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sezione I penale; sentenza 12 maggio 1999; Pres. Fazzioli, Est. Bardovagni, P.M. Siniscalchi (concl....

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Page 1: sezione I penale; sentenza 12 maggio 1999; Pres. Fazzioli, Est. Bardovagni, P.M. Siniscalchi (concl. conf.); ric. P.m. in c. Trentunzi. Annulla Trib. Bari, ord. 18 gennaio 1999

sezione I penale; sentenza 12 maggio 1999; Pres. Fazzioli, Est. Bardovagni, P.M. Siniscalchi(concl. conf.); ric. P.m. in c. Trentunzi. Annulla Trib. Bari, ord. 18 gennaio 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 1 (GENNAIO 2000), pp. 39/40-43/44Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195335 .

Accessed: 28/06/2014 11:08

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PARTE SECONDA

riconosciuti al predetto. Senza considerare che, come accenna

to, la concessione in uso degli impianti in questione si configura

giuridicamente quale contratto di comodato («comodato di sco

po» lo si definisce in sentenza), nei cui schemi è certamente

difficile collocare una figura di comodante, quale quella dise

gnata dal pretore, che anziché avere come controparte un co

modatario, debba calarsi nell'organizzazione del lavoro subor

dinato facente capo a quest'ultimo.

Argomentando siffattamente il giudicante salta a piè pari, va

nificandola, tutta la coerente e logica costruzione del decreto

626/94, che ha invece inteso individuare e graduare gli obblighi gravanti sui singoli destinatari delle norme, a seconda della loro

partecipazione e collocazione nell'ambito dell'attività lavorati

va, pretendendo così di addebitare qualsiasi violazione della nor

mativa speciale a tutti indiscriminatamente i destinatari di ob

blighi prevenzionali, a prescindere dalle loro singole responsa bilità.

Non si comprende, peraltro, perché la pretesa «traslazione»

degli obblighi del datore di lavoro colpirebbe soltanto i conce denti in uso degli impianti e non anche le altre figure indicate dall'art. 6 (progettisti, installatori, montatori, ecc.).

Ritiene, invece, il collegio che proprio la lettera e la ratio delle disposizioni normative in questione costituiscano un osta

colo insuperabile alla «traslazione» ad altri di obblighi e re

sponsabilità posti specificamente a carico di un ben individuato

«debitore di sicurezza», soprattutto quando, come nel caso di

specie, a quest'ultimo nulla si contesta. Diversa è infatti l'ipote si, lo si ripete, di ipotizzato concorso dell'extraneus col sogget to gravato dagli obblighi, che, senza trasferirsi con effetto libe ratorio al primo, a lui si estenderebbero in presenza di determi nate condizioni.

7. - In definitiva, quantunque il secondo subordinato al pri mo, entrambi i motivi di ricorso sopra esaminati, dai quali ogni altra doglianza rimane assorbita, meritano — ad avviso del col

legio — pieno accoglimento, per cui la decisione impugnata, viziata da erronea applicazione della legge penale sotto il dupli ce profilo suindicato, deve essere annullata senza rinvio, perché il fatto non costituisce reato, non potendosi comunque ipotizza re la contravvenzione rubricata a carico degli imputati.

8. - Alla luce delle considerazioni che precedono, il collegio ritiene pleonastico l'esame dello ius novum, costituito dalla no ta 1. 4 novembre 1997 n. 413 (ed anche dal d.m. ambiente 20

gennaio 1999 n. 76), che pure ha profondamente innovato la materia in questione, con diretti riflessi sulla sussistenza del reato ascritto agli imputati.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 12 mag gio 1999; Pres. Fazzioli, Est. Bardovagni, P.M. Siniscal chi (conci, conf.); ric. P.m. in c. Trentunzi. Annulla Trib.

Bari, ord. 18 gennaio 1999.

Intercettazione di conversazioni o comunicazioni — Decreto au

torizzativo, di convalida o di proroga delle intercettazioni —

Motivazione «per relationem» — Ammissibilità — Condizio ni (Cod. proc. pen., art. 267).

I decreti autorizzativi, di convalida e di proroga delle intercetta

zioni, quando il giudice dia atto di avere valutato e condiviso le argomentazioni sviluppate nelle richieste del pubblico mini stero o nelle note investigative provenienti dalla polizia giudi ziaria, possono essere motivati con riferimento a tali atti, sem

pre che effettivamente e integralmente trasmessi all'organo decidente ed a quelli che in base alle risultanze delle conversa zioni intercettate siano chiamati ad emettere provvedimenti

II Foro Italiano — 2000.

de libertate e resi accessibili alla difesa in sede di riesame, nei termini e con le modalità di cui all'art. 309, 5° e 8° com

ma, c.p.p. (1)

Con ordinanza in data 8 gennaio 1999 il Tribunale di Bari, in sede di riesame, annullava il provvedimento impositivo della

custodia in carcere emesso dal g.i.p. il 15 dicembre 1998 nei

confronti di Trentunzi Rocco, indagato per traffico di stupefa

(1) La pronuncia in epigrafe si innesta nell'ampio dibattito — non certo recente, e tuttavia ben lungi dall'esaurirsi — circa la legittimità della motivazione per relationem dei provvedimenti del giudice. A fron te di impostazioni assai rigorose emerse ormai da tempo in dottrina

(cfr., soprattutto, Amodio, Motivazione della sentenza penale, voce del

l'Enciclopedia del diritto, Milano, 1977, XXVII, 231 ss., nonché Sira

cusano, I provvedimenti penali e le motivazioni implicite, «per relatio nem» e sommarie, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1958, spec. 367 ss.), la giurisprudenza ha adottato indirizzi più possibilisti (sui quali cfr., di recente, Iacoviello, La motivazione della sentenza e il suo controllo in Cassazione, Milano, 1997, spec. 292 s.), pur se diversamente variega ti: secondo una tesi assai liberal il riferimento, contenuto in parte moti va, ad altro atto darebbe luogo ad una indiscriminata «incorporazio ne», nel primo atto, di dati, elementi e considerazioni proprie del se condo (in questi termini, Cass. 9 settembre 1993, Bisignani, Foro it., Rep. 1994, voce Misure cautelari personali, n. 331, con riguardo al

provvedimento de libertate motivato attraverso il rinvio alla richiesta del p.m.); si ha, tuttavia, per lo più cura di precisare che la motivazione

per relationem è legittima sempre che i fatti o i ragionamenti cui si faccia riferimento siano «conoscibili ovvero conosciuti dall'interessato in modo tale che questi sia in grado di controllarne, sia pur esaminando un provvedimento diverso per completare la lettura di quello che lo interessa, la congruenza, la logicità e quindi la legittimità» (Cass. 14

giugno 1993, Esposito, ibid., voce Sentenza penale, n. 23; in termini

sovrapponibili, cfr., tra le altre, altresì, Cass. 30 giugno 1993, Privite ra, ibid., n. 22; 6 dicembre 1993, Gigliuto, ibid., n. 24; 23 febbraio 1994, Orsino, ibid., voce Misure cautelari personali, n. 325). Con speci fico riguardo ai provvedimenti autorizzativi, di convalida o di proroga delle intercettazioni ex art. 267 c.p.p., chiarito anzitutto — in termini in verità assai formalistici — che la motivazione per relationem è tale solo allorché si sostanzi in un semplice rinvio «esterno» ad altri atti

(come la richiesta del p.m.) e non anche ove contenga la riproduzione, ancorché pedissequa, delle ragioni altrove indicate (Cass. 5 ottobre 1994, Celone, id., Rep. 1995, voce Intercettazione di conversazioni, n. 23), si è sottolineato, in linea di principio, che l'obbligo di motivazione pre teso dalla legge non può considerarsi adempiuto attraverso il semplice rinvio per relationem alla richiesta del p.m.; tuttavia — si è precisato — ove tale richiesta sia resa accessibile alla parte privata attraverso il deposito ex art. 268, 4° comma, c.p.p., è fatta salva la possibilità di controllo, da parte del sottoposto ad indagini, dell'/te/- argomentati vo percorso dal giudice (che risulterebbe, appunto, dalla combinazione del provvedimento richiamante e dell'atto richiamato) e, perciò, nessu na violazione del diritto di difesa potrebbe in concreto ipotizzarsi (in questi termini, ancora, Cass. 5 ottobre 1994, Celone, cit.), sempre che — è ovvio — l'atto «esterno» cui il provvedimento giurisdizionale si riferisce contenga in sé tutti gli elementi di un'idonea motivazione (Cass. 18 giugno 1999, Palella, Guida al dir., 1999, fase. 43, 80, con nota di Giordano, La motivazione del decreto del g.i.p. deve contenere gra vi indizi di reato). Più rigoroso appare l'indirizzo secondo cui non sod disfa il vincolo posto dall'art. 267 c.p.p. una motivazione che faccia riferimento alla richiesta del p.m., che è un atto di parte, o al rapporto della polizia giudiziaria, che non può sostituirsi alla valutazione del giu dice circa la sussistenza dei presupposti delle intercettazioni (in tal sen so, oltre a Cass. 6 febbraio 1996, Filoni, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 11, cfr. altresì Cass. 23 maggio 1997, Bormolini, id., Rep. 1998, voce cit., n. 12): la motivazione per relationem — si è, tuttavia, sog giunto — è «consentita nel solo caso in cui il giudice non si limiti ad un mero rinvio, ma richiami gli argomenti addotti dal p.m. in modo da far emergere che essi sono stati criticamente valutati e recepiti, sem pre che siano indicati espressamente gli elementi di fatto per i quali si fa ricorso all'atto di indagine in questione» (Cass. 6 febbraio 1996, Filoni, cit.).

La pronuncia in epigrafe ribadisce il meno impegnativo indirizzo se condo cui risiede nella possibilità di controllo, per la parte privata, de gli atti richiamati la legittimità della motivazione per relationem-, quan to, poi, agli indici attraverso i quali è possibile diagnosticare che il giu dice abbia criticamente valutato gli elementi «esterni», questi — che costituiscono, a ben vedere, il vero punctum pruriens della problemati ca — finiscono per rimanere in ombra, sul piano delle statuizioni di principio, confluendo, invece, nel non predefinibile limbo delle valuta zioni di fatto «caso per caso», controllabili (non di rado non senza difficoltà) solo sul piano della logicità «interna» del discorso giustifica tivo. [G. Di Chiara]

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GIURISPRUDENZA PENALE

centi e partecipazione ad associazione ad esso finalizzata; osser

vava che gli indizi di colpevolezza emergevano esclusivamente

da intercettazioni telefoniche (restando, se isolatamente consi

derati, privi di significato gli elementi meramente confermativi — quali le frequentazioni — emersi dalle indagini). Le risultan

ze delle intercettazioni dovevano peraltro ritenersi inutilizzabili

perché tutti i provvedimenti autorizzativi erano motivati con ge nerico riferimento ai titoli dei reati ed alle utilità del mezzo

di ricerca della prova ai fini delle indagini, rinviando per il re sto alle considerazioni contenute nelle informative della polizia

giudiziaria; i decreti di proroga contenevano la mera afferma

zione della permanenza delle condizioni legittimanti e quelli di

convalida delle operazioni disposte d'iniziativa dal p.m. si limi tavano a trattare le ragioni di urgenza; era così eluso l'obbligo

motivazionale sancito dall'art. 267 c.p.p. e sanzionato dal suc

cessivo art. 271.

Ha proposto ricorso per cassazione il p.m., denunciando er

ronea applicazione della normativa ora richiamata sotto duplice

profilo: il provvedimento autorizzativo, adottato nella forma

del decreto e senza contraddittorio, ben poteva avere una moti

vazione succinta, anche per relationem ad altri atti, purché alle

gati così da consentire il controllo dell 'iter logico seguito; in

ogni caso, esso ben poteva essere integrato dal giudice del riesa

me, anche in considerazione dell'utilità e della rilevanza dei ri

sultati conseguiti. Il primo motivo di ricorso è fondato. Va premesso che i prin

cipi regolatori in materia di intercettazioni telefoniche hanno

rango costituzionale e si rinvengono nell'art. 15 della legge fon

damentale che, da un lato, sancisce l'inviolabilità della libertà

e segretezza delle comunicazioni, dall'altro prevede eventuali li

mitazioni «per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le ga ranzie previste dalla legge». Nel precetto costituzionale trovano

dunque protezione due distinti interessi: quello inerente alla li

bertà e riservatezza delle comunicazioni, connaturale ai diritti

della personalità riconosciuti inviolabili dall'art. 2 Cost., e quello

connesso all'esigenza di prevenire e reprimere i reati, pure og

getto di protezione costituzionale. Nell'esaminare una questione di legittimità dell'art. 226, ultimo comma, del previgente codice

di rito la Corte costituzionale, con sentenza 4-6 aprile 1973,

n. 34 (Foro it., 1973, I, 953), ha tracciato le linee cui deve

rispondere, per conformarsi ai precetti della legge fondamenta

le, la normativa in materia di intercettazioni (insegnamento poi ribadito in altre successive pronunce). L'intercettazione deve at

tuarsi sotto il diretto controllo dell'autorità giudiziaria su auto

rizzazione motivata del giudice, tenuto a scrupoloso bilancia

mento fra i due interessi costituzionalmente protetti all'art. 15;

deve essere garantito il controllo sulla legittimità del provvedi

mento autorizzativo e vanno stabiliti i limiti dell'utilizzabilità

nel processo del materiale raccolto attraverso le intercettazioni,

onde assicurare che si proceda alle sole intercettazioni valida

mente autorizzate, nei limiti dell'autorizzazione e con modalità

tali da non consentire elusioni ed abusi. Il codice di rito del

1988 ha inteso uniformarsi a tali direttive, indicando determina te categorie di reati che, soli, consentono l'intercettazione (art.

266), comunque ammessa per un tempo limitato — sia origina

riamente, sia nell'ipotesi di proroga — su autorizzazione moti

vata o, in caso d'urgenza, su convalida del giudice, in presenza

di gravi indizi ed a condizione che tale mezzo di indagine sia

assolutamente indispensabile ai fini investigativi (art. 267; per

i delitti di criminalità organizzata la disposizione derogatoria

introdotta con l'art. 13 d.l. 13 maggio 1991 n. 152 richiede sol

tanto la presenza di sufficienti indizi e la necessità per lo svolgi

mento delle indagini). L'art. 271 vieta poi — per quanto qui

interessa — l'utilizzazione dei risultati di intercettazioni eseguite

fuori dei casi consentiti o senza l'osservanza delle disposizioni

di cui all'art. 267 e prescrive «in ogni stato e grado del proces

so» la distruzione della relativa documentazione, salvo che co

stituisca corpo di reato. Tale normativa (prevalente, in quanto

speciale, su quella del precedente art. 191) determina una inuti

lizzabilità rilevabile d'ufficio per tutto il corso del procedimen to, anche nella fase delle indagini preliminari e nei subprocedi

menti de liberiate — nei quali i provvedimenti autorizzativi de

vono quindi essere messi a disposizione del giudice e delle parti — non essendo concepibile un uso, anche parziale o limitato,

di un materiale di cui è addirittura prescritta la distruzione (Cass.,

Il Foro Italiano — 2000.

sez. un., 27 marzo 1996, Monteleone, id., 1996, II, 710; 20

novembre 1996, Glicora, id., Rep. 1997, voce Intercettazione

di conversazioni, n. 29). L'originaria e radicale estraneità al le

gittimo materiale probatorio dell'intercettazione svoltasi in vio

lazione dell'art. 267 c.p.p. dimostra l'impossibilità di una suc

cessiva sanatoria del vizio con effetto ex tunc, quale quella pro

spettata con il secondo motivo di ricorso (cfr. Cass., sez. II, 6 febbraio 1996, Filoni, id., Rep. 1996, voce cit., n. 11). Va tuttavia chiarito che — come del resto puntualmente osservato

dal ricorrente — per quanto riguarda la prescritta motivazione

del provvedimento autorizzativo né l'art. 15 Cost., né l'art. 267

cit., richiedono particolari requisiti, e tanto meno indicano un

contenuto vincolato come quello previsto dall'art. 292 c.p.p. in tema di ordinanza cautelare. Ne segue che potrà ritenersi

inosservante del disposto dell'art. 267, e determinare inutilizza

bilità, soltanto il decreto di autorizzazione, convalida o proroga in cui manchi del tutto, oppure sia meramente apparente o co

munque non percepibile, l'iter motivazionale con riferimento

a ciascuno dei singoli presupposti che legittimano l'intercetta

zione, mentre eventuali vizi dell'apparato argomentativo saran

no semmai apprezzabili come motivo di nullità (cfr., in tal sen

so, da ultimo, seppur succintamente, Cass., sez. un., 25 marzo

1998, Manno, id., Rep. 1998, voce cit., n. 47); nullità oltretutto

non ricadente nelle previsioni dell'art. 178 c.p.p. e, quindi, di

carattere relativo e rilevabile soltanto su eccezione di parte. Tanto premesso, deve concludersi che, in forza del carattere

di strumentalità proprio delle norme processuali e dell'assenza

di specifici vincoli imposti dal legislatore, i decreti autorizzativi

possano essere motivati in qualsiasi forma atta a dar conto del

l'avvenuta verifica dei presupposti di legittimità dell'intercetta

zione. Alla luce del principio ora enunciato va risolto il proble ma dell'ammissibilità di una motivazione per relationem, che

faccia riferimento alla richiesta del p.m. o alle informative della

polizia giudiziaria. Il collegio non ignora l'esistenza di un viva

ce contrasto giurisprudenziale in proposito; va peraltro osserva

to che spesso le decisioni con cui è stata censurata una motiva

zione per relationem sono state influenzate da particolarità del

la fattispecie, nel senso che non può ritenersi sufficiente una

mera presa d'atto della richiesta di autorizzazione, occorrendo

che risulti la puntuale valutazione del suo fondamento (cfr. Cass.,

sez. VI, 5 ottobre 1994, Celone, id., Rep. 1995, voce cit., n.

23). D'altra parte, ove all'esito dell'esame compiuto il giudice

ritenga esaurienti gli elementi esposti dal p.m. o dalla polizia

giudiziaria e non abbia altre considerazioni da aggiungere, ben

può succintamente esporre tale suo convincimento e rinviare per

il resto alla richiesta o all'informativa; la contraria opinione

si pone in palese contrasto con i principi regolatori del proces

so, perché o implica che al giudice sia precluso seguire lo stesso

schema argomentativo dell'organo richiedente, con ciò limitan

do fuori dei casi previsti dalla legge la sua libertà di convinci

mento, o si risolve nell'obbligo di rielaborare inutilmente con

sinonimi e diverse costruzioni sintattiche le argomentazioni con

divise, violando elementari criteri di economia e buon anda

mento della giurisdizione. La piena legittimità della motivazio

ne per relationem è ulteriormente confortata dal fatto che il

provvedimento è pronunciato fuori del contraddittorio, e quin di per necessità strettamente correlato alla richiesta ed agli atti

allegati (cfr., per analoghe considerazioni in tema di ordinanza

custodiale, Cass., sez. un., 26 febbraio 1991, Bruno, id., 1991,

II, 497). L'inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni non po

teva perciò essere affermata, com'è avvenuto nel caso di specie,

per il rinvio effettuato dal giudice — dopo aver dato atto della

positiva valutazione in ordine al titolo del reato, alle esigenze

investigative ed alle condizioni di ammissibilità — a informative di polizia giudiziaria, sempre che queste fossero state effettiva

mente prodotte, e non semplicemente presupposte, successiva

mente depositate nei termini presso il tribunale del riesame e

rese così accessibili alla difesa; tali informative, venendo a co

stituire parte integrante della motivazione, dovevano invece es

sere congiuntamente valutate, onde stabilire se nel corpo argo

mentativo risultante vi fossero o meno carenze produttive di

inutilizzabilità o nullità, secondo la distinzione più sopra deli

neata. Analoghe considerazioni valgono, a maggior ragione, per

le convalide di intercettazioni disposte d'urgenza dal p.m. —

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PARTE SECONDA

il quale è tenuto, a norma dell'art. 267, 2° comma, c.p.p., a

provvedere con decreto avente gli stessi requisiti di motivazione

di quello normalmente emesso dal giudice, sicché questi, ove

ritenga esauriente il provvedimento sottopostogli, ben può limi

tarsi ad esprimere la propria valutazione sulla situazione che

legittima l'iniziativa dell'organo d'accusa — e per le proroghe — ipotesi in cui la gravità indiziaria è già stata valutata, sicché, salvo fatti sopravvenuti, la motivazione investe essenzialmente

la persistenza delle esigenze investigative. L'ordinanza impugnata va perciò annullata, con rinvio allo

stesso tribunale che si atterrà al seguente principio di diritto:

i decreti autorizzativi, di convalida e di proroga delle intercetta

zioni, quando il giudice dia atto di avere valutato e condiviso

le argomentazioni sviluppate nelle richieste del p.m. o nelle no

te investigative provenienti dalla polizia giudiziaria, possono es

sere motivati con riferimento a tali atti, sempreché effettiva

mente e integralmente trasmessi all'organo decidente ed a quelli che in base alle risultanze delle conversazioni intercettate siano

chiamati ad emettere provvedimenti de libertate e resi accessibili

alla difesa in sede di riesame, nei termini e con le modalità

previsti al 5° e 8° comma dell'art. 309 c.p.p. Il controllo circa

la completezza e congruità della motivazione deve quindi inve

stire l'unico complesso argomentativo costituito dall'ordinanza

e dagli atti richiamati.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 16 aprile 1998; Pres. Sansone, Est. Milo, P.M. Cedrangolo (conci,

conf.); ric. Craxi, Civardi. Annulla App. Milano 5 giugno 1997.

Concorso di persone nel reato — Corruzione propria — Con

tratto di subappalto — Concorso nel reato del privato subap

paltatore — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 110,

319). Corruzione — Componente del consiglio di amministrazione di

società concessionaria di opera pubblica — Reato — Fatti

specie (Cod. pen., art. 319). Concorso di persone nel reato — Corruzione propria — Segre

tario di partito politico — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 110, 319).

Concorso di persone nel reato — Corruzione propria — Segre tario di partito politico — Mancato impedimento dei reati

commessi dai soggetti operanti nell'ambito del partito — Esclu

sione — Fattispecie (Cod. pen., art. 40, 110).

Non è ravvisabile il concorso nel reato di corruzione propria da parte dell'imprenditore che, nell'ambito di un rapporto

privatistico con altro imprenditore aggiudicatario di un ap

palto pubblico, stipuli con costui (il quale ha autonomamente

raggiunto un accordo corruttivo, in relazione ai lavori da ese

guire, con i pubblici ufficiali responsabili della stazione ap

paltante) un contratto di subappalto per l'esecuzione di parte delle opere e s'impegni a versare al subappaltante una percen tuale sull'importo dei lavori senza registrarla in contabilità;

ciò, perché la regolamentazione concordata del subappalto non

supera la soglia interna del rapporto privatistico e non va

ad integrarsi con la posizione del corrotto, a meno che non si provi, attraverso concreti elementi fattuali, che abbia inci so o sia andata concretamente ad inserirsi, rafforzandola o

integrandola, nell'attività corruttiva alla quale si è esposto in

prima persona il subappaltante. (1)

(1-2) Non si rinvengono precedenti editi nei medesimi termini. Nel ritenere possibile che la condotta corruttiva sia perpetrata dal

pubblico funzionario in via diretta ovvero tramite intermediari, la pro

li. Foro Italiano — 2000.

Risponde di corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio il componente del consiglio di amministrazione di una società

per azioni concessionaria di opera pubblica il quale, diretta

mente o per il tramite di intermediari, riceva compensi in de

naro dalle imprese appaltatrici in ragione della violazione del

le regole dei procedimenti di gara funzionali alla stipula degli

appalti. (2) L'intervento spiegato dal segretario di un partito politico in oc

casione della nomina del presidente del consiglio di ammini

strazione di una società concessionaria di opera pubblica, re

sosi in un secondo momento responsabile di corruzione pro

nuncia su riprodotta aderisce ad un orientamento consolidato che, più in particolare, reputa necessario che l'azione corruttrice non si arresti all'intermediario stesso, ma sia, quanto meno, «nota al pubblico uffi ciale competente ad emettere l'atto di mercimonio» (tra le tante, Cass. 1° febbraio 1993, Binasco, Foro it., Rep. 1994, voce Corruzione, n.

9; 23 febbraio 1988, Vattermoli, id., Rep. 1989, voce cit., n. 5; 27

novembre 1984, Accardi, id., Rep. 1986, voce cit., n. 6; 25 gennaio 1982, Albertini, id., Rep. 1984, voce cit., n. 6, e, per esteso, Cass.

pen., 1983, 1966, con nota di Ferraro; 26 gennaio 1982, Alvau, Foro

it., Rep. 1982, voce cit., n. 2, e Giust. pen., 1982, III, 551; 16 gennaio 1980, Cillo, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 10, e Arch, pen., 1982, 347; 25 luglio 1979, Berti, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 16, e Riv.

pen., 1980, 734). Da detto principio, discende logicamente l'esclusione della responsabilità — sancita dalla pronuncia in rassegna — dell'im

prenditore che abbia stipulato con un altro imprenditore «(il quale ha

autonomamente raggiunto un accordo corruttivo, in relazione ai lavori da eseguire, con i pubblici ufficiali responsabili della stazione appaltan te) un contratto di subappalto per l'esecuzione di parte delle opere e

s'impegni a versare al subappaltante una percentuale sull'importo dei

lavori», proprio perché detta pattuizione «non supera la soglia privati stica» ed è conseguentemente ignota al pubblico funzionario.

Sotto il profilo della valutazione penale della condotta di sovverti mento delle regole afferenti agli appalti pubblici posta in essere all'in terno di un sistema di illegalità diffusa, cfr., tra le altre, Cass. 25 mar zo 1994, Caputo, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 20; App. Milano 8 ottobre 1993, id., 1994, II, 226; Trib. Milano 28 novembre 1992, ibid., 227, con nota di richiami: in esse, non sempre i fatti concreti

sottoposti al vaglio dell'autorità giudicante sono stati ricondotti nel l'ambito della corruzione propria, potendo rinvenirsi l'affermazione se condo cui il vantaggio conseguito dal privato in esito al mancato rispet to delle regole di scelta dell'appaltatore è compatibile con Io stato di metus che caratterizza il delitto di concussione, «sempre che gli ulteriori

vantaggi non fossero stati anche parzialmente la causa anche non deter minante della elargizione» (App. Milano, cit.). La problematica è stata affrontata in dottrina, tra gli altri, da Forti, L'insostenibile pesantezza della «tangente ambientale»: inattualità di disciplina e disagi applicativi nel rapporto corruzione-concussione, in Riv. it. dir. eproc. pen., 1996, 476; inoltre, sullo svuotamento di significato della «pubblica gara per l'assegnazione del contratto» in relazione al fenomeno di «tangentopo li», v. Colombo, Stato di diritto e corruzione: i risultati delle indagini milanesi sui reati contro la pubblica amministrazione, in Cass. pen., 1994, 2256 ss.

La giurisprudenza di legittimità e di merito appare attestata nel rico noscere la qualifica di pubblico ufficiale al concessionario di opera pub blica o di pubblico servizio: cfr., tra le tante, Cass. 17 ottobre 1996, Imperatore, Foro it., Rep. 1998, voce Pubblico ufficiale, n. 30; 2 feb braio 1996, Bottù, id., Rep. 1997, voce cit., n. 11; 16 dicembre 1994, Seri, id., Rep. 1995, voce cit., n. 35; 17 giugno 1994, Mazzei, ibid., n. 20, e, per esteso, Dir. pen. e proc., 1995, 453, con nota di Cicala; App. Milano 18 febbraio 1994, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 17, e, per esteso, Riv. trim. dir. pen. economia, 1995, 384; Cass. 19 agosto 1993, Pancheri, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 17; 14 maggio 1991, Serra, id., 1993, II, 696; 22 febbraio 1990, Cavazzoni, id., Rep. 1991, voce cit., n. 16; 21 giugno 1989, Bertè, id., 1989, II, 581, con nota di Simone; 20 gennaio 1989, Di Pinto, id., Rep. 1991, voce cit., n.

9; 3 maggio 1989, Morelli, ibid., n. 17; 24 gennaio 1989, Culotta, id., Rep. 1990, voce cit., n. 31; 16 gennaio 1989, Magnante, id., Rep. 1989, voce cit., n. 21; App. Roma 23 novembre 1988, id., 1989, II, 581, con nota di Simone; Trib. Cagliari 7 marzo 1988, id., Rep. 1990, voce

cit., n. 20, e, per esteso, Riv. giur. sarda, 1989, 751, con nota di Mar

zuoli; Cass. 11 novembre 1986, Rosa, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 51, e Rass. dir. farmaceutico, 1988, 43; 23 novembre 1984, Belsito, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 11; 16 giugno 1981, Scavezzon, id., Rep. 1982, voce Malversazione, n. 2; 29 ottobre 1980, Fiorini, ibid., voce Pubblico ufficiale, n. 26; 19 maggio 1980, Gioncada, id., Rep. 1981, voce cit., n. 22, e Giust. pen., 1980, III, 674; Trib. Roma 19

aprile 1980, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 9, e Temi romana, 1980, 355.

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