+ All Categories
Home > Documents > Sezione I civile; sentenza 9 luglio 1962, n. 1804; Pres. Lonardo P., Est. D'Armiento, P. M....

Sezione I civile; sentenza 9 luglio 1962, n. 1804; Pres. Lonardo P., Est. D'Armiento, P. M....

Date post: 27-Jan-2017
Category:
Upload: tranquynh
View: 212 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
3
Sezione I civile; sentenza 9 luglio 1962, n. 1804; Pres. Lonardo P., Est. D'Armiento, P. M. Colonnese (concl. conf.); Iengo (Avv. Trapani) c. Fall. Amendola (Avv. Sambiase) Source: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 1 (1963), pp. 97/98-99/100 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23153240 . Accessed: 25/06/2014 09:45 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 09:45:31 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript

Sezione I civile; sentenza 9 luglio 1962, n. 1804; Pres. Lonardo P., Est. D'Armiento, P. M.Colonnese (concl. conf.); Iengo (Avv. Trapani) c. Fall. Amendola (Avv. Sambiase)Source: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 1 (1963), pp. 97/98-99/100Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23153240 .

Accessed: 25/06/2014 09:45

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 09:45:31 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

97 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 98

tive ehe ne derivavano, e che, dal teäto legislativo, era

leeito desumere ehe si fosse inteso rimediare, nei confronti

di chiunque, alia profonda disfunzione dell'ordinamento

giuridico, abbandonando ogni riferimento soggettivo ed ogni riehiamo alle cause giä note di sospensione.

Proprio per questa ragione, la sospensione, non essendo

collegata ad alcuna circostanza suscettibile di apprezza mento da parte del giudice, operava di pieno diritto ed

era rilevabile d'ufficio (art. 1, 1° comma, e ultimo), mo

strando nel modo piu evidente il carattere meramente

oggettivo del suo presupposto mentre le esigenze della

certezza dei diritti, oltre che superate di fronte ad una

siffatta normativa, apparivano comunque non giustifica bili di fronte alle improvvise ed urgenti necessity che

l'avevano proyocata, necessitä le quali non erano ignote a nessuno e, quindi, nemmeno al terzo possessore.

I ricorrenti non adducono valide ragioni per dissentire

da quest'ultimo indirizzo che appare conforme al testo dei

due provvedimenti e alia loro ratio onde deve riaffermarsi

il principio che la sospensione dei termini ivi disposta non

rientra tra le cause indicate dall'art. 2942 e richiamate

dall'art. 1166 cod. civ. ed b, pertanto, opponibile anche al

terzo possessore di diritti reali immobiliari.

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTEJUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile; sentenza 9 luglio 1962, n. 1804 ; Pres.

Lonardo P., Est. D'Abmiento, P. M. Colonnese

(concl. oonf.) ; Iengo (Aw. Trapani) c. Pall. Amendola

(Aw. Sambiase).

(Gassa App. Napoli 14 maggio 1960)

Obbligazioni e eontratti — Determinazione <lel prczzo di un appalto aiiidata ad un terzo — « Arbitrium

boni viri » — Manifesta iniquita delta deter mina

zione —- Limiti — Fattispeoie (Cod. civ., art. 1349).

La, determinazione del prezzo di un appalto, rimessa all'&T

bitrium boni viri di un terzo a norma delVart. 1349 cod.

civ., non e manifestamente iniqua sol perche il terzo si

sia diseostato, a vantaggio delVappaltatore, dai prezzi

espressi nelle tariffe correnti (nella specie, le tariffe del

Oenio civile) : la manifesta iniquita suppone, in tal caso, un prezzo non remunerativo, che ciob non corrisponda ai costo di produzione e ad un pur lieve marqine di pro

fitto. (1)

La Corte, eco. — Col primo motivo il rioorrente deduce il vizio di extrapetizione della sentenza impugnata, soste

nendo che, non avendo la controparte mai ammesso l'esi

stenza del patto di arbitraggio, e tanto meno cbiesto che si dichiarasse manifestamente iniqua o erronea la valuta

zione fatta dall'arbitratore, la Corte di merito non avrebbe

potuto, per la corrispondenza tra chiesto e pronunziato, ritenere e dichiarare iniqua ed erronea tale valutazione.

