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sezione I civile; sentenza 9 luglio 2003, n. 10779; Pres. Panebianco, Est. W. Celentano, P.M. Russo...

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sezione I civile; sentenza 9 luglio 2003, n. 10779; Pres. Panebianco, Est. W. Celentano, P.M. Russo (concl. conf.); Niro (Avv. Sanino, Morrone, Papa, Lucarelli) c. Pardi Terzano (Avv. Follieri) e altri. Conferma App. Campobasso 25 novembre 2002 Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2004), pp. 2199/2200-2205/2206 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23199569 . Accessed: 28/06/2014 08:23 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.223.28.130 on Sat, 28 Jun 2014 08:23:23 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 9 luglio 2003, n. 10779; Pres. Panebianco, Est. W. Celentano, P.M.Russo (concl. conf.); Niro (Avv. Sanino, Morrone, Papa, Lucarelli) c. Pardi Terzano (Avv.Follieri) e altri. Conferma App. Campobasso 25 novembre 2002Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2004), pp. 2199/2200-2205/2206Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199569 .

Accessed: 28/06/2014 08:23

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PARTE PRIMA 2200

Svolgimento del processo. — Con decreto 8 marzo 2002 il

prefetto di Venezia disponeva l'espulsione dal territorio nazio

nale del cittadino del Marocco Ben Monsour Mohassan ai sensi

dell'art. 13, 2° comma, lett. a), d.leg. 286/98 ed avverso lo stes

so l'espulso proponeva opposizione innanzi al Tribunale di Ve

nezia denunziando l'illegittimità del decreto. L'adito tribunale

con decreto 22 marzo 2002 rigettava il ricorso affermando: — che nessun vizio di nullità del decreto espulsivo era ravvi

sabile nella mancata indicazione del termine per l'abbandono

del territorio nazionale; — che neanche poteva rifluire sulla legittimità del decreto la

presunta sua illeggibilità, dato che l'espulso era stato in grado di

comprenderne il contenuto e di proporre tempestivo ricorso.

Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso il Ben

Monsour in data 4 aprile 2002 con due motivi; il ministro del

l'interno ed il prefetto di Venezia hanno notificato al ricorrente

controricorso in data 13 maggio 2002.

Motivi della decisione. — Giova preliminarmente rilevare che

la nullità della notifica del ricorso — indebitamente eseguita nei

confronti del prefetto presso l'avvocatura generale dello Stato

(senza che il prefetto del patrocinio erariale si fosse avvalso

nella fase del giudizio innanzi al tribunale) — è stata sanata

dalla rituale costituzione del prefetto stesso (avvenuta in una

con la costituzione del ministero che, di contro, alla stregua di

quanto affermato ex multis da Cass. 3354/03, Foro it., Mass.,

1727; 4847/02, id., Rep. 2002, voce Straniero, n. 191; 2036/02,

ibid., n. 200, è da dichiararsi inammissibile). Venendo all'esame dei due motivi sui quali si fonda il ricor

so, ritiene il collegio che nessuno di essi possa essere accolto.

Con il primo motivo il Ben Monsour Mohassan si duole del

fatto che il giudice del merito abbia ritenuto sostanzialmente

superflua l'indicazione del termine di efficacia del decreto

espulsivo, escludendo che la sua omessa precisazione possa ave

re riflessi sulla validità della stessa espulsione. La censura è pri va di alcun fondamento avendo il Tribunale di Venezia — se

pur con proposizione assai sintetica — mostrato di intuire la

mancanza di riflessi invalidanti sull'atto del mancato richiamo

del termine per l'adempimento dell'obbligo di allontanamento

da parte dell'espulso. La previsione di cui all'art. 13, 6° comma,

d.leg. 286/98 (abrogata dall'art. 12 1. 189/02 ma ratione tempo ris applicabile all'espulsione de qua), per la quale l'espulsione contiene l'intimazione a lasciare il territorio nazionale entro

quindici giorni e le prescrizioni per viaggio e presentazione al

l'ufficio di frontiera, comprende, all'evidenza, due norme.

Una norma sull'efficacia legale generale dell'espulsione (per la quale, se l'espulsione è immediatamente eseguita dal questore nei casi di cui al 4° e 5° comma, negli altri casi essa ha termine

di efficacia di giorni quindici ed adempimento spontaneo da

parte dell'espulso). Un'altra norma che impone al prefetto di specificare nello

stesso atto espulsivo il termine di quindici giorni per l'allonta

namento, l'itinerario e le modalità di presentazione alla frontie

ra.

ta. ai sensi dell'art. 4 d.leg. 25 luglio 1998 n. 286, in lingua leggibile —

è circostanza di per sé non sufficiente, ma valutabile nel concorso con altre circostanze di fatto apprezzabili dal giudice di merito, al fine di stabilire se ricorra causa di forza maggiore o una condizione di igno ranza incolpevole dell'esistenza del termine perentorio di otto giorni dalla data d'ingresso in Italia, che l'art. 5 d.leg. cit. prevede per la pre sentazione della richiesta di soggiorno.

