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sezione I penale; sentenza 12 maggio 1999; Pres. Fazzioli, Est. Bardovagni, P.M. Siniscalchi(concl. conf.); ric. P.m. in c. Trentunzi. Annulla Trib. Bari, ord. 18 gennaio 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 1 (GENNAIO 2000), pp. 39/40-43/44Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195335 .
Accessed: 28/06/2014 11:08
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PARTE SECONDA
riconosciuti al predetto. Senza considerare che, come accenna
to, la concessione in uso degli impianti in questione si configura
giuridicamente quale contratto di comodato («comodato di sco
po» lo si definisce in sentenza), nei cui schemi è certamente
difficile collocare una figura di comodante, quale quella dise
gnata dal pretore, che anziché avere come controparte un co
modatario, debba calarsi nell'organizzazione del lavoro subor
dinato facente capo a quest'ultimo.
Argomentando siffattamente il giudicante salta a piè pari, va
nificandola, tutta la coerente e logica costruzione del decreto
626/94, che ha invece inteso individuare e graduare gli obblighi gravanti sui singoli destinatari delle norme, a seconda della loro
partecipazione e collocazione nell'ambito dell'attività lavorati
va, pretendendo così di addebitare qualsiasi violazione della nor
mativa speciale a tutti indiscriminatamente i destinatari di ob
blighi prevenzionali, a prescindere dalle loro singole responsa bilità.
Non si comprende, peraltro, perché la pretesa «traslazione»
degli obblighi del datore di lavoro colpirebbe soltanto i conce denti in uso degli impianti e non anche le altre figure indicate dall'art. 6 (progettisti, installatori, montatori, ecc.).
Ritiene, invece, il collegio che proprio la lettera e la ratio delle disposizioni normative in questione costituiscano un osta
colo insuperabile alla «traslazione» ad altri di obblighi e re
sponsabilità posti specificamente a carico di un ben individuato
«debitore di sicurezza», soprattutto quando, come nel caso di
specie, a quest'ultimo nulla si contesta. Diversa è infatti l'ipote si, lo si ripete, di ipotizzato concorso dell'extraneus col sogget to gravato dagli obblighi, che, senza trasferirsi con effetto libe ratorio al primo, a lui si estenderebbero in presenza di determi nate condizioni.
7. - In definitiva, quantunque il secondo subordinato al pri mo, entrambi i motivi di ricorso sopra esaminati, dai quali ogni altra doglianza rimane assorbita, meritano — ad avviso del col
legio — pieno accoglimento, per cui la decisione impugnata, viziata da erronea applicazione della legge penale sotto il dupli ce profilo suindicato, deve essere annullata senza rinvio, perché il fatto non costituisce reato, non potendosi comunque ipotizza re la contravvenzione rubricata a carico degli imputati.
8. - Alla luce delle considerazioni che precedono, il collegio ritiene pleonastico l'esame dello ius novum, costituito dalla no ta 1. 4 novembre 1997 n. 413 (ed anche dal d.m. ambiente 20
gennaio 1999 n. 76), che pure ha profondamente innovato la materia in questione, con diretti riflessi sulla sussistenza del reato ascritto agli imputati.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 12 mag gio 1999; Pres. Fazzioli, Est. Bardovagni, P.M. Siniscal chi (conci, conf.); ric. P.m. in c. Trentunzi. Annulla Trib.
Bari, ord. 18 gennaio 1999.
Intercettazione di conversazioni o comunicazioni — Decreto au
torizzativo, di convalida o di proroga delle intercettazioni —
Motivazione «per relationem» — Ammissibilità — Condizio ni (Cod. proc. pen., art. 267).
I decreti autorizzativi, di convalida e di proroga delle intercetta
zioni, quando il giudice dia atto di avere valutato e condiviso le argomentazioni sviluppate nelle richieste del pubblico mini stero o nelle note investigative provenienti dalla polizia giudi ziaria, possono essere motivati con riferimento a tali atti, sem
pre che effettivamente e integralmente trasmessi all'organo decidente ed a quelli che in base alle risultanze delle conversa zioni intercettate siano chiamati ad emettere provvedimenti
II Foro Italiano — 2000.
de libertate e resi accessibili alla difesa in sede di riesame, nei termini e con le modalità di cui all'art. 309, 5° e 8° com
ma, c.p.p. (1)
Con ordinanza in data 8 gennaio 1999 il Tribunale di Bari, in sede di riesame, annullava il provvedimento impositivo della
custodia in carcere emesso dal g.i.p. il 15 dicembre 1998 nei
confronti di Trentunzi Rocco, indagato per traffico di stupefa
(1) La pronuncia in epigrafe si innesta nell'ampio dibattito — non certo recente, e tuttavia ben lungi dall'esaurirsi — circa la legittimità della motivazione per relationem dei provvedimenti del giudice. A fron te di impostazioni assai rigorose emerse ormai da tempo in dottrina
(cfr., soprattutto, Amodio, Motivazione della sentenza penale, voce del
l'Enciclopedia del diritto, Milano, 1977, XXVII, 231 ss., nonché Sira
cusano, I provvedimenti penali e le motivazioni implicite, «per relatio nem» e sommarie, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1958, spec. 367 ss.), la giurisprudenza ha adottato indirizzi più possibilisti (sui quali cfr., di recente, Iacoviello, La motivazione della sentenza e il suo controllo in Cassazione, Milano, 1997, spec. 292 s.), pur se diversamente variega ti: secondo una tesi assai liberal il riferimento, contenuto in parte moti va, ad altro atto darebbe luogo ad una indiscriminata «incorporazio ne», nel primo atto, di dati, elementi e considerazioni proprie del se condo (in questi termini, Cass. 9 settembre 1993, Bisignani, Foro it., Rep. 1994, voce Misure cautelari personali, n. 331, con riguardo al
provvedimento de libertate motivato attraverso il rinvio alla richiesta del p.m.); si ha, tuttavia, per lo più cura di precisare che la motivazione
per relationem è legittima sempre che i fatti o i ragionamenti cui si faccia riferimento siano «conoscibili ovvero conosciuti dall'interessato in modo tale che questi sia in grado di controllarne, sia pur esaminando un provvedimento diverso per completare la lettura di quello che lo interessa, la congruenza, la logicità e quindi la legittimità» (Cass. 14
giugno 1993, Esposito, ibid., voce Sentenza penale, n. 23; in termini
sovrapponibili, cfr., tra le altre, altresì, Cass. 30 giugno 1993, Privite ra, ibid., n. 22; 6 dicembre 1993, Gigliuto, ibid., n. 24; 23 febbraio 1994, Orsino, ibid., voce Misure cautelari personali, n. 325). Con speci fico riguardo ai provvedimenti autorizzativi, di convalida o di proroga delle intercettazioni ex art. 267 c.p.p., chiarito anzitutto — in termini in verità assai formalistici — che la motivazione per relationem è tale solo allorché si sostanzi in un semplice rinvio «esterno» ad altri atti
(come la richiesta del p.m.) e non anche ove contenga la riproduzione, ancorché pedissequa, delle ragioni altrove indicate (Cass. 5 ottobre 1994, Celone, id., Rep. 1995, voce Intercettazione di conversazioni, n. 23), si è sottolineato, in linea di principio, che l'obbligo di motivazione pre teso dalla legge non può considerarsi adempiuto attraverso il semplice rinvio per relationem alla richiesta del p.m.; tuttavia — si è precisato — ove tale richiesta sia resa accessibile alla parte privata attraverso il deposito ex art. 268, 4° comma, c.p.p., è fatta salva la possibilità di controllo, da parte del sottoposto ad indagini, dell'/te/- argomentati vo percorso dal giudice (che risulterebbe, appunto, dalla combinazione del provvedimento richiamante e dell'atto richiamato) e, perciò, nessu na violazione del diritto di difesa potrebbe in concreto ipotizzarsi (in questi termini, ancora, Cass. 5 ottobre 1994, Celone, cit.), sempre che — è ovvio — l'atto «esterno» cui il provvedimento giurisdizionale si riferisce contenga in sé tutti gli elementi di un'idonea motivazione (Cass. 18 giugno 1999, Palella, Guida al dir., 1999, fase. 43, 80, con nota di Giordano, La motivazione del decreto del g.i.p. deve contenere gra vi indizi di reato). Più rigoroso appare l'indirizzo secondo cui non sod disfa il vincolo posto dall'art. 267 c.p.p. una motivazione che faccia riferimento alla richiesta del p.m., che è un atto di parte, o al rapporto della polizia giudiziaria, che non può sostituirsi alla valutazione del giu dice circa la sussistenza dei presupposti delle intercettazioni (in tal sen so, oltre a Cass. 6 febbraio 1996, Filoni, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 11, cfr. altresì Cass. 23 maggio 1997, Bormolini, id., Rep. 1998, voce cit., n. 12): la motivazione per relationem — si è, tuttavia, sog giunto — è «consentita nel solo caso in cui il giudice non si limiti ad un mero rinvio, ma richiami gli argomenti addotti dal p.m. in modo da far emergere che essi sono stati criticamente valutati e recepiti, sem pre che siano indicati espressamente gli elementi di fatto per i quali si fa ricorso all'atto di indagine in questione» (Cass. 6 febbraio 1996, Filoni, cit.).
La pronuncia in epigrafe ribadisce il meno impegnativo indirizzo se condo cui risiede nella possibilità di controllo, per la parte privata, de gli atti richiamati la legittimità della motivazione per relationem-, quan to, poi, agli indici attraverso i quali è possibile diagnosticare che il giu dice abbia criticamente valutato gli elementi «esterni», questi — che costituiscono, a ben vedere, il vero punctum pruriens della problemati ca — finiscono per rimanere in ombra, sul piano delle statuizioni di principio, confluendo, invece, nel non predefinibile limbo delle valuta zioni di fatto «caso per caso», controllabili (non di rado non senza difficoltà) solo sul piano della logicità «interna» del discorso giustifica tivo. [G. Di Chiara]
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GIURISPRUDENZA PENALE
centi e partecipazione ad associazione ad esso finalizzata; osser
vava che gli indizi di colpevolezza emergevano esclusivamente
da intercettazioni telefoniche (restando, se isolatamente consi
derati, privi di significato gli elementi meramente confermativi — quali le frequentazioni — emersi dalle indagini). Le risultan
ze delle intercettazioni dovevano peraltro ritenersi inutilizzabili
perché tutti i provvedimenti autorizzativi erano motivati con ge nerico riferimento ai titoli dei reati ed alle utilità del mezzo
di ricerca della prova ai fini delle indagini, rinviando per il re sto alle considerazioni contenute nelle informative della polizia
giudiziaria; i decreti di proroga contenevano la mera afferma
zione della permanenza delle condizioni legittimanti e quelli di
convalida delle operazioni disposte d'iniziativa dal p.m. si limi tavano a trattare le ragioni di urgenza; era così eluso l'obbligo
motivazionale sancito dall'art. 267 c.p.p. e sanzionato dal suc
cessivo art. 271.
Ha proposto ricorso per cassazione il p.m., denunciando er
ronea applicazione della normativa ora richiamata sotto duplice
profilo: il provvedimento autorizzativo, adottato nella forma
del decreto e senza contraddittorio, ben poteva avere una moti
vazione succinta, anche per relationem ad altri atti, purché alle
gati così da consentire il controllo dell 'iter logico seguito; in
ogni caso, esso ben poteva essere integrato dal giudice del riesa
me, anche in considerazione dell'utilità e della rilevanza dei ri
sultati conseguiti. Il primo motivo di ricorso è fondato. Va premesso che i prin
cipi regolatori in materia di intercettazioni telefoniche hanno
rango costituzionale e si rinvengono nell'art. 15 della legge fon
damentale che, da un lato, sancisce l'inviolabilità della libertà
e segretezza delle comunicazioni, dall'altro prevede eventuali li
mitazioni «per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le ga ranzie previste dalla legge». Nel precetto costituzionale trovano
dunque protezione due distinti interessi: quello inerente alla li
bertà e riservatezza delle comunicazioni, connaturale ai diritti
della personalità riconosciuti inviolabili dall'art. 2 Cost., e quello
connesso all'esigenza di prevenire e reprimere i reati, pure og
getto di protezione costituzionale. Nell'esaminare una questione di legittimità dell'art. 226, ultimo comma, del previgente codice
di rito la Corte costituzionale, con sentenza 4-6 aprile 1973,
n. 34 (Foro it., 1973, I, 953), ha tracciato le linee cui deve
rispondere, per conformarsi ai precetti della legge fondamenta
le, la normativa in materia di intercettazioni (insegnamento poi ribadito in altre successive pronunce). L'intercettazione deve at
tuarsi sotto il diretto controllo dell'autorità giudiziaria su auto
rizzazione motivata del giudice, tenuto a scrupoloso bilancia
mento fra i due interessi costituzionalmente protetti all'art. 15;
deve essere garantito il controllo sulla legittimità del provvedi
mento autorizzativo e vanno stabiliti i limiti dell'utilizzabilità
nel processo del materiale raccolto attraverso le intercettazioni,
onde assicurare che si proceda alle sole intercettazioni valida
mente autorizzate, nei limiti dell'autorizzazione e con modalità
tali da non consentire elusioni ed abusi. Il codice di rito del
1988 ha inteso uniformarsi a tali direttive, indicando determina te categorie di reati che, soli, consentono l'intercettazione (art.
266), comunque ammessa per un tempo limitato — sia origina
riamente, sia nell'ipotesi di proroga — su autorizzazione moti
vata o, in caso d'urgenza, su convalida del giudice, in presenza
di gravi indizi ed a condizione che tale mezzo di indagine sia
assolutamente indispensabile ai fini investigativi (art. 267; per
i delitti di criminalità organizzata la disposizione derogatoria
introdotta con l'art. 13 d.l. 13 maggio 1991 n. 152 richiede sol
tanto la presenza di sufficienti indizi e la necessità per lo svolgi
mento delle indagini). L'art. 271 vieta poi — per quanto qui
interessa — l'utilizzazione dei risultati di intercettazioni eseguite
fuori dei casi consentiti o senza l'osservanza delle disposizioni
di cui all'art. 267 e prescrive «in ogni stato e grado del proces
so» la distruzione della relativa documentazione, salvo che co
stituisca corpo di reato. Tale normativa (prevalente, in quanto
speciale, su quella del precedente art. 191) determina una inuti
lizzabilità rilevabile d'ufficio per tutto il corso del procedimen to, anche nella fase delle indagini preliminari e nei subprocedi
menti de liberiate — nei quali i provvedimenti autorizzativi de
vono quindi essere messi a disposizione del giudice e delle parti — non essendo concepibile un uso, anche parziale o limitato,
di un materiale di cui è addirittura prescritta la distruzione (Cass.,
Il Foro Italiano — 2000.
sez. un., 27 marzo 1996, Monteleone, id., 1996, II, 710; 20
novembre 1996, Glicora, id., Rep. 1997, voce Intercettazione
di conversazioni, n. 29). L'originaria e radicale estraneità al le
gittimo materiale probatorio dell'intercettazione svoltasi in vio
lazione dell'art. 267 c.p.p. dimostra l'impossibilità di una suc
cessiva sanatoria del vizio con effetto ex tunc, quale quella pro
spettata con il secondo motivo di ricorso (cfr. Cass., sez. II, 6 febbraio 1996, Filoni, id., Rep. 1996, voce cit., n. 11). Va tuttavia chiarito che — come del resto puntualmente osservato
dal ricorrente — per quanto riguarda la prescritta motivazione
del provvedimento autorizzativo né l'art. 15 Cost., né l'art. 267
cit., richiedono particolari requisiti, e tanto meno indicano un
contenuto vincolato come quello previsto dall'art. 292 c.p.p. in tema di ordinanza cautelare. Ne segue che potrà ritenersi
inosservante del disposto dell'art. 267, e determinare inutilizza
bilità, soltanto il decreto di autorizzazione, convalida o proroga in cui manchi del tutto, oppure sia meramente apparente o co
munque non percepibile, l'iter motivazionale con riferimento
a ciascuno dei singoli presupposti che legittimano l'intercetta
zione, mentre eventuali vizi dell'apparato argomentativo saran
no semmai apprezzabili come motivo di nullità (cfr., in tal sen
so, da ultimo, seppur succintamente, Cass., sez. un., 25 marzo
1998, Manno, id., Rep. 1998, voce cit., n. 47); nullità oltretutto
non ricadente nelle previsioni dell'art. 178 c.p.p. e, quindi, di
carattere relativo e rilevabile soltanto su eccezione di parte. Tanto premesso, deve concludersi che, in forza del carattere
di strumentalità proprio delle norme processuali e dell'assenza
di specifici vincoli imposti dal legislatore, i decreti autorizzativi
possano essere motivati in qualsiasi forma atta a dar conto del
l'avvenuta verifica dei presupposti di legittimità dell'intercetta
zione. Alla luce del principio ora enunciato va risolto il proble ma dell'ammissibilità di una motivazione per relationem, che
faccia riferimento alla richiesta del p.m. o alle informative della
polizia giudiziaria. Il collegio non ignora l'esistenza di un viva
ce contrasto giurisprudenziale in proposito; va peraltro osserva
to che spesso le decisioni con cui è stata censurata una motiva
zione per relationem sono state influenzate da particolarità del
la fattispecie, nel senso che non può ritenersi sufficiente una
mera presa d'atto della richiesta di autorizzazione, occorrendo
che risulti la puntuale valutazione del suo fondamento (cfr. Cass.,
sez. VI, 5 ottobre 1994, Celone, id., Rep. 1995, voce cit., n.
23). D'altra parte, ove all'esito dell'esame compiuto il giudice
ritenga esaurienti gli elementi esposti dal p.m. o dalla polizia
giudiziaria e non abbia altre considerazioni da aggiungere, ben
può succintamente esporre tale suo convincimento e rinviare per
il resto alla richiesta o all'informativa; la contraria opinione
si pone in palese contrasto con i principi regolatori del proces
so, perché o implica che al giudice sia precluso seguire lo stesso
schema argomentativo dell'organo richiedente, con ciò limitan
do fuori dei casi previsti dalla legge la sua libertà di convinci
mento, o si risolve nell'obbligo di rielaborare inutilmente con
sinonimi e diverse costruzioni sintattiche le argomentazioni con
divise, violando elementari criteri di economia e buon anda
mento della giurisdizione. La piena legittimità della motivazio
ne per relationem è ulteriormente confortata dal fatto che il
provvedimento è pronunciato fuori del contraddittorio, e quin di per necessità strettamente correlato alla richiesta ed agli atti
allegati (cfr., per analoghe considerazioni in tema di ordinanza
custodiale, Cass., sez. un., 26 febbraio 1991, Bruno, id., 1991,
II, 497). L'inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni non po
teva perciò essere affermata, com'è avvenuto nel caso di specie,
per il rinvio effettuato dal giudice — dopo aver dato atto della
positiva valutazione in ordine al titolo del reato, alle esigenze
investigative ed alle condizioni di ammissibilità — a informative di polizia giudiziaria, sempre che queste fossero state effettiva
mente prodotte, e non semplicemente presupposte, successiva
mente depositate nei termini presso il tribunale del riesame e
rese così accessibili alla difesa; tali informative, venendo a co
stituire parte integrante della motivazione, dovevano invece es
sere congiuntamente valutate, onde stabilire se nel corpo argo
mentativo risultante vi fossero o meno carenze produttive di
inutilizzabilità o nullità, secondo la distinzione più sopra deli
neata. Analoghe considerazioni valgono, a maggior ragione, per
le convalide di intercettazioni disposte d'urgenza dal p.m. —
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PARTE SECONDA
il quale è tenuto, a norma dell'art. 267, 2° comma, c.p.p., a
provvedere con decreto avente gli stessi requisiti di motivazione
di quello normalmente emesso dal giudice, sicché questi, ove
ritenga esauriente il provvedimento sottopostogli, ben può limi
tarsi ad esprimere la propria valutazione sulla situazione che
legittima l'iniziativa dell'organo d'accusa — e per le proroghe — ipotesi in cui la gravità indiziaria è già stata valutata, sicché, salvo fatti sopravvenuti, la motivazione investe essenzialmente
la persistenza delle esigenze investigative. L'ordinanza impugnata va perciò annullata, con rinvio allo
stesso tribunale che si atterrà al seguente principio di diritto:
i decreti autorizzativi, di convalida e di proroga delle intercetta
zioni, quando il giudice dia atto di avere valutato e condiviso
le argomentazioni sviluppate nelle richieste del p.m. o nelle no
te investigative provenienti dalla polizia giudiziaria, possono es
sere motivati con riferimento a tali atti, sempreché effettiva
mente e integralmente trasmessi all'organo decidente ed a quelli che in base alle risultanze delle conversazioni intercettate siano
chiamati ad emettere provvedimenti de libertate e resi accessibili
alla difesa in sede di riesame, nei termini e con le modalità
previsti al 5° e 8° comma dell'art. 309 c.p.p. Il controllo circa
la completezza e congruità della motivazione deve quindi inve
stire l'unico complesso argomentativo costituito dall'ordinanza
e dagli atti richiamati.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 16 aprile 1998; Pres. Sansone, Est. Milo, P.M. Cedrangolo (conci,
conf.); ric. Craxi, Civardi. Annulla App. Milano 5 giugno 1997.
Concorso di persone nel reato — Corruzione propria — Con
tratto di subappalto — Concorso nel reato del privato subap
paltatore — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 110,
319). Corruzione — Componente del consiglio di amministrazione di
società concessionaria di opera pubblica — Reato — Fatti
specie (Cod. pen., art. 319). Concorso di persone nel reato — Corruzione propria — Segre
tario di partito politico — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 110, 319).
Concorso di persone nel reato — Corruzione propria — Segre tario di partito politico — Mancato impedimento dei reati
commessi dai soggetti operanti nell'ambito del partito — Esclu
sione — Fattispecie (Cod. pen., art. 40, 110).
Non è ravvisabile il concorso nel reato di corruzione propria da parte dell'imprenditore che, nell'ambito di un rapporto
privatistico con altro imprenditore aggiudicatario di un ap
palto pubblico, stipuli con costui (il quale ha autonomamente
raggiunto un accordo corruttivo, in relazione ai lavori da ese
guire, con i pubblici ufficiali responsabili della stazione ap
paltante) un contratto di subappalto per l'esecuzione di parte delle opere e s'impegni a versare al subappaltante una percen tuale sull'importo dei lavori senza registrarla in contabilità;
ciò, perché la regolamentazione concordata del subappalto non
supera la soglia interna del rapporto privatistico e non va
ad integrarsi con la posizione del corrotto, a meno che non si provi, attraverso concreti elementi fattuali, che abbia inci so o sia andata concretamente ad inserirsi, rafforzandola o
integrandola, nell'attività corruttiva alla quale si è esposto in
prima persona il subappaltante. (1)
(1-2) Non si rinvengono precedenti editi nei medesimi termini. Nel ritenere possibile che la condotta corruttiva sia perpetrata dal
pubblico funzionario in via diretta ovvero tramite intermediari, la pro
li. Foro Italiano — 2000.
Risponde di corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio il componente del consiglio di amministrazione di una società
per azioni concessionaria di opera pubblica il quale, diretta
mente o per il tramite di intermediari, riceva compensi in de
naro dalle imprese appaltatrici in ragione della violazione del
le regole dei procedimenti di gara funzionali alla stipula degli
appalti. (2) L'intervento spiegato dal segretario di un partito politico in oc
casione della nomina del presidente del consiglio di ammini
strazione di una società concessionaria di opera pubblica, re
sosi in un secondo momento responsabile di corruzione pro
nuncia su riprodotta aderisce ad un orientamento consolidato che, più in particolare, reputa necessario che l'azione corruttrice non si arresti all'intermediario stesso, ma sia, quanto meno, «nota al pubblico uffi ciale competente ad emettere l'atto di mercimonio» (tra le tante, Cass. 1° febbraio 1993, Binasco, Foro it., Rep. 1994, voce Corruzione, n.
9; 23 febbraio 1988, Vattermoli, id., Rep. 1989, voce cit., n. 5; 27
novembre 1984, Accardi, id., Rep. 1986, voce cit., n. 6; 25 gennaio 1982, Albertini, id., Rep. 1984, voce cit., n. 6, e, per esteso, Cass.
pen., 1983, 1966, con nota di Ferraro; 26 gennaio 1982, Alvau, Foro
it., Rep. 1982, voce cit., n. 2, e Giust. pen., 1982, III, 551; 16 gennaio 1980, Cillo, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 10, e Arch, pen., 1982, 347; 25 luglio 1979, Berti, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 16, e Riv.
pen., 1980, 734). Da detto principio, discende logicamente l'esclusione della responsabilità — sancita dalla pronuncia in rassegna — dell'im
prenditore che abbia stipulato con un altro imprenditore «(il quale ha
autonomamente raggiunto un accordo corruttivo, in relazione ai lavori da eseguire, con i pubblici ufficiali responsabili della stazione appaltan te) un contratto di subappalto per l'esecuzione di parte delle opere e
s'impegni a versare al subappaltante una percentuale sull'importo dei
lavori», proprio perché detta pattuizione «non supera la soglia privati stica» ed è conseguentemente ignota al pubblico funzionario.
Sotto il profilo della valutazione penale della condotta di sovverti mento delle regole afferenti agli appalti pubblici posta in essere all'in terno di un sistema di illegalità diffusa, cfr., tra le altre, Cass. 25 mar zo 1994, Caputo, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 20; App. Milano 8 ottobre 1993, id., 1994, II, 226; Trib. Milano 28 novembre 1992, ibid., 227, con nota di richiami: in esse, non sempre i fatti concreti
sottoposti al vaglio dell'autorità giudicante sono stati ricondotti nel l'ambito della corruzione propria, potendo rinvenirsi l'affermazione se condo cui il vantaggio conseguito dal privato in esito al mancato rispet to delle regole di scelta dell'appaltatore è compatibile con Io stato di metus che caratterizza il delitto di concussione, «sempre che gli ulteriori
vantaggi non fossero stati anche parzialmente la causa anche non deter minante della elargizione» (App. Milano, cit.). La problematica è stata affrontata in dottrina, tra gli altri, da Forti, L'insostenibile pesantezza della «tangente ambientale»: inattualità di disciplina e disagi applicativi nel rapporto corruzione-concussione, in Riv. it. dir. eproc. pen., 1996, 476; inoltre, sullo svuotamento di significato della «pubblica gara per l'assegnazione del contratto» in relazione al fenomeno di «tangentopo li», v. Colombo, Stato di diritto e corruzione: i risultati delle indagini milanesi sui reati contro la pubblica amministrazione, in Cass. pen., 1994, 2256 ss.
La giurisprudenza di legittimità e di merito appare attestata nel rico noscere la qualifica di pubblico ufficiale al concessionario di opera pub blica o di pubblico servizio: cfr., tra le tante, Cass. 17 ottobre 1996, Imperatore, Foro it., Rep. 1998, voce Pubblico ufficiale, n. 30; 2 feb braio 1996, Bottù, id., Rep. 1997, voce cit., n. 11; 16 dicembre 1994, Seri, id., Rep. 1995, voce cit., n. 35; 17 giugno 1994, Mazzei, ibid., n. 20, e, per esteso, Dir. pen. e proc., 1995, 453, con nota di Cicala; App. Milano 18 febbraio 1994, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 17, e, per esteso, Riv. trim. dir. pen. economia, 1995, 384; Cass. 19 agosto 1993, Pancheri, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 17; 14 maggio 1991, Serra, id., 1993, II, 696; 22 febbraio 1990, Cavazzoni, id., Rep. 1991, voce cit., n. 16; 21 giugno 1989, Bertè, id., 1989, II, 581, con nota di Simone; 20 gennaio 1989, Di Pinto, id., Rep. 1991, voce cit., n.
9; 3 maggio 1989, Morelli, ibid., n. 17; 24 gennaio 1989, Culotta, id., Rep. 1990, voce cit., n. 31; 16 gennaio 1989, Magnante, id., Rep. 1989, voce cit., n. 21; App. Roma 23 novembre 1988, id., 1989, II, 581, con nota di Simone; Trib. Cagliari 7 marzo 1988, id., Rep. 1990, voce
cit., n. 20, e, per esteso, Riv. giur. sarda, 1989, 751, con nota di Mar
zuoli; Cass. 11 novembre 1986, Rosa, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 51, e Rass. dir. farmaceutico, 1988, 43; 23 novembre 1984, Belsito, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 11; 16 giugno 1981, Scavezzon, id., Rep. 1982, voce Malversazione, n. 2; 29 ottobre 1980, Fiorini, ibid., voce Pubblico ufficiale, n. 26; 19 maggio 1980, Gioncada, id., Rep. 1981, voce cit., n. 22, e Giust. pen., 1980, III, 674; Trib. Roma 19
aprile 1980, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 9, e Temi romana, 1980, 355.
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