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sezione I penale; sentenza 15 giugno 2006; Pres. Fazzioli, Est. Pepino, P.M. Iacoviello (concl.conf.); ric. Tartag. Conferma Trib. Salerno, ord. 16 gennaio 2006Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 12 (DICEMBRE 2006), pp. 647/648-653/654Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201827 .
Accessed: 28/06/2014 12:12
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PARTE SECONDA
Il principio che i giudici, in sede di riesame o di appello, de
vono avere come referente solo gli elementi probatori offerti
dall'organo dell'accusa, da considerarsi così come esposti, non
esclude una valutazione dei documenti la cui traduzione è solo il
momento prodromico al loro esame.
Ugualmente non condivisibile è l'affermazione dei giudici secondo i quali era loro impedita la visione dei filmati degli eventi calcistici perché costituente un'attività istruttoria inam
missibile in un procedimento cartolare.
La conclusione non tiene conto della nozione di documento
fornita dall'art. 234, 1° comma, c.p.p. che, in relazione al dif
fondersi della tecnologia, è solo in parte sovrapponibile con
quella del diritto sostanziale. Essa comprende, oltre ai tradizio
nali documenti in senso stretto caratterizzati dalla scrittura, i
documenti in senso lato intesi come oggetti rappresentativi di un
fatto ed aventi l'attitudine a costituire il fondamento sia di una
prova storica sia di una prova critica; tra le cose preesistenti al
processo e considerate prove documentali acquisibili, l'art. 234.
1° comma, c.p.p. annovera le riprese cinematografiche. La diretta visione delle partite calcistiche (altro elemento in
dispensabile per la valutazione della tesi accusatoria) avrebbe
consentito di verificare, o di squalificare, la prospettazione del
p.m. secondo il quale le stesse costituivano, per le scelte tecni
che degli operatori, un'elaborazione creativa da considerarsi
opera di ingegno. Sull'argomento, le deduzioni del ricorrente
sono in astratto condivisibili ed i giudici del rinvio controlleran
no se sono di attualità nell'ipotesi concreta e verificheranno se,
qualora le trasmissioni non fossero da qualificare come opere di
ingegno, possa trovare applicazione l'ipotesi di reato di cui al
l'art. 171, lett. f), 1. 633/41. nell'interpretazione estensiva for
nita dalla giurisprudenza, che tutela i programmi coperti dal di
ritto di esclusiva indipendentemente dalla loro qualificazione come opere d'ingegno.
Una tale mutatio libelli è consentita al tribunale che, ai limi
tati fini del procedimento cautelare, può dare al materiale inve
stigativo raccolto dal p.m. autonome valutazioni in diritto.
11 problema ora da affrontare concerne il perfezionamento della contestata fattispecie di reato sotto il profilo dell'abusiva
«immissione» nella rete Internet; come correttamente eviden
ziato dai giudici di merito, «fra più condotte generiche suscetti
bili d'integrare la messa a disposizione di una serie indetermi
nata di soggetti, il legislatore ha inteso sanzionare penalmente soltanto la condotta specifica di immissione nella rete Internet
dell'opera protetta». Ora è pacifico, in punto di fatto, che gli indagati avevano
messo a disposizione degli utenti le informazioni ed i mezzi
tecnici attraverso i quali era possibile installare sul proprio per sonal computer tutto il software necessario alla visione delle
partite di calcio sulle quali la Sky vantava un diritto di esclusi
va; tale condotta è stata ritenuta dai giudici come posteriore al
l'immissione in rete delle opere protette e, di conseguenza, inse
rendosi in un momento successivo al perfezionamento del reato,
è stata considerata irrilevante ai fini penali. Tale conclusione merita un approfondimento. È innegabile che gli attuali indagati hanno agevolato, attra
verso un sistema di guida on line, la connessione e facilitato la
sincronizzazione con l'evento sportivo; senza l'attività degli in
dagati, non ci sarebbe stata, o si sarebbe verificata in misura
minore. la diffusione delle opere tutelate.
Le informazioni sul link e sulle modalità per la visione delle
partite in Italia, per raggiungere il loro obiettivo, devono essere
state inoltrate agli utenti in epoca antecedente all'immissione
delle trasmissioni in via telematica; tale rilievo, se puntuale in
fatto, comporta come conseguenza che, in base alle generali norme sul concorso nel reato, gli indagati, pur non avendo com
piuto l'azione tipica, hanno posto in essere una condotta consa
pevole avente efficienza causale sulla lesione del bene tutelato.
E appena il caso di ricordare come l'attività costitutiva del
concorso può essere individuata in qualsiasi comportamento che
fornisca un apprezzabile contributo all'ideazione, organizzazio ne ed esecuzione del reato; non è necessario un previo accordo
diretto alla causazione dell'evento, ben potendo il concorso
esplicarsi in una condotta estemporanea, sopravvenuta a soste
gno dell'azione di terzi anche all'insaputa degli altri agenti. Per le esposte considerazioni, la corte annulla l'ordinanza
impugnata con rinvio al Tribunale di Milano, per una nuova de
cisione sull'appello del p.m.
