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sezione I penale; sentenza 19 ottobre 1992; Pres. Carnevale, Est. Gemelli, P.M. (concl. conf.); ric....

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sezione I penale; sentenza 19 ottobre 1992; Pres. Carnevale, Est. Gemelli, P.M. (concl. conf.); ric. P.m. in c. Shoukry. Conferma Trib. Firenze, ord. 27 maggio 1992 Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 5 (MAGGIO 1993), pp. 279/280-287/288 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23187987 . Accessed: 28/06/2014 11:13 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.57 on Sat, 28 Jun 2014 11:13:45 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I penale; sentenza 19 ottobre 1992; Pres. Carnevale, Est. Gemelli, P.M. (concl. conf.); ric.P.m. in c. Shoukry. Conferma Trib. Firenze, ord. 27 maggio 1992Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 5 (MAGGIO 1993), pp. 279/280-287/288Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187987 .

Accessed: 28/06/2014 11:13

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PARTE SECONDA

comporta il prosieguo delle indagini, il rigetto impone al p.m. la formulazione di una delle richieste di cui all'art. 405 c.p.p.

Deve, inoltre, rilevarsi che l'ordinanza sulla proroga conclu

de un procedimento strutturato secondo canoni di massima snel

lezza e semplicità, in cui la fissazione dell'udienza camerale ed

il contraddittorio orale sono previsti ex art. 406, 4° e 5° com

ma, per la sola ipotesi in cui il g.i.p. ritenga la richiesta del p.m. non accoglibile allo stato degli atti, e, a norma dell'art.

533 c.p.p., sono comunque esclusi nel procedimento dinanzi al

pretore (Cass., sez. un., 29 maggio 992, P.m. c. soc. Pirelli).

Inoltre, come già rammentato, tale criterio di semplificazione è stato ancor più accentuato per i più gravi delitti enumerati

nell'art. 51 c.p.p. rispetto ai quali il 5° comma bis dell'art. 406,

introdotto dal cit. d.l. n. 306 del 1992, bandisce ogni forma

di contraddittorio sia scritto che orale. Ne deriva che le norme

da ultime citate, non contenendo alcun rinvio al cit. art. 127

c.p.p., non esprimono alcun dato testuale da cui possa dedursi

l'esperibilità, nelle ipotesi da esse considerate del ricorso per cassazione. E tale rilievo è confermato dal fatto che una senten

za di questa corte (sez. I n. 2543 del 1992 cit.) ha ritenuto im

pugnabile l'ordinanza de plano emessa a norma dell'art. 406, 4° comma, c.p.p., sotto il profilo dell'estensione analogica del

l'asserita ricorribilità dell'ordinanza adottata nell'udienza came

rale di cui al comma successivo, che, invece, costituisce proprio il thema demonstrandum.

In questo contesto normativo, la tesi favorevole alla proponi bilità del ricorso avverso l'ordinanza da ultimo indicata si rivela

infondata sia perché non è dato comprendere i motivi per i qua li tale rimedio sia esperibile soltanto in tal caso, sia per l'assen

za di posizioni soggettive dell'indagato necessariamente tutela

bili attraverso l'immediata proposizione di questo rimedio sia,

infine, perché questo si risolverebbe in un appesantimento del

sistema inconciliabile con quei criteri di semplificazione e di ra

pidità che informano il modulo procedimentale in oggetto. È pur vero che il regime della durata delle indagini prelimina

ri — in cui si iscrive la disciplina della proroga — oltre all'esi genza di assicurare la tempestività delle investigazioni, ha di

mira anche l'interesse dell'indagato a che tale sua condizione

sia contenuta in un lasso di tempo predeterminato (Corte cost.

15 aprile 1992, n. 174, id., 1992, I, 1995). Tuttavia, quest'ultimo interesse, nel sistema del codice, non

rileva a livello d'impugnazione, ma trova il suo naturale ed effi

cace presidio, a norma dell'art. 407, 3° comma, c.p.p., nell'i

nutilizzabilità degli atti d'indagini compiuti dopo la scadenza

del termine, nonché nella possibilità d'interloquire, attraverso

il contraddittorio e nei limiti in cui questo sia consentito, sulla

durata delle stesse indagini.

È, infine, da rilevare, per quanto attiene al secondo profilo, che la regola della non impugnabilità dell'ordinanza sulla pro

roga pronunziata a norma dell'art. 406, 5° comma, c.p.p., si

armonizza con l'orientamento di questa corte contrario alla espe ribilità del ricorso per cassazione avverso altri provvedimenti riservati al g.i.p., che si avvicinano all'ordinanza in esame per la identità o la somiglianza degli effetti giuridici, ovvero che

producono conseguenze ancor più incisive sulla posizione del

l'indagato.

Invero, la più recente giurisprudenza di questa corte afferma

la non ricorribilità dell'ordinanza con la quale il g.i.p., a norma

dell'art. 409 c.p.c. indica al p.m., che abbia richiesto l'archivia zione — magari proprio a seguito di un precedente diniego del la proroga — le ulteriori indagii necessarie per l'esercizio dell'a

zione penale, fissando, nel contempo, un termine per il loro

compimento; termine che, come sottolineato dalla dottrina, può

implicare anche il superamento di quello fissato per le udienze

preliminari, cosi che la relativa assegnazione si risolve in una

proroga di quest'ultimo (Cass., sez. V, 19 marzo 1992, Marri

no; sez. I 31 marzo 1992, Reale ed altri). D'altra parte, anche

la giurisprudenza che ammette l'impugnabilità di tale ordinanza

la circoscrive ai soli vizi enumerati nel 5° comma dell'art. 127

c.p.p. (mancato avviso della data dell'udienza camerale ed omessa

audizione delle parti e dei difensori) con esclusione dei vizi di motivazione e, a fortiori, dei vizi attinenti alla richiesta del prov vedimento da adottare, quali invece sono quelli nella specie de

dotti avverso l'ordinanza impugnata (Cass., sez. VI, 26 maggio

1990, Tonellotto; sez. I 11 luglio 1991, Surtiwan).

Il Foro Italiano — 1993.

