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Sezione I civile; sentenza 9 agosto 1960, n. 2353; Pres. Fragali P., Est. Jannuzzi, P. M. Mazza(concl. conf.); Pasticci (Avv. Gargiulo Carminati, Vitale) c. Angelitti (Avv. Momaroni)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 11 (1961), pp. 1943/1944-1945/1946Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151559 .
Accessed: 28/06/2014 16:56
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1943 PARTE PRIMA 1944
in senso negativo sulla prova fornita dal Gambini al fine
di vincere la presunzione di legge, basta ricordare che nella
sentenza impugnata è testualmente detto : « Se al Quer cetti può essere rimproverato di non avere marciato a una
velocità più moderata di quella (Km. 50 orari) da lui tenuta, e di non avere dato la precedenza al ciclista, che proveniva da una strada laterale destra (che le segnalazioni acustiche
siano state date non può escludersi), al Gambini va rim
proverato di essersi immesso dalla Via Marsala nella Piazza
Cesare Battisti voltando a sinistra, senza girare al largo
(se ciò avesse fatto sarebbe stato avvistato dall'automo
bilista da una distanza maggiore di dieci metri), e di avere
portato sulla bicicletta un pacco di biancheria, il che gli
impedì di compiere la manovra di arresto o di deviazione ».
A queste considerazioni la Corte di Ancona è pervenuta
dopo una particolareggiata analisi delle risultanze di causa, che dimostrarono l'erroneità dell'affermazione dei primi Giudici, secondo i quali lo scontro sarebbe stato da at
tribuirsi soltanto al Quercetti, in quanto il veicolo dello
stesso non aveva riportato alcun danno e la collisione sa
rebbe avvenuta nella mezzeria di sinistra rispetto alla
marcia dell'automobile, mentre, invece, era avvenuta sulla
linea mediana della strada. Se a ciò si aggiunge che la Corte
non ha potuto trarre alcun elemento dalla prova fornita
dal Gambini al fine, per il quale la prova stessa era stata
ammessa, cioè per escludere la presunzione di colpa sta
bilita dal 2° comma dell'art. 2054, non è chi non veda come
sul punto in esame la Corte di appello ha emesso, nell'am
bito del suo potere, un giudizio che consiste in un apprez zamento di fatto del tutto insindacabile in questa sede, in
quanto non infirmato da vizi di logica o da errori giuridici, non potendo, per altro, avere alcuna influenza la circostanza
che a favore del Quercetti non sia stata emessa alcuna pro nunzia di liquidazione dei danni. Di tale omissione di pro nunzia, infatti, si sarebbe potuto dolere soltanto lo stesso
Quercetti, e non mai, data l'assoluta mancanza di interesse, il ricorrente, nemmeno sotto il profilo della contraddizione
di motivazione, soltanto incidentalmente dedotta.
Del resto, in relazione alla tesi sostenuta dal ricorrente
nel primo motivo, è appena il caso di aggiungere che già in casi simili (vedi per tutte la sent. n. 4761 del 1957, Foro
it., Rep. 1957, voce Circolazione stradale, n. 114), questa Corte ha deciso che, ai fini della presunzione di colpa sta
bilita dall'art. 2054, l'accertamento dei danni subiti dal
l'uno o dall'altro veicolo incorsi nello scontro può essere
fatto dal giudice di merito, indipendentemente dalla pro
posizione di qualsiasi domanda di risarcimento di danni
da parte dell'avente diritto, onde non può dubitarsi che
se la domanda sia stata proposta e i danni siano stati ac
certati, ma non sia stata pronunziata alcuna condanna
a carico dell'altra parte, questa non può pretendere che sia
esclusa la presunzione di colpa a suo carico sol perchè alla
non esclusione della presunzione non sia seguita la con
danna nei suoi confronti.
Il primo motivo del ricorso è, quindi, da respingersi. (Omissis)
Deve essere accolto il quinto motivo, col quale si de
nunzia la violazione degli art. 1229, 1282 e 1284 cod. civ.,
perchè, in effetti, contro le regole vigenti in materia di ri
sarcimento di danni da illecito, secondo le quali gli interessi
sulla somma corrispondente alla capitalizzazione del red
dito del danneggiato debbono essere calcolati con decor renza dalla data di cessazione dell'inabilità temporanea as soluta (v. sent. n. 2063 del 1957, Foro it., Rep. 1957, voce
Circolazione stradale, n. 357 ; n. 502 del 1953, id., Rep. 1953, voce cit., n. 246 ; n. 1927 del 1950, id., Rep. 1950, voce Responsabilità civile, n. 307, ecc.) i Giudici di appello hanno fissato detta decorrenza di interessi dalla data della
decisione di primo grado. Per questi 'motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 9 agosto 1960, 11. 2353 ; Pres.
Fbagali P., Est. Jannuzzi, P. M. Mazza (conci, conf.) ; Pasticci (Avv. Gargiulo Carminati, Vitale) c. Ange litti (Avv. Momaroni).
(Conferma App. Perugia 29 aprile 1959)
Commercio tli vendita al pubblico — Licenza comu
nale — Intrasmissibilità — Kffelti — Fattispecie
(Cod. civ., art. 1418, 1° comma ; r. d. 1. 16 dicembre
1926 n. 2174, conv. nella legge 18 dicembre 1927 n. 1501, sul commercio di vendita al pubblico, art. 1).
Concorrenza (disciplina della) — Affitto di azienda —
Sfruttamento da parte dell'affittuario per altra im
presa - Illegittimità (Cod. civ., art. 2561, 2° comma,
2562, 2598, n. 3).
È valido il patto con cui il locatore dell'azienda si obbliga, nei confronti dell'affittuario, a non opporsi affinchè sia a
quest'ultimo rilasciata, dall'autorità amministrativa, altra
licenza di vendita al pubblico per l'azienda affittata. (1) Commette atto di concorrenza sleale l'affittuario di azienda che
chiuda il negozio, nel quale l'azienda veniva gestita, ed inviti
il pubblico a rivolgersi ad altro negozio, ove lo stesso affit tuario gestisce un'azienda similare di sua proprietà. (2)
La Corte, ecc. — Con il primo motivo il ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione dell'art.
1344 cod. civ., censura la sentenza impugnata per avere
ritenuto che il contratto avesse avuto per oggetto l'affitto
dell'azienda nel suo complesso di beni materiali ed imma
teriali, inclusa in questi ultimi la licenza di esercizio, e
che, per tale ragione, non fosse vietata da alcuna norma
di legge la cessione provvisoria o definitiva della licenza
stessa. Deduce che, in realtà, le parti avevano inteso con
cludere un contratto di cessione della licenza, e che per tale ragione esso doveva essere dichiarato nullo, in quanto costituente il mezzo per eludere l'applicazione di una norma
inderogabile ; denuncia all'uopo l'insufficiente esame della
clausola con la quale le parti avevano dichiarato di avere
stipulato l'atto pubblico di vendita dell'azienda per elu
dere il divieto legale di cessione della licenza, nonché la
omessa motivazione della sentenza impugnata sulla ricerca
di tale volontà delle parti. La censura non è fondata, ma non tutte le ragioni
esposte nella sentenza impugnata possono essere condivise.
(1) Conforme : App. Torino 14 maggio 1057, Foro il., Kep. 1057, voce Commercio di vendita, n. 60 ; Cass. 27 settembre 1956, n. 3286, id., Rep. 1956, voce cit., n. 56.
Cons. Stato, Sez. V, 27 settembre 1960, n. 664, afferma che la licenza di commercio non è un bene economico alienabile
(id., Rep. I960, voce cit., n. 115) : così anche Cass. 20 aprile 1959, n. 1182, id., Rep. 1959, voce cit., n. 77 ; 5 luglio 1958, n. 2420, id., Rep. 1958, voce Azienda, n. 16; Trib. Napoli 21 novembre 1957, id., Rep. 1957, voce cit., n. 45 ; Cass. 7 giugno 1957, n. 2104, ibid., voce Commercio di vendita, n. 64 ; 24 ottobre
1956, n. 3890, id., 1957, I, 170 (che ha ritenuto illegittimo l'eser ercizio dell'azienda da parte dell'usufrutcuario se la licenza del l'autorità di P. s. rimanga intestata al nudo proprietario) e 27 febbraio 1954, n. 594, id., 1955, I, 74.
(2) La licenza di commercio non costituisce una autorizza zione generica ad esercitare un determinato commercio, ma è data con riferimento ad un determinato negozio : Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 1958, n. 882, Foro it., Rep. 1958, voce Com mercio di vendita, n. 50.
Cass. 23 dicembre 1958, n. 3948 (id., 1959, I, 367, con nota di Ligi, Violazione di norma penale o amministrativa e concor renza sleale) ha precisato che i principi della correttezza pro fessi male sono applicabili soltanto all'attività concorrenziale, e non anche all'attività produttiva nel suo complesso.
Sul criterio di interpretazione dell'art. 2598, n. 3 cod. civ., cui fa riferimento la sentenza annotata, v. Cass. 31 luglio 1957. n. 3270, id., 1958, I, 1287, con nota di Robino Rizzet, Auto nomia interpretativa dell'art. 2598 cod. civ., rispetto all'art. 10 bis della Convenzione dell'Aja.
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1945 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1946
Non è esatto che la cessione della licenza comunale
per l'esercizio del commercio di vendita al pubblico sia
lecita, quand'essa venga trasferita come un elemento del
l'azienda data in affitto ; è vero, invece, che, essendo tale
licenza concessa intuitu personae, previo accertamento, per
ragioni di pubblico interesse, dei requisiti di moralità e
di capacità del concessionario, essa è sempre intrasmissi
bile, e pertanto, la sua cessione, in quanto contraria a
norme imperative, è colpita da nullità ai sensi dell'art.
1418, 1° comma, cod. civ., anche se la licenza sia trasferita, secondo l'intenzione delle parti, come un elemento del
l'azienda alla cui gestione si riferisce. Per la stessa ragione è nulla ogni convenzione diretta a consentire che il cessio
nario o l'affittuario di un'azienda usufruisca per proprio conto di una licenza rilasciata all'alienante o al locatore, essendo anche in tali casi violato il principio della perso nalità dell'autorizzazione.
La legge non vieta, invece, il trasferimento o l'affitto
di un'azienda, il cui esercizio sia soggetto ad autorizzazione, ed è altresì valido il patto con cui l'alienante o il locatore
si obbligano, nei confronti dell'acquirente o dell'affittuario, a prestare il proprio consenso all'autorità amministrativa, o comunque a non opporsi a che venga rilasciata una nuova
licenza a favore di questi ultimi, relativamente alla gestione dell'azienda ceduta o affittata, poiché tale patto, anziché
violare il principio della personalità dell'autorizzazione, è
diretto ad assicurarne l'osservanza.
Ora è appunto questa situazione che si è realizzata
nella specie, poiché, secondo quanto risulta dalla sentenza
impugnata, le parti conclusero un contratto di affitto del
l'azienda e contemporaneamente ne convennero la vendita
simulata per il fine, dichiarato nella scrittura privata di
affitto, di sottrarsi al divieto della cessione della licenza, ma in realtà per consentire che all'affittuario fosse rila
sciata una nuova licenza. Ciò ha rilevato anche la Corte
del merito, allorché ha ritenuto « implicito (nelle pattui zioni intercorse fra le parti) l'obbligo del locatore di rinun
ciare alla licenza in favore del conduttore per tutta la
durata della locazione», ma giova ancor più rilevare che
ciò trova esatta rispondenza nello svolgimento del rap
porto costituito con le predette convenzioni, in quanto
l'affittuario, simulato acquirente dell'azienda, ottenne nel
novembre 1953 una nuova licenza per la gestione in nome
proprio del negozio in base alla vendita simulata, realiz
zandosi così la situazione, conforme alla reale intenzione
delle parti nonché alla legge, che egli lo gestisse quale affittuario e con una licenza a lui intestata.
Se tale è la realtà, come emerge dall'interpretazione dei contratti, che è riservata ai Giudici del merito, anche
in base al comportamento delle parti posteriore alla con
clusione di essi, non giova al ricorrente fermarsi all'espres sione letterale di una premessa contenuta nella scrittura
privata, secondo cui l'atto simulato di vendita era stato
stipulato « per schivare il divieto che la legge frappone alla locazione delle licenze », per sostenere che tutta la
vicenda contrattuale era diretta ad eludere l'applicazione di una norma inderogabile. Tale espressione, infatti, intesa
in relazione al modo di esecuzione dei contratti, come
risulta accertato dalla sentenza impugnata, ben poteva essere interpretata nel senso che le parti avevano concluso
la vendita simulata al fine di consentire il rilascio di una
nuova licenza al nome dell'affittuario, e quindi per « schi
vare », cioè per non incorrere nella violazione del divieto
di cessione della licenza intestata alla locatrice, o comunque del divieto di utilizzazione di tale licenza a favore dell'af
fittuario ; il che è cosa diversa dal dire che le parti ebbero
l'intenzione di infrangere quel divieto.
Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando la
violazione dell'art. 2598, n. 3, censura la sentenza impu
gnata per avere ravvisato un atto di concorrenza sleale
nell'apertura, da parte di esso ricorrente, di un altro negozio di tessuti nella stessa Città. Denuncia il difetto di moti
vazione in ordine alla scorrettezza dell'atto ed alla sua
idoneità a danneggiare l'altrui azienda, nonché sulla coesi
stenza di entrambi i detti requisiti della concorrenza sleale ;
deduce che non sarebbe stata configurabile una situazione
concorrenziale fra due aziende gestite da uno stesso im
prenditore, e conclude che nel suo comportamento si sa
rebbe potuto riscontrare eventualmente solo la violazione
dell'obbligo contrattuale di condurre l'azienda affittata « con
lo stesso prestigio commerciale », con la conseguente appli cazione della penale prevista in lire 200.000.
Neanche tali censure sono fondate.
Se è vero, infatti, che il ricorrente esercitava la stessa
attività imprenditrice in relazione ad entrambe le aziende, di cui era rispettivamente proprietario ed affittuario, queste, tuttavia, rimanevano distinte, perchè appartenenti a tito
lari diversi, e conservavano la propria autonomia oggettiva e funzionale, nonché le proprie caratteristiche, specialmente in ordine all'avviamento. Ciò rendeva possibile una situa
zione concorrenziale fra le due aziende, determinata dal
comportamento dello stesso imprenditore idoneo a sviare
la clientela da quella di cui era affittuario all'azienda
propria. Ora se il ricorrente si fosse limitato ad aprire un nuovo
negozio di tessuti in prossimità di quello, avente lo stesso
oggetto, che conduceva in affitto, tale attività sarebbe
stata lecita o avrebbe importato la violazione dell'art. 2557, 4° comma, cod. civ., e non anche dell'art. 2598, a seconda
che si ritenga che il divieto di concorrenza vale soltanto
nei confronti del locatore dell'azienda oppure si estende
all'affittuario. Invece il ricorrente chiuse il negozio dell'An
gelitti ed appose sulla porta esterna un cartello con il quale si invitava la clientela a rivolgersi al proprio negozio. In
tale fatto la Corte ha ravvisato gli estremi della concor
renza sleale ai sensi del citato art. 2598, 3° comma, cod.
civ., avendo ritenuto che il comportamento del ricorrente
fosse contrario ai principi della correttezza professionale, nonché idoneo a danneggiare l'azienda dell'Angelitti.
Il ricorrente deduce che sarebbe mancata la motiva
zione su tali punti e che, in ogni caso, egli sarebbe stato
responsabile soltanto di violazione del contratto e non
anche di concorrenza sleale.
Senonchè la dimostrazione degli estremi della concor
renza sleale, con la conseguente applicazione della san
zione relativa, è in re ipsa, nella stessa enunciazione del
fatto commesso dal ricorrente.
Se è vero, infatti, che l'affittuario dell'azienda è l'unico
soggetto legittimato ad utilizzarne l'avviamento, ciò egli
può fare, però, sempre nell'ambito dell'azienda affittata, cioè mantenendo ferma e senza modificare l'inerenza del
l'avviamento stesso a quella determinata azienda, mentre
lo sfruttamento a favore di un'azienda diversa concreta
un abuso, che, oltre a violare l'obbligo contrattuale, è
contrario ai principi della correttezza professionale. E se
si ritiene che il divieto di cui all'art. 2557, 4° comma, cod.
civ. non sia operante a carico dell'affittuario, l'inizio di
un'impresa similare da parte di questo ultimo e la conse
guente situazione concorrenziale, che ne deriva, possono considerarsi leciti, semprechè non risulti che l'imprenditore, si sia avvalso, anche indirettamente, di tale mezzo per stornare l'avviamento relativo all'azienda affittata a fa
vore della nuova impresa, operando così uno sviamento
artificioso della clientela dall'una all'altra, per lo scopo di
trarre profitto da tale illegittima situazione concorrenziale.
Ora tutto ciò era addirittura palese nel fatto compiuto dal ricorrente, il quale concretava, sotto il primo aspetto della chiusura del negozio affittato in sé considerata, la
violazione dell'obbligo contrattuale di cui all'art. 2562 in
relazione all'art. 2561, 2° comma, e, nel suo complesso, di indirizzare la clientela dal negozio chiuso a quello proprio del ricorrente, la violazione dell'art. 2598, 3° comma, come
ha esattamente ritenuto la Corte d'appello. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.
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