L'eccezione è infondata. L'amministrazione delle finanze, sep
pure qualche espressione nella formulazione del motivo, isolata
mente considerata, può prestarsi ad essere intesa nel senso propo sto dalla soc. Zust-Ambrosetti, in realtà non intende censurare
siccome viziata la ricostruzione dell'effettiva volontà delle parti o
del contenuto concreto dell'atto di concessione (insindacabile, di
per sé, in sede di legittimità) compiuta dalla decisione impugna ta. Essa, invece, sostiene, come si evince dall'esame complessivo e
sostanziale dell'esposizione del motivo e dalle norme giuridiche indicate a fondamento della censura, che, facendo parte del
demanio ferroviario le aree oggetto della convenzione, la costitu
zione dei diritti attribuiti su tali aree a favore della soc. Zust
Ambrosetti non può non essersi realizzata mediante un atto di
concessione e che pertanto i detti diritti non possono non avere
consistenza reale.
Più precisamente l'amministrazione afferma che dall'atto ammi
nistrativo di concessione su beni demaniali possono derivare in
capo al concessionario soltanto diritti assimilabili a quelli reali,
attributivi di un godimento diretto sul bene e suscettibili di
essere fatti valere erga omnes, sia pure entro i limiti imposti dalla natura del potere e della destinazione primaria del bene,
con la conseguenza che l'atto deve scontare la tassa di registro dell'art. 1 tariffa ali. A alla legge di registro del 1923. Pertanto
l'amministrazione propone al giudizio della corte una questione essenzialmente giuridica, che concerne l'assunzione necessaria del
diritto del concessionario nella categoria giuridica dei diritti reali,
deduce, cioè, la violazione della normativa di diritto amministra
tivo sull'uso particolare dei beni demaniali.
Ma, seppure ammissibile, il motivo non può accogliersi. La tesi sostenuta dall'amministrazione ricorrente, secondo la
quale dall'atto di concessione su beni demaniali possono derivare
in capo al concessionario soltanto diritti di consistenza reale, un
tempo dominante nella dottrina e nella giurisprudenza, viene da
quasi un trentennio sempre più respinta ed abbandonata. Oggi,
difatti, è affermazione quasi unanime nella dottrina e nella
giurisprudenza di questa corte (cfr. sent. 28 novembre 1978, n.
5591, Foro it., Rep. 1978, voce Registro, n. 105; 5 dicembre 1981,
n. 6463, id., Rep. 1981, voce Tributi in genere, n. 878; 11 agosto
1982, n. 4523, id., Rep. 1982, voce Registro, n. 136) che la
concessione su beni demaniali (e su beni indisponibili) può
attribuire al concessionario indifferentemente sia diritti di consi
stenza reale sia diritti assimilabili a quelli denominati personali di godimento, salvo che la legge non predetermini la natura,
reale e personale, del diritto esplicitamente o attraverso la rego lamentazione specifica adottata. In sostanza, al di fuori di queste limitate previsioni legislative (ad es., art. 41 c.n., art. 29 r.d. 11
dicembre 1933, n. 1775, art. 30 e 34 t.u. 28 aprile 1938 n. 1165),
se la concessione su beni pubblici costituisca in capo al conces
sionario diritti di natura reale o personale è questione che va
risolta caso per caso, in relazione a tutte le clausole del
relativo contratto e che è riservata al giudice di merito, a meno
che non si denunci la violazione delle norme di ermeneutica
contrattuale (Cass. 28 novembre 1978, n. 5591, cit.). In effetti —
osserva questo collegio — l'art. 823, 1° comma, c.c., nel prevede
re che i beni demaniali possono formare, sia pure « nei modi e
nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano», «oggetto di
diritti a favore di terzi », non distingue fra diritti reali e diritti
personali di godimento. E parlando pertanto il detto articolo
genericamente « di diritti a favore di terzi » non vi è alcuna
ragione per escludere che sui beni demaniali possano costituirsi
diritti di godimento diversi da quelli reali, ove, s'intende, per una
determinata categoria di beni demaniali non sia escluso espres samente o implicitamente dalla legge. D'altra parte le caratteristi
che di relatività, di mediatezza e di assoluta precarietà proprie dei diritti personali di godimento consentono all'amministrazione
concedente un'ingerenza più costante ed assidua, una vigilanza
più penetrante ed immediata sull'uso che viene praticato dal
concessionario che non i diritti reali, onde non mancano afferma
zioni, rimaste giustamente isolate, in dottrina a favore della natura necessariamente personale dei diritti costituitali sui beni demaniali.