Sul contenuto e la forma che devono essere propri del decreto di

espulsione, v. Cass. 3 settembre 2003, n. 12812, in questo fascicolo, I, 2195, con nota di richiami.

Nel senso che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art.

14, commi 5 ter e 5 quinquies, d.leg. 286/98, consistente nel fatto dello straniero che. quantunque raggiunto da ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato, vi si trattenga senza giustificato motivo, non è ne cessario che tale ordine espliciti le specifiche ragioni della scelta, allor ché questa risulti determinata dall'impossibilità dell'accoglienza presso il centro di permanenza temporanea più vicino per indisponibilità di

posti, v. Cass. 7 ottobre 2003, Fedi, Ced Cass., rv. 226063. Con riferimento alle ipotesi d'inosservanza, da parte dello straniero,

dell'obbligo di allontanarsi dal territorio dello Stato, v. Corte cost. 13

gennaio 2004, n. 5, Foro it., 2004,1, 1678. II. - In ordine al provvedimento di accompagnamento alla frontiera,

v. Corte cost., ord. 24 aprile 2003, n. 138, id., 2003,1, 2240, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 2004.

Da ciò discende che la mancata specificazione nel testo del

termine e delle modalità di esecuzione non può certo avere ri

flessi sulla durata del termine legale concesso all'espulso: è in

fatti la legge —

per tutti i casi in cui il questore non abbia di

sposto l'immediato accompagnamento dell'espulso alla frontie

ra — a determinarla in giorni quindici. Tale mancanza di precisazioni, invece, avrà soltanto l'evi

dente effetto di impedire l'adozione a carico del contravventore

incolpevole (e cioè dell'espulso che si sia trattenuto oltre il ter

mine fissato per l'intimazione) della misura di accompagna mento coattivo di cui all'art. 13, 4° comma, lett. a), t.u., misura

configurabile le sole volte in cui l'intimazione esista, sia com

pleta nelle precisazioni di cui al 6° comma, sia stata debita

mente resa comprensibile (7° comma) e nondimeno sia rimasta

inadempiuta (ed essendo stata la disciplina delle sanzioni penali dell'indebito trattenimento introdotta solo con l'art. 13 1.

189/02, al caso sottoposto inapplicabile).

Appare dunque aver colto nel segno la decisione impugnata là

dove ha intuito che, in ipotesi di omessa precisazione del termi

ne per l'allontanamento spontaneo dal territorio nazionale, nel

vigore degli art. 13 e 14 d.leg. 286/98, tale omissione lungi dal

viziare l'atto espulsivo potrà avere il solo effetto di rendere non

sanzionabile con l'immediato accompagnamento l'inerzia di

colui che, in assenza di alcuna colpa, si sia trattenuto oltre il

termine di legge (sì da dover essere destinatario di altra, espli cita e completa, intimazione di allontanamento).

Affatto inammissibile è la doglianza contenuta nel secondo

motivo, con la quale ci si duole del fatto che il tribunale non

avrebbe ritenuto invalidante l'asserita incomprensibilità di parte del testo del decreto espulsivo, comunque, a suo avviso, l'oppo sizione essendo andata a buon segno ed in termini.

Ed infatti, reiterare in questa sede la generica affermazione di

difficoltà di comprensione e lettura del testo, senza specificare

quali parti del testo del decreto, e per quali ragioni, non sarebbe

ro state agevolmente decifrabili, è scelta che non adempie al

l'obbligo di proporre in questa sede un ricorso autosufficiente, tale che possa rendere la corte di legittimità immediatamente

edotta — e senza onere di consultare gli atti della causa — della

esistenza di carenze radicali nel modello del decreto espulsivo delineato dal legislatore o, di converso, della configurabilità di

mere difficoltà di lettura di parti accessorie e descrittive, evi

dentemente non vizianti l'atto e sanate dalla tempestiva propo sizione del ricorso (come ha mostrato di ritenere il giudice del

merito).

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 9 luglio 2003, n. 10779; Pres. Panebianco, Est. W. Celentano, P.M.

Russo (conci, conf.); Niro (Avv. Sanino, Morrone, Papa,

Lucarelli) c. Pardi Terzano (Avv. Follieri) e altri. Confer ma App. Campobasso 25 novembre 2002.

Elezioni — Ineleggibilità alla carica di consigliere regionale — Disciplina legislativa statale di dettaglio — Questione manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art.

122; 1. 23 aprile 1981 n. 154, norme in materia di ineleggibi lità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale,

provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di in

compatibilità degli addetti al servizio sanitario nazionale, art.

2). Elezioni —

Consigliere regionale — Società azionaria con

capitale maggioritario della regione — Amministratore —

Ineleggibilità (L. 23 aprile 1981 n. 154, art. 2). Elezioni —

Consigliere regionale — Società azionaria con

capitale maggioritario della regione — Amministratore —

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Causa di ineleggibilità — Rimozione — Fattispecie (L. 23

aprile 1981 n. 154, art. 2).

E manifestamente infondata la questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 2 l. 23 aprile 1981 n. 154, nella parte in cui

detta una disciplina di dettaglio delle ineleggibilità dei consi

glieri regionali, in riferimento all'art. 122 Cost. (1) È ineleggibile alla carica di consigliere regionale il compo

nente del consiglio di amministrazione di una società per azioni il cui capitale sia posseduto in quota maggioritaria dalla regione. (2)

Onde rimuovere la causa di ineleggibilità alla carica di consi

gliere regionale derivante dall'essere componente del consi

glio di amministrazione di una società per azioni il cui capi tale sia posseduto in quota maggioritaria dalla regione, l'u

nico valido mezzo consiste nella tempestiva e formale pre

(1) Sul riparto di competenze legislative tra lo Stato e le regioni di

segnato dall'art. 122, 1° comma, Cost., v. Corte cost. 11 giugno 2003, n. 201, Foro it., 2003, I, 2227, con nota di richiami e osservazioni di

Passaglia, che ha dichiarato incostituzionale l'art. 1, 4° comma, 1. reg. Lombardia 6 marzo 2002 n. 4, nella parte in cui stabiliva che, in fase di

prima attuazione dell'art. 122 Cost, ed in attesa di una disciplina orga nica della materia, la carica di consigliere regionale fosse incompatibile con quelle di presidente e assessore provinciale e di sindaco ed assesso

re comunale, limitatamente ai comuni capoluogo di provincia ed a

quelli con popolazione superiore a centomila abitanti.

Cfr., altresì, Corte cost., ord. 22 luglio 2003, n. 270, G.U., la s.s., 30

luglio 2003, n. 30, che, da un lato, ha dichiarato manifestamente inam

missibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 65 d.leg. 18

agosto 2000 n. 267, sollevata in quanto la disposizione disciplina le si

tuazioni di incompatibilità ed ineleggibilità dei consiglieri regionali, e, dall'altro, manifestamente infondata la questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 4 1. 23 aprile 1981 n. 154, sollevata in quanto la dispo sizione non contempla tra le cause di incompatibilità, per i consiglieri

regionali, la carica di vicesindaco. Nel senso che spetta allo Stato, e per esso ai competenti organi giuris

dizionali, giudicare sulla sussistenza di cause sopravvenute di incom

patibilità con la carica di membro del consiglio regionale sardo e sulla

conseguente decadenza del consigliere, v. Corte cost. 4 febbraio 2003, n. 29, Foro it., 2003, I, 1323, con nota di richiami e osservazioni dì

Romboli. In ordine all'elettorato passivo dei consiglieri regionali, v. anche

Corte cost., ord. 24 giugno 2003, n. 223, ibid., 2208, con nota di ri

chiami, che, rilevando come non fossero omogenee le due situazioni

poste a confronto, ha dichiarato la manifesta infondatezza della que stione di legittimità costituzionale dell'art. 3, 1° comma, n. 4,1. 154/81, nella parte in cui prevede che la lite pendente determini una causa di

incompatibilità per il consigliere regionale e non anche, come origina riamente previsto, per i consiglieri provinciali e comunali.

In generale, sull'ineleggibilità dei consiglieri regionali, v. Cass. 12

dicembre 2002, n. 17810, ibid., 2430, con nota di richiami.

(2) Per l'affermazione secondo cui l'appartenenza al consiglio di

amministrazione di una società per azioni con capitale maggioritario di

un ente territoriale configura la causa di ineleggibilità (alla carica di

consigliere dell'ente stesso) di cui all'art. 2, 1° comma, n. 10,1. 154/81, in quanto l'ivi recepita nozione di «dirigente» non è da intendere nel

senso proprio dell'art. 2095 c.c. come indicativa di una specifica cate

goria di prestatori di lavoro subordinato, bensì come riferimento alla

posizione di quanti concorrano — come coloro che compongono il

suddetto organo collegiale amministrativo — all'elaborazione delle

scelte gestorie e di politica economica della società stessa, v. Cass. 22

febbraio 2000, n. 1992, Foro it.. Rep. 2000, voce Elezioni, n. 35 (con formemente, v. Cass. 27 ottobre 1993, n. 10701, e 24 marzo 1993, n.

3508, id., Rep. 1993, voce cit., nn. 100 e 115). Sulla nozione di società azionaria di cui all'art. 2, 1° comma, n. 10,1.

154/81, v. Cass. 5 settembre 1997. n. 8606, id., Rep. 1997, voce cit., n.