It Ko.-jo Italiano — 2006.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 15 giu
gno 2006; Pres. Fazzioli, Est. Pepino, P.M. Iacoviello
(conci, conf.); ric. Tartag. Conferma Trib. Salerno, orci 16
gennaio 2006.
Misure cautelari personali — Associazione con finalità di
terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine
democratico — Adesione ideologica — Insufficienza —
Progetto eversivo — Organizzazione — Necessità (Cod.
pen., art. 270 bis; cod. proc. pen., art. 273). Misure cautelari personali
— Associazione con finalità di
terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine
democratico — Indizi di colpevolezza — Elenchi di orga
nizzazioni delle Nazioni unite e dell'Unione europea —
Insufficienza (Cod. pen., art. 270 bis: cod. proc. pen., art.
273). Personalità dello Stato (delitti contro la) — Associazione con
finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione
dell'ordine democratico — Partecipazione — Prova (Cod.
pen., art. 270 bis).
Ai fini dell'adozione di lina misura cautelare per il delitto di cui
all'art. 270 bis c.p., da considerarsi reato di pericolo pre sunto, non è sufficiente l'adesione a un'astratta ideologia, ma occorre la predisposizione di un concreto progetto di
azioni eversive, ancorché non realizzate, sorretto da una
struttura organizzata, con un programma comune tra i parte
cipanti. (1) Ai fini dell'adozione di una misura cautelare per il delitto di
cui all'art. 270 bis c.p., non possono desumersi elementi in
diziari della natura terroristica di un'organizzazione dalla
sua inclusione in elenchi di formazioni ritenute terroristi
che, elaborati da governi di singoli Stati o da organismi in
temazionali. (2) La prova della partecipazione al reato associativo di cui al
l'art. 270 bis c.p. non può essere tratta dalla adesione psico
logica o ideologica al programma criminale del gruppo, es
sendo necessario il concreto passaggio all'azione, sotto for ma di attività preparatorie rispetto all'esecuzione dei reati o
all'assunzione di un ruolo nell'organigramma criminale. (3)
(1-3) I. - La sentenza si colloca nel solco tracciato dalle più recenti
pronunce di legittimità in tema di associazione con finalità di terrori smo internazionale (Cass. 25 maggio 2006, Serai, Foro it., 2006, II,
541; 21 giugno 2005. Drissi, ibid., 343, con nota di G.M. Armone), ma se ne discosta sotto alcuni aspetti non trascurabili.
Se infatti la ricostruzione della fattispecie in termini di reato di peri colo presunto appare conforme ai precedenti in materia (Cass. 13 otto bre 2004, Laagoub e altro, id., 2005. Il, 218. con nota di G. Iuzzolino A. Pioletti). sì da condurre comunque a confermare nel caso esaminato le ordinanze applicative di misure cautelari, con i principi enunciati nella seconda e nella terza massima la Cassazione puntualizza alcuni
aspetti sui quali si erano in passato registrate affermazioni ispirate a minor garantismo.
II. - A proposito delle liste di gruppi terroristici predisposte dalle or
ganizzazioni internazionali, Cass. 21 giugno 2005. Drissi, cit., aveva ritenuto che l'inclusione nelle liste, pur di per sé non sufficiente a inte
grare gli estremi del reato associativo, costituisca «prova del fatto stori co che un organismo internazionale, la Comunità europea, ha adottato misure restrittive nei confronti di Osama Bin Laden e degli organismi a
questo associati nell'ambito dei provvedimenti diretti a combattere il terrorismo». La decisione in epigrafe nega invece al listing — fuori dalle misure di prevenzione — qualsiasi ruolo nel procedimento penale, per il rischio di introdurre nel sistema «una sorta di anomala prova le
gale» e trasformare l'art. 270 bis c.p. in una norma penale in bianco. In
dottrina, sul tema, con posizioni tendenzialmente critiche verso il primo orientamento, v. A. Pioletti, L'Oiui e la lista nera dei gruppi armati:
gli effetti previsti nei processi italiani, in Dir. e giustizia, 2006, fase. 4, 117; L. Bauccio, L'accertamento del fatto-reato di terrorismo interna
zionale, Milano. 2006, 286: E. Rosi, Quella lista nera dei predicatori d'odio. Se i diritti degli imputati sono a rischio, in Dir. e giustizia, 2005, fase. 44, 76.
Sul piano degli strumenti internazionali in materia di terrorismo non si registrano novità di carattere vincolante rispetto al quadro tracciato da G. Iuzzolino e A. Pioletti in nota a Cass. 13 ottobre 2004, Laagoub e altro, cit.; la lotta al terrorismo resta tuttavia una priorità del pro gramma dell'Aia (COM(2005) 184 def., consultabile all'indirizzo:
<http://eur-Iex.europa.eu/smartapi/cgi/sga_doc7smartapi icelexplus! prod!DocNumber&lg=it&type__doc=COMfinal&an_doc=2005&nu_doc= I84>) e il consiglio dell'Unione europea ha approvato nel dicembre
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GIURISPRUDENZA PENALE
1. - Con ordinanza 20 dicembre 2005 il g.i.p. del Tribunale di
Salerno ha applicato a Bouhrama Yamine. Tartag Samir e
Achour Rabah la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di cui all'art. 270 bis c.p. (per avere il primo costituito
e gli altri fatto parte di una cellula terroristica ispirata agli ideali
e ai metodi della lotta armata praticata dall'organizzazione eversiva algerina Gruppo salafita per la predicazione e il com
battimento (Gspc); sino al 15 novembre 2005) e per l'ulteriore
reato di cui agli art. 110, 482, in relazione agli art. 476, 477, 483
stesso codice e I. 15/80 (per avere, in concorso tra di loro e con
altri, contraffatto numerosi documenti di identità, agendo per fi
nalità di terrorismo, anche internazionale). La misura è stata
confermata, con ordinanza 16 gennaio 2006, dal Tribunale del
riesame di Salerno che, ritenuto il delitto associativo commesso
in Napoli, ha contestualmente dichiarato la propria incompeten za per territorio con trasmissione degli atti al procuratore della
repubblica di detta città.
Ha osservato il tribunale che:
a I ) il carattere terroristico del Gruppo salafita per la predica zione e il combattimento, costituito originariamente in Algeria ma attivo su scala internazionale con la finalità di realizzare la
Jihad e collegato agli obiettivi e alle strategie dell'organizzazio ne terroristica Al Qaeda, nonché l'esistenza in Italia di un'attiva
cellula o diramazione di tale organizzazione risultano da una
pluralità di elementi. Tra essi: a) l'inclusione del Gspc nella li
sta europea di gruppi terroristici stilata con il regolamento 881/2002 del consiglio dell'Unione europea (coincidente con
analoga lista stilata dall'Onu) e con specifico comunicato del
comitato di sicurezza finanziaria del ministero dell'economia
del nostro paese; /?) il fatto notorio, comprensivo, per quanto ri
guarda l'organizzazione de qua, di prassi ed episodi «che, per la
loro gravità e rilevanza internazionale, possono dirsi acquisiti al
patrimonio comune di conoscenze della collettività»; 7) le di
chiarazioni degli stessi imputati i quali, nel corso degli interro
gatori resi a Salerno e a Napoli, «nel riferirsi ad alcune conver
sazioni intercettate nelle quali vi era un esplicito riferimento al
Gspc e all'attività terroristica posta in essere dallo stesso, rico
noscevano l'esistenza del suddetto gruppo estremistico operante nel loro paese d'origine, seppur prendendo le distanze dall'ope ra terroristica dello stesso»; ó) il contenuto delle numerose e
univoche conversazioni intercettate in un prolungato lasso di
tempo, che documentano in diretta l'attività di un'ampia e arti
colata rete (operante principalmente a Napoli, ma anche a Bre
2005 una nuova strategia e un nuovo piano d'azione per la lotta al ter
rorismo (tali documenti, unitamente ai vari rapporti sullo stato di attua
zione, sono riportati all'indirizzo: <http://www.consilium.europa.eu/
cms3_fo/showPage.asp?id=631 &lang=it&mode=g>). In dottrina, tra i contributi più recenti, v. A. Pioletti, La lotta al ter
rorismo, in AA.VV., Diritto penale europeo e ordinamento italiano,
Milano, 2006, 189; G. Insolera, Terrorismo internazionale tra delitto
politico e diritto penale del nemico, in Dir. pen. e proc., 2006, 895; F.
Vigano, Terrorismo islamico e art. 270 bis. in AA.VV., Terrorismo e
legislazione penale (incontro di formazione del Csm, 14 aprile 2005),
in <www.csm.it>. 111. - Con il principio enunciato nella terza massima, invece, la Cas
sazione intreccia le argomentazioni già svolte in altre occasioni a pro
posito dell'art. 270 bis c.p. (insufficienza delle «posizioni meramente
ideologiche, non accompagnate da propositi concreti ed attuali di vio
lenza»: Cass. 13 ottobre 2004. Laagoub e altro, cit., spec. 223) con il
recente orientamento delle sezioni unite in tema di partecipazione a
un'associazione criminale (Cass., sez. un., 12 luglio 2005, Mannino,
Foro it., 2006, II. 80. con nota di G. Fiandaca-C. Visconti, Il patto di
scambio politico-mafioso al vaglio delle sezioni unite, e ivi amplissimi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali), sul presupposto della omoge neità strutturale delle diverse fattispecie di reato associativo presenti nell'ordinamento (Cass. 21 giugno 2005, Drissi, cit.).
11 risultato che ne scaturisce non appare conclusivo: se non altro per
ché, a proposito delle associazioni terroristiche di matrice islamica, si
avverte anzitutto la necessità di verificare l'esistenza di un'organizza zione terroristica, spesso a struttura cellulare, mentre la realtà della
criminalità organizzata di stampo mafioso è talmente radicata e accla
rata che l'accertamento giudiziale solitamente si risolve in un'indagine sul ruolo del singolo imputato in seno all'associazione, ancorché spesso
lungo l'incerto confine tra concorso necessario ed eventuale.
In ogni caso, la sentenza sembra, almeno con riguardo alle attività
preparatorie, anticipare leggermente la soglia della punibilità rispetto a
Cass. 25 maggio 2006. Serai, cit., che aveva negato qualsiasi rilevanza
all'inizio di esecuzione dei reati-fine. [G. ArmoneI
Il Foro Italiano — 2006.
scia, Vicenza e Milano) di sostegno e appoggio logistico, orga
nizzativo ed economico a membri del Gspc responsabili di atti
terroristici in Europa e nel mondo arabo; s) i ripetuti contatti
degli imputati e di altri compartecipi (accertati dalla polizia giu
diziaria mediante pedinamenti e attività di osservazione) con
esponenti del Gspc operanti in diversi Stati esteri; Q la minuzio
sa e analitica ricostruzione della rete in questione effettuata nel
procedimento a carico di Gasry e altri (confermata in sede di le
gittimità con sentenza 9 febbraio 2005 della seconda sezione
penale di questa corte, Foro it., 2005, II, 385). Tali elementi
forniscono, da un lato, la conferma della matrice e dell'attività
terroristica del Gruppo salafita per la predicazione e il combat
timento e, dall'altro, la prova dell'esistenza in Italia di una cel
lula, dotata di autonoma struttura organizzativa, preposta a for
nire assistenza, collaborazione e aiuto a esponenti del movi
mento direttamente coinvolti in azioni terroristiche (procurando
loro, tra l'altro, ospitalità, denaro, titoli di viaggio e documenti
falsi) nonché a organizzare azioni dirette (rimaste, allo stato, a
livello di progetto);
a2) la natura e il carattere della descritta cellula italiana ri
sultano: a) dall'attività degli associati che, secondo quanto ac
certato nel presente procedimento e risultato in indagini pa
rallele, detenevano materiale ideologico eversivo e strumenti
di propaganda della lihad, provvedevano all'assistenza legale ed economica ai correligionari arrestati, promuovevano rac
colte di denaro in favore di combattenti in Cecenia, Afghani stan e Iraq, fungevano da punto di riferimento e supporto or
ganizzativo per numerosi estremisti islamici intenzionati a
raggiungere l'Afghanistan, professavano la personale volontà
di combattere con mezzi violenti e fino alla morte e al marti
rio, intrattenevano rapporti con soggetti «implicati o indagati in specifici fatti di attentato o di eversione o con guerriglieri
islamici», programmavano attentati con esplosivi sul territorio
italiano e fuori dello stesso; /?) da un precedente conforme ac
certamento giudiziale, cui si riferisce la già citata sentenza 9
febbraio 2005, Gasry e altri, di questa corte (che ha ritenuto
l'attività della cellula napoletana del Gspc rientrante nella fat
tispecie di cui all'art. 270 bis c.p.). Alla stregua di quanto pre
cede la cellula italiana del Gspc va considerata autonoma as
sociazione terroristica rientrante nella previsione dell'art. 270
bis c.p., che è fattispecie delittuosa di pericolo presunto diret
ta, per consolidata giurisprudenza (cfr., per tutte. Cass. 13 ot
tobre 2004, Laagoub e altro, ibid., 218), ad «apprestare tutela
contro uno specifico programma di violenza e contro coloro
che a tale programma aderiscono proponendosi il compito di
realizzare atti di violenza con finalità di eversione dell'ordine
democratico», intendendosi per programma l'insieme di «pro
positi concreti e attuali di violenza e non posizioni meramente
ideologiche che, di per sé, ricevono tutela proprio dall'ordi
namento democratico e pluralistico che contrastano»;
a3) la partecipazione all'organizzazione de qua del Tartag ri
sulta: a) dal contenuto di numerose conversazioni intercettate
(specificamente indicate nell'ordinanza) nelle quali, tra l'altro,
l'imputato, parlando con altri compartecipi, dopo aver espresso
compiacimento per la strage di Sharm El Sheik e per altri at
tentati terroristici, auspicandone il ripetersi e mostrando di con
dividere appieno il metodo terroristico, parla esplicitamente della necessità di reperire dell'esplosivo (T.N.T.) ricollegando
tale condotta con l'«ingresso in luoghi turistici»; /?) dalla fre
quentazione con altri soggetti arrestati in varie parti d'Italia per
il medesimo reato associativo e, in particolare, di Bouhrama
Yamine (promotore e organizzatore della cellula), con il quale il
Tartag aveva, anzi, condiviso l'espatrio clandestino dall'Algeria
e, poi, la permanenza in Siria, Turchia e Grecia prima di stabi
lirsi in Italia; y) dal concorso nell'attività di procacciamento di
documenti falsi per connazionali (ammesso dallo stesso Tartag,
seppur in termini ridotti e limitatamente a un unico episodio); S)
dall'ammissione del coimputato Achour Rabah, a commento di
una intercettazione telefonica, che il Tartag e il Bouhrama Ya
mine (in allora conviventi nello stesso alloggio) erano abitual
mente definiti, da lui e dal comune amico Soufiane Kechnit,
come «terroristi»; e) dalla fuga sul tetto dello stabile della pro
pria abitazione in occasione di una perquisizione effettuata l'8
ottobre 2004 (evidentemente riconducibile al timore dell'accer
tamento di un coinvolgimento in fatti di rilevanza penale, es
sendo del tutto illogico il dedotto timore di espulsione, stante la
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PARTE SECONDA
regolarità del permesso di soggiorno). Le condotte descritte,
lungi dall'essere — come sostenuto dalla difesa — mera espres sione verbale di idee eversive o di radicalismo violento, rivelano
la partecipazione a una «attività di ampio respiro, tesa all'elabo
razione di azioni aggressive e vendicatrici contro soggetti con
siderati infedeli o, quantomeno, a proporsi da supporto ideolo
gico, logistico e materiale di coloro che quelle azioni hanno il
compito di portare a compimento». 2. - Ha proposto ricorso il Tartag deducendo:
b\) violazione di legge per avere il tribunale ritenuto l'esi
stenza e l'operatività di un'associazione terroristica «della cui
consistenza si dubita nella parte in cui non vi sono in atti ele
menti di cui si evinca un'attuale e concreta progettualità, in Ita
lia o all'estero, di attività terroristiche o eversive»;
b2) violazione di legge e mancanza e illogicità della motiva
zione nella parte in cui l'ordinanza ritiene provata la partecipa zione di esso ricorrente all'associazione de qua, posto che: a)
«oltre a proclami verbali ispirati da mero fanatismo, non vi è al
cun elemento fattuale da cui possa ritenersi, neppure in via indi
ziaria, tale partecipazione»; /?) l'unico elemento sintomatico in
tal senso potrebbe rinvenirsi nella frequentazione, risalente nel
tempo, con il Bouhrama, il quale peraltro «non è indagato in
specifici fatti di attentato»;
b3) violazione di legge nella parte in cui il giudice del riesa
me ha ritenuto la condotta di esso ricorrente idonea a integrare il
reato associativo e non, a tutto concedere, l'ipotesi di assistenza
agli associati di cui all'art. 270 ter c.p. o di favoreggiamento
personale di cui all'art. 378 stesso codice.
Il procuratore generale ha concluso come in epigrafe. 3. - Le questioni prospettate nel ricorso —
riguardante, come
già precisato, il solo reato associativo e non anche il delitto di
falso documentale per cui pure la misura cautelare è stata emes
sa — sono essenzialmente tre:
ci) la struttura e gli elementi costitutivi del delitto di cui al
l'art. 270 bis c.p. (motivo sub b 1 );
c2) la congruità degli elementi in forza dei quali la cellula
operante in Napoli del Gruppo salafita per la predicazione e il
combattimento è stata ritenuta associazione terroristica ai sensi
dell'art. 270 bis c.p. (motivi sub b 1 e bT)\
c3) l'idoneità probatoria degli elementi indicati a dimostra
zione della partecipazione del ricorrente all'associazione de qua
(motivi sub b2 e b3). 3.1. - Quanto alla prima questione, il principio di diritto af
fermato dal ricorrente secondo cui per l'esistenza della fattispe cie delittuosa di cui all'art. 270 bis c.p., pur costruita come reato
di pericolo, non è sufficiente l'adesione a un'astratta ideologia
(per quanto odiosa e brutalmente manifestata) ma occorre la
predisposizione di «un concreto progetto di azioni eversive», ancorché non realizzate, è certamente esatto. È, infatti, giuris
prudenza consolidata, da un lato, che la fattispecie di cui all'art.
270 bis c.p. si diversifica dagli altri reati associativi per le fina lità perseguite ma non anche per la struttura (così, da ultimo, Cass. 21 giugno 2005, Drissi, id., 2006, II, 343) e, dall'altro, che le eterogenee realtà gravitanti nell'area di riferimento del
terrorismo e della sovversione, per assumere rilevanza penale, devono essere caratterizzate «non tanto, o non solo, dal disegno di abbattere le istituzioni democratiche come concezione,
quanto dall'effettiva pratica della violenza come metodo di lotta
politica, dall'alto livello di tecnicismo delle operazioni com
piute, dalla capacità di reclutamento nei più disparati ambienti
sociali» (Corte cost. n. 15 del 1982, id., 1982, I, 2132). In altri
termini, «il reato di cui all'art. 270 bis c.p. (associazioni con fi
nalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico) è un
reato di pericolo presunto, per la cui configurabilità occorre, tuttavia, l'esistenza di una struttura organizzata, con un pro
gramma comune fra i partecipanti, finalizzato a sovvertire vio
lentemente l'ordinamento dello Stato e accompagnato da pro
getti concreti e attuali di consumazione di atti di violenza. Ne
consegue che la semplice idea eversiva, non accompagnata da
propositi concreti e attuali di violenza, non vale a realizzare il
reato, ricevendo tutela proprio dall'assetto costituzionale dello
Stato che essa, contraddittoriamente, mira a travolgere» (Cass. 11 maggio 2000, Paiano e altri, id., Rep. 2001, voce Personalità
dello Stato (delitti), n. 5; nello stesso senso, già Cass. 7 aprile 1987, Angelini, id.. Rep. 1988, voce cit., n. 12, e, da ultimo, Cass. 21 giugno 2005, Drissi, cit.).
Il Foro Italiano — 2006.
Esatto il principio affermato dal ricorrente è, peraltro, infon
data la doglianza posto che:
d\) tale concezione del delitto associativo corrisponde a
quella abbracciata nell'ordinanza impugnata nella quale, come
si è detto, si afferma testualmente che «l'associazione con fina
lità di terrorismo ai sensi dell'art. 270 bis c.p. è fattispecie de
littuosa di pericolo presunto diretta ad apprestare tutela contro
uno specifico programma di violenza e contro coloro che a tale
programma aderiscono proponendosi il compito di realizzare
atti di violenza con finalità di eversione dell'ordine democrati
co, intendendosi, peraltro, per programma l'insieme di propositi concreti e attuali di violenza e non posizioni meramente ideolo
giche che, di per sé, ricevono tutela proprio dall'ordinamento
democratico e pluralistico che contrastano»;
di) gli elementi ritenuti dal giudice della libertà dimostrativi
dell'esistenza, nel caso di specie, di un'associazione con le ca
ratteristiche descritte non sono oggetto di specifica contestazio
ne (nella loro idoneità probatoria) da parte del ricorrente, con
conseguente vizio di genericità del ricorso ai sensi dell'art. 581, lett. c), codice di rito.
3.2. - Quanto alla seconda questione, gli elementi in forza dei
quali il tribunale del riesame ha ritenuto che la cellula de qua
integri un'associazione terroristica ai sensi dell'art. 270 bis c.p. sono, come si è sopra precisato, l'inclusione del Gspc (di cui
detta cellula è, in qualche modo, diramazione) nelle liste di
gruppi terroristici stilate dal consiglio dell'Unione europea e dal
comitato di sicurezza finanziaria del ministero dell'economia
del nostro paese (confermata dalle dichiarazioni degli stessi im
putati che, pur prendendone le distanze, hanno riconosciuto il
carattere terroristico dell'organizzazione), un precedente accer
tamento giudiziale in tal senso e, soprattutto, le risultanze delle
indagini svolte nel presente procedimento e in indagini paralle le, da cui si evince che gli aderenti alla cellula detenevano mate
riale ideologico eversivo e strumenti di propaganda della Jihad,
provvedevano all'assistenza legale ed economica ai correligio nari arrestati, promuovevano raccolte di denaro in favore di
combattenti in Cecenia, Afghanistan e Iraq, fungevano da punto di riferimento e supporto organizzativo per numerosi estremisti
islamici intenzionati a raggiungere l'Afghanistan, professavano la personale volontà di combattere con mezzi violenti e fino alla
morte e al martirio, intrattenevano rapporti con soggetti «impli cati o indagati in specifici fatti di attentato o di eversione e con
guerriglieri islamici», programmavano attentati con esplosivi sul territorio italiano e fuori dello stesso. Di tali elementi il ri
corrente contesta la congruità probatoria affermando che da nes
suno di essi si evince «una attuale e concreta progettualità, in
Italia o all'estero, di attività terroristiche o eversive». L'assunto
è, nella sua apodittica generalizzazione, infondato. Se, infatti, è
esatto il rilievo secondo cui il giudizio sulle caratteristiche e fi
nalità di un'organizzazione non può essere affidato a elenchi di
formazioni ritenute terroristiche elaborati, per l'applicazione di
misure di prevenzione, da governi di singoli Stati o di organismi internazionali (Cass. 21 giugno 2005, Drissi, cit.), posto che ciò
introdurrebbe nel sistema una sorta di anomala «prova legale» e
trasformerebbe l'art. 270 bis c.p. in una norma penale in bianco, con evidente violazione dei principi di legalità e di separazione dei poteri, è evidente la specificità e la concretezza degli altri
elementi indicati: non tutti egualmente sintomatici (ché taluni
sono, in astratto, suscettibili di interpretazioni alternative) e
tuttavia dotati, allo stato degli atti e in attesa degli ulteriori svi
luppi delle indagini, di indubbio valore indiziante e, in ogni ca
so, privi di contestazioni ad hoc in base ad elementi e letture
che solo l'imputato potrebbe fornire.
3.3. - L'ultima questione proposta riguarda l'idoneità proba toria degli elementi indicati a dimostrazione della partecipazio ne del ricorrente alla cellula de qua, occorrendo evitare —
per usare l'espressione utilizzata nel ricorso — «che l'anticipazione della soglia di punibilità si traduca in persecuzione delle idee o
di posizioni ideologiche, individuando il discrimine tra adesione ideologica al radicalismo fondamentalista e partecipazione al
l'associazione terroristica». È, infatti, giurisprudenza consoli
data che, al fine della prova della partecipazione di un indagato al reato associativo, non vale fare riferimento all'adesione psi
cologica o ideologica al programma criminale, ma la dichiara
zione di responsabilità necessita di un concreto passaggio all'a
zione dei membri del gruppo, sotto forma di attività preparatorie
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GIURISPRUDENZA PENALE
rispetto all'esecuzione di reati-fine oppure all'assunzione di un
ruolo concreto nell'organigramma criminale (così, da ultimo,
Cass., sez. un., 12 luglio 2005, Mannino, id., 2006, II. 80). Ma è agevole rilevare che gli elementi indicati nell'ordinanza (con versazioni intercettate in cui si fa riferimento alla preparazione di attentati, frequentazione stabile di aderenti all'associazione,
rapporto protratto nel tempo con il promotore e organizzatore della cellula, concorso nell'attività di procacciamento di docu
menti falsi per aderenti al Gspc, sua individuazione tra i conna
zionali come «terrorista», rocambolesco tentativo di sottrarsi a
perquisizione), sono, di per sé e salvo le ulteriori necessarie ve
rifiche, sintomatici proprio dall'assunzione di un ruolo concreto
(quantomeno di supporto) nell'organigramma dell'associazione
e del coinvolgimento in attività eversive (pur rimaste nella fase
progettuale). Si aggiunga che, ancora una volta, l'efficacia indi
ziarne degli elementi indicati non è oggetto di specifiche conte
stazioni del ricorrente, se non su punti secondari e sostanzial
mente irrilevanti (come la natura delle imputazioni mosse al
coindagato Bouhrama). 4. - Le considerazioni sin qui svolte dimostrano l'infondatez
za del ricorso che va, conseguentemente, rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 7
giugno 2006; Pres. Lupo, Est. Franco, P.M. Salzano (conci,
diff.); ric. R. Annulla Giud. pace Reggio Emilia 23 giugno 2005.
Istruzione pubblica — Istruzione obbligatoria — Inosser
vanza — Rifiuto del minore — Rilevanza — Fattispecie (Cod. pen., art. 731; 1. 31 dicembre 1962 n. 1859, istituzione e
ordinamento della scuola media statale, art. 8).
In tema di inosservanza dell'obbligo dell'istruzione dei mi
nori, di cui all'art. 731 c.p., la volontà del minore, contraria
a ricevere l'istruzione obbligatoria, costituisce giusto mo
tivo, idoneo ad escludere la responsabilità penale dei geni tori, solo allorché si concreti in un rifiuto categorico ed as
soluto, cosciente e volontario, del minore stesso, che per
manga dopo che i genitori abbiano usato ogni argomento
persuasivo ed ogni altro espediente educativo di cui siano
capaci secondo il proprio livello socio-economico e cultu
rale, e abbiano fatto ricorso, se le circostanze ambientali lo
consentano, agli organi di assistenza sociale (nella specie, la
Suprema corte ha annullato la sentenza di merito che aveva
condannato all'ammenda di cui all'art. 731 c.p. i genitori di
una minore quindicenne che si era rifiutata categoricamente di frequentare la seconda media, essendo stata respinta di
verse volte, nonostante che i genitori facessero il possibile
per condurcela). ( 1 )
(1) La sentenza in rassegna, che ha suscitato anche l'attenzione dei
media, è in realtà conforme alla giurisprudenza consolidata della stessa
Suprema corte a proposito del reato contravvenzionale di cui all'art.
731 c.p., sull'inosservanza dell'obbligo di istruzione dei minori. Cfr. così, in termini, già Cass. 23 novembre 1987, Gentilezza, Foro
it., Rep. 1988, voce Istruzione pubblica, n. 550, espressamente richia mata.
La giurisprudenza ha anche avuto modo di precisare che il reato ex
art. 731 c.p. cit.: — ha carattere permanente, poiché la condotta omissiva si protrae
per tutta la durata dell'anno scolastico e la permanenza del reato può farsi cessare con l'adempimento dell'obbligo; cfr. Cass. 8 ottobre 1985, Schiavi, id.. Rep. 1986, voce cit.. n. 57 (che ha così escluso il decorso
Il Foro Italiano — 2006.
Svolgimento del processo. — Con la sentenza in epigrafe il
Giudice di pace di Reggio Emilia dichiarò R.F. e C.F. colpevoli del reato di cui all'art. 731 c.p. per avere, senza giustificato motivo, omesso di far impartire alla figlia minore R.R. l'istru
zione della scuola media e li condannò alla pena di euro venti
cinque di ammenda ciascuno.
Il R. propone ricorso per cassazione deducendo:
a) violazione dell'art. 731 c.p. in relazione alla 1. 31 dicem
bre 1962 n. 1859, perché nella specie vi era un giusto motivo
costituito — come risulta dalla deposizione dello stesso diretto
re della scuola media — dalla grave ostinazione, conseguenza di
un grave complesso psicologico, della ragazza, che allora era
quindicenne, di frequentare la seconda media, tanto che al mo
mento dell'arrivo a scuola si bloccava e rifiutava di entrare no
nostante che i genitori facessero il possibile per portarla a
scuola, accompagnandola e minacciandola di passare alle ma
niere forti;
b) violazione dell'art. 8 1. 1859/62, in relazione all'art. 731
c.p. Deducono che ai sensi dell'art. 8 cit. ha adempiuto all'ob
bligo scolastico l'alunno che abbia conseguito la licenza di
scuola media e che risulta che la figlia ha ripreso gli studi fre
quentando un corso speciale e conseguendo il diploma di scuola
media;
c) violazione degli art. 514 e 526 c.p.p., perché il giudice di
pace ha acquisito documentazione proveniente dal fascicolo del
pubblico ministero utilizzandola per la decisione.
Motivi della decisione. — Il ricorso è fondato essendo la
sentenza impugnata errata sotto un duplice profilo. Innanzitutto, infatti, l'art. 8, 3° comma, 1. 31 dicembre 1962
n. 1859 dispone che l'alunno che non abbia conseguito il di
ploma di licenza di scuola media, è comunque prosciolto dal
l'obbligo scolastico «se, al compimento del quindicesimo anno
di età, dimostri di avere osservato per almeno otto anni le norme
sull'obbligo scolastico». Nel caso in esame gli imputati soste
nevano appunto che la figlia aveva già raggiunto i quindici anni
e che aveva già adempiuto all'obbligo scolastico. Il giudice del
merito avrebbe quindi dovuto accertare se davvero la ragazza avesse già compiuto i quindici anni e se gli imputati avessero
provato che la figlia aveva osservato per almeno otto anni le
norme sull'obbligo scolastico. Sul punto manca invece qualsiasi accertamento e qualsiasi motivazione.
In secondo luogo, il giudice di pace ha errato nel ritenere ir
del termine prescrizionale, essendosi l'inadempimento dell'obbligo protratto per tutto l'anno scolastico);
— ha carattere meramente sanzionatorio ed è compreso tra le nor me penali in bianco e cioè quelle norme il cui precetto è integrato dalle leggi extrapenali che si susseguono nel tempo, fermo restando il bene giuridico tutelato che, nel caso di specie, è individuabile nel
l'adempimento dell'obbligo scolastico; «ne deriva che l'espressione istruzione elementare, correlativa alla legislazione vigente all'epoca di entrata in vigore del codice, non ha significato tassativo; la norma
quindi punisce l'inosservanza dell'obbligo scolastico, tanto elementa re che postelementare poiché, in virtù dell'art. 8 1. 31 dicembre 1962 n. 1859 (istituzione ed ordinamento della scuola media statale), l'ob
bligo stesso è stato esteso all'istruzione di scuola media»: cfr. Cass. 17 gennaio 1989, Patruno, id., Rep. 1990, voce cit., n. 577; 17 feb braio 1988, Nardella, id., Rep. 1989, voce cit., n. 640;
— la relativa sanzione penale è rimasta vigente anche dopo la legge di depenalizzazione n. 689 del 1981; cfr. Cass. 10 marzo 1989, Di Pier
re, id.. Rep. 1990. voce cit., n. 578; — è plurioffensivo, in quanto è tutelato sia l'interesse pubblico al
l'ottemperanza dell'obbligo scolastico che il diritto soggettivo del mi nore a ricevere un'adeguata istruzione, diritto costituzionalmente ga rantito dall'art. 30, 1° comma. Cost.; cfr. Cass. 25 febbraio 2004, Ha
lilovic, id.. Rep. 2004. voce cit., n. 267; — si configura anche a carico del genitore non affidatario, in quanto
l'obbligo di curare l'istruzione elementare e media del figlio minore
sussiste anche se quest'ultimo sia stato affidato — in sede di divorzio — all'altro coniuge, e ciò «anche quando il minore non frequenti la
scuola per comportamento addebitabile, in primo luogo, all'affidatario, ma il comportamento di costui non abbia trovato nell'adeguato interes samento del primo alcun rimedio»; Cass. 26 febbraio 1990, Caldara,
id., Rep. 1991, voce cit., n. 609. In dottrina, cfr. Nunziata, La strutturale inadeguatezza dell'art. 731
c.p. a contrastare il fenomeno dell 'evasione scolastica: una breve nota, in Riv. giur. scuola, 1994, 219, nonché Crespi-Stella-Zuccalà (a cura
di), Commentario breve al codice penale, Padova, 2004, sub art. 731
c.p.
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