La norma, poi, dell'art. 1145, 2° cpv., che ammette il privato concessionario ad esercitare nei confronti di altri privati l'azione di manutenzione, non porta a ritenere che dalla concessione
possa derivare soltanto un diritto di consistenza reale, poiché detta norma va interpretata nel senso che essa attribuisce la
legittimazione all'azione di manutenzione soltanto al concessiona rio che abbia acquisito un diritto assimilabile ai diritti reali, previsti dal codice civile, e che, quindi, abbia il possesso del
bene demaniale, mentre il concessionario di un diritto assimilabi le ai diritti personali di godimento, seppure può esercitare diret tamente l'azione di spoglio (art. 1168, 2° comma, c.c.), dovrà
rivolgersi, in caso di molestia, all'ente concedente perché tuteli il suo diritto.
La tesi sostenuta dall'amministrazione ricorrente si fonda su di un'arbitraria generalizzazione di specifiche previsioni legislative, giacché il fatto che la legge attribuisce ai diritti costituiti su determinati beni demaniali consistenza reale non porta a ritenere che l'amministrazione non possa costituire su altre categorie di
beni demaniali diritti assimilabili a quelli personali di godimento, una volta che l'art. 823, 1° comma, c.c. non lo esclude e tali ultimi diritti tollerano pienamente l'immanenza del potere d'impe rio dell'ente concedente a tutela dell'interesse pubblico.
In conclusione la p.a. ha, di regola, non solo il potere di porre in essere o meno la concessione-contratto e di stabilirne le
condizioni, ma anche quello di determinare la consistenza, reale o personale, del diritto del concessionario. Occorre, pertanto, in mancanza di specifiche predeterminazioni legislative, di volta in
volta, ricostruire, sulla base dell'intero contenuto del contratto e
del provvedimento di concessione, se separata, la volontà delle
parti cosi accertando se esse abbiano inteso costituire un diritto
equiparabile ai diritti reali o a quelli personali di godimento
(compito riservato, ovviamente, al giudice del merito) e ciò anche al fine di individuare, secondo i criteri stabiliti nell'art. 8 1. di
registro del 1923 (vigente alla data del contratto in esame), se
sia applicabile l'aliquota dell'imposta prevista dall'art. 44 all. A
alla predetta legge per i contratti di locazione o quella fissata
dall'art. 1 della stessa tariffa per gli atti costitutivi a titolo
oneroso di diritti reali immobiliari. (Omissis) Con il terzo ed ultimo motivo l'amministrazione ricorrente
deduce la contraddittorietà o l'illogicità della motivazione (art.
360, n. 5, c.p.c.). In particolare essa sostiene che « nel simulacro
della motivazione adottata vi è intima contraddizione, o comun
que illogicità, nell'affermazione che nell'atto c'è la cessione di uso
di un bene demaniale e poi nella negazione che essa abbia
natura di concessione ».
Osserva la corte che in effetti la decisione ha attribuito all'atto
di « cessione d'uso di aree ferroviarie per deposito, carico e
scarico di autovetture » la natura di locazione anziché di conces
sione-contratto.