45, secondo cui la causa di ineleggibilità sussiste anche in riferimento

alle società per azioni aventi scopo consortile. V. anche Cass. 4 maggio 1993, n. 5179, id., Rep. 1993, voce cit., n. 99, che ha stabilito che, per accertare se ricorre la condizione di ineleggibilità in discorso, occorre

aver riguardo non alla formale denominazione della società, ma a che

cosa la stessa risulti in concreto, sulla base delle clausole statutarie.

Sull'analoga disciplina dell'ineleggibilità prevista per gli enti locali, v. Cass., sez. un., 25 novembre 2003, n. 17981, id., Mass., 1586, se

condo cui l'appartenenza al consiglio di amministrazione di una società

per azioni con capitale maggioritario di un comune (o di una provincia)

configura la causa di ineleggibilità alla carica di sindaco (o di presi dente della provincia) del medesimo ente locale, ai sensi dell'art. 60, 1°

comma, n. 10, d.leg. 18 agosto 2000 n. 267 (che riproduce il testo già

contemplato — per i consiglieri regionali, provinciali, comunali e cir

coscrizionali — dall'art. 2 1. 154/81).

Il Foro Italiano —• 2004.

sentazione delle dimissioni (nella specie, la Corte di cassa

zione ha ritenuto irrilevante l'astensione di fatto dall'eserci

zio, all'interno del consiglio di amministrazione, delle attività

connesse al mandato di amministratore). (3)

Svolgimento del processo. —

Luigi Pardi Terzano, primo dei

non eletti nella lista denominata Democrazia europea nella tor

nata elettorale dell'11 novembre 2001 per l'elezione del presi dente e dei consiglieri della regione Molise, con due ricorsi pre sentati l'uno prima della deliberazione di convalida adottata dal

consiglio regionale, l'altro successivamente alla deliberazione

stessa, richiese che l'eletto Vincenzo Niro fosse dichiarato ine

leggibile, ai sensi dell'art. 2, nn. 10 e 11,1. n. 154 del 1981, «in

quanto amministratore e componente del comitato esecutivo

della società finanziaria per lo sviluppo del Molise (Finmolise

s.p.a.), il cui capitale azionario era tenuto in maggioranza dalla

stessa regione e che, comunque, si identificava in un ente di

pendente dalla regione», ponendo in rilievo che il Niro medesi

mo non si era dimesso da tali cariche nei termini di legge, ossia

non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature,

bensì soltanto contestualmente alla proclamazione della sua ele

zione.

In contraddittorio del Niro, che contrastava le ragioni addotte

dal Terzano, della regione e del p.m., il Tribunale di Campobas

so, riuniti i giudizi, pronunciava con sentenza del 14 aprile

2002, dichiarando inammissibile il primo ricorso e rigettando il

secondo.

Propose appello il Terzano.

La corte territoriale, respinte, con la sentenza emessa il 25

novembre 2002, sia l'eccezione di inammissibilità dell'appello

per mancato deposito dell'atto di integrazione del contradditto

rio nei confronti del pubblico ministero presso il tribunale, sia

l'altra eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 2 1. n.

154 del 1981 per il denunciato contrasto con l'art. 122 Cost.,

accolse il gravame dichiarando il Niro ineleggibile con riferi

mento al disposto dell'art. 2 cit., tanto per la previsione di ine

leggibilità indicata al n. 10 quanto per quella indicata sotto il n.

11.

Ricorre per cassazione il Niro.

Resiste con controricorso il Terzano.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

L'intimata regione Molise non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione. — 1. - Il primo motivo di ricorso de

nuncia la violazione dell'art. 4 d.l. 4 novembre 2002 n. 245

nonché il difetto di motivazione, l'una e l'altro riferiti alla cir

costanza che, con l'ordinanza emessa all'udienza del 19 no

vembre 2002 la corte d'appello aveva escluso che ricorressero i

(3) La Corte di cassazione conferma l'orientamento già espresso in

precedenti occasioni: cfr. Cass. 6 marzo 2000, n. 2490, Foro it., Rep. 2000, voce Elezioni, n. 36, che, con riferimento all'ineleggibilità alla

carica di consigliere comunale di un componente del consiglio di am

ministrazione di una società partecipata dal comune, ha rilevato come

trovi integrale applicazione l'art. 2385 c.c., con il che l'amministratore di società partecipata dall'ente locale cessa dalla carica, ai fini in paro la, all'atto in cui gli organi a ciò preposti ricevano comunicazione

scritta delle dimissioni; 22 luglio 1997, n. 6854, id., Rep. 1997, voce

cit., n. 47, secondo cui l'intento perseguito dall'art. 2, 2° comma, 1.

154/81 (ai termini del quale «le cause di ineleggibilità previste nei nn.

1, 2, 3. 4, 5, 6, 8, 9, 10 e 11 non hanno effetto se l'interessato cessa

dalle funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca dell'incarico o del

comando, collocamento in aspettativa non oltre il giorno fissato per la

presentazione delle candidature») è quello di fissare una data ultima per la rimozione delle situazioni di «inquinamento elettorale» nei confronti

dei candidati che versino in condizione d'ineleggibilità. In generale, sulle ipotesi di rimozione delle cause di ineleggibilità

previste per i consiglieri regionali, v. Cass. 15 gennaio 2002, n. 382,

id., 2002, I, 2091, con nota di richiami, che ha stabilito che non è vali

damente rimossa la causa d'ineleggibilità alla carica di consigliere re

gionale per il presidente di un'azienda di promozione turistica allorché

le sue dimissioni non si siano perfezionate, con l'accettazione, entro il

termine fissato per la presentazione delle liste.

Con riguardo al diverso regime applicabile agli assessori (nella spe cie, provinciali), v. Cass. 16 marzo 2002, n. 3902, ibid., 2420, con nota

di richiami, secondo cui agli assessori non si applica la disciplina pre vista per i consiglieri in ordine ai termini per l'utile rimozione delle

cause di ineleggibilità, onde è sufficiente che tale rimozione sia stata

posta in essere antecedentemente all'atto della nomina ad assessore.

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2203 PARTE PRIMA 2204

presupposti per la sospensione delle attività difensive disposta dalla norma suindicata.

Il ricorrente deduce che il termine di"deposito di scritti difen

sivi, in relazione alle udienze del 12 e del 19 novembre 2002

cadeva nel periodo di sospensione indicato dall'art. 4 citato d.l.

n. 245 del 2002. Il motivo è infondato.

Il testo dell'art. 4 d.l. 4 novembre 2002 n. 245, convertito in 1.

n. 286 del 2002, non reca disposizione alcuna dalla quale possa ricavarsi che il legislatore abbia inteso sospendere i giudizi in

corso ovvero differirne la trattazione oltre il termine della so

spensione (fino al marzo 2003, poi ulteriormente prorogata) sic

ché la corte di merito ha correttamente respinto, con l'ordinanza

emessa all'udienza del 19 novembre 2002, la richiesta avanzata

dai difensori del Niro «di volersi avvalere del d.l. 245/02», ap

punto nel senso del differimento dell'udienza, con la motivazio

ne, del tutto coerente con il citato testo normativo, che «nessuna

sospensione delle udienze era prevista dal citato art. 4 e che

l'attività difensiva espletabile in udienza non poteva che rima

nere estranea alla sospensione medesima».

Nessun contrasto con la precedente ordinanza emessa all'u

dienza del 12 novembre 2002 può inficiare la correttezza del

provvedimento in questione, essendo erroneo in diritto e privo di fondamento giuridico, proprio sulla base del richiamato testo

dell'art. 4 cit., il presupposto stesso della decisione di rinviare la

trattazione del gravame nel dubbio che l'assenza del rappresen tante dell'avvocatura distrettuale dello Stato fosse interpretabile come esercizio della facoltà di avvalersi della sospensione del

termine per lo svolgimento dell'attività difensiva.

Quanto all'assunto che il termine per il deposito di memorie

difensive, in relazione alle udienze del 12 e del 19 novembre

2002, cadeva nel periodo di sospensione legale, s'impongono due rilievi: la norma dell'art. 82 d.p.r. n. 570 del 1960 non pre vede lo svolgimento di siffatta attività difensiva sicché, non ri

sultando stabilito alcun termine processuale in funzione del de

posito di memorie nel tempo precedente lo svolgimento dell'u

dienza di trattazione del ricorso, non può essere invocato l'art. 4

d.l. 245/02 nel disposto relativo ai termini processuali; lo svol

gimento di attività difensiva considerato nel 4° cpv. dello stesso

art. 4 riguarda manifestamente, come indicano le attività di rife

rimento (notificazione di processi verbali, pagamento in misura

ridotta, attività difensive e di presentazione di ricorsi ammini

strativi e giurisdizionali), i procedimenti, appunto amministrati

vi e giurisdizionali, in materia di sanzioni amministrative.

2. - Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applica zione degli art. 82 d.p.r. n. 570 del 1960 e degli art. 331 e 371

bis c.p.c. esponendo la tesi che, ad onta della verificata tempe stività dell'integrazione del contraddittorio nei confronti del

procuratore della repubblica di Campobasso disposta dalla corte

con l'ordinanza resa all'udienza del 24 settembre 2002 ed ese

guita dall'appellante nei termini fissati dalla stessa ordinanza, detto atto di integrazione non era stato depositato in cancelleria

nel termine di dieci giorni prima dell'udienza, da ritenersi ap

plicabile, sicché la corte avrebbe dovuto dichiarare inammissi

bile l'appello. La censura è infondata.

E esclusa l'applicabilità dell'art. 371 bis c.p.c. perché detta

norma riguarda il solo giudizio dinanzi alla Corte di cassazione.

L'art. 82 d.p.r. n. 570 del 1960 non contiene nessuna disposi zione in tema di integrazione del contraddittorio ed attività rela

tive, onde non può ricavarsene una disciplina nel senso voluto

dal ricorrente.

Norma applicabile è quella generale in tema di impugnazioni, dettata dall'art. 331 c.p.c., nella quale, senza nessuna previsione di deposito dell'atto entro un termine la cui inosservanza com

porti una decadenza, l'inammissibilità dell'impugnazione è

comminata per il caso che non si sia provveduto all'integrazione del contraddittorio nel termine fissato dal giudice.

Nel caso di specie, la corte di merito ha verificato, «in limine

all'udienza del 12 novembre 2002», e dunque nel contradditto

rio delle parti, e attraverso l'esame dell'atto di integrazione del

contraddittorio «versato in atti», la tempestività della notifica

zione dell'atto stesso, ed ha correttamente ritenuto eseguita l'ordinanza che l'integrazione aveva disposto.

Del resto, nella giurisprudenza di questa corte è affermato (v., ex multis, la sentenza n. 2456 del 1981, Foro it., Rep. 1981, vo

II Foro Italiano — 2004.

ce Impugnazioni civili, n. 115, e n. 2069 del 1979, id., Rep.

1979, voce cit., n. 104) che «in mancanza di una norma la quale

prescriva il deposito in un termine perentorio dell'atto di inte

grazione del contraddittorio deve ritenersi sufficiente che il de

posito stesso avvenga prima della discussione della causa da

vanti al collegio, per consentire al giudice dell'impugnazione di

controllare la ritualità e la tempestività della notifica».

3. - Superate così le questioni che il ricorrente ha proposto

relativamente al processo, dev'essere presa in esame, come que stione pregiudiziale rispetto al merito, la tesi della illegittimità costituzionale dell'art. 2 1. n. 154 del 1981 con riferimento al

l'art. 122 Cost, nel testo novellato con la 1. cost. n. 1 del 1999:

«Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con la legge della regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con

legge della repubblica, che stabilisce anche la durata degli orga ni elettivi».

La tesi della illegittimità costituzionale della disciplina della

ineleggibilità dettata di cui all'art. 2 1. n. 154 del 1981 è svolta

sulla base dell'argomento che detta norma «nel dettare i casi di

incompatibilità alla carica di consigliere regionale, contiene

evidentemente delle disposizioni di dettaglio che violano la

nuova competenza primaria ed esclusiva attribuita alle regioni dall'art. 122 Cost.»: dunque, l'illegittimità della norma suindi

cata si configurerebbe per il solo fatto del mutamento del dispo sto costituzionale (l'art. 122) nel senso dell'attribuzione in via

esclusiva e primaria alle regioni della potestà di legiferare rela

tivamente ai sistemi di elezione degli organi della regione e dei

casi di ineleggibilità e incompatibilità. La tesi non ha fondamento, come già la corte di merito ha ben

ritenuto sulla base del rilievo — confortato da non poche pro nunce della Corte costituzionale (v. le sentenze n. 510 del 2002

e n. 376 del 2002, id., 2003, I, 2563) — che «la permanenza in

vigore della normativa di dettaglio dello Stato nella materia

elettorale riservata alla potestà legislativa delle regioni, pur

sempre sottoposta, per espresso disposto dell'art. 122 Cost., al

limite di coerenza con i principi fondamentali stabiliti con legge della repubblica, è dovuta non già ad un'arbitraria invasione di

campo dello Stato in danno della regione, ma al fatto che la re

gione» (da intendere la regione Molise) «non ha legiferato in

materia elettorale di sua competenza, sicché, non tollerando

l'ordinamento giuridico vuoti legislativi, la normativa statale,

quantunque di dettaglio, resta applicabile e, avendo essa natura

suppletiva, sarà caducata» (soltanto) «dal sopravvenire di quella

regionale». 4. -1 motivi concernenti il merito.

4.1. - Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applica zione dell'art. 2, n. 10,1. n. 154 del 1981.

Il ricorrente deduce che detta norma debba ritenersi inappli cabile ai componenti dei consigli di amministrazione di una so

cietà azionaria al cui capitale sociale partecipi la regione e, con

seguentemente che non sussista la causa di ineleggibilità denun

ciata dal Terzano e rilevata dalla corte d'appello. Il motivo è infondato.

E preliminare la precisazione, rispetto alla tesi della «incom

patibilità» svolta dal difensore del ricorrente nella discussione

del ricorso, che quella prevista dall'art. 2, n. 10, I. n. 154 del

1981 per «i legali rappresentanti ed i dirigenti delle società per azioni con capitale maggioritario rispettivamente della regione, della provincia e del comune» è causa di ineleggibilità alla cari

ca di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscri

zionale.

La decisione della corte di merito, nel senso della sussistenza

in capo al Niro e con riferimento alla sua qualità di componente il consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo della

Finmolise s.p.a. (società azionaria il cui capitale era posseduto in quota maggioritaria dalla regione Molise), è giuridicamente corretta e conforme ai principi già affermati da questa corte (v. le sentenze n. 1992 del 2000, id., Rep. 2000, voce Elezioni, n.

35; n. 8606 del 1997, id., Rep. 1997, voce cit., n. 45, e n. 10701

del 1993, id., Rep. 1993, voce cit., n. 100, puntualmente richia

mate dalla corte di merito, nel senso che «l'appartenenza al con

siglio di amministrazione di una società per azioni con capitale

maggioritario di un ente locale configura la causa di ineleggibi lità di cui all'art. 2, n. 10, 1. n. 154 del 1981 in quanto l'ivi re

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Page 5: sezione I civile; sentenza 9 luglio 2003, n. 10779; Pres. Panebianco, Est. W. Celentano, P.M. Russo (concl. conf.); Niro (Avv. Sanino, Morrone, Papa, Lucarelli) c. Pardi Terzano (Avv.

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

cepita nozione di 'dirigente' non è da intendere nel senso pro

prio dell'art. 2095 c.c. come indicativa di una specifica catego ria di prestatori di lavoro subordinato bensì come riferimento

alla posizione di quanti concorrano — come coloro che com

pongono il suddetto organo collegiale di amministrazione —

alla elaborazione della scelte gestorie e di politica economica

della società stessa»), 4.2. - Nell'ordine logico-giuridico, dev'essere ora disaminato

il quinto motivo di ricorso con il quale è denunciata la violazio

ne e falsa applicazione dell'art. 2 1. n. 154 del 1981 in relazione

alla dedotta circostanza che esso ricorrente ebbe a presentare, in

data 10 ottobre 2001, quindi in epoca precedente la presentazio ne delle candidature, fissata per il giorno 13 ottobre successivo, una richiesta di collocamento in aspettativa con decorrenza 11

ottobre 2001 «per motivi politici, ai sensi e per gli effetti della 1.

154/81 in quanto egli intendeva presentare la propria candidatu

ra alle prossime elezioni amministrative».

La censura è svolta nel senso che «erroneamente la corte di

merito ha contestato che con la richiesta di aspettativa esso Niro

non avesse espresso la volontà di abdicare all'incarico» doven

do invece intendersi, secondo l'assunto, che «lo strumento del

l'aspettativa —

per essere uno di quelli indicati dalla disposi zione di legge e per essere concedibile anche in deroga ai vari

ordinamenti — aveva idoneità astratta ed efficacia immediata a

rimuovere il pericolo di inquinamento della contesa elettorale».

Segue nell'esposizione della tesi, l'affermazione che «il pre cetto ha valore non per quello che è, ma per quello che appare ai

consociati», affermazione la cui infondatezza di principio risulta

immediatamente evidente al solo rilievo della sua capacità di

mettere in crisi l'intero ordinamento giuridico, se le disposizioni di legge dovessero intendersi vincolanti in quel senso e in quel

significato che appare ai consociati.

Il motivo è privo di fondamento giuridico. La circostanza che nel testo del 2° comma dell'art. 2 cit. nella

indicazione delle diverse ipotesi di cessazione delle funzioni

idonee a rimuovere le cause di ineleggibilità previste dai nn. da

I a 11 del 1° comma, risultino accomunati istituti e situazioni

giuridiche diverse, quali le dimissioni, il trasferimento, la revo

ca dall'incarico o dal comando, il collocamento in aspettativa, è

del tutto irrilevante atteso che proprio per essere unica la dispo sizione della legge per tutte quelle cause di ineleggibilità speci ficamente indicate, ciascuna ipotesi di eliminazione degli effetti

della causa di ineleggibilità dev'essere necessariamente corre

lata alla specificità della causa di ineleggibilità alla quale essa

possa effettivamente riferirsi in vista ed in funzione dell'effetto

voluto dalla legge: la rimozione tempestiva della situazione di

turbativa o inquinamento elettorale nei confronti dei candidati

all'elezione. E dunque i singoli istituti e le varie situazioni giu ridiche indicate dalla norma non possono ritenersi equipollenti l'una all'altra, nel senso che indifferentemente l'uno o l'altra

sia idonea a rimuovere la causa di ineleggibilità che in concreto

e per uno specifico caso possa configurarsi. Altro rilievo è che non alla manifestazione di volontà di «ab

dicare all'incarico» da parte del soggetto che voglia presentare la candidatura alle elezioni la norma dell'art. 2 cit. attribuisce

rilevanza bensì all'effettiva rimozione della causa di ineleggibi lità.

Ora, la corte di merito ha ritenuto che à) la richiesta di aspet tativa per motivi elettorali non possa ritenersi equipollente, in

relazione alla causa di ineleggibilità di cui al n. 10 dell'art. 2, alla comunicazione delle dimissioni, esprimendo essa non la

volontà del richiedente di abdicare all'incarico quanto, piutto sto, quella di mantenerlo; b) che detta richiesta di aspettativa non soltanto non sia prevista per gli amministratori delle società

per azioni ma si riveli pure incompatibile con la disciplina codi

cistica che impone la sostituzione (art. 2386 c.c.) degli ammini

stratori che vengano a mancare o cessino dalle funzioni, onde se

si ammettesse l'aspettativa, l'amministratore non sarebbe so

stituibile.

Al di là delle pur corrette argomentazioni del giudice di me

rito, è sufficiente rilevare la correttezza del giudizio circa la non

equiparabilità, con riferimento alle funzioni svolte dal Niro di

amministratore della Finmolise s.p.a., delle dimissioni alla ri

chiesta di aspettativa — che è condizione tipica del dipendente

pubblico e che va dunque riferita alle diverse ipotesi di ineleg

gibilità che la norma dell'art. 2 cit. considera appunto in rela

zione ad esso.

II Foro Italiano — 2004.

Unico mezzo, dunque, attraverso il quale il Niro avrebbe po tuto rimuovere la causa di ineleggibilità in cui egli versava in

conseguenza della sua qualità di componente il consiglio di

amministrazione della società Finmolise era la tempestiva —

nel termine indicato dalla legge — e formale presentazione delle

dimissioni, a nulla rilevando, peraltro, l'astensione di fatto dal

l'esercizio, all'interno del consiglio di amministrazione, delle

attività connesse al mandato di amministratore.

La corte di merito si è attenuta, anche per il riferimento al

momento di operatività delle dimissioni, alle pronunce di questa corte n. 2490 del 2000 (id., Rep. 2000, voce cit., n. 36) e n.

6854 del 1997 (id., Rep. 1997, voce cit., n. 47) nelle quali è espresso il principio della integrale applicazione dell'art. 2385

c.c. (l'amministratore di società partecipata dall'ente locale — o

dalla regione — cessa dalla carica, ai fini della rimozione della

causa di ineleggibilità connessa a tale sua carica, al momento in

cui gli organi indicati nel 1° comma ricevano comunicazione

scritta delle dimissioni «se rimane in carica la maggioranza del

consiglio di amministrazione o, in caso contrario, la maggioran za del consiglio si è ricostituita in seguito all'accettazione dei

nuovi amministratori»). E da tali pronunce non v'è ragione di

discostarsi per il caso di specie. 4.3. - Altra censura è svolta nel quarto motivo di ricorso con

riferimento alla causa di ineleggibilità prevista dal n. 11 dell'art.

2 cit. Ma tale motivo rimane assorbito.

Deve, infatti, ritenersi che non sia configurabile nessun ap

prezzabile interesse giuridico del ricorrente, alla verifica della

sussistenza della specifica ed ulteriore causa di ineleggibilità di

cui al n. 11 dell'art. 2 cit. una volta che l'ineleggibilità alla cari

ca di consigliere regionale sia stata, decisivamente, ritenuta se

condo la previsione del n. 10 dello stesso art. 2 cit. Nulla può

aggiungere, infatti, alla ineleggibilità ex n. 10 l'ineleggibilità ex n. 11 essendosi già compiutamente prodotto, con il rilievo e la

declaratoria della prima (n. 10 dell'art. 2) causa di ineleggibili tà, l'effetto voluto dalla legge ed esaustivamente raggiunta la fi

nalità che la legge stessa persegue. Il ricorso va dunque rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 26 giugno 2003, n. 10160; Pres. Grieco, Est. Vittoria, P.M.

Maccarone (conci, diff.); Soc. Edistra e altra (Avv. Perno) c.

Soc. Autostrade - Concessioni e costruzioni autostrade (Avv.

Sanino). Cassa senza rinvio App. Roma 2 maggio 2001.

Opere pubbliche — Appalto — Risarcimento danni — Giu

risdizione amministrativa — Esclusione — Fattispecie

(Cod. civ., art. 1218, 1337, 2043; cod. proc. civ., art. 5, 386;

d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, nuove disposizioni in materia di

organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni

pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di

giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell'art.

11, 4° comma, 1. 15 marzo 1997 n. 59, art. 33; 1. 21 luglio 2000 n. 205, disposizioni in materia di giustizia amministrati

va, art. 6). Giurisdizione civile — Responsabilità precontrattuale della

pubblica amministrazione — Giurisdizione ordinaria

(Cod. civ., art. 1337, 2043).

Ai sensi dell'art. 5 c.p.c., la questione relativa al riparto di giu risdizione in ordine a domande di risarcimento a titolo di re

sponsabilità contrattuale e precontrattuale della pubblica

amministrazione, in materia di appalto di lavori pubblici, de

ve essere risolta con riguardo alla legge vigente e allo stato

di fatto esistente al momento della domanda, con irrilevanza

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