Con gli altri tre motivi, strettamente connessi, lo Iengo deduce la violazione degli art. 1349 e 1657 cod. civ., nonche il difetto di motivazione, sostenendo che la sentenza impu gnata, dopo aver inquadrato il caso di specie nell'art. 1349 cod. civ., e cioe nella ipotesi in cui le parti abbiano deferito

ad un terzo il prezzo della prestazione dedotta in contratto, abbia poi erroneamente interpretato ed applicato il detto

disposto di legge, attraverso una movitazione peraltro ina

(1) Non risultano precedenti in termini. Nel senso che la manifesta iniquity «deve risultare dall'esame del risultato fi nale della determinazione e non soltanto dalla valutazione del

procedimento seguito », Cass. 12 ottobre 1960, n. 2606, Foro

il., 1961, I, 72, con nota di riehiami (conf. la sent. n. 2665 di

pari data, riprodotta in Foro pad., 1961, I, 830). In dottrina, da ultimo, Biamonti, Arbitrato, nn. 19, 20,

voce dell'Enciclopedia del diritto, II, pagg. 952, 953.

Il Foko Italiano — Volume LXXXVI — Parte 1-1.

deguata e manchevole. E ciõ in quanto, in relazione al

precetto legislative), il quale impone al terzo arbitratore di

prooedere alia determinazione affidatagli dalle parti «con

equo apprezzamento » (a mono clie le parti non abbiano

voluto rimettersi al suo mero arbitrio, ipotesi esclusa nella

specie), e dispone altresi che, se la determinazione del

terzo e manifestamente iniqua o erronea, la determinazione

e fatta dal giudice, ha ritenuto di invalidare la determina

zione dell'arbitratore per manifesta erroneita, solo percM non aderiva alle tariffe del Genio civile, ma se ne discostava

sensibilmente. Argomentando in maniera cosi semplicistica, la Corte di merito, prosegue il ricorrente, ha confuso i

concetti di manifesto errore o iniquitä con i prezzi di tariffa, come se solo questi ultimi dovessero applicarsi in materia

di arbitraggio, e senza considerare che se cosi fosse sarebbe

inutile fare ricorso alia stima dell'arbitratore, la quale deve

invece tenere conto di tanti elementi anche particolari e

contingenti (quali possono essere, nella specie, le diminu

zioni di costo del materiale, della mano d'opera, ecc. deter

minate dai prezzi correnti sul posto). Codesta confusione

di concetti ha portato alia affermazione, erronea in diritto, che 1'arbitratore, ove non faccia aderire la sua stima ad

una determinata tariffa, anziche al suo libero convinci

mento, sconfina nella manifesta iniquity ; mentre in tema

di equita vi possono essere, continua e conclude il ricor

rente, prezzi piü remunerativi e meno remunerativi, ma

sempre equi, intendendosi per iniquo solo quel prezzo che

esponga l'appaltatore o il committente a grave perdita. II motivo che concerne la extrapetizione (il primo) non

trova riscontro nel processo ; gli altri, invece, sono fondati.

(Omissis) Come giä accennato in precedenza, la Corte di merito

ha ritenuto manifestamente erronea la determinazione del

i'importo dell'opera fatta dall'arbitratore, in quanto questo ultimo non si era attenuto alle tariffe del Genio civile di

Napoli, ma ad una valutazione sua personale, inferiore

leggermente ai prezzi di mercato, pervenendo cosi ad una

valutazione inferiore di ben lire 1.838.632 a quella della

consulenza tecnica di ufficio (che al detto tariffario si era

conformata). Codesto ragionamento non puõ approvarsi, perche, oltre

ad essere troppo semplicistico, c basato su di una erronea

interpretazione ed applicazione dell'art. 1349, 1° comma.

Ed invero, alia stregua di tale norma, le parti sono te

nute alia determinazione dell'arbitratore, a meno che la

stessa non sia «manifestamente iniqua o erronea», nel

quale caso la determinazione 6 fatta dal giudice. Ora, anzitutto, l'espressione «determinazione manife

stamente iniqua o erronea » non significa ne letteralmente, ne logicamente determinazione che non applichi o si di

stacchi da una determinata tariffa di prezzi, ma allude, da una parte («manifestamente iniqua»), ad una stima

apertamente e sommamente ingiusta dell'arbitratore, disco

stantesi perfino dai criteri equitativi, stima che se appli cata cagionerebbe sicuro danno ad una delle parti; allude, dall'altra («manifestamente erronea»), ad una stima che

appaia, ictu oculi e con evidenza spiccata, inficiata da cal

ooii sbagliati. In secondo luogo va osservato che, in tema di equita,

vi possono essere prezzi piü remunerativi e meno remune

rativi, ma sempre equi; invece nella iniquitä sussiste un

prezzo non remunerativo, che, non aderendo al costo di

produzione e ad un lieve margine di profitto, esponga una

delle parti a sicura perdita. In terzo luogo appare decisivo considerare che le parti

fanno ricorso all'arbitraggio quando intendono rimettersi

per la determinazione di un elemento del contratto al

criterum boni viri dell'arbitratore, e non alle semplici tariffe

o mercuriali, nella quale ultima ipotesi avrebbero fatto

riferimento alle stesse, anziche all'opera dell'arbitratore.

Perciõ e assurdo ai fini del giudizio parlare, come ha

fatto la Corte di merito, di prezzi piü. equi e meno equi nel senso di piu remunerativi e meno remunerativi. e doveva

invece esaminarsi, ciõ che non e stato fatto, se i prezzi dell'arbitratore, anche se scarsamente remunerativi per

l'appaltatore, non rappresentavano una perdita, ed appa

This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 09:45:31 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

09 PARTE PRIMA 100

rivano anzi consoni alle peouliari condizioni di mercato in cui 1'opera fu compiuta (minor costo di mano d'opera per il piccolo comune, materiali del posto, eventuale minore incidenza dei trasporti, minor costo della direzione ed assi stenza dei lavori affidati ad un geometra e non ad un

ingegnere, ecc.). E non vale opporre, come pure si tenta dal contro

ricorrente, ehe il giuiizio sulla iniquita della determina zione costituisce un apprezzamento di fatto incensurabile in quelia sede. Puo facilmente replicarsi, invero, che la obiezione sarebbe esatta se il giuiizio della Corte di merito non foäse travagliato nel suo iter formativo da vizio logico e giuridico, ma, essendolo, come giä visto, non puõ sfug gire al sindacato di questo Supremo collegio.

Oäserva da ultimo che non a proposito la sentenza

impugnata ha pure richiamato, a soätegno della decisione

preäa, il disposto dell'art. 1657 cod. civ. Detta norma

contempla la determinazione del corrispettivo nell'appalto, ove le parti non i'abbiano determiuato ne abbiano stabilito il modo di determinarlo (neile quili ipoteäi il corrispettivo va calcolato con riferimento alle tariffe eaistenti o agli usi, e in mancanza õ determinato dal giudice), mentre nella.

specie eäisteva un patto di arbitraggio non contestato, con le conseguenze giä viste.

Pertanto la denunziata sentenza va cassata e la causa

rimessa, per nuovo esame, ad altra Sezione della Corte

d'appello di Napoli, la quale si uniformerä, aiprincipidi diritto te3te posti e pronunzierä anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.

Accogliendosi per quanto di ragione il ricorso, deve

disporsi la restituzione del deposito. Per questi tnotivi, cassa, ecc.

COSTE SUPREMA DI CASSAZIÖNE.

Sezione II civile; sentenza 9 luglio 1962, n. 1792 ; Pre3. La Via P., Est. Modigliani, P. M. Tkotta (conol. oonf.); Sisinna (Aw. Savarese) c. Sisinna (Avr. SI

sinna).

(Oonferma Trib. Galtagirone 22 aprile 1959)

Distanze legali — Piantagioni — Alberi di alio fusto — Norme (Cod. civ., art. 892).

Ai fini delVosservanza delle distanze legali e albero di alto

fusto quello ehe, somnindo alValtezza, del trorieo Valtezzi delle branehe principili dalle quali si dipzrtono i rami,

supera i tre metri. (1) Va eonsiderato di alto f usto 1'albero ehe, pur nori raggiungendo

attualmente eol trorieo e le branehe principali 1'altezza di tre metri, apparisca per le sue caratteristiche vegetative destinato a superare taie altezza. (2)

La Corte, eco. — Col primo mezzo di annullamento la ricorrente, nel denunziare la violazione e falsa appli

(1-2) Noa risultano precedents in termini. Per riferimenti coüsulta Oass. 2 agosto 1961, n. 1847, Foro it., Rep. 1961, voce Distanze legali, n. 48, secondo cui agli effetti dell'arfc. 892 « gli alberi vanno classificati anche con riguardo alle caratteristiche proprie del modo di coltivazione » (applicazione ai cipressi pian tati in funzione di siepe frangivento, ehe non vengono conside rati alberi di alto fusto, ancorche, per ragioni di tecnica agraria, non possono essere assoggettati alla potatura dei rami e alla re cisione apicale se non dopo ehe abbiano raggiunto un determi nate sviluppo ) ; e Oass. 26 gennaio 1957, n. 271, id., Rep. 1957, voce eit., n. 89, secondo cui «la classificazione degli alberi. . . risulta informata dalle caratteristiche vegetative delle piante, siano esse quelle naturali o quelle proprie del modo di coltiva zione ». Ambedue le sentenze sono richiamate nella motivazione della presente.

Sulla seconda massima, v. in dottrina De Martino, Com mentario, a cura di Scialoja e Branca, sub art. 892, 2a ed., pag. 289, ove si ha riguardo « non gia all'altezza coneretamente raggiunta dalla pianta, ma alla natura di essa».

cazione dell'art. 892 cod. civ., in relazione all'art. 360

cod. proc. civ., sostiene ehe, ai fini delle distanze legaii, l'altezza di un albero va misurata, contrariamente a quanto 6 stato ritenuto dal Tribunale, senza tener conto delle brancho e dei rami, e ehe quindi, ailorche il fusto (non

comprensivo delle branche e dei rami) non raggiunge tre

metri, come era per l'appunto avvenuto nel caso in esame, l'albero e da considerare di non alto fusto. Deduce poi ehe, ai fini della classificazione degli alberi da frutto in

generate e degli ulivi in particolare, che possono crescere

a diverse altezze, elementi imprescindibili ed essenziali

sono queili della destinazione o funzione delle piante, della

volontä deil'uomo e delle modalita di coltivazione. Infine

sostiene clie, ove avesse tenuto conto di" tali elementi,

e, in particolare, della funzione di frangivento, a prote zione di un agrumeto, cui erano destinati gli alberi da

ulivo in controversia, nonclie della loro quality (nocel

laria), la sentenza denunziata sarebbe pervenuta a esclu

dere che si trattasse di alberi di alto fusto.

La doglianza õ priva di fondamento.

Come 6 noto, l'art. 892 cod. civ., nello stabilire che si deve osservare la distanza di tre metri o quella di un metro e mezzo, rispettivamente, per gli alberi di alto fusto e

per queili di medio fusto, precisa al n. 1 che, rispetto alle

distanze, si considerano alberi di alto fusto queili il cui

fusto, semplice o diviso in rami, sorge ad altezza notevole, come sono i noci, i castagni, le querce, i pini, i cipressi gli olmi, i pioppi, i platani e simili; al n. 2 dispone poi che sono reputati alberi di non alto fusto queili il cui fusto sorto a altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami.

La ratio della norma consiste nella esigenza di evitarf jhe la crescita degli alberi porti a invasione del fondo vicino.

II n. 1 del citato articolo non precisa quale sia l'altezza ooncreta cui si deve avere riguardo affinche gli alberi iebbano considerarsi di alto fusto; tuttavia la dispo sizione del n. 2, che ha, rispetto alia disposizione del detto a. 1, funzione interpretativa e complementare, fa riferi mento all'altezza di tre metri; ond'e che si devono consi derare di altezza notevole, e quindi di alto fusto, tutti

quegli alberi, non espressamente ma esemplificatamente elencati nel n. 1, che hanno altezza superiore a tre metri.

A differenza dell'art. 579 del codice civile del 1865, jhe indicava nel n. 2 taluni alberi da frutto tra queili di non alto fusto, dando peraltro luogo alia disputa se gli ilberi da frutto diversi da queili indicati dovessero con nderarsi o non di alto fusto, l'art. 892 del vigente codice ion menziona al n. 2 gli alberi da frutto ; per stabilire la categoria nella quale debbano essere inclusi i detti alberi, e tra essi gli ulivi, occorre dunque avere riguardo esclu sivamente alle caratteristiche vegetative, che essi presen tano in concreto.

Ciõ posto, va rilevato che non puõ farsi adesione alla tesi della ricorrente, secondo la quale, per distinguere, ai fini della osservanza delle distanze legaii, gli alberi di alto fusto da queili di medio fusto, il concetto di fusto si deve ritenere comprensivo del solo tronco, e non anche delle branche principali.

Infatti in proposito va rilevato in primo luogo, che, al fine di stabilire se un albero sia da considerare o non di alto fusto, non e lecito, contrariamente a quanto la ricorrente mostra di ritenere, prendere per base le classi ficazioni adottate dai botanici e dagli agronomi, giacche la nozione di albero di alto fusto, ai fini delle distanze, õ precisata dalio stesso codice civile. Orbene la dizione del n. 1 del menzionato art. 892, secondo la quale « si jonsiderano alberi di alto fusto queili il cui fusto, semplice o diviso in rami», dimostra chiaramente che il legislatore ha inteso riferire l'altezza, non giä al solo fusto semplice, costituito da un unico asse, ma al fusto diviso in rami, cioe in branche, spesso piü alte del tronco. Ne giova alia ricorrente che il disposto del n. 2 dello stesso articolo, jol considerare alberi di non alto fusto « queili il cui fusto, sorto a altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami », porta a ritenere che il fusto sia costituito dal solo tronco,

This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 09:45:31 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended