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sezione I; parere 9 aprile 1997, n. 372/97; Min. sanità

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sezione I; parere 9 aprile 1997, n. 372/97; Min. sanità Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 6 (GIUGNO 1999), pp. 333/334-337/338 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193773 . Accessed: 28/06/2014 18:18 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.163 on Sat, 28 Jun 2014 18:18:25 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezione I; parere 9 aprile 1997, n. 372/97; Min. sanità

sezione I; parere 9 aprile 1997, n. 372/97; Min. sanitàSource: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 6 (GIUGNO 1999), pp. 333/334-337/338Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193773 .

Accessed: 28/06/2014 18:18

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

strumento, ha inteso porre, per la completezza dell'azione pub blica a tutela dell'interesse paesistico, la necessità della funzione

di specificazione del contenuto precettivo del vincolo.

Deriva in sintesi da tutto ciò che il piano paesistico, essendo in posizione inferiore, ha nel vincolo il suo titolo e il suo limite e non può modificarlo o derogare ad esso, ma può (anzi, ex art. 1 bis, deve, per ciò che attiene alla normativa di uso e di

valorizzazione ambientale del territorio) solo specificare i conte nuti precettivi, ed il contrasto tra i due va risolto in favore

del vincolo. Un piano che difetti di tali caratteristiche e di tali

contenuti, o superi questi limiti intrinseci, viene infatti meno alla sua funzione ed è quanto meno illegittimo per difformità

rispetto al modello legislativo, quando non addirittura inesistente in quanto tale (cioè in quanto effettivo, e non solo nominale,

piano paesistico) per assenza di realizzazione dalla funzione pre scrittiva assegnatagli dalla legge come necessaria.

Orbene, rapportando tali considerazioni al caso qui in esame, ne viene che il motivo di impugnazione è fondato, perché, in so

stanza, il piano territoriale paesistico impugnato appare realizza

re non già uno strumento di attuazione e di specificazione del con tenuto precettivo del vincolo, bensì una deroga ad esso: e questo sia con riferimento all'eliminazione della previsione della necessi

tà dell'autorizzazione ex art. 7 1. 29 giugno 1939 n. 1497 per gli «usi compatibili» diversi da quelli sub «A-uso di area protetta», sia, in termini più sostanziali, con riferimento alla funzione di pro

gressione nella definizione del contenuto precettivo del piano. Non solo: le ampie categorie e tipologie di usi reputati come

compatibili con un contesto le cui caratteristiche di bellezza natu

rale debbono essere salvaguardate, sono in realtà di mole, impat to e rilevanza tale da comportare, sia nel loro insieme che una ad

una, con gli elevati livelli di trasformabilità del territorio che con

sentono, il denunciato snaturamento delle caratteristiche natura

li, ambientali e paesaggistiche che, invece, si afferma di volere tu

telare e conservare. In realtà, alcuni almeno degli usi in questio ne, soprattutto quelli compresi nelle classi AA, D.c, D.d, E.c, F.e,

F.f, G.a, H.d, H.f sembrano piuttosto in gran parte, da ritenere

assolutamente incompatibili per le zone più significative, quelle cioè degli ambiti di conservazione integrale, e per il resto di com

patibilità certamente da condizionare e limitare incisivamente quan to a tipologie di materiali e architettoniche, connessioni, quantità e ingombro e quant'altro necessario — da studiare, individuare

ed esternare come contenuto prescrittivo — per preservare effica

cemente i valori paesaggistici che si intendono tutelare.

A ben vedere, appare che la preoccupazione reale sia stata quella di contrastare, usando in modo improprio dell'occasione offerta

dalla pianificazione paesistica, gli effetti limitativi propri del vin

colo, garantendo comunque l'effettuazione di ponderosi interventi,

piuttosto che, al contrario, di definire i ristretti parametri di com

patibilità che consentano di mantenere, come risultato, inaltera

to il quadro complessivo dei valori paesistico-ambientali protetti. Il che è, dal punto di vista del contenuto, l'esatto rovesciamento

della funzione propria nel piano paesistico e realizza già, sotto que sto profilo, un evidente vizio funzionale dell'atto.

Ma vi è di più: in realtà, è la stessa metodologia dell'indivi

duazione di tipologie di interventi reputati come «compatibili», dei quali solo alcuni (quelli «A») previa autorizzazione, e altri

senz'altro, ad essere contrastante con la descritta corretta for

mazione del contenuto del piano: definire a priori un intervento

come compatibile significa o affermare che tutti gli altri inter

venti sono implicitamente vietati (il che non pare essere nelle

intenzioni), ovvero precostituire, dal punto di vista paesistico, le condizioni per l'affermazione della libertà dell'intervento (salva, nei limitati casi per cui è fatta restare, l'autorizzazione): il che

è il contrario esatto, in termini logici, della duplice operazione,

sopra descritta, di individuazione delle incompatibilità assolute, e dei criteri e parametri di valutazione delle incompatibilità re

lative. In realtà, ci si trova di fronte proprio al descritto, illegit timo scopo di deroga al vincolo, e dunque alla negazione della

funzione essenziale e tipica del piano paesistico, e ciò rende l'e

videnza — data anche l'ampiezza delle previsioni in questione — che con la pianificazione in oggetto si è inteso perseguire un fine effettivo di attenuazione, anziché puntualizzazione, del

l'effetto di vincolo: fine che è ben diverso da quello specifico

per cui il potere di pianificazione paesistica è dato.

Tutto ciò rende il contenuto del P.t.p. concretamente non

corrispondente con la funzione conservativa e specificativa del

vincolo attribuitagli dalla legge: sussiste pertanto in modo as

sorbente il denunciato vizio funzionale dell'eccesso di potere e

l'intero P.t.p. in esame va pertanto senz'altro annullato.

Il Foro Italiano — 1999.

CONSIGLIO DI STATO; sezione I; parere 9 aprile 1997, n.

372/97; Min. sanità.

Unione europea — Ce — Direttive comunitarie — Inadempi mento — Sentenza della Corte di giustizia — Effetti — Pro fessioni intellettuali — Odontoiatra — Normativa nazionale

confliggente — Inapplicabilità (Trattato Ce, art. 169, 171; di rettiva 25 luglio 1978 n. 78/686/Cee del consiglio, concernen te il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di dentista e comportante misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera pre stazione di servizi, art. 19; direttiva 25 luglio 1978 n. 78/687/Cee del consiglio, concernente il coordinamento delle

disposizioni legislative, regolamentari e amministrative per le attività di dentista, art. 1; 1. 31 ottobre 1988 n. 471, norme

concernenti l'opzione, per i laureati in medicina e chirurgia, per l'iscrizione all'albo degli odontoiatri, art. unico).

Unione europea — Ce — Normativa nazionale incompatibile con quella comunitaria — Atto amministrativo — Annulla mento in via di autotutela — Legittimità — Condizioni —

Professioni intellettuali — Odontoiatra — Albo — Iscrizione — Medici generici immatricolati al corso di laurea tra il 1980 e il 1985 — Cancellazione d'ufficio — Pubblico interesse —

Necessità (Direttiva 25 luglio 1978 n. 78/686/Cee del consi

glio, art. 19; direttiva 25 luglio 1978 n. 78/687/Cee del consi

glio, art. 1; 1. 31 ottobre 1988 n. 471).

Le sentenze di condanna pronunciate dalla Corte di giustizia delle Comunità europee impongono alle autorità statali di non

applicare le disposizioni nazionali dichiarate incompatibili con la normativa comunitaria (nella specie, il principio è stato

enunciato dal Consiglio di Stato con riferimento alla sentenza 10 giugno 1995, causa C-40/93, con la quale la Corte di giu stizia ha statuito che prorogando, con la l. 31 ottobre 1988 n. 471, fino all'anno accademico 1984/85, nei confronti dei

laureati in medicina e chirurgia, il termine stabilito dall'art.

19 della direttiva del consiglio 25 luglio 1978 n. 78/686/Cee, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le in

combono ai sensi del detto articolo e dell'art. 1 della direttiva

del consiglio 25 luglio 1978 n. 78/687/Cee, concernente il coor

dinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e am

ministrative per le attività di dentista). (1)

(1) Corte giust. 1° giugno 1995, causa C-40/93, Foro it., 1995, IV, 328, aveva condannato l'Italia per aver consentito, con l'art, unico 1. 31 ottobre 1988 n. 471, l'esercizio della professione di odontoiatra ai laureati in medicina e chirurgia abilitati, non specialisti in odontoiatria, che si fossero immatricolati negli anni accademici compresi fra il 1980-81 ed il 1984-85, mentre alla stregua delle direttive 78/686 e 78/687 la data di inizio della formazione universitaria di medico, a tal fine, avrebbe

potuto essere fissata «al più tardi» al 28 gennaio 1980. Sulla scorta della decisione dei giudici di Lussemburgo, Cass., sez.

un., 11 novembre 1997, n. 11131, id., 1998, I, 57, conformandosi al consolidato insegnamento della Corte costituzionale in tema di risolu zione dei conflitti fra norme comunitarie direttamente applicabili e di

sposizioni interne, ha ritenuto inapplicabile nella fattispecie controversa la 1. 471/88, e, conseguentemente, pur sussistendo le condizioni da que sta richieste, ha escluso il diritto del ricorrente ad essere iscritto nell'al bo degli odontoiatri.

Come ricordato nella nota di richiami a sez. un. 11131/97, cit., alla medesima conclusione attinta dal Supremo collegio, con riferimento ad una fattispecie analoga, era già pervenuto, in un certo senso anticipan do la pronuncia di condanna della Corte di giustizia, Trib. Roma 22

luglio 1994, id., 1995, I, 372. Relativamente all'obbligo, gravante sullo Stato riconosciuto inadem

piente ai sensi dell'art. 171 del trattato, di prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte di giustizia importa (obbligo la cui inosservanza, alla stregua del testo dell'art. 171 così come novel lato dal trattato di Maastricht, comporta l'irrogazione di sanzioni pecu niarie: sul punto, per un primo commento, Mori, Le sanzioni previste dall'art. 171 del trattato Ce: i primi criteri applicativi, in Dir. Unione

europea, 1996, 1015), la giurisprudenza comunitaria è ferma nell'esige re che alla pronuncia sia data esecuzione in tempi il più possibile ristret ti (ex multis, Corte giust. 7 marzo 1996, causa C-334/94, Foro it., Rep. 1997, voce Unione europea, n. 632, e, in extenso, Riv. dir. internaz.

privato e proc., 1997, 195) ed attraverso l'adozione di disposizioni in terne vincolanti aventi lo stesso valore giuridico di quelle da modificare

(così, di recente, Corte giust. 4 dicembre 1997, causa C-207/96, e 13 marzo 1997, causa C-197/96, Foro it., 1998, IV, 50). La medesima

giurisprudenza, inoltre, non ha mancato di ribadire (così, tra le altre, Corte giust. 19 gennaio 1993, causa C-101/91, id., Rep. 1993, voce

cit., n. 348) che la declaratoria dell'inadempimento, da parte di uno Stato membro, degli obblighi comunitari ad esso imposti, implica sia

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PARTE TERZA

L'annullamento, in via di autotutela, di un atto amministrativo

adottato in base ad una disposizione incompatibile con una

norma comunitaria direttamente applicabile deve essere sor

retto da ragioni attuali di pubblico interesse che non possono esaurirsi nella sola esigenza di ripristino della legalità (nella

specie, il Consiglio di Stato ha affermato che la cancellazione

dall'albo degli odontoiatri dei laureati in medicina allo stesso

iscrittisi in forza della l. 31 ottobre 1988 n. 471 non costitui

sce per gli ordini competenti un atto dovuto, ma è subordina

ta alla sussistenza di preminenti ed attuali ragioni di pubblico interesse valutabili caso per caso in relazione alle peculiari caratteristiche ed alle modalità dell'attività professionale con

cretamente svolta da ogni singolo iscritto, anche alla luce del

la competenza dimostrata). (2)

per le autorità giudiziarie che per quelle amministrative del medesimo

Stato, per un verso, il divieto assoluto di applicare il regime normativo nazionale dichiarato incompatibile, e, per l'altro, l'obbligo di adottare tutte le disposizioni intese ad agevolare la piena efficacia del diritto comunitario.

Sugli effetti nell'ordinamento interno delle pronunzie rese dalla Corte di giustizia, v., riassuntivamente, Corte cost. 18 aprile 1991, n. 168, id., 1992,1, 660, con nota di L. Daniele, Corte costituzionale e diretti ve comunitarie, che, nel puntualizzare come l'effetto del principio del

primato e della diretta applicabilità del diritto comunitario, riconduci bile nell'alveo delle limitazioni di sovranità consentite dall'art. 11 Cost., sia la non applicazione della norma interna incompatibile (piuttosto che la sua disapplicazione, che evoca vizi della norma in realtà insussistenti in ragione dell'autonomia dei due ordinamenti, interno e comunitario) da parte del giudice nazionale o della stessa pubblica amministrazione nell'esercizio della sua attività, ha ripercorso le tappe attraverso le quali la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto diretta applicabilità an che alle statuizioni contenute nelle sentenze della Corte di giustizia pro nunciate in via pregiudiziale, ex art. 177 del trattato (Corte cost. 23

aprile 1985, n. 113, id., 1985, I, 1600) ovvero rese in sede contenziosa, ai sensi dell'art. 169 (Corte cost. 11 luglio 1989, n. 389, id., 1991, I, 1076).

Per una ricostruzione complessiva degli orientamenti della Consulta sul tema, v., riassuntivamente, G. Amoroso, La giurisprudenza costitu zionale nell'anno 1995 in tema di rapporto tra ordinamento comunita rio e ordinamento nazionale: verso una «quarta» fase?, id., 1996, V, 73.

(2) Muovendo dalla sostanziale equiparazione del regime giuridico in cui versa l'atto amministrativo assunto sulla base di una norma inter na incompatibile con il diritto comunitario a quello proprio del provve dimento adottato alla stregua di una disposizione incostituzionale (im postazione, questa, non del tutto esente da rilievi: cfr. Chiti, I signori del diritto comunitario: la Corte di giustizia e lo sviluppo del diritto amministrativo europeo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1991, 796 ss., 826

s.), il Consiglio di Stato esclude la necessità, per gli ordini competenti, di procedere alla cancellazione d'ufficio dagli albi degli odontoiatri dei laureati iscrittisi in forza della 1. 471/88 (prospettata come inevitabile nella nota a Corte giust. 1° giugno 1995, causa C-40/93, cit.) sulla considerazione che la natura «comunitaria» del vizio dell'atto ammini strativo non può giustificare l'inosservanza, da parte della pubblica am ministrazione, dei principi elaborati in tema di autotutela amministrati va (sui quali, v. i richiami di F. Fracchia, in nota a Cons. Stato, sez. IV, 18 gennaio 1996, n. 54, Foro it., 1996, III, 442).

In senso (apparentemente) conforme al principio enunciato dalla I

sezione, anche se la massima risulta formulata in termini più espliciti di quanto espressamente affermato dalla decisione, Tar Lazio, sez. Ili, 7 ottobre 1996, n. 1834, id., Rep. 1997, voce Atto amministrativo, n. 433, e, per esteso, Urbanistica e appalti, 1997, 332, con nota adesiva di Garofoli. Contra, Cons. Stato, sez. IV, 18 gennaio 1996, n. 54, cit., secondo cui, alla stregua dei consolidati criteri di composizione dei contrasti fra norme comunitarie e disposizioni interne, sull'ammini strazione grava l'obbligo di annullare d'ufficio gli atti o i provvedimen ti assunti in esecuzione di una norma interna incompatibile con il dirit to comunitario, obbligo il cui adempimento «non può trovare ostacoli nella presenza di interessi pubblici o privati. Invero non va dimenticato che a monte dell'istituto della disapplicazione sussiste una riconosciuta violazione degli obblighi comunitari e cioè una fonte di responsabilità internazionale dello Stato. L'eliminazione del contrasto normativo e le connesse conseguenze amministrative costituiscono quindi adempimen to di un obbligo internazionale dello Stato la cui legittimità costituzio nale è stata ampiamente riconosciuta e di fronte al quale non può non recedere ogni altro interesse pubblico o privato». Le or riprodotte argo mentazioni (con le quali, secondo Fracchia, op. cit., 444, la IV sezio ne, nel qualificare come dovuto l'annullamento dell'atto amministrati vo fondato su norme interne da disapplicare, giunge a configurare una nuova ipotesi di annullamento obbligatorio, tale da assumere connota zioni prossime all'esercizio di una funzione di controllo) sembrano aver

recepito le sollecitazioni espresse, fra gli altri, in dottrina, da A. Tizza

no, La tutela dei privati nei confronti degli Stati membri dell'Unione

europea, in Foro it., 1995, IV, 13 ss., spec. 21, testo e nota 8, per il quale «quel che la Corte di giustizia pretende, e la nostra Corte costi tuzionale con essa, è che l'atto venga subito rimosso e non lasciato

Il Foro Italiano — 1999.

Diritto. — Il quesito sollevato dall'amministrazione involge delicati problemi interpretativi in ordine alle modalità di esecu

zione delle sentenze di condanna della Corte di giustizia della

Comunità europea adottate nei confronti del nostro Stato a se

guito della violazione degli obblighi derivanti dalle direttive. Nella

specie, tale violazione, come si è ampiamente precisato in pre

messa, è rappresentata dall'emanazione della 1. n. 471 del 1988, con la quale è stata riconosciuta ai medici immatricolati dal

l'anno accademico 1980-81 al 1984-85 non titolari di diplomi conformi alla normativa comunitaria la possibilità di accedere

alla professione di dentista, mediante l'esercizio, entro il 31 di

cembre 1991, della opzione per l'iscrizione all'albo degli odon

toiatri.

Va al riguardo precisato che, come ripetutamente ribadito dalla

sussistere in attesa della rimozione. Quindi, il giudice e la stessa pubbli ca amministrazione dovrebbero procedere alla disapplicazione della norma che è alla base dell'atto e rilevare d'ufficio la conseguente illegittimità di quest'ultimo: e ciò anche se si tratta di una nuova prassi e mancano strumenti ad hoc nell'ordinamento nazionale».

Infine, sul potere del giudice di sollevare ex officio eventuali profili di contrasto fra norme interne e diritto comunitario, da ultimo, Corte

giust. 24 ottobre 1996, causa C-72/95, id., 1998, IV, 57, con nota di S. Amadeo.

* * *

Se Cons. Stato, sez. IV, 54/96, cit., aveva prospettato, in relazione al problema del regime degli atti amministrativi adottati in base ad una norma incompatibile con il diritto comunitario, una soluzione in grado di coniugare la linearità argomentativa della motivazione all'efficienza

nell'applicazione di quel diritto e nell'osservanza degli obblighi dallo stesso derivanti, il parere in epigrafe risulta inappagante sotto entrambi i profili. Soprattutto, dimostra la perdurante difficoltà dell'apparato giudiziario di recepire, sul piano applicativo, tutte le implicazioni del

processo di integrazione europea rispetto al nostro sistema giuridico, e di cogliere appieno l'incidenza ed i riflessi del diritto comunitario sull'assetto e sui principi tradizionali dell'ordinamento interno.

Solo in una prospettiva di tale disagio concettuale, infatti, può in

quadrarsi la contraddizione di fondo che vizia irrimediabilmente il pa rere in epigrafe con il quale, da un lato, si riconosce la necessità di dare puntuale esecuzione alla pronuncia di condanna della Corte di giu stizia «stante la sua immediata precettività», e, dall'altro lato, se ne

legittima la sostanziale elusione da parte delle competenti autorità am ministrative — cui si consente di salvaguardare gli effetti della legge nazionale dai giudici di Lussemburgo dichiarata illegittima — evocando

principi consolidati in materia di autotutela amministrativa i quali inve

ce, al pari di qualsiasi disposizione o regola di diritto interno (sia essa di natura legislativa ovvero amministrativa, come ribadito di recente da Corte giust. 29 aprile 1999, causa C-224/97, inedita) di fronte all'e

sigenza di garantire la puntuale osservanza degli obblighi comunitari, a fortiori se scaturenti da una sentenza avente autorità di cosa giudica ta, devono necessariamente cedere il passo (in una fattispecie analoga, in cui l'Italia si era resa responsabile non solo di aver omesso le misure di esecuzione della sentenza di condanna, ma addirittura di aver adotta to provvedimenti specifici diretti a protrarre la vigenza della disciplina dichiarata incompatibile, Corte giust. 19 gennaio 1993, causa C-101/91, cit., ha duramente stigmatizzato tale comportamento ritenendolo «una violazione patente ed inammissibile dell'obbligo, imposto agli Stati mem bri dall'art. 5 del trattato, di astenersi da qualsiasi misura idonea a

compromettere la realizzazione degli scopi del trattato» e quindi idonea a minare le fondamenta stesse dell'ordinamento giuridico comunitario).

Ed a scoprire l'effetto elusivo poc'anzi evidenziato si pone la circo stanza che il Consiglio di Stato, quasi a voler ridimensionare le conse

guenze del proprio parere, si preoccupa di chiarire che al medico illegit timamente iscritto «è precluso in ogni caso l'esercizio della professione di odontoiatra negli altri Stati membri». Senonché, quella appena ri

prodotta era una delle argomentazioni dedotte dal governo italiano di nanzi alla Corte di giustizia per difendere la 1. 471/88 (punto 18 della

sentenza) e dalla stessa corte drasticamente respinta con l'affermazione che «non spetta agli Stati membri creare una categoria di dentisti che non corrisponda ad alcune delle categorie previste dalla direttiva».

Né, d'altra parte, a rendere invocabili i ricordati principi sull'autotu tela amministrativa in relazione all'esecuzione delle sentenze della corte, può valere il riferimento del Consiglio di Stato all'esigenza di garantire «il fondamentale rispetto anche in questi casi del principio di eguaglian za in presenza di situazioni identiche, quali sono tutte quelle caratteriz zate dalla originaria illegittimità dell'atto, quale che sia la causa della suddetta invalidità». Si tratta, infatti, a tacer d'altro, di riferimento non pertinente perché, come già in precedenza chiarito, l'annullamento

degli atti fondati su norme contrastanti con il diritto comunitario non

risponde ad una mera esigenza di ripristino della legalità (del tipo di

quella delineabile nelle altre ipotesi di autotutela amministrativa), ma costituisce l'adempimento di un preciso obbligo internazionale legitti

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Corte di giustizia, le sue pronunce integrano tanto la normativa

comunitaria, quanto quella interna dei singoli Stati membri. Non possono pertanto sussistere dubbi sulla necessità di dare

puntuale esecuzione alla pronuncia di condanna adottata nei

confronti dello Stato italiano, stante la sua immediata precetti vità. Si è, infatti, in presenza di una fonte sovraordinata rispet to al provvedimento legislativo interno contrario alla normativa

comunitaria che, dunque, è soggetto a disapplicazione da parte delle autorità amministrative cui sarebbe spettato di darvi at

tuazione e che vi hanno dato attuazione.

Va, peraltro, precisato in linea generale che tale potere di

disapplicazione da parte degli organi amministrativi o giurisdi zionali degli Stati membri, secondo la Corte di giustizia (senten za 22 giugno 1989, causa 103/88, Costanzo, in Foro it., 1991,

IV, 129) sussiste non solo in presenza delle pronunce della stes

sa corte ma in via astratta, ogni qual volta cioè la norma inter

na confligge con la direttiva immediatamente efficace (self

executing).

Principio questo pacificamente recepito anche da questo con

siglio in sede giurisdizionale. Allorché vi è una pronuncia della Corte di giustizia si deter

mina tuttavia una situazione che può essere considerata, sotto

il profilo sistematico, alla stessa stregua di quella scaturente dalla

pronuncia d'incostituzionalità delle leggi ordinarie da parte del

la Corte costituzionale.

In entrambi i casi, ora mediante la disapplicazione della nor

mativa contraria a quella comunitaria, ora mediante la pronun cia di annullamento della Corte costituzionale, la fonte legislati va interna cessa di costituire valido titolo per l'adozione di prov vedimenti amministrativi ad essa conformi, ovvero serve a sancire

in via definitiva l'illegittimità di quelli precedentemente adotta ti. In altri termini, l'atto o provvedimento amministrativo che

costituisce emanazione del potere conferito all'autorità emanante

dalla legge contraria alla normativa comunitaria o ai principi costituzionali è illegittimo ab origine. La pronuncia di disappli cazione o quella d'incostituzionalità fa soltanto venir meno lo

schermo di un titolo formale presupposto che solo in apparenza è tale, ma che in realtà è privo di sostanziale conformità alle

fonti normative ad esso sovraordinate.

Da tale angolazione, si ha, dunque, che la situazione finale

non differisce da quella che si determina in presenza di un qual siasi atto o provvedimento amministrativo non conforme ad una

o più norme dell'ordinamento interno. Anche in questi casi det

to atto è privo di un titolo legittimante, quanto mai necessario.

Del tutto irrilevante è infatti la circostanza che, nei primi due

casi, manca o è illegittima la fonte primaria e, quindi, l'atto

amministrativo solo in via derivata risulta illegittimo, mentre

nel caso da ultimo indicato tale illegittimità colpisce in via im

mediata e diretta detto atto, stante la sua specifica contrarietà

alla fonte sovraordinata.

Attesa la tipicità degli atti amministrativi e la necessità che

il relativo loro contenuto dispositivo sia conforme alla normati

va primaria o sub-primaria, dal punto di vista effettuale in tutti

e tre i casi si generano situazioni prive di un valido presupposto

legittimante. Ciò che va sottolineato è che la particolarità delle due prime

mamente assunto dallo Stato italiano alla stregua dell'art. 11 Cost.,

rispetto al quale le eventuali implicazioni correlate a situazioni di diritto interno non possono assumere rilevanza. Anzi, a ben guardare, è pro

prio nella soluzione suggerita dal Consiglio di Stato che potrebbero sem

mai ravvisarsi profili d'incostituzionalità per violazione del principio di uguaglianza, stante il diverso e più favorevole trattamento ipotizzato

per i medici già iscritti negli albi rispetto a quelli, versanti nelle medesi

me condizioni ma non ancora iscritti, ai quali il parere, conformemente

a quanto già statuito dalla citata Cass., sez. un., 11131/97, preclude l'iscrizione.

Ove poi si consideri che, con riguardo alla fattispecie in esame, la

soluzione prospettata dal parere non solo si presenta poco praticabile in concreto per la difficoltà di riconoscere, alla stregua delle argomen tazioni della ridetta sez. un. 11131/97, posizioni giuridiche consolidate

meritevoli di tutela in capo ai laureati illegittimamente iscritti, ma non

sembra neppure tener conto della specificità del potere dei consigli degli ordini professionali di annullare di ufficio, in ogni tempo, le iscrizioni

disposte in difetto dei requisiti di legge (v., sul punto, Cass. 20 ottobre

1993, n. 10382, id., 1994, I, 427), ce n'è quanto basta per concludere:

quandoque dormitat etiam Homerus. [A. Barone]

Il Foro Italiano — 1999 — Parte III-12.

ipotesi rispetto a quella da ultimo indicata è data dal fatto che, nel caso delle pronunce giurisdizionali, tanto della Corte costi

tuzionale, quanto della Corte di giustizia, i rapporti giuridici in contestazione restano senz'altro travolti.

La rimessione della questione di costituzionalità della legge alla Corte costituzionale è disposta infatti dall'organo giurisdi zionale in presenza di una specifica applicazione ad una situa

zione concreta della legge che si ritiene incostituzionale. Ove

ciò sia accertato, automaticamente resta travolto dalla successi

va pronuncia del giudice della controversia, l'atto o provvedi mento adottato sulla base della legge dichiarata incostituzionale.

Restano invece salvi, secondo il costante orientamento giuris

prudenziale, i rapporti già esauriti. Gli stessi principi, attesa anche l'esigenza di tener conto del

principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., debbono valere in pre senza di atti illegittimi conseguenti alle pronunzie della Corte

di giustizia adottati a seguito di rimessione della interpretazione delle norme del trattato da parte del giudice dello Stato mem

bro, chiamato a risolvere una specifica controversia.

Nel caso di specie, la pronunzia della corte è scaturita invece

dall'iniziativa della commissione delle Comunità europee nei con

fronti del nostro Stato. Pertanto, non si è in presenza di alcun

rapporto specifico sub iudice, che debba ritenersi immediata

mente travolto a seguito della pronunzia della Corte di giustizia. Si è determinata cioè una situazione identica a quella che si

ha, sia in presenza delle pronunzie della Corte costituzionale

relativamente a rapporti non in contestazione, sia, più in gene

rale, in presenza di provvedimenti amministrativi che ab origine risultano illegittimi, perché adottati in difformità della normati

va vigente. Se trattasi di rapporti ormai esauriti nessuna influenza può

essere dispiegata dal sopravvenire di un evento non più idoneo

ad incidere su una situazione ormai priva di rilevanza sul piano sostanziale.

Lì dove, invece, la situazione in atto continua ad essere disci

plinata dal provvedimento amministrativo illegittimo, come è

appunto per i rapporti in atto fra gli organi responsabili dell'al

bo degli odontoiatri e i medici già iscritti sulla base della 1. n. 471 del 1988, che attualmente risultano svolgere la relativa

professione sulla base della predetta iscrizione, il loro operato non potrà non conformarsi ai principi risalenti e del tutto paci fici elaborati dalla giurisprudenza, in materia di autotutela am

ministrativa.

Come è noto, la semplice non conformità a legge del provve dimento comporta l'annullamento dell'atto per tale determinante

motivo solo allorché trattasi di situazioni non ancora consoli

datesi.

Negli altri casi, il provvedimento di autotutela deve essere

sorretto da autonome ragioni di pubblico interesse, che non pos sono identificarsi con la sola esigenza di rispetto della normati

va che si assume ovvero che risulta violata.

Tali fondamentali regole dell'ordinamento interno non pos sono non trovare applicazione anche con riferimento all'esecu

zione delle sentenze della Corte di giustizia, stante il fondamen

tale rispetto anche in questi casi del principio di eguaglianza in presenza di situazioni identiche, quali sono tutte quelle carat

terizzate dalla originaria illegittimità dell'atto, quale che sia la

causa della suddetta invalidità.

Pertanto, in relazione ai casi concreti, alle peculiari caratteri

stiche e alle modalità dell'attività professionale concretamente

svolte dal singolo iscritto e della relativa competenza dimostra

ta, dovrà accertarsi se sussistono preminenti ragioni di pubblico interesse per disporre di volta in volta l'annullamento della sua

iscrizione nell'albo degli odontoiatri; provvedimento peraltro

eventuale e che dovrà essere sorretto da valida e congrua moti

vazione in ordine all'interesse pubblico concreto ed attuale al

l'annullamento.

Resta, peraltro, accertato che le iscrizioni già effettuate ope rano pur sempre nell'ambito del solo ordinamento interno, trat

tandosi di atto o provvedimento privo all'origine di qualsiasi

incidenza nell'ordinamento comunitario; di conseguenza all'i

scritto è precluso in ogni caso l'esercizio della professione di

odontoiatra negli altri Stati membri.

Mentre è chiaro che per l'avvenire nessuna ulteriore iscrizione

sarà più possibile sulla base della 1. n. 471 del 1988.

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