Certo, secondo la giurisprudenza di questa corte (sez. un. 9
gennaio 1973, n. 8, id., 1973, I, 1098; 8 aprile 1976, n. 1225, id.,
Rep. 1976, voce Giurisdizione civile, n. 80) e la prevalente dottrina, ancorché le condizioni dell'attribuzione dell'uso privato particolare di beni pubblici siano fissate in una convenzione di diritto privato, la convenzione deve avere sempre come suo
presupposto necessario un provvedimento di concessione, esplicito o implicito. Pertanto ogni fattispecie di attribuzione ad un
privato di diritti, pur se di natura obbligatoria, su beni pubblici è costituita dalla convergenza di un negozio unilaterale ed
autoritativo (atto deliberativo) della p.a. e di una convenzione
attuativa (contratto, capitolato, ecc.) che crea e pone diritti ed
obblighi in capo all'ente concedente e al concessionario. All'uopo si deve considerare che il diritto del concessionario alla conser
vazione della concessione si affievolisce nei confronti dell'ammi
nistrazione che, per sopravvenuta incompatibilità con l'interesse
pubblico, deve poterlo sempre sopprimere con un proprio atto
unilaterale; da qui, appunto, la necessità che alla convenzione si
accompagni un provvedimento di concessione revocabile, come
tale, ad nutum e ad libitum dell'amministrazione con la conse
guenza di determinare di riflesso, ma immediatamente, l'ineffica
cia della stessa convenzione. Ed è proprio all'esigenza della
coesistenza del provvedimento che fa riferimento l'art. 823, 1°
comma, c.c. allorché dispone che sui beni demaniali non possono essere costituiti diritti a favore di terzi « se non nei modi e nei
limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano ». Pertanto, se pure il
diritto nella specie attribuito alla società concessionaria sia assi
milabile a quello nascente dalla locazione, la fattispecie costituti
This content downloaded from 91.238.114.64 on Sat, 28 Jun 2014 08:54:05 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2727 PARTE PRIMA 2728
va non può qualificarsi contratto di locazione, ma sempre conces
sione-contratto, osservandosi ancora che il momento convenziona
le non può considerarsi come contratto di locazione, bensì come
una convenzione sui generis sia pure equiparabile per determinati
effetti, e, in particolare, per quelli tributari, al contratto di
locazione.
Ora, essendo conforme al diritto il dispositivo della sentenza
impugnata, l'erronea qualificazione — contenuta nella motivazio
ne di tale sentenza — della fattispecie costitutiva del diritto non
ha avuto, ovviamente, influenza sulla decisione. Pertanto ricorre, non l'ipotesi prevista dall'art. 360, n. 5, c.p.c. ed indicata dal
l'amministrazione, bensì quella contemplata dall'art. 384, 2° com
ma, dello stesso codice che attribuisce alla Corte di cassazione il
potere di correggere in diritto la motivazione della sentenza
impugnata senza procedere all'annullamento di quest'ultima,
quando il dispositivo della medesima si palesa, come nella
specie, giuridicamente esatto. Di conseguenza la parte di motivazione, che si è visto essere
giuridicamente erronea, della decisione della Commissione centra
le, si deve intendere sostituita con l'argomentazione, qui or ora
svolta, sulla natura del procedimento concessorio. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 8 set
tembre 1983, n. 5521; Pres. Gambogi, Est. Sensale, P.M.
Fabi (conci, conf.); Banca d'Italia (Avv. Blasi, Catapano) c.
Naccarato (Avv. Ferretti). Conferma App. Roma, decr. 18 apri le 1980.
Matrimonio — Divorzio — Pensione di riversibilità — Diritto
del coniuge divorziato ad una quota — Giurisdizione ordi
naria — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 25,
103; 1. 1° agosto 1978 n. 436, norme integrative della 1. 1° di
cembre 1970 n. 898, sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, art. 2).
Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia
relativa al diritto del coniuge divorziato a percepire una quota della pensione e di altri assegni spettanti, o che sarebbero
spettati, al coniuge superstite, atteso che tale attribuzione
patrimoniale partecipa della natura propria dell'assegno di di
vorzio (sulla base di tale principio, è stata dichiarata manife stamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 2 l. 436/78, nella parte in cui sottrae siffatte contro
versie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in
riferimento agli art. 25 e \103 Cost.). (1)
(1-4) Il divorziato e la pensione di riversibilità: un cammino
ancora pieno di incognite.
1. - A cinque anni dalla 1. 1° agosto 1978 n. 436 pare ormai giunto il momento di chiedersi fino a qual punto essa abbia effettivamente
conseguito lo scopo di sanare quelle « situazioni umane » (cosi la seconda relazione della sen. Tedesco Tatò al relativo disegno di legge; la si veda in Barbiera, II divorzio2, in Commentario, a cura di
Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1979, 663) che avevano spinto il
legislatore ad intervenire. E, alla luce del panorama offerto dalle abbastanza numerose decisioni in materia di trattamento del divorziato in caso di morte dell'ex coniuge {si ricordi come al vaglio della giurisprudenza sia, in pratica, passata esclusivamente la problematica relativa al novellato art. 9 1. sul divorzio, restando ancora essenzial mente oggetto di elaborazione dottrinale l'istituto dell'assegno a carico dell'eredità ex art. 9 bis: v, per tutti, D'Antonio, Il divorzio, Padova, 1983, 452 ss. e 466), sembra ancora imporsi una risposta sostanzial mente negativa, avvalorata da direttive amministrative di applicazione (si allude alla circolare 7 marzo 1980 n. 1274 del ministero del tesoro, riprodotta in Temi romana, 1981, 577 ss., con osservazioni di
Capponi, Interpretazione « abrogativa » della legge sul trattamento pensionistico del coniuge divorziato in una circolare ministeriale), che esasperano, a danno degli interessati, le incertezze esistenti in campo interpretativo. Le sentenze in epigrafe, anzi, destano notevole inquie tudine per le tendenze involutive che ne caratterizzano talune afferma
zioni; di qui l'opportunità di delineare, sia pur brevemente (per un
più ampio esame del tema, anche alla luce delle esperienze straniere e delle prospettive di riforma legislativa, si rinvia a Quadri, Le
aspettative pensionistiche nella crisi del rapporto coniugale, in Foro it., 1982, I, 2291 ss.), lo stato delle questioni alla cui soluzione esse, pur con esiti spesso contraddittori, si sforzano di contribuire.
2. - Una soddisfacente unità di vedute la Cassazione dimostra di
avere, comunque, raggiunto almeno su di un problema la cui impor tanza fondamentale deriva dall'esserne la soluzione il più delle volte
preliminare agli altri quesiti in materia: si allude all'interpretazione da
II
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 11 maggio
1983, n. 3244; Pres. Sandulli, Est. Borruso, P. M. Cecere
(conci, conf.); Min. tesoro e Min. difesa (Avv. dello Stato
De Francisci) c. Turco (Avv. Alessandri). Cassa App. To
rino, decr. 2 maggio 1980.
Matrimonio — Divorzio — Pensione di riversibilità — Diritto
del coniuge rispetto al quale è stato pronunciato il divorzio
all'attribuzione incondizionata e per intero in difetto di altri
concorrenti — Esclusione (L. 1° agosto 1978 n. 436, art. 2). Matrimonio — Divorzio — Pensione di riversibilità — Attribu
zione al coniuge rispetto al quale è stato pronunciato il di
vorzio — Determinazione della quota (L. 1° agosto 1978 n. 436, art. 2).
Va cassata la sentenza che attribuisce al coniuge, rispetto al
quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento del matri
monio, il diritto a conseguire — in mancanza di altri concor
renti — incondizionatamente e per intero la pensione di
riversibilità. (2) Il trattamento di riversibilità può essere accordato all'ex coniuge
in misura superiore all'assegno di divorzio, secondo una valu
tazione discrezionale che tenga conto delle componenti assi
stenziale, risarcitoria e compensativa, solo ove sussista muta
mento della situazione economica in relazione alla quale l'as
segno ■ stesso fu fissato e può essere determinato in misura
inferiore quando tale assegno superi il venti per cento della
pensione diretta e la separazione che ha portato al divorzio sia
stata addebitata al superstite. (3)
dare all'espressione (contenuta nel vigente art. 9, 2° comma, 1. sul
divorzio) «obbligato alla somministrazione dell'assegno». A chiarire quanto già altrove affermato (v., in particolare, Cass. 14
novembre 1981, n. 6045, id., 1982, I, 2290, sulla scia di Cass. 5 febbraio 1979, n. 754, id., 1979, I, 297), provvede soprattutto Cass. 28
aprile 1983, n. 2911, la quale supera decisamente l'argomento di carattere letterale rivolto ad affermare la necessità, ai fini dell'attribu zione pensionistica, della previa effettiva liquidazione di un assegno di divorzio (in tal senso, invece, M. Finocchiaro, Sulla pensione di riversibilità in favore del coniuge divorziato, in Giust. civ., 1979, I, 811 e Trib. Bergamo 14 aprile 1981, Foro it., Rep. 1981, voce Matrimonio, n. 186, e, per esteso, in Ciur. merito, 1981, 1, 883): portando ad esempio l'art. 433 c.c., viene confermato, cosi, l'indirizzo tendente ad interpretare il termine « obbligato » nel senso di soggetto su cui l'obbligo grava « in astratto (e non necessariamente in concreto e per il passato) » (Cass. 754/79).
L'ammissione, per tale via, della pretesa del divorziato all'attribuzione della pensione (o di una sua quota) anche in mancanza dell'anteriore godimento di un assegno a carico dell'ex coniuge incontra l'approva zione (sia pure obiter) anche di Cass. 11 maggio 1983, n. 3244, nonché di Cass. 12 luglio 1983, n. 5521, la quale, però, non coglie come una simile soluzione rappresenti l'inevitabile conseguenza proprio del profondo mutamento che la novella del 1978 ha, al di là delle
apparenze, apportato alle aspettative del divorziato in materia pensio nistica (cfr. Quadri, op. cit., spec. 2293 ss.).
3. - A fornire al ricordato orientamento un fondamento più solido di quello rappresentato dagli argomenti letterali (di per se stessi sempre discutibili) si impegna, infatti, la prima in ordine di tempo delle tre decisioni {Cass. 2911/83), valorizzando l'autonomia dell'attri buzione diretta di una quota di pensione rispetto all'eventuale prece dente riconoscimento di un assegno di divorzio. Puntualizzato, cioè, che la morte dell'obbligato alla relativa somministrazione non trasfe risce alcun debito sul coniuge superstite (in tal senso, v. Cass. 11 dicembre 1980, n. 6396, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 181; 8 maggio 1982, n. 2858, id., Rep. 1982, voce cit., n. 178; Cass. 6045/81), si nega recisamente che la pensione attribuibile al divorziato ex art. 9 costituisca strumento per garantire l'adempimento del precedente as
segno di divorzio od obbligo che partecipa della stessa natura di
quest'ultimo, trattandosi di un diritto del tutto nuovo (e, specifica la motivazione di Cass. 6396/80, « proprio »). E se è vero che la tesi
opposta fu autorevolmente sostenuta da Cass. 11 aprile 1978, n. 1690, id., 1978, I, 1373 (secondo cui, quindi, l'art. 9 non «ha inteso operare una ripartizione della pensione o degli altri assegni considerati come tali, né istituire nuove forme previdenziali, ma fornire un ulteriore strumento di garanzia del pagamento di contributi ad altro titolo dovuti a soggetti diversi dal titolare della pensione o degli assegni »), non si deve dimenticare che tale decisione si riferiva alla formulazione originaria dell'art. 9, nella quale la pretesa del divorziato risultava subordinata, almeno stando alla lettera della disposizione (non manca va, infatti, un nutrito indirizzo, anche giurisprudenziale, sensibile ad un'interpretazione in senso favorevole all'attribuzione pensionistica al divorziato pur in assenza di un coniuge superstite; per ampi riferimen ti, cfr. Scalisi, in Nuove leggi civ., 1979, 614), all'esistenza di un coniuge in atto « titolare » del trattamento pensionistico di riversibilità. Le sue conclusioni, insomma, erano coerenti con un sistema che vedeva nell'attribuzione al coniuge divorziato un carico addossato al coniuge superstite (e di qui i dubbi circa la sua legittimità costituzio
This content downloaded from 91.238.114.64 on Sat, 28 Jun 2014 08:54:05 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions