sezione I penale; sentenza 14 ottobre 2004; Pres. Fabbri, Est. Piraccini, P.M. Veneziano (concl.diff.); ric. Arcara. Conflitto di competenzaSource: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 3 (MARZO 2005), pp. 151/152-153/154Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200251 .
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PARTE SECONDA
che l'attività di fornitura o somministrazione abusiva di mano
dopera, già prevista come reato dalla 1. n. 1369 del 1960, conti
nua ad essere penalmente rilevante, sia pure con alcune precisa zioni, anche in base al decreto legislativo cit. per cui alla fatti
specie è applicabile il 3° comma dell'art. 2 c.p. e non il 2°
comma.
La riprova si trae dall'intervento correttivo recentemente at
tuato dal legislatore con il d.leg. n. 251 del 6 ottobre 2004, con
cui tra l'altro si sono inasprite notevolmente le sanzioni già pre viste dall'art. 18 e si è inserito in tale articolo un nuovo comma
(il 5 bis) in forza del quale «nei casi di appalto privi dei requisiti di cui all'art. 29, 1° comma, e di distacco privo dei requisiti di cui all'art. 30, 1° comma, l'utilizzatore ed il somministratore
sono puniti con la pena dell'ammenda ...». Siffatta norma non
ha carattere innovativo ma interpretativo, giacché alla conclu
sione alla quale è giunto il legislatore si poteva pervenire in via
interpretativa anche in base al vecchio testo dell'art. 18. Invero, come già detto, la prestazione di fornitura di manodopera da
parte di un soggetto che non organizza il lavoro e non assume il
rischio d'impresa non è appalto, ma somministrazione, che di
venta illecita penalmente se attuata da soggetti non autorizzati.
Il nuovo testo dell'art. 5 ha reso esplicito ciò che prima era im
plicito. Nella fattispecie, anche se nella contestazione si parla impro
priamente di appalto, si è trattato di una mera fornitura di pre stazione lavorativa perché, come risulta dalla stessa sentenza, i
soci della cooperativa forniti per prestazioni di pulizia lavora
vano alle macchine insieme con gli operai assunti direttamente
dall'utilizzatore ed osservavano i turni e gli orari imposti dal
committente il quale in definitiva organizzava e dirigeva anche
il loro lavoro.
Per le considerazioni sopra esposte, questa corte non ritiene di
poter confermare la sentenza impugnata.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 14 ot
tobre 2004; Pres. Fabbri, Est. Piraccini, P.M. Veneziano
(conci, diff.); ric. Arcara. Conflitto di competenza.
Ordinamento penitenziario — Detenuti lavoratori — Attivi
tà prestata all'esterno del carcere — Qualificazione del
rapporto — Controversia — Competenza — Magistrato
di sorveglianza (L. 26 luglio 1975 n. 354, norme sull'ordi namento penitenziario e sulla esecuzione delle misure priva tive e limitative della libertà, art. 69; 1. 10 ottobre 1986 n.
663, modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della li
bertà, art. 21).
Il reclamo in ordine alla qualificazione del rapporto di lavoro
fra il lavoratore detenuto e la ditta esterna all'organizzazione
penitenziaria va proposto, ai sensi dell'art. 69 l. n. 354 del
1975, al magistrato di sorveglianza (e non al giudice del la
voro), a nulla rilevando che nella specie si tratti di un lavoro
svolto all'esterno della struttura penitenziaria, atteso che la
controparte del detenuto è in ogni caso l'amministrazione
penitenziaria (e non il datore di lavoro quale terzo «estra
neo»), rappresentando l'attività lavorativa una specifica mo
dalità di esecuzione della pena. (1)
(1) La sentenza con la quale la prima sezione penale della Suprema corte attribuisce al magistrato di sorveglianza la competenza a statuire sul nomen iuris del rapporto di lavoro intercorrente fra il detenuto e la ditta «esterna» presso la quale quest'ultimo svolge attività lavorativa, si allinea — come sottolineato nella motivazione della pronunzia — al «costante orientamento espresso in materia dalle sezioni unite civili» della Cassazione (Cass. 26 gennaio 2001, n. 26/SU, Foro it., 2001, I,
Il Foro Italiano — 2005.
Fatto e diritto. — Arcara Francesco presentava al giudice del
lavoro di Lecco un ricorso per vedersi riconosciuta l'esistenza
di un rapporto di lavoro subordinato nell'attività che aveva pre stato come detenuto presso la cooperativa operaia Acquate.
Il giudice del lavoro aveva declinato la propria competenza, citando una costante e copiosa giurisprudenza della Suprema corte che aveva costantemente affermato, a sezioni unite civili
(sez. un. 14 dicembre 1999, n. 899/SU, Foro it., 2000, I, 434, e 26 gennaio 2001, n. 26/SU, id., 2001, I, 2890), la competenza funzionale del magistrato di sorveglianza per dettato legislativo. Si era affermato che dopo le modifiche legislative introdotte con
la 1. 10 ottobre 1986 n. 663, che avevano previsto la giuris dizionalizzazione del procedimento davanti al magistrato di
sorveglianza per determinate materie, quali quella relativa alle
controversie di lavoro, la competenza funzionale, quando uno
dei due contraenti era detenuto, spettava solo alla magistratura di sorveglianza perché il lavoro era una forma di esecuzione
della pena e quindi doveva essere sottratta alla competenza del
giudice civile. L'art. 69 ord. penit. ha infatti previsto la competenza del ma
gistrato di sorveglianza per i reclami in materia di attribuzione
della qualifica lavorativa, di mercede e di remunerazione. Le
sezioni unite civili avevano poi chiaramente affermato che tale
competenza funzionale operava sia che il lavoro del detenuto
venisse svolto all'interno del carcere o alle dipendenze del
l'amministrazione sia che venisse svolto all'esterno e che le dif
ferenze procedurali che potevano ravvisarsi tra il rito davanti al
giudice del lavoro e quello davanti al magistrato di sorveglianza erano dovute alla differenza sostanziale delle condizioni in cui
veniva prestata l'attività lavorativa da parte di un detenuto.
Il detenuto aveva quindi presentato un reclamo ai sensi del
l'art. 69 ord. penit. al magistrato di sorveglianza di Varese il
quale però aveva ritenuto di sollevare conflitto di competenza
negativa, sostenendo che nel caso in questione non è ravvisabile
la competenza del magistrato di sorveglianza perché la questio ne sottoposta all'esame non coinvolge i rapporti tra il detenuto e
l'amministrazione penitenziaria ma un terzo estraneo e che la
sua competenza sussiste solo per i rapporti di lavoro tra il dete
nuto e l'amministrazione e non anche per quelli tra il detenuto e
terzi.
Infatti rilevava che nella procedura disciplinata dall'art. 14
ter ord. penit. non era previsto l'intervento di soggetti estranei e
quindi egli non poteva citare la cooperativa che aveva assunto il
detenuto né tanto meno pronunciarsi sulla natura del rapporto di
lavoro instaurato. Riteneva che le sezioni unite civili si erano
pronunciate impropriamente anche su questo genere di rapporti di lavoro perché i casi sottoposti al loro esame erano sempre stati relativi a rapporti di lavoro interni all'amministrazione.
Va preliminarmente dichiarata l'ammissibilità del conflitto in
rito, perché dal rifiuto, formalmente manifestato, di due giudici a conoscere dello stesso procedimento è derivata una situazione
di stasi processuale che è irrisolvibile senza l'intervento di que sta Suprema corte.
Ritiene la corte di non doversi discostare dal costante orien
tamento espresso in materia dalle sezioni unite civili, con le
sentenze sopra richiamate. Il legislatore infatti ha operato una
scelta di competenza funzionale, ritenendo che tutto ciò che
2890, con nota di richiami, da ultimo confermata da Cass. 23 aprile 2004, n. 7711, id., 2004, I, 3102; contra, App. Roma 24 giugno 2004,
ibid.). Secondo la corte, infatti, la competenza funzionale del magi strato di sorveglianza (in luogo del giudice del lavoro) sulle controver sie riguardanti «l'attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazione nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di la voro e le assicurazioni sociali» (ex art. 69 1. n. 354 del 1975, come mo dificato dall'art. 21 1. n. 663 del 1986), si estende anche ai rapporti fra i detenuti e le imprese «esterne», non rilevando in senso differente l'esi stenza di un rapporto con un soggetto «terzo» rispetto all'amministra zione penitenziaria. A dimostrazione dell'assunto, la Suprema corte ri leva come «nel caso in questione era stata l'amministrazione peniten ziaria a stabilire con il datore di lavoro esterno che il lavoro sarebbe stato prestato dal detenuto con pagamento a seguito di presentazione di fattura nelle forme del contratto di prestazione d'opera e pertanto è solo l'amministrazione che deve essere chiamata in causa nel contenzioso instaurato dal detenuto».
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GIURISPRUDENZA PENALE
ruota attorno al rapporto di lavoro instaurato da un detenuto, in
dipendentemente dal fatto che venga coinvolto o meno un sog getto estraneo, ruoti attorno all'amministrazione penitenziaria, che ha il compito di controllare e regolamentare tale rapporto, per la ragione fondamentale che il lavoro del detenuto è stretta mente connesso alla pena e istituzionalmente sottoposto alla
sorveglianza del giudice penale. Il magistrato di sorveglianza ha
posto a base del suo provvedimento di negazione della compe tenza una distinzione che il legislatore non ha fatto tra lavoro
prestato alle dipendenze dell'amministrazione e lavoro prestato presso estranei, ricavandolo dall'impossibilità di far partecipare al procedimento il datore di lavoro terzo estraneo, dimenticando che nel caso di lavoro all'esterno la controparte per il detenuto è
sempre l'amministrazione, non potendo egli essere parte con
traente in autonomia con un estraneo e dovendo sempre passare attraverso l'amministrazione penitenziaria proprio perché il suo
lavoro è una modalità di esecuzione della pena. Infatti nel caso in questione era stata l'amministrazione penitenziaria a stabilire con il datore di lavoro esterno che il lavoro sarebbe stato pre stato dal detenuto con pagamento a seguito di presentazione di
fattura nelle forme del contratto di prestazione d'opera e per tanto è solo l'amministrazione che deve essere chiamata in cau sa nel contenzioso instaurato dal detenuto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 12 ot
tobre 2004; Pres. Santacroce, Est. Canzio, P.M. Cesqui
(conci, diff.); P.m. in c. Antonini e altri. Dichiara inammissi bile ricorso avverso Trib. Terni, ord. 6 aprile 2004.
Impugnazioni penali in genere — Provvedimento abnorme
— Ricorso per cassazione — Termini (Cod. proc. pen., art.
585). Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — In
compatibilità del giudice — Dichiarazione di astensione — Omissione — Trasmissione diretta degli atti ad altro giu dice del medesimo ufficio — Abnormità —
Conseguenze —
Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 36).
Neil 'ipotesi di asserita abnormità del provvedimento oggetto di
impugnativa, il ricorso per cassazione è comunque soggetto alle forme e ai termini ordinari. (1)
E abnorme il provvedimento con cui il giudice dell'udienza
preliminare, rilevando di trovarsi in situazione di incompati bilità e tuttavia omettendo di formulare la prescritta dichia
razione di astensione, si sia spogliato del procedimento di cui
era stato ritualmente investito e abbia di propria iniziativa direttamente trasmesso gli atti ad altro giudice del medesimo
ufficio (nella specie, la corte ha escluso che fosse abnorme la
declaratoria, da parte del giudice del dibattimento, della nul
lità non solo del decreto che dispone il giudizio ma dell'inte
ra udienza preliminare, declaratoria che aveva comportato la
regressione del processo mediante l'obbligo di rinnovazione della fase). (2)
(1-2) In senso conforme alla prima massima, cfr., oltre a Cass., sez.
un., 9 luglio 1997, Quarantelli, Foro it., Rep. 1997, voce Impugnazioni penali, n. 23, cit. in motivazione, altresì Cass. 18 novembre 1996, Buc
cheri, ibid., n. 26; 3 dicembre 1996, Pavan, ibid., n. 25; 24 aprile 1997, Di Giorgio, ibid., n. 24. Contra, cfr., invece, Cass. 25 febbraio 2003, Sicali, id., Rep. 2003, voce cit., n. 12, secondo cui l'atto abnorme è im
pugnabile con ricorso per cassazione indipendentemente dall'osservan za dei relativi termini.
Per una messa a fuoco della ratio della categoria dell'abnormità, cfr.,
Il Foro Italiano — 2005.
Osserx'a in fatto e in diritto. — 1. - Con decreto in data 21
febbraio 2000 il g.u.p. del Tribunale di Terni, dato atto della
propria incompatibilità a celebrare l'udienza preliminare del
procedimento a carico di Antonini Giancarlo + 39, imputati del reato di bancarotta fallimentare ed altro, per avere, in qualità di
g.i.p., precedentemente provveduto sulle richieste di proroga dei termini delle indagini, «rileva la propria incompatibilità a tratta re il presente procedimento», statuendo altresì che «esso verrà
trattato dal g.u.p. supplente, dott. Claudia Matteini, alla quale trasmette gli atti».
Con ordinanza dibattimentale del 6 aprile 2004 il Tribunale di
Terni, cui il processo era pervenuto a seguito di rinvio a giudi zio degli imputati, dichiarava la nullità dell'intera udienza pre liminare e ordinava la restituzione degli atti al g.u.p. per la rin
novazione della stessa, sul duplice rilievo, da un lato, che non
era stata seguita la rituale procedura di astensione da parte del
giudice incompatibile, sì che la diretta trasmissione degli atti del
procedimento ad altro giudice costituiva un provvedimento ab
norme, e dall'altro che, essendosi succeduti diversi giudici nel
l'espletamento dell'incidente probatorio nel corso dell'udienza
preliminare, era configurabile la violazione del principio di im
mutabilità del giudice di cui all'art. 525 c.p.p. Il g.u.p. del Tribunale di Terni, a sua volta, rilevava con ordi
nanza del 20 aprile 2004 il conflitto di competenza, denunzian
do l'abnormità dell'indebita regressione del procedimento alla
fase dell'udienza preliminare, poiché l'inosservanza della pro cedura di astensione e di sostituzione del giudice incompatibile, inerendo a profili meramente organizzatori dell'ufficio, non da
va luogo ad alcuna nullità per incapacità del giudice, e d'altra
parte il principio di immutabilità del giudice non riguardava l'udienza preliminare.
Avverso la citata ordinanza 6 aprile 2004 del Tribunale di
Terni proponeva altresì distinto ricorso per cassazione, con atto
depositato il 30 aprile 2004, il p.m. presso quel tribunale, de
nunziandone l'abnormità e addirittura l'inesistenza giuridica,
per i profili di indebita regressione del processo all'udienza
preliminare e di inoperatività in tale fase dell'art. 525 c.p.p. Hanno depositato plurime e significative memorie difensive
gli avv. M.L. Carestia, A. Gaito, G. Cerquetti, E. Festa e M.
Morcella, i quali hanno diffusamente argomentato nel senso
dell'inammissibilità del ricorso per cassazione del p.m., da un
lato, e della incensurabilità dell'ordinanza dibattimentale del
tribunale, dall'altro, a fronte della nullità dell'udienza prelimi nare, illegittimamente incardinata e proseguita in violazione
delle disposizioni processuali in materia di incompatibilità e di immutabilità del giudice.
Prima della discussione, nell'odierna udienza camerale parte
cipata, è stata disposta la riunione dei due procedimenti. 2. - Osserva innanzitutto il collegio che l'abnormità è consi
derata dall'ormai consolidata giurisprudenza di legittimità come
motivo di deroga al principio di tassatività delle impugnazioni, ma non come ragione che dispensi il ricorrente dall'osservanza
delle forme e dei termini ordinari prescritti per l'ammissibilità
del ricorso per cassazione. La portata assoluta e generale della
disciplina dei termini perentori anche per l'impugnazione dei
provvedimenti abnormi, funzionale all'esigenza di certezza e di
tra le altre, Cass. 15 luglio 1996, Dinacci, id., Rep. 1997, voce cit., n.
28; per la nozione di atto abnorme, cfr., ex plurimis, Cass. 9 luglio 1996, Cammarata, ibid., n. 29. Per la distinzione tra profilo strutturale dell'abnormità (che si integra allorché l'atto, per la sua singolarità, si
ponga al di fuori del sistema organico processuale penale) e profilo funzionale (che si verifica allorché l'atto, pur non estraneo al sistema
normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di prose guirlo), cfr., tra le altre, Cass., sez. un., 10 dicembre 1997, Di Battista, id., 1999, II, 121, con nota di richiami, nonché Cass. 22 marzo 2000, Amato, id.. Rep. 2002, voce Indagini preliminari, n. 18; 5 giugno 2003,
Biagia, id., Rep. 2003, voce cit., n. 51. Nell'ambito della composita galleria delle fattispecie di acclarata ab
normità registratesi nella più recente esperienza, cfr., tra le altre, Cass. 23 novembre 2000, Tripodi, id., Rep. 2002, voce Impugnazioni penali, n. 28; 11 gennaio 2001, Licata, id.. Rep. 2001, voce cit., n. 10; 14 feb braio 2001, Zekri, ibid., n. 9; 22 febbraio 2001, Ligato, ibid., n. 8; 19
aprile 2002, Bertuzzi, id., Rep. 2002, voce cit., n. 26; 26 settembre
2002, D'Orio, id.. Rep. 2003, voce cit., n. 13.
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