sezione I; parere 9 aprile 1997, n. 372/97; Min. sanitàSource: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 6 (GIUGNO 1999), pp. 333/334-337/338Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193773 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
strumento, ha inteso porre, per la completezza dell'azione pub blica a tutela dell'interesse paesistico, la necessità della funzione
di specificazione del contenuto precettivo del vincolo.
Deriva in sintesi da tutto ciò che il piano paesistico, essendo in posizione inferiore, ha nel vincolo il suo titolo e il suo limite e non può modificarlo o derogare ad esso, ma può (anzi, ex art. 1 bis, deve, per ciò che attiene alla normativa di uso e di
valorizzazione ambientale del territorio) solo specificare i conte nuti precettivi, ed il contrasto tra i due va risolto in favore
del vincolo. Un piano che difetti di tali caratteristiche e di tali
contenuti, o superi questi limiti intrinseci, viene infatti meno alla sua funzione ed è quanto meno illegittimo per difformità
rispetto al modello legislativo, quando non addirittura inesistente in quanto tale (cioè in quanto effettivo, e non solo nominale,
piano paesistico) per assenza di realizzazione dalla funzione pre scrittiva assegnatagli dalla legge come necessaria.
Orbene, rapportando tali considerazioni al caso qui in esame, ne viene che il motivo di impugnazione è fondato, perché, in so
stanza, il piano territoriale paesistico impugnato appare realizza
re non già uno strumento di attuazione e di specificazione del con tenuto precettivo del vincolo, bensì una deroga ad esso: e questo sia con riferimento all'eliminazione della previsione della necessi
tà dell'autorizzazione ex art. 7 1. 29 giugno 1939 n. 1497 per gli «usi compatibili» diversi da quelli sub «A-uso di area protetta», sia, in termini più sostanziali, con riferimento alla funzione di pro
gressione nella definizione del contenuto precettivo del piano. Non solo: le ampie categorie e tipologie di usi reputati come
compatibili con un contesto le cui caratteristiche di bellezza natu
rale debbono essere salvaguardate, sono in realtà di mole, impat to e rilevanza tale da comportare, sia nel loro insieme che una ad
una, con gli elevati livelli di trasformabilità del territorio che con
sentono, il denunciato snaturamento delle caratteristiche natura
li, ambientali e paesaggistiche che, invece, si afferma di volere tu
telare e conservare. In realtà, alcuni almeno degli usi in questio ne, soprattutto quelli compresi nelle classi AA, D.c, D.d, E.c, F.e,
F.f, G.a, H.d, H.f sembrano piuttosto in gran parte, da ritenere
assolutamente incompatibili per le zone più significative, quelle cioè degli ambiti di conservazione integrale, e per il resto di com
patibilità certamente da condizionare e limitare incisivamente quan to a tipologie di materiali e architettoniche, connessioni, quantità e ingombro e quant'altro necessario — da studiare, individuare
ed esternare come contenuto prescrittivo — per preservare effica
cemente i valori paesaggistici che si intendono tutelare.
A ben vedere, appare che la preoccupazione reale sia stata quella di contrastare, usando in modo improprio dell'occasione offerta
dalla pianificazione paesistica, gli effetti limitativi propri del vin
colo, garantendo comunque l'effettuazione di ponderosi interventi,
piuttosto che, al contrario, di definire i ristretti parametri di com
patibilità che consentano di mantenere, come risultato, inaltera
to il quadro complessivo dei valori paesistico-ambientali protetti. Il che è, dal punto di vista del contenuto, l'esatto rovesciamento
della funzione propria nel piano paesistico e realizza già, sotto que sto profilo, un evidente vizio funzionale dell'atto.
Ma vi è di più: in realtà, è la stessa metodologia dell'indivi
duazione di tipologie di interventi reputati come «compatibili», dei quali solo alcuni (quelli «A») previa autorizzazione, e altri
senz'altro, ad essere contrastante con la descritta corretta for
mazione del contenuto del piano: definire a priori un intervento
come compatibile significa o affermare che tutti gli altri inter
venti sono implicitamente vietati (il che non pare essere nelle
intenzioni), ovvero precostituire, dal punto di vista paesistico, le condizioni per l'affermazione della libertà dell'intervento (salva, nei limitati casi per cui è fatta restare, l'autorizzazione): il che
è il contrario esatto, in termini logici, della duplice operazione,
sopra descritta, di individuazione delle incompatibilità assolute, e dei criteri e parametri di valutazione delle incompatibilità re
lative. In realtà, ci si trova di fronte proprio al descritto, illegit timo scopo di deroga al vincolo, e dunque alla negazione della
funzione essenziale e tipica del piano paesistico, e ciò rende l'e
videnza — data anche l'ampiezza delle previsioni in questione — che con la pianificazione in oggetto si è inteso perseguire un fine effettivo di attenuazione, anziché puntualizzazione, del
l'effetto di vincolo: fine che è ben diverso da quello specifico
per cui il potere di pianificazione paesistica è dato.
Tutto ciò rende il contenuto del P.t.p. concretamente non
corrispondente con la funzione conservativa e specificativa del
vincolo attribuitagli dalla legge: sussiste pertanto in modo as
sorbente il denunciato vizio funzionale dell'eccesso di potere e
l'intero P.t.p. in esame va pertanto senz'altro annullato.
Il Foro Italiano — 1999.
CONSIGLIO DI STATO; sezione I; parere 9 aprile 1997, n.
372/97; Min. sanità.
Unione europea — Ce — Direttive comunitarie — Inadempi mento — Sentenza della Corte di giustizia — Effetti — Pro fessioni intellettuali — Odontoiatra — Normativa nazionale
confliggente — Inapplicabilità (Trattato Ce, art. 169, 171; di rettiva 25 luglio 1978 n. 78/686/Cee del consiglio, concernen te il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di dentista e comportante misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera pre stazione di servizi, art. 19; direttiva 25 luglio 1978 n. 78/687/Cee del consiglio, concernente il coordinamento delle
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative per le attività di dentista, art. 1; 1. 31 ottobre 1988 n. 471, norme
concernenti l'opzione, per i laureati in medicina e chirurgia, per l'iscrizione all'albo degli odontoiatri, art. unico).
Unione europea — Ce — Normativa nazionale incompatibile con quella comunitaria — Atto amministrativo — Annulla mento in via di autotutela — Legittimità — Condizioni —
Professioni intellettuali — Odontoiatra — Albo — Iscrizione — Medici generici immatricolati al corso di laurea tra il 1980 e il 1985 — Cancellazione d'ufficio — Pubblico interesse —
Necessità (Direttiva 25 luglio 1978 n. 78/686/Cee del consi
glio, art. 19; direttiva 25 luglio 1978 n. 78/687/Cee del consi
glio, art. 1; 1. 31 ottobre 1988 n. 471).
Le sentenze di condanna pronunciate dalla Corte di giustizia delle Comunità europee impongono alle autorità statali di non
applicare le disposizioni nazionali dichiarate incompatibili con la normativa comunitaria (nella specie, il principio è stato
enunciato dal Consiglio di Stato con riferimento alla sentenza 10 giugno 1995, causa C-40/93, con la quale la Corte di giu stizia ha statuito che prorogando, con la l. 31 ottobre 1988 n. 471, fino all'anno accademico 1984/85, nei confronti dei
laureati in medicina e chirurgia, il termine stabilito dall'art.
19 della direttiva del consiglio 25 luglio 1978 n. 78/686/Cee, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le in
combono ai sensi del detto articolo e dell'art. 1 della direttiva
del consiglio 25 luglio 1978 n. 78/687/Cee, concernente il coor
dinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e am
ministrative per le attività di dentista). (1)
(1) Corte giust. 1° giugno 1995, causa C-40/93, Foro it., 1995, IV, 328, aveva condannato l'Italia per aver consentito, con l'art, unico 1. 31 ottobre 1988 n. 471, l'esercizio della professione di odontoiatra ai laureati in medicina e chirurgia abilitati, non specialisti in odontoiatria, che si fossero immatricolati negli anni accademici compresi fra il 1980-81 ed il 1984-85, mentre alla stregua delle direttive 78/686 e 78/687 la data di inizio della formazione universitaria di medico, a tal fine, avrebbe
potuto essere fissata «al più tardi» al 28 gennaio 1980. Sulla scorta della decisione dei giudici di Lussemburgo, Cass., sez.
un., 11 novembre 1997, n. 11131, id., 1998, I, 57, conformandosi al consolidato insegnamento della Corte costituzionale in tema di risolu zione dei conflitti fra norme comunitarie direttamente applicabili e di
sposizioni interne, ha ritenuto inapplicabile nella fattispecie controversa la 1. 471/88, e, conseguentemente, pur sussistendo le condizioni da que sta richieste, ha escluso il diritto del ricorrente ad essere iscritto nell'al bo degli odontoiatri.
Come ricordato nella nota di richiami a sez. un. 11131/97, cit., alla medesima conclusione attinta dal Supremo collegio, con riferimento ad una fattispecie analoga, era già pervenuto, in un certo senso anticipan do la pronuncia di condanna della Corte di giustizia, Trib. Roma 22
luglio 1994, id., 1995, I, 372. Relativamente all'obbligo, gravante sullo Stato riconosciuto inadem
piente ai sensi dell'art. 171 del trattato, di prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte di giustizia importa (obbligo la cui inosservanza, alla stregua del testo dell'art. 171 così come novel lato dal trattato di Maastricht, comporta l'irrogazione di sanzioni pecu niarie: sul punto, per un primo commento, Mori, Le sanzioni previste dall'art. 171 del trattato Ce: i primi criteri applicativi, in Dir. Unione
europea, 1996, 1015), la giurisprudenza comunitaria è ferma nell'esige re che alla pronuncia sia data esecuzione in tempi il più possibile ristret ti (ex multis, Corte giust. 7 marzo 1996, causa C-334/94, Foro it., Rep. 1997, voce Unione europea, n. 632, e, in extenso, Riv. dir. internaz.
privato e proc., 1997, 195) ed attraverso l'adozione di disposizioni in terne vincolanti aventi lo stesso valore giuridico di quelle da modificare
(così, di recente, Corte giust. 4 dicembre 1997, causa C-207/96, e 13 marzo 1997, causa C-197/96, Foro it., 1998, IV, 50). La medesima
giurisprudenza, inoltre, non ha mancato di ribadire (così, tra le altre, Corte giust. 19 gennaio 1993, causa C-101/91, id., Rep. 1993, voce
cit., n. 348) che la declaratoria dell'inadempimento, da parte di uno Stato membro, degli obblighi comunitari ad esso imposti, implica sia
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PARTE TERZA
L'annullamento, in via di autotutela, di un atto amministrativo
adottato in base ad una disposizione incompatibile con una
norma comunitaria direttamente applicabile deve essere sor
retto da ragioni attuali di pubblico interesse che non possono esaurirsi nella sola esigenza di ripristino della legalità (nella
specie, il Consiglio di Stato ha affermato che la cancellazione
dall'albo degli odontoiatri dei laureati in medicina allo stesso
iscrittisi in forza della l. 31 ottobre 1988 n. 471 non costitui
sce per gli ordini competenti un atto dovuto, ma è subordina
ta alla sussistenza di preminenti ed attuali ragioni di pubblico interesse valutabili caso per caso in relazione alle peculiari caratteristiche ed alle modalità dell'attività professionale con
cretamente svolta da ogni singolo iscritto, anche alla luce del
la competenza dimostrata). (2)
per le autorità giudiziarie che per quelle amministrative del medesimo
Stato, per un verso, il divieto assoluto di applicare il regime normativo nazionale dichiarato incompatibile, e, per l'altro, l'obbligo di adottare tutte le disposizioni intese ad agevolare la piena efficacia del diritto comunitario.
Sugli effetti nell'ordinamento interno delle pronunzie rese dalla Corte di giustizia, v., riassuntivamente, Corte cost. 18 aprile 1991, n. 168, id., 1992,1, 660, con nota di L. Daniele, Corte costituzionale e diretti ve comunitarie, che, nel puntualizzare come l'effetto del principio del
primato e della diretta applicabilità del diritto comunitario, riconduci bile nell'alveo delle limitazioni di sovranità consentite dall'art. 11 Cost., sia la non applicazione della norma interna incompatibile (piuttosto che la sua disapplicazione, che evoca vizi della norma in realtà insussistenti in ragione dell'autonomia dei due ordinamenti, interno e comunitario) da parte del giudice nazionale o della stessa pubblica amministrazione nell'esercizio della sua attività, ha ripercorso le tappe attraverso le quali la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto diretta applicabilità an che alle statuizioni contenute nelle sentenze della Corte di giustizia pro nunciate in via pregiudiziale, ex art. 177 del trattato (Corte cost. 23
aprile 1985, n. 113, id., 1985, I, 1600) ovvero rese in sede contenziosa, ai sensi dell'art. 169 (Corte cost. 11 luglio 1989, n. 389, id., 1991, I, 1076).
Per una ricostruzione complessiva degli orientamenti della Consulta sul tema, v., riassuntivamente, G. Amoroso, La giurisprudenza costitu zionale nell'anno 1995 in tema di rapporto tra ordinamento comunita rio e ordinamento nazionale: verso una «quarta» fase?, id., 1996, V, 73.
(2) Muovendo dalla sostanziale equiparazione del regime giuridico in cui versa l'atto amministrativo assunto sulla base di una norma inter na incompatibile con il diritto comunitario a quello proprio del provve dimento adottato alla stregua di una disposizione incostituzionale (im postazione, questa, non del tutto esente da rilievi: cfr. Chiti, I signori del diritto comunitario: la Corte di giustizia e lo sviluppo del diritto amministrativo europeo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1991, 796 ss., 826
s.), il Consiglio di Stato esclude la necessità, per gli ordini competenti, di procedere alla cancellazione d'ufficio dagli albi degli odontoiatri dei laureati iscrittisi in forza della 1. 471/88 (prospettata come inevitabile nella nota a Corte giust. 1° giugno 1995, causa C-40/93, cit.) sulla considerazione che la natura «comunitaria» del vizio dell'atto ammini strativo non può giustificare l'inosservanza, da parte della pubblica am ministrazione, dei principi elaborati in tema di autotutela amministrati va (sui quali, v. i richiami di F. Fracchia, in nota a Cons. Stato, sez. IV, 18 gennaio 1996, n. 54, Foro it., 1996, III, 442).
In senso (apparentemente) conforme al principio enunciato dalla I
sezione, anche se la massima risulta formulata in termini più espliciti di quanto espressamente affermato dalla decisione, Tar Lazio, sez. Ili, 7 ottobre 1996, n. 1834, id., Rep. 1997, voce Atto amministrativo, n. 433, e, per esteso, Urbanistica e appalti, 1997, 332, con nota adesiva di Garofoli. Contra, Cons. Stato, sez. IV, 18 gennaio 1996, n. 54, cit., secondo cui, alla stregua dei consolidati criteri di composizione dei contrasti fra norme comunitarie e disposizioni interne, sull'ammini strazione grava l'obbligo di annullare d'ufficio gli atti o i provvedimen ti assunti in esecuzione di una norma interna incompatibile con il dirit to comunitario, obbligo il cui adempimento «non può trovare ostacoli nella presenza di interessi pubblici o privati. Invero non va dimenticato che a monte dell'istituto della disapplicazione sussiste una riconosciuta violazione degli obblighi comunitari e cioè una fonte di responsabilità internazionale dello Stato. L'eliminazione del contrasto normativo e le connesse conseguenze amministrative costituiscono quindi adempimen to di un obbligo internazionale dello Stato la cui legittimità costituzio nale è stata ampiamente riconosciuta e di fronte al quale non può non recedere ogni altro interesse pubblico o privato». Le or riprodotte argo mentazioni (con le quali, secondo Fracchia, op. cit., 444, la IV sezio ne, nel qualificare come dovuto l'annullamento dell'atto amministrati vo fondato su norme interne da disapplicare, giunge a configurare una nuova ipotesi di annullamento obbligatorio, tale da assumere connota zioni prossime all'esercizio di una funzione di controllo) sembrano aver
recepito le sollecitazioni espresse, fra gli altri, in dottrina, da A. Tizza
no, La tutela dei privati nei confronti degli Stati membri dell'Unione
europea, in Foro it., 1995, IV, 13 ss., spec. 21, testo e nota 8, per il quale «quel che la Corte di giustizia pretende, e la nostra Corte costi tuzionale con essa, è che l'atto venga subito rimosso e non lasciato
Il Foro Italiano — 1999.
Diritto. — Il quesito sollevato dall'amministrazione involge delicati problemi interpretativi in ordine alle modalità di esecu
zione delle sentenze di condanna della Corte di giustizia della
Comunità europea adottate nei confronti del nostro Stato a se
guito della violazione degli obblighi derivanti dalle direttive. Nella
specie, tale violazione, come si è ampiamente precisato in pre
messa, è rappresentata dall'emanazione della 1. n. 471 del 1988, con la quale è stata riconosciuta ai medici immatricolati dal
l'anno accademico 1980-81 al 1984-85 non titolari di diplomi conformi alla normativa comunitaria la possibilità di accedere
alla professione di dentista, mediante l'esercizio, entro il 31 di
cembre 1991, della opzione per l'iscrizione all'albo degli odon
toiatri.
Va al riguardo precisato che, come ripetutamente ribadito dalla
sussistere in attesa della rimozione. Quindi, il giudice e la stessa pubbli ca amministrazione dovrebbero procedere alla disapplicazione della norma che è alla base dell'atto e rilevare d'ufficio la conseguente illegittimità di quest'ultimo: e ciò anche se si tratta di una nuova prassi e mancano strumenti ad hoc nell'ordinamento nazionale».
Infine, sul potere del giudice di sollevare ex officio eventuali profili di contrasto fra norme interne e diritto comunitario, da ultimo, Corte
giust. 24 ottobre 1996, causa C-72/95, id., 1998, IV, 57, con nota di S. Amadeo.
* * *
Se Cons. Stato, sez. IV, 54/96, cit., aveva prospettato, in relazione al problema del regime degli atti amministrativi adottati in base ad una norma incompatibile con il diritto comunitario, una soluzione in grado di coniugare la linearità argomentativa della motivazione all'efficienza
nell'applicazione di quel diritto e nell'osservanza degli obblighi dallo stesso derivanti, il parere in epigrafe risulta inappagante sotto entrambi i profili. Soprattutto, dimostra la perdurante difficoltà dell'apparato giudiziario di recepire, sul piano applicativo, tutte le implicazioni del
processo di integrazione europea rispetto al nostro sistema giuridico, e di cogliere appieno l'incidenza ed i riflessi del diritto comunitario sull'assetto e sui principi tradizionali dell'ordinamento interno.
Solo in una prospettiva di tale disagio concettuale, infatti, può in
quadrarsi la contraddizione di fondo che vizia irrimediabilmente il pa rere in epigrafe con il quale, da un lato, si riconosce la necessità di dare puntuale esecuzione alla pronuncia di condanna della Corte di giu stizia «stante la sua immediata precettività», e, dall'altro lato, se ne
legittima la sostanziale elusione da parte delle competenti autorità am ministrative — cui si consente di salvaguardare gli effetti della legge nazionale dai giudici di Lussemburgo dichiarata illegittima — evocando
principi consolidati in materia di autotutela amministrativa i quali inve
ce, al pari di qualsiasi disposizione o regola di diritto interno (sia essa di natura legislativa ovvero amministrativa, come ribadito di recente da Corte giust. 29 aprile 1999, causa C-224/97, inedita) di fronte all'e
sigenza di garantire la puntuale osservanza degli obblighi comunitari, a fortiori se scaturenti da una sentenza avente autorità di cosa giudica ta, devono necessariamente cedere il passo (in una fattispecie analoga, in cui l'Italia si era resa responsabile non solo di aver omesso le misure di esecuzione della sentenza di condanna, ma addirittura di aver adotta to provvedimenti specifici diretti a protrarre la vigenza della disciplina dichiarata incompatibile, Corte giust. 19 gennaio 1993, causa C-101/91, cit., ha duramente stigmatizzato tale comportamento ritenendolo «una violazione patente ed inammissibile dell'obbligo, imposto agli Stati mem bri dall'art. 5 del trattato, di astenersi da qualsiasi misura idonea a
compromettere la realizzazione degli scopi del trattato» e quindi idonea a minare le fondamenta stesse dell'ordinamento giuridico comunitario).
Ed a scoprire l'effetto elusivo poc'anzi evidenziato si pone la circo stanza che il Consiglio di Stato, quasi a voler ridimensionare le conse
guenze del proprio parere, si preoccupa di chiarire che al medico illegit timamente iscritto «è precluso in ogni caso l'esercizio della professione di odontoiatra negli altri Stati membri». Senonché, quella appena ri
prodotta era una delle argomentazioni dedotte dal governo italiano di nanzi alla Corte di giustizia per difendere la 1. 471/88 (punto 18 della
sentenza) e dalla stessa corte drasticamente respinta con l'affermazione che «non spetta agli Stati membri creare una categoria di dentisti che non corrisponda ad alcune delle categorie previste dalla direttiva».
Né, d'altra parte, a rendere invocabili i ricordati principi sull'autotu tela amministrativa in relazione all'esecuzione delle sentenze della corte, può valere il riferimento del Consiglio di Stato all'esigenza di garantire «il fondamentale rispetto anche in questi casi del principio di eguaglian za in presenza di situazioni identiche, quali sono tutte quelle caratteriz zate dalla originaria illegittimità dell'atto, quale che sia la causa della suddetta invalidità». Si tratta, infatti, a tacer d'altro, di riferimento non pertinente perché, come già in precedenza chiarito, l'annullamento
degli atti fondati su norme contrastanti con il diritto comunitario non
risponde ad una mera esigenza di ripristino della legalità (del tipo di
quella delineabile nelle altre ipotesi di autotutela amministrativa), ma costituisce l'adempimento di un preciso obbligo internazionale legitti
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Corte di giustizia, le sue pronunce integrano tanto la normativa
comunitaria, quanto quella interna dei singoli Stati membri. Non possono pertanto sussistere dubbi sulla necessità di dare
puntuale esecuzione alla pronuncia di condanna adottata nei
confronti dello Stato italiano, stante la sua immediata precetti vità. Si è, infatti, in presenza di una fonte sovraordinata rispet to al provvedimento legislativo interno contrario alla normativa
comunitaria che, dunque, è soggetto a disapplicazione da parte delle autorità amministrative cui sarebbe spettato di darvi at
tuazione e che vi hanno dato attuazione.
Va, peraltro, precisato in linea generale che tale potere di
disapplicazione da parte degli organi amministrativi o giurisdi zionali degli Stati membri, secondo la Corte di giustizia (senten za 22 giugno 1989, causa 103/88, Costanzo, in Foro it., 1991,
IV, 129) sussiste non solo in presenza delle pronunce della stes
sa corte ma in via astratta, ogni qual volta cioè la norma inter
na confligge con la direttiva immediatamente efficace (self
executing).
Principio questo pacificamente recepito anche da questo con
siglio in sede giurisdizionale. Allorché vi è una pronuncia della Corte di giustizia si deter
mina tuttavia una situazione che può essere considerata, sotto
il profilo sistematico, alla stessa stregua di quella scaturente dalla
pronuncia d'incostituzionalità delle leggi ordinarie da parte del
la Corte costituzionale.
In entrambi i casi, ora mediante la disapplicazione della nor
mativa contraria a quella comunitaria, ora mediante la pronun cia di annullamento della Corte costituzionale, la fonte legislati va interna cessa di costituire valido titolo per l'adozione di prov vedimenti amministrativi ad essa conformi, ovvero serve a sancire
in via definitiva l'illegittimità di quelli precedentemente adotta ti. In altri termini, l'atto o provvedimento amministrativo che
costituisce emanazione del potere conferito all'autorità emanante
dalla legge contraria alla normativa comunitaria o ai principi costituzionali è illegittimo ab origine. La pronuncia di disappli cazione o quella d'incostituzionalità fa soltanto venir meno lo
schermo di un titolo formale presupposto che solo in apparenza è tale, ma che in realtà è privo di sostanziale conformità alle
fonti normative ad esso sovraordinate.
Da tale angolazione, si ha, dunque, che la situazione finale
non differisce da quella che si determina in presenza di un qual siasi atto o provvedimento amministrativo non conforme ad una
o più norme dell'ordinamento interno. Anche in questi casi det
to atto è privo di un titolo legittimante, quanto mai necessario.
Del tutto irrilevante è infatti la circostanza che, nei primi due
casi, manca o è illegittima la fonte primaria e, quindi, l'atto
amministrativo solo in via derivata risulta illegittimo, mentre
nel caso da ultimo indicato tale illegittimità colpisce in via im
mediata e diretta detto atto, stante la sua specifica contrarietà
alla fonte sovraordinata.
Attesa la tipicità degli atti amministrativi e la necessità che
il relativo loro contenuto dispositivo sia conforme alla normati
va primaria o sub-primaria, dal punto di vista effettuale in tutti
e tre i casi si generano situazioni prive di un valido presupposto
legittimante. Ciò che va sottolineato è che la particolarità delle due prime
mamente assunto dallo Stato italiano alla stregua dell'art. 11 Cost.,
rispetto al quale le eventuali implicazioni correlate a situazioni di diritto interno non possono assumere rilevanza. Anzi, a ben guardare, è pro
prio nella soluzione suggerita dal Consiglio di Stato che potrebbero sem
mai ravvisarsi profili d'incostituzionalità per violazione del principio di uguaglianza, stante il diverso e più favorevole trattamento ipotizzato
per i medici già iscritti negli albi rispetto a quelli, versanti nelle medesi
me condizioni ma non ancora iscritti, ai quali il parere, conformemente
a quanto già statuito dalla citata Cass., sez. un., 11131/97, preclude l'iscrizione.
Ove poi si consideri che, con riguardo alla fattispecie in esame, la
soluzione prospettata dal parere non solo si presenta poco praticabile in concreto per la difficoltà di riconoscere, alla stregua delle argomen tazioni della ridetta sez. un. 11131/97, posizioni giuridiche consolidate
meritevoli di tutela in capo ai laureati illegittimamente iscritti, ma non
sembra neppure tener conto della specificità del potere dei consigli degli ordini professionali di annullare di ufficio, in ogni tempo, le iscrizioni
disposte in difetto dei requisiti di legge (v., sul punto, Cass. 20 ottobre
1993, n. 10382, id., 1994, I, 427), ce n'è quanto basta per concludere:
quandoque dormitat etiam Homerus. [A. Barone]
Il Foro Italiano — 1999 — Parte III-12.
ipotesi rispetto a quella da ultimo indicata è data dal fatto che, nel caso delle pronunce giurisdizionali, tanto della Corte costi
tuzionale, quanto della Corte di giustizia, i rapporti giuridici in contestazione restano senz'altro travolti.
La rimessione della questione di costituzionalità della legge alla Corte costituzionale è disposta infatti dall'organo giurisdi zionale in presenza di una specifica applicazione ad una situa
zione concreta della legge che si ritiene incostituzionale. Ove
ciò sia accertato, automaticamente resta travolto dalla successi
va pronuncia del giudice della controversia, l'atto o provvedi mento adottato sulla base della legge dichiarata incostituzionale.
Restano invece salvi, secondo il costante orientamento giuris
prudenziale, i rapporti già esauriti. Gli stessi principi, attesa anche l'esigenza di tener conto del
principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., debbono valere in pre senza di atti illegittimi conseguenti alle pronunzie della Corte
di giustizia adottati a seguito di rimessione della interpretazione delle norme del trattato da parte del giudice dello Stato mem
bro, chiamato a risolvere una specifica controversia.
Nel caso di specie, la pronunzia della corte è scaturita invece
dall'iniziativa della commissione delle Comunità europee nei con
fronti del nostro Stato. Pertanto, non si è in presenza di alcun
rapporto specifico sub iudice, che debba ritenersi immediata
mente travolto a seguito della pronunzia della Corte di giustizia. Si è determinata cioè una situazione identica a quella che si
ha, sia in presenza delle pronunzie della Corte costituzionale
relativamente a rapporti non in contestazione, sia, più in gene
rale, in presenza di provvedimenti amministrativi che ab origine risultano illegittimi, perché adottati in difformità della normati
va vigente. Se trattasi di rapporti ormai esauriti nessuna influenza può
essere dispiegata dal sopravvenire di un evento non più idoneo
ad incidere su una situazione ormai priva di rilevanza sul piano sostanziale.
Lì dove, invece, la situazione in atto continua ad essere disci
plinata dal provvedimento amministrativo illegittimo, come è
appunto per i rapporti in atto fra gli organi responsabili dell'al
bo degli odontoiatri e i medici già iscritti sulla base della 1. n. 471 del 1988, che attualmente risultano svolgere la relativa
professione sulla base della predetta iscrizione, il loro operato non potrà non conformarsi ai principi risalenti e del tutto paci fici elaborati dalla giurisprudenza, in materia di autotutela am
ministrativa.
Come è noto, la semplice non conformità a legge del provve dimento comporta l'annullamento dell'atto per tale determinante
motivo solo allorché trattasi di situazioni non ancora consoli
datesi.
Negli altri casi, il provvedimento di autotutela deve essere
sorretto da autonome ragioni di pubblico interesse, che non pos sono identificarsi con la sola esigenza di rispetto della normati
va che si assume ovvero che risulta violata.
Tali fondamentali regole dell'ordinamento interno non pos sono non trovare applicazione anche con riferimento all'esecu
zione delle sentenze della Corte di giustizia, stante il fondamen
tale rispetto anche in questi casi del principio di eguaglianza in presenza di situazioni identiche, quali sono tutte quelle carat
terizzate dalla originaria illegittimità dell'atto, quale che sia la
causa della suddetta invalidità.
Pertanto, in relazione ai casi concreti, alle peculiari caratteri
stiche e alle modalità dell'attività professionale concretamente
svolte dal singolo iscritto e della relativa competenza dimostra
ta, dovrà accertarsi se sussistono preminenti ragioni di pubblico interesse per disporre di volta in volta l'annullamento della sua
iscrizione nell'albo degli odontoiatri; provvedimento peraltro
eventuale e che dovrà essere sorretto da valida e congrua moti
vazione in ordine all'interesse pubblico concreto ed attuale al
l'annullamento.
Resta, peraltro, accertato che le iscrizioni già effettuate ope rano pur sempre nell'ambito del solo ordinamento interno, trat
tandosi di atto o provvedimento privo all'origine di qualsiasi
incidenza nell'ordinamento comunitario; di conseguenza all'i
scritto è precluso in ogni caso l'esercizio della professione di
odontoiatra negli altri Stati membri.
Mentre è chiaro che per l'avvenire nessuna ulteriore iscrizione
sarà più possibile sulla base della 1. n. 471 del 1988.
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