Del pari non impugnabile è stata ritenuta l'ordinanza pro nunziata sulla richiesta d'incidente probatorio, nonostante che

il provvedimento di rigetto incida sull'interesse dell'indagato istan

te in misura incomparabilmente maggiore dell'ordinanza con

cessiva della proroga delle indagini ed ancorché tale rigetto pos sa aver riflessi sulla libertà personale (Cass., sez. I, 30 settem

bre 1991, Zancheddu; 5 marzo 1991, Fercussi; 26 febbraio 1990,

Tavoletta, id., 1990, II, 482). Ancora non ricorribile, secondo

la giurisprudenza di questa corte, è il decreto con il quale il

g.i.p. proroga i termini delle indagini preliminari per l'espleta mento dell'incidente probatorio, anche se tale proroga, nel caso

previsto dall'art. 392, 2° comma, c.p.p., possa prolungare i ter

mini in misura anche rilevante (cfr. Cass., sez. I, 20 marzo 1992,

Modeo ed altri). Infine, è stata esclusa la proponibilità del ri

corso anche contro il provvedimento con il quale il g.i.p. rigetta l'istanza del p.m. di riaprire le indagini dopo la disposta archi

viazione (Cass. 1° giugno 1990, Vianello, id., 1991, II, 382). Devesi peraltro ribadire che l'inammissibilità del ricorso per

cassazione avverso l'ordinanza di proroga delle indagini preli minari non pregiudica il diritto dell'indagato di fare valere i vizi verificatisi nel relativo procedimento, potendo tali vizi esse

re comunque eccepiti nell'udienza preliminare, al fine di fare

dichiarare l'inutilizzabilità degli atti di indagine effettuati nel termine prorogato (Cass., sez. I, 17 marzo 1992, Ballerini). Del

pari, non resta senza tutela l'interesse pubblico al promovimen to dell'azione penale, potendo tale interesse essere perseguito o a norma dell'art. 409, 4° comma c.p.p., attraverso l'indica

zione, da parte del g.i.p., investito dalla richiesta di archiviazio

ne, di un termine indispensabile per lo svolgimento di ulteriori

indagini, o a norma dell'art. 414 attraverso la riapertura delle

indagini. L'inammissibilità del ricorso per cassazione avverso il prov

vedimento concessivo della proroga preclude a questa corte l'e

same dei motivi dei ricorsi concernenti sia la questione della

competenza sia la declaratoria d'inammissibilità dell'istanza di

proscioglimento degli indagati a norma dell'art. 129 c.p.p. In

vero, le statuizioni al riguardo, contenute nell'impugnata ordi

nanza, non hanno rilevanza autonoma ma carattere strumentale

rispetto alla pronunzia finale di concessione della proroga e,

pertanto, al pari di questa, non sono in questa sede impugnabili.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 19 otto

bre 1992; Pres. Carnevale, Est. Gemelli, P.M. (conci, conf.); ric. P.m. in c. Shoukry. Conferma Trìb. Firenze, ord. 27 mag

gio 1992.

Querela, richiesta, istanza — Richiesta e istanza di procedimen to — Termine (Cod. pen., art. 9, 10, 128, 130).

I due diversi e distinti termini stabiliti dall'art. 128 c.p. per la richiesta di procedimento non si sovrappongono poiché di

stinte e differenziate sono le ipotesi contemplate da tale nor

ma; infatti il 1° comma regola, in genere, il termine della

richiesta per un reato che la preveda per la sua «punibilità» (tre mesi dal momento in cui il ministro della giustizia ha avuto notizia del reato); il 2° comma, invece, regola la speci

fica ipotesi del reato commesso all'estero la cui punibilità di

penda dalla presenza del reo nel territorio dello Stato e preve de che in tal caso la richiesta non può essere più proposta decorsi tre anni dal giorno in cui il colpevole si trova nel territorio dello Stato; la suddetta disciplina, poi, trova appli cazione anche nel caso in cui la «punibilità» del reato dipen da dalla proposizione dell'istanza della persona of

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GIURISPRUDENZA PENALE

fesa, in virtù del rinvio alle disposizioni relative alla richiesta

operato dall'art. 130. (1)

Il g.i.p. del Tribunale di Firenze in data 7 maggio 1992 ha

applicato a Shoukry Tarek la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di omicidio volontario pluriaggravato in danno di Odetta Verzellesi, commesso al fine di assicurarsi

il profitto del reato di appropriazione indebita di una somma

elevata di danaro in danno della stessa, uccisa in Alessandria

di Egitto in epoca anteriore e prossima al 3 luglio 1983. Il di fensore del suddetto ha proposto impugnazione davanti al Tri

bunale del riesame di Firenze, che in data 27 maggio 1992 ha

annullato il provvedimento del g.i.p. ed ha disposto la libera

zione dell'indagato se non detenuto per altra causa.

Avverso l'ordinanza del Tribunale di Firenze ha proposto ri

corso il p.m. sostenendo la validità delle istanze di punizione

(1) La sentenza si segnala per la particolarità della fattispecie consi derata e per l'ampiezza dell'esame condotto dalla corte che ha «riper corso», anche se spesso «incidentalmente», molte delle problematiche che si agitano in tema di punibilità dei reati commessi all'estero.

Procedendo per gradi ed avendo anzitutto riguardo alla questione di diritto che la Cassazione era direttamente chiamata a decidere, e che ha risolto nel senso di cui in massima, va osservato che in ordine alla stessa si rinvengono numerosi precedenti nella giurisprudenza di

legittimità; tra le decisioni più recenti, cfr. Cass. 8 marzo 1989, Trivel

lato, Foro it., Rep. 1991, voce Querela, richiesta, istanza, n. 15, che ha sostenuto che «il termine di tre mesi "dalla notizia del fatto", previ sto dall'art. 128, 1° comma, c.p., per la richiesta di procedimento, non è riferibile ai casi in cui, trattandosi di reati commessi all'estero, sia necessaria anche la presenza del colpevole nel territorio dello Stato; in tale ipotesi il termine per proporre la richiesta è di tre anni dal gior no della presenza del reo nel territorio italiano, pur quando la notizia del reato sia pervenuta all'autorità da oltre tre mesi»; Cass. 19 maggio 1983, Tauber, id., Rep. 1984, voce cit., n. 17, secondo la quale «il termine di tre mesi per proporre la richiesta di procedimento ex art.

128, 1° comma, c.p. non è riferibile ai reati commessi all'estero, per i quali è necessaria la presenza del colpevole nel territorio dello Stato» in quanto «per tali reati il termine valido è quello di tre anni previsto dal 2° comma della stessa norma, con decorrenza dal momento in cui il colpevole si trova, appunto, nel territorio dello Stato».

In dottrina, il punto è oggetto di contrasto; in senso favorevole al l'indirizzo prevalente nella giurisprudenza della Cassazione, v. Guar

nera, Il problema dei termini della richiesta, della istanza e della quere la per i delitti commessi all'estero e della natura giuridica della condi

zione della presenza del colpevole nel territorio dello Stato, in Giust.

pen., 1960, fase. 12 bis, 142, mentre per un diverso avviso, cfr. Batta

glimi, Delitto commesso dal cittadino all'estero e termine per l'istanza della persona offesa, id., 1954, II, 306, che, tra l'altro, osserva che «se l'art. 128 assoggettata la richiesta, e pertanto l'istanza della persona offesa, al termine di tre mesi dal giorno in cui si è avuta notizia del fatto e se la disposizione stessa non fa eccezione o riserve, non si com

prende perché il termine di decadenza dovrebbe mutare quando concor re l'altra condizione di punibilità e di procedibilità» della presenza del

colpevole nel territorio dello Stato, aggiungendo che «qualora vi sia la presenza del reo nel territorio dello Stato e ciononostante non si sia ancora avuta notizia del fatto, la disposizione del 2° comma del l'art. 128 tende ad impedire il promovimento dell'azione penale se sia no trascorsi comunque tre anni dall'inizio della suddetta presenza» e che «questo è l'unico coordinamento preveduto dal codice fra le due condizioni...».

Un'ulteriore affermazione di «spessore» dogmatico operata dalla Cas sazione nella sentenza de qua è quella secondo cui la presenza dello straniero nel territorio dello Stato, richiesta dall'art. 10 c.p. per la puni bilità di costui per delitti comuni commessi all'estero, sarebbe struttura ta come condizione di procedibilità. Un siffatto assunto, invero, è tut

t'altro che pacifico in dottrina; al riguardo, e premesso che la relativa

problematica, ponendosi anche per i delitti comuni commessi dal citta dino all'estero nei casi di cui all'art. 9 c.p., riguarda più in generale la presenza del «reo» nel territorio dello Stato, sembra utile rammenta

re, come, da un lato, Mantovani, Diritto penale, parte generale, 3*

ed., Padova, 1992, 816, consideri siffatta presenza quale condizione

di punibilità, e, dall'altro, Padovani, Diritto penale, Milano, 1990, 74,

ritenga preferibile la tesi secondo cui essa costituisce una condizione

di procedibilità, sul rilievo che «aderendo alla tesi della condizione di

punibilità si dovrebbe ammettere che il difetto della presenza del reo

implichi la pronuncia di una sentenza di merito, destinata a precludere il successivo esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto (art. 649

c.p.p.), mentre, aderendo alla tesi della condizione di procedibilità, si

tratterebbe di una decisione meramente processuale, sprovvista di effet

ti preclusivi (art. 354 c.p.p.)».

Il Foro Italiano — 1993.

avanzate dai nipoti della vittima, Bruno Tirelli, Gianni e Gior

gio Verzellesi, a norma dell'art. 90, 3° comma c.p.p.; e ne ha

chiesto l'annullamento. Deduce che i prossimi congiunti della

persona deceduta in conseguenza di un reato, sulla base del con

tenuto della citata norma, hanno legittimazione iure proprio at

tuata mediante estensione della qualifica di persona offesa, pur non essendo soggetti passivi del reato, con conseguente attribu

zione dei diritti e delle facoltà che la legge processuale riconosce

all'offeso. L'istanza di punizione, nell'ipotesi di delitto comune

per il quale la legge italiana preveda l'ergastolo o la reclusione

non inferiore nel minimo ad un anno, commesso dallo straniero

all'estero contro un cittadino, presuppone che questi si trovi

nel territorio dello Stato; ed è regolata dalle disposizioni relati

ve alla richiesta (anche questa, in alternativa, condizione di pro

cedibilità; ma per quanto attiene alla capacità ed alla rappre sentanza della persona offesa in relazione all'istanza si applica

I precedenti che si rinvengono nella giurisprudenza di legittimità più recente (per una risalente pronuncia in cui si parla di condizione di

«punibilità», v. Cass. 5 febbraio 1969, Brezavschek, Foro it., Rep. 1970, voce Reato commesso all'estero, n. 1) sono invece nel senso che la pre senza del reo nel territorio dello Stato costituisce una condizione di

procedibilità; Cass. 30 marzo 1978, Severino, id., Rep. 1978, voce Com

petenza penale, n. 35, infatti, ha affermato che «la presenza del reo nel territorio dello Stato, richiesta dall'art. 9 c.p., va configurata come condizione di procedibilità e non quale condizione obiettiva di punibili tà, onde rispetto alla sentenza meramente processuale che, in mancan

za, dichiara di non doversi procedere, non opera il principio del ne

bis in idem di cui all'art. 90 c.p.p., ma vale la regola posta dall'art. 17 stesso codice», di tal che «l'imputato prosciolto per difetto della suddetta condizione di procedibilità può essere di nuovo sottoposto a

procedimento penale se tale condizione si verifichi...». Analogamente, Cass. 14 ottobre 1977, Lorenzi, ibid., voce Reato commesso in Italia, n. 5, ha sostenuto che «qualora, in seguito a proscioglimento per difet to di una condizione di procedibilità (assenza dal territorio dello Stato

del cittadino indiziato di delitto comune all'estero), venga riproposta l'azione penale con richiesta di istruzione formale, il giudice istruttore non può provvedere con ordinanza rifiutandosi di procedere ed asseren

do che il procedimento si trova in stato di quiescenza, ma deve provve dere con una nuova sentenza di proscioglimento o con ordinanza di rinvio a giudizio».

Va poi segnalata un'altra affermazione operata nella motivazione della sentenza che si riporta e più precisamente quella secondo cui, nel caso di reato commesso all'estero in danno di un cittadino italiano che, se commesso in Italia, sarebbe procedibile a querela, non è sufficiente per la procedibilità la richiesta di procedimento del ministro, occorrendo invece anche la querela della persona offesa (nello stesso senso, cfr., in dottrina, Pagliaro, Principi di diritto penale, parte generale, 3a ed., Milano, 1987, 155; Cerqua, Brevi note in tema di delitto comune com messo dal cittadino italiano all'estero in Giur. merito, 1982, 963 s.); affermazione che, mutatis mutandis, appare in sintonia con App. Tren to 28 novembre 1980, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 12, che ha ritenuto che nel caso di delitto comune perseguibile a querela, commes so da cittadino italiano all'estero a danno di straniero, l'azione penale non può essere esercitata se, pur essendo intervenuta la richiesta del

ministro, manchi la querela della persona offesa. Per ulteriori approfondimenti in ordine alle tematiche sin qui consi

derate, cfr., tra gli altri, Tedesco, «Presenza» nel territorio dello Stato, ex art. 9 c.p., ed esercizio dell'azione penale, in Giust. pen., 1972, III, 19 s.; Macchia, La presenza del colpevole nel territorio dello Stato come requisito generale condizionante la perseguibilità del delitto co mune del cittadino all'estero, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1965, 1003

s.; Ferrante, Brevi considerazioni sulla richiesta del ministro di grazia e giustizia in rapporto ai delitti comuni commessi dal cittadino all'este

ro, in Giur. it., 1965, II, 137; Bella, Delitto comune punibile a querela di parte commesso all'estero da cittadino italiano in danno di uno Stato

estero o di uno straniero, in Riv. pen., 1964, I, 628; Santoro, Signifi cato e natura della presenza del reo nel territorio dello Stato secondo

gli art. 9 e 10 c.p., in Giust. pen., 1961, II, 397 s.; conviene ancora

rilevare — stante l'accenno fattone nella sentenza in rassegna — come

si sia talvolta sostenuto anche che ai fini della punibilità, ex art. 9 e

10 c.p., del reato commesso all'estero, occorre che il fatto sia conside

rato come reato anche dalla legge dello Stato straniero (c.d. doppia

incriminazione). In merito, cfr., tra gli altri, per le diverse opinioni, Caraccioli, L'incriminazione da parte dello Stato straniero dei delitti commessi all'estero e il principio di stretta legalità, in Riv. it. dir. e

proc. pen., 1962, 973, e Pagliaro, op. cit., 156; mentre per una posi zione che, nel caso del reato commesso dal cittadino, distingue a secon

da che si versi o meno «nei casi in cui, rispetto a determinati fatti

o rapporti (stato e capacità delle persone, rapporti di famiglia: art. 17

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PARTE SECONDA

no le disposizioni relative alla querela; ed a norma dell'art. 128,

richiamato dall'art. 130 c.p., l'istanza è sottoposta ad un dop

pio termine (tre mesi dalla conoscenza del fatto-reato, tre anni

dalla presenza del colpevole nel territorio dello Stato). Nella

specie la conoscenza del fatto risale al 7 aprile 1992 e la prima istanza dei prossimi congiunti è del 15 aprile 1992; il Shoukry è stato presente in Italia dall'ottobre 1984 ali'aprile-maggio 1986,

poi allontanandosi dal territorio italiano e rimanendo, per sua

stessa ammissione, all'estero. Sussistono, pertanto, entrambe le

condizioni suesposte. Senza tralasciare di porre in rilievo che

il predetto è cittadino italiano (e cosi è applicabile la norma

contenuta nell'art. 9 c.p.: delitto comune commesso dal cittadi

no all'estero in danno di un cittadino, per il quale si applica la legge italiana sol che il colpevole si trovi nel territorio dello

Stato e sia prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non

inferiore nel minimo a tre anni), avendo conseguito la cittadi

nanza almeno dal 10 aprile 1985 (data di un certificato anagra fico del comune di Arezzo, luogo di residenza del Shoukry e

nelle cui liste elettorali è stato iscritto) ed avendo risposto alla

chiamata alle armi presso l'ufficio leva di Firenze in data 12

febbraio 1986, come risulta da documenti rilasciati dai compe tenti uffici ed acquisiti agli atti di altro procedimento penale

per analogo delitto a carico del medesimo indagato. Osserva la corte che il primo quesito da risolvere è quello

relativo allo status di cittadino italiano o meno del Shoukry, ai fini dell'applicazione della disciplina prevista dall'art. 9 ovve

ro dall'art. 10 c.p. L'art. 5 1. 21 aprile 1983 n. 123, che ha abrogato la norma

correlativa contenuta nella 1. 13 giugno 1912 n. 555 in quanto

incompatibile, stabilisce che è cittadino italiano il figlio mino renne, anche adottivo, di padre cittadino o di madre cittadina.

La norma previgente (art. 1) resta in vigore, astrattamente, nel

la parte in cui prevede che è cittadino per nascita il figlio di

madre cittadina se il padre è ignoto o non ha la cittadinanza

italiana né quella di altro Stato ovvero se il figlio non segue la cittadinanza del padre straniero secondo la legge dello Stato

al quale appartiene. Nel caso in esame è però da ritenersi palesemente falsa la

documentazione anagrafica acquisita, che si basa sulla trascri

zione presso il comune di Prato in data 6 settembre 1984 di

copia autentica dell'atto di nascita, rilasciata dal governatorato di Alessandria di Egitto il 12 luglio 1984 e che attesta esser

nato il Shoukry da Emira Scarselli, cittadina italiana. Costei

era stata sottoposta in epoca anteriore alla nascita dell'indagato

(anno 1953) ad intervento chirurgico ai genitali interni, si che

era impossibile che avesse figli: va dunque esclusa l'ipotesi che

il Shoukry possa essere cittadino italiano iure sanguinis. Il medesimo ha, poi, contratto matrimonio in Italia con Ma

rietta Rosi, cittadina italiana, in data 31 ottobre 1984: la 1. 21

aprile 1983 n. 123, entrata in vigore il 27 aprile 1983 e che

ha in parte sostituito la 1. 13 giugno 1912 n. 555, prevede che

il coniuge straniero di cittadino italiano acquisti la cittadinanza

italiana, quando risieda da almeno sei mesi nel territorio della

repubblica ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, con decreto del presidente della repubblica, previa istanza presenta ta al sindaco del comune di residenza ovvero alla competente autorità consolare. Nessun provvedimento presidenziale risulta

intervenuto, si che è da escludersi che il Shoukry abbia acqui stato la cittadinanza italiana iure matrimonii.

disp. prel. c.c.), il cittadino italiano abbia l'obbligo giuridico di unifor marsi alla legge italiana dovunque si trovi», v. Manzini, Trattato di dir. pen. it., 5a ed., Torino, 1981, I, 485.

Infine, merita di esser evidenziato come nel caso di specie si sia rite nuta proponibile l'istanza di procedimento da parte dei nipoti della vit tima in applicazione del disposto dell'art. 90, 3° comma, c.p.p., il qua le prevede che «qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facoltà e i diritti previsti dalla legge sono esercitati dai

prossimi congiunti di essa» (per la nozione di «prossimi congiunti», v. l'art. 307, 4° comma, c.p.). Su tale disposto, v., tra gli altri, Corde

rò, Procedura penale, Milano, 1991, 257 (per il quale «... in loco de

functi, sono ammessi i congiunti... con un possibile affollamento della

scena, ognuno essendo virtuale parte civile»); Ghiara, in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1989, I, 415; Amodio, in Commentario del nuovo codice di procedura penale diretto da Amodio e Dominioni, Milano, 1989, I, 548.

Il Foro Italiano — 1993.

Per altra causa si può acquistare detta cittadinanza e cioè

prestando il servizio militare; ma la legge (ora abrogata) 13 giu

gno 1912 n. 555 prevedeva come condizioni o che l'individuo

fosse nato in Italia o che fosse figlio di genitori quivi residenti

da almeno dieci anni al tempo della sua nascita, ovvero che

uno dei genitori: o l'avo paterno fosse stato cittadino per nasci

ta; e la 1. 5 febbraio 1992 n. 91, che ha abrogato quella n.

555/12, prevede (art. 4, 1° comma, lett. a, che lo straniero (o

l'apolide), del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti

in linea retta di secondo grado siano stati cittadini per nascita,

diviene cittadino se presta effettivo servizio militare per lo Stato

italiano e dichiara preventivamente di voler acquistare la citta

dinanza italiana. Nel caso in esame è assorbente la considera

zione che il Shoukry non ha «prestato» servizio militare, poi

ché, se pur abile arruolato all'esito della prescritta visita, è sta

to ammesso alla dispensa dal compiere la ferma di leva. Neppure

per tale causa, dunque, l'indagato ha acquistato la cittadinanza

italiana.

Stabilita, quindi, la condizione di straniero dell'indagato e

vertendosi in ipotesi di delitto comune commesso dallo stranie

ro all'estero, va applicata la disciplina contenuta nell'art. 10

c.p. La norma prevede che lo straniero che, fuori dei casi indi

cati dall'art. 7 (specifici reati commessi all'estero, tra i quali non rientra l'omicidio) e dall'art. 8 c.p. (delitto politico com

messo all'estero), commette in territorio estero a danno dello

Stato o di un cittadino un delitto per il quale la legge italiana

stabilisce l'ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo

ad un anno, è punito secondo la legge medesima, sempre che

si trovi nel territorio dello Stato e vi sia richiesta del ministro

della giustizia, ovvero istanza o querela della persona offesa

(1° comma). Se il delitto è commesso in danno di uno Stato

estero o di uno straniero, il colpevole è punito secondo la legge italiana a richiesta del ministro della giustizia, sempre che si

trovi nel territorio dello Stato, si tratti di delitto per il quale è stabilita la pena dell'ergastolo ovvero la reclusione non infe

riore ad un minimo di tre anni e l'estradizione non sia stata

concessa ovvero non sia stata accettata dal governo dello Stato

in cui ha commesso il delitto o da quello al quale appartiene

(2° comma). La norma fonde e contempera i principi di universalità (tutte

le fattispecie penali di un dato ordinamento non hanno limite

spaziale) e di territorialità (le fattispecie penali di un certo ordi

namento hanno un limite spaziale al di fuori del quale non han

no rilevanza alcuna). Questo secondo principio è la regola fon

damentale dell'ordinamento giuridico penale italiano: sancito da

gli art. 3 (obbligatorietà della legge penale per cittadini o stranieri

che si trovino nel territorio dello Stato, in linea generale) e 6

c.p. (chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è

punito secondo la legge italiana), trova peraltro delle eccezioni

negli art. 7 (determinati reati commessi all'estero, tra cui quelli contro la personalità dello Stato), 8 (delitto politico commesso

all'estero), 9 (delitto comune del cittadino all'estero) e 10 c.p.

(delitto comune dello straniero all'estero). Il caso in esame s'in

quadra nel paradigma del citato 1° comma dell'art. 10 c.p., essendo chiamato a rispondere il Shoukry di omicidio pluriag

gravato per il quale la legge italiana stabilisce la pena dell'erga

stolo; occorre dunque esaminare — si stabilirà poi se ai fini

della punibilità o della procedibilità — se sussistano le condi

zioni previste e cioè la sua presenza nel territorio dello Stato

(art. 4, 2° comma, c.p.) e la tempestiva richiesta del ministro

della giustizia (art. 128 c.p.), ovvero la tempestiva istanza (art. 130 c.p.) della persona offesa, considerando a quest'ultimo ri

guardo la norma introdotta dall'art. 90, 3° comma, del vigente

c.p.p. che prevede che, qualora la persona offesa sia deceduta

in conseguenza del reato (come nel caso in esame), le facoltà

e i diritti previsti dalla legge sono esercitati dai prossimi con

giunti (art. 307, 4° comma, c.p.) della medesima.

Le condizioni sono intimamente collegate in quanto il 2° com

ma dell'art. 128 c.p. (e la prima parte dell'art. 130 c.p. che

adesso si riporta per identica disciplina) stabilisce che, quando la punibilità di un reato commesso all'estero dipende dalla pre senza del colpevole nel territorio dello Stato, la richiesta (rego lata proceduralmente dall'art. 342 c.p.p. e presentata al p.m. con atto sottoscritto dall'autorità competente, mentre l'istanza

è regolata dall'art. 341 c.p.p. ed è avanzata dalla persona offe

sa con le forme della querela, della quale inoltre si applicano

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GIURISPRUDENZA PENALE

le disposizioni in ordine alla capacità ed alla rappresentanza a norma dell'art. 130, ultima parte, c.p.) non può essere più

proposta decorsi tre anni dal giorno in cui il colpevole si trova

nel territorio dello Stato. La norma in esame, per vero, prevede

anche, al 1° comma, che la richiesta non può essere più propo sta decorsi tre mesi dal giorno in cui l'autorità ha avuto notizia del fatto che costituisce reato. I due diversi e distinti termini

non si sovrappongono, poiché distinte e differenziate sono le

ipotesi contemplate: il 1° comma regola, in genere, il termine

della richiesta per un reato che la preveda per la «punibilità» — secondo l'espressione della legge — (tre mesi dal momento

in cui il ministro della giustizia ha avuto notizia del reato: ne sono esempi le fattispecie contemplate negli art. 296, 297, 298

nei limiti del riferimento alle due precedenti norme e 299 c.p. — art. 313, ultimo comma, c.p. — e 127 c.p.); il 2° comma

regola la specifica ipotesi del reato commesso all'estero che pre vede per la sua «punibilità» la richiesta entro tre anni dal gior no in cui il colpevole si trova nel territorio dello Stato, termine non collegato alla conoscenza della notitia criminis (è il caso

del reato in esame); e l'intera disciplina è parimenti e rispettiva mente applicabile alla «punibilità» del reato dipendente dall'i

stanza, per il rinvio contenuto nell'art. 130 c.p. Non si richiede,

poi, dal nostro ordinamento la doppia incriminazione (in Italia

e nello Stato estero in cui viene posto in essere il fatto), condi

zione che è invece prevista per l'estradizione (art. 13,2° comma

c.p.). E se il problema, astrattamente, può porsi in via di mera

ipotesi per il 2° comma dell'art. 10 c.p. (delitto commesso a

danno di uno Stato estero o di uno straniero) che tra le condi

zioni richiama quella negativa dell'estradizione del colpevole non

concessa, ovvero non accettata dal governo dello Stato in cui

ha commesso il delitto o da quello dello Stato a cui appartiene, non rileva certo in fattispecie, come quella in oggetto, ricadente

nel 1° comma della citata norma, che nessun riferimento con

tiene all'istituto dell'estradizione. Del resto, il principio di lega lità (art. 1 c.p.) è rispettato quando il fatto è espressamente

preveduto come reato dalla legge italiana e non si può imporre — eventualmente la questione può essere oggetto di convenzio

ne internazionale — a ciascuno Stato di allineare le proprie va

lutazioni di politica criminale a quelle di uno Stato estero; sen

za contare che non è concettualmente ipotizzabile la doppia in

criminazione nei casi previsti dagli art. 7 e 8 c.p. ed è addirittura

impossibile quando il delitto si sia verificato in luogo, ad esem pio in mare libero, non soggetto alla sovranità di alcuno Stato.

Piuttosto, un altro aspetto del problema è rilevante nel caso

di reato commesso all'estero in danno di un cittadino italiano, reato che se commesso in Italia sia procedibile a querela e per il quale vi sia stata la richiesta del ministro della giustizia: se si richieda altresì' la querela della persona offesa. La soluzione

più aderente alla logica dell'impostazione del nostro sistema pe nale induce a dare risposta positiva: se la legge ha inteso sotto

porre alla valutazione dell'interessato (quindi per offese che non

sono dirette contro la collettività) la richiesta di punizione di

un fatto, non si giustifica, stante ì'eadem ratio, un trattamento

differenziato per fattispecie poste in essere in territorio estero

(arg. anche ex art. 8, 2° comma, c.p.). Ma ciò che a tal punto è rilevante è lo stabilire se la richiesta,

l'istanza e la querela e la presenza dello straniero nel territorio

dello Stato debbano ritenersi condizioni obiettive di punibilità ovvero condizioni di procedibilità.

La questione è di fondamentale importanza per l'oggetto del

ricorso: ove si tratti di condizioni di punibilità, sia che esse si

ritengano elemento integrativo del reato sia che si ritengano ele

mento estrinseco la cui presenza è necessaria per l'esercizio del

diritto punitivo dello Stato, l'accertamento della sussistenza non

può che attenere al merito ed è quindi verificabile con un proce dimento destinato a sfociare in un giudizio irrevocabile (giudi cato) di consunzione, con conseguente divieto (ne bis in idem) di un secondo giudizio (art. 649 c.p.p.); ove si tratti di condi

zioni di procedibilità, nessuna incidenza esse hanno sull'esito

del giudizio in quanto, accertata la mancanza (da cui discende

l'archiviazione o il proscioglimento), non consegue il divieto di riproponibilità dell'azione penale (art. 345 c.p.p.). Per altro verso, nel primo caso lo ius puniendi è esercitabile finché il reato non

si prescrive (art. 158 c.p.), nel secondo la procedibilità dell'a

zione penale è soggetta al termine di decadenza (tre anni dalla

Il Foro Italiano — 1993.

presenza del colpevole nel territorio italiano) previsto dall'art.

10, 1° comma, c.p. e, correlativamente, mentre il corso delia

prescrizione può essere sospeso (art. 159 c.p.) od interrotto (art. 160 c.p.), il decorso del termine previsto a pena di decadenza

comporta la preclusione dell'esercizio dell'azione penale (arg. ex art. 128, 2° comma, c.p. e 173, 2° comma, c.p.p.), salva la restituzione nel termine ove la parte interessata provi di non

averlo potuto osservare per caso fortuito o per forza maggiore

(art. 175 c.p.p.). La questione è variamente risolta in dottrina, pur con il pre

valente indirizzo ad accogliere la tesi dell'essere condizioni di

procedibilità la richiesta, l'istanza e la querela, nonché la pre senza del colpevole nello Stato, prevista dall'art. 10 cit.; e con

solidato è l'orientamento della giurisprudenza di questa Corte

suprema in quest'ultimo senso.

Del resto, le oscillazioni dottrinarie, in larga parte determina

te dal non avere il legislatore definito (arg. ex art. 44 c.p.) la

condizione obiettiva di punibilità, dalla sedes materiae (argo mento, peraltro, niente affatto decisivo, ma che può fuorviare) contenuta nel codice penale (art. 8, 9, 10, 11, 120, 124, 127,

128, 130, 131) e dalla terminologia promiscua (punibilità e pro cedibilità sovente espressioni concettualmente confuse, per uso

improprio, nelle norme citate) impongono per una corretta so

luzione del problema la verifica della scelta adottata in concreto nel sistema normativo, al di là di formulazioni lessicali ambigue od almeno ambivalenti.

Orbene, l'art. 50 c.p.p. prescrive che il pubblico ministero

«esercita» l'azione penale quando non sussistono i presupposti

per la richiesta di archiviazione (1° comma); di ufficio, quando non è necessaria la querela, la richiesta, l'istanza o l'autorizza zione a procedere (2° comma). L'art. 366 c.p.p. stabilisce che

la querela è proposta mediante la manifestazione di volontà che

«si proceda» in ordine ad un «fatto previsto dalla legge come

reato»; analogamente è previsto (art. 341 c.p.p.) per l'istanza

di procedimento; e la «richiesta di procedimento» è regolata dall'art. 342 c.p.p. L'art. 345 c.p.p., nel regolare la «riproponi bilità dell'azione penale» per «difetto di una condizione di pro cedibilità» annovera al 1° comma espressamente tra queste la

richiesta, l'istanza e la querela. La stessa disposizione si applica

(2° comma) quando il giudice accerta la mancanza di una con

dizione di procedibilità diversa da quelle indicate nel 1° com

ma. Infine, l'art. 346 c.p.p. stabilisce che (fermo quanto previ sto dall'art. 343 c.p.p. per l'autorizzazione a procedere) in man

canza di una «condizione di procedibilità» che può ancora

sopravvenire possono essere compiuti gli atti d'indagine preli minare necessari ad assicurare le fonti di prova e, quando vi

è pericolo di ritardo, può procedersi ad incidente probatorio

(art. 392 c.p.p.). Coordinando tali norme e correlandole alla normativa conte

nuta nel codice penale (art. 8-10 e 120-131), la richiesta, l'istan

za e la querela risultano regolate nel sistema penalistico quali condizioni che non attengono alla struttura del fatto-reato od

alla sua punibilità, bensì' alla procedibilità dell'azione penale che

attua il diritto punitivo dello Stato. Ma che tali requisiti abbia anche l'altra condizione prevista dall'art. 10 c.p. (la presenza dello straniero nel territorio dello Stato) non può a questo pun to automaticamente affermarsi, prima di esaminare come si at

teggia lo stesso sistema normativo.

Sul punto, peraltro, la legge non offre spunti a diverse inter

pretazioni: espressamente l'art. 10 c.p., come del resto gli art.

6, 7, 8 e 9 che lo precedono, prevede il caso di chi «commette

in territorio estero» un delitto (per il quale la legge italiana sta

bilisce l'ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo ad

un anno, con riferimento al 1° comma). E che tale fatto-reato

debba considerarsi vivo ed altresì' vitale (vale a dire non sotto

posto al verificarsi di condizione per la punibilità) si ricava dal capoverso dell'art. 11 c.p., che costituisce riscontro della tesi

che si sostiene stabilendo che nei casi indicati negli art. 7, 8, 9 e 10 il cittadino o lo straniero che sia stato giudicato all'estero

è nuovamente giudicato nello Stato, qualora il ministro della

giustizia ne faccia richiesta; senza, cioè, la necessità di alcun

elemento (condizione) che integri o perfezioni il reato ai fini della punibilità: ciò è conferma che la presenza dello straniero

richiesta dall'art. 10 c.p. è normativamente strutturata come con

dizione di procedibilità, soggetta quindi alle regole pro

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Page 6: sezione I penale; sentenza 19 ottobre 1992; Pres. Carnevale, Est. Gemelli, P.M. (concl. conf.); ric. P.m. in c. Shoukry. Conferma Trib. Firenze, ord. 27 maggio 1992

PARTE SECONDA

prie di questa, e l'inizio di tale presenza costituisce, quindi, il

dies a quo di decorrenza del termine (non soggetto per quanto si è precisato a sospensioni o ad interruzioni) per l'esercizio del

l'azione penale. Fissando l'inizio della presenza in Italia del Shoukry ad epo

ca incontestabile perché sorretta dalla prova del suo matrimo

nio con Marietta Rosi, celebratosi il 31 ottobre 1984, non può che concludersi che le istanze dei prossimi congiunti, nipoti del

la vittima, risalenti al 15 aprile 1992 (Tirelli) ed al 5 maggio 1992 (Verzellesi) sono tardive in quanto avanzate dopo il decor

so del termine massimo di tre anni dal giorno (31 ottobre 1984) costituente data certa della presenza dello straniero nel territo

rio dello Stato.

Pertanto, va rigettato il ricorso del p.m.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; ordinanza 22

settembre 1992; Pres. Accinni, Rei. Simoncelli, P.M. Gera

ci (conci, diff.); ric. Girombelli e altri.

Amnistia, indulto e grazia — Amnistia tributaria — Applicabi lità — Condizioni (D.p.r. 20 gennaio 1992 n. 23, concessione

di amnistia per reati tributari, art. 1).

Al di fuori delle eccezioni espressamente previste, non trova

applicazione l'amnistia per reati tributari stabilita dal d.p.r. 20 gennaio 1992 n. 23, nel caso in cui l'interessato abbia pre sentato nei termini prescritti la richiesta dichiarazione inte

grativa, ma non abbia successivamente provveduto anche al

pagamento di quanto dovuto a titolo di condono fiscale. (1)

(1) Con questa pronuncia la Corte suprema prende posizione sulle

condizioni necessarie perché possa essere concessa l'applicazione del l'ultimo provvedimento di amnistia per reati tributari, previsto dal d.p.r. 20 gennaio 1992 n. 23, in base alla legge delega 30 dicembre 1991 n. 413 (in particolare, art. 67 e 68).

Al riguardo, il dato di maggior rilievo della decisione consiste nell'af fermata necessità, non solo della prescritta presentazione della dichiara zione integrativa prevista dalla citata 1. 413/91, bensì anche dell'ulterio re versamento delle somme dovute come conseguenza del ricorso al be neficio del condono fiscale. Ciò al di fuori delle eccezioni esplicitamente indicate dal medesimo provvedimento di amnistia all'art. 1, 2° comma, lett. a) e b), che tuttavia, sul piano argomentativo, vengono assunte

quale ulteriore conferma della diversa portata della regola generale. Nel giustificare l'imprescindibilità del pagamento degli importi risul

tanti dalla dichiarazione integrativa, la motivazione della sentenza si richiama in termini critici ad una diversa opinione implicitamente ravvi sata nell'ambito di una precedente decisione della stessa sezione della Corte suprema, pronunciata in data 4 giugno 1992 (pres. Glinni, est.

Fiorenza, e riportata in Fisco, 1992, 8019, nonché in Corriere trib., 1992, 3187 ss.). Al di là di quanto affermato dalla presente sentenza, dal testo di quest'ulteriore provvedimento non sembrano in realtà emer

gere gli estremi di una vera e propria contrapposizione di vedute: nel valutare la documentazione presentata dall'interessato, che nella specie consisteva in copia della dichiarazione integrativa, nonché nelle attesta zioni di pagamento dei relativi importi, il collegio si limita infatti ad osservare che «l'adempimento degli obblighi, risultante dalla suindicata

documentazione, è sufficiente ad integrare la condizione, prevista dal l'art. 1, 3° comma, d.p.r. n. 23 del 20 gennaio 1992, per l'applicazione dell'amnistia tributaria» (loc. ult. cit.).

Certamente, molto più univoco ed evidente appare invece il contrasto

rispetto a Trib. Lucca 8 giugno 1992, ibid., 3196: nella motivazione di questa decisione si manifesta infatti l'opinione «che il tenore letterale del decreto sopra citato consenta di pervenire a declaratoria di estinzio ne del reato per il solo realizzarsi della condizione dell'avvenuta presen tazione della dichiarazione integrativa, indipendentemente dal pagamento delle imposte dovute». A ciò si aggiunge, inoltre, che «il fatto che la validità del condono sia subordinata anche al versamento delle imposte

Il Foro Italiano — 1993.

Premesso. — Che tutti e tre i ricorrenti hanno presentato dichiarazioni integrative ai fini dell'Iva e delle imposte dirette, come da documentazione prodotta in allegato al motivo aggiun to per la Girombelli e alle note di udienza per il Barbieri e il Degli Espositi, presentati rispettivamente P8 e il 15 settembre

1992. Osserva. — La presentazione della dichiarazione integrativa

da parte di due degli imputati nel presente procedimento non

esaurisce le condizioni necessarie per rendere operante l'amni

stia ex d.p.r. 22 gennaio 1992 n. 23, con riferimento al delitto

contestato, giacché, a parere del collegio, il principio generale che ispira il decreto di clemenza in questione è quello per cui

evase, secondo il dettato dell'art. 32 1. 413/91 è circostanza che va ri

guardata sotto l'aspetto fiscale ma non anche ai fini penali ove la di chiarazione integrativa, presentandosi in definitiva come una sorta di

autodenuncia è sufficiente a produrre gli effetti estintivi del reato. D'al

tra parte, sul piano del tributo nulla verrà a perdere l'erario posto che

proprio sulla base di detta istanza di definizione, irrevocabile, potrà

procedersi all'iscrizione a ruolo delle imposte dichiarate come non

versate». L'attuale puntualizzazione della Corte suprema ha subito suscitato

un certo interesse in dottrina. Aderendo sostanzialmente a quanto af fermato nella citata decisione del Tribunale di Lucca, alcuni autori han

no ritenuto di dover comunque escludere la stretta necessità, ovviamen te ai soli fini dell'applicazione dell'amnistia, del preventivo pagamento degli importi indicati in sede di dichiarazione integrativa: in questo sen

so, commentando la presente sentenza della Cassazione, v. soprattutto Corso, Mancato pagamento dell'imposta e operatività dell'amnistia, id., 1992, 3182 ss.; in termini analoghi, con riguardo alla pronuncia del Tribunale di Lucca, v. altresì Traversi, in Fisco, 1992, 9226; in prece denza, v. anche Brighenti, L'amnistia per reati tributari collegata al

condono, in Bollettino trib., 1992, 264; Centore, La concessione di

condono e il provvedimento di amnistia, in Corriere trib., 1992, 323. Si sono invece espressi in senso conforme alle conclusioni affermate

dalla pronuncia in epigrafe, Cerqua, La subordinazione dell'amnistia

all'adempimento dell'onere tributario, in Fisco, 1992, 10993 ss.; Mar

ra, Amnistia dei reati tributari solo con il pagamento dell'imposta, ibid., 11222 ss. Di analogo avviso, in precedenza, v. anche Drigani, Amni

stia per i reati tributari, in Le circolari del Corriere tributario, n. 1/92, XXIV; Gennai, Amnistia per i reati tributari. È necessario il pagamen

to?, in Fisco, 1992, 4138 ss.; Izzo, Amnistia dei reati in materia di

imposte dirette, ibid., 1327 ss.; Id., Amnistia tributaria senza pagamen to fra esigenze di semplificazione processuale e spunti ermeneutici osta

tivi, ibid., 6747 ss. Conforme risulta anche il commento avanzato ri

spetto alla presente decisione da parte di Caraccioli, Condono. Per la Cassazione niente amnistia senza pagamento, ibid., 10041, il quale tuttavia, riconoscendo l'esigenza di procedere ad una valutazione diffe renziata per ogni singola fattispecie, rispetto all'ipotesi presa in consi derazione dalla presente sentenza, e corrispondente al delitto di cui al l'art. 4, n. 1,1. 516/82, in altra sede ha ritenuto che la necessità dell'av venuto versamento delle somme dovute a titolo di condono possa essere

esclusa laddove la situazione giudicata sia concretamente riconducibile all'ulteriore eccezione prevista al 3° comma del medesimo art. 1 d.p.r. 23/92, per i reati commessi dai sostituti d'imposta (v. Caraccioli, in

Legislazione pen., 1992, 241). Modificando la diversa opinione espressa in precedenza (Caraccioli, L'amnistia spingerà il condono, suppl. de Il Sole 24 Ore del 17 dicembre 1991), questo stesso autore ha inoltre escluso che la condizione dell'avvenuto pagamento delle somme indica te in sede di dichiarazione integrativa possa essere richiesta per le ipote si disciplinate all'art. 1, 2° comma, lett. a), d.p.r. 23/92. Per maggiori dettagli su queste singole eccezioni si rinvia comunque all'insieme degli scritti innanzi citati.

Nel motivare la presente decisione la Corte suprema si richiama an che ad una pretesa «normalità della funzione "retributiva" delle amni stie per i reati fiscali», dalla quale conseguirebbe, come corollario im

plicito, la necessaria previsione di una correlazione diretta fra conces sione dell'amnistia e «rientro economico» in favore dell'erario. A tale

riguardo ci si richiama principalmente a Corte cost. 31 marzo 1988, n. 369, Foro it., 1989, I, 3383; 26 febbraio 1981, n. 33, id., 1981, I, 913; 29 maggio 1974, n. 154, id., 1974, I, 2258. Il punto non è tuttavia apparso meritevole di particolare valore argomentativo, in quanto basato su profilo che risulta intimamente connesso alle caratteristiche

specifiche di ogni singolo provvedimento di amnistia, e quindi non su scettibile di essere assunto in termini generali ed assoluti. A dimostra zione di ciò, si ricorda, ad esempio, l'ulteriore decisione della Corte costituzionale (ord. 22 ottobre 1987, n. 340, id., 1988, I, 2469), con la quale è stata rigettata una analoga questione di legittimità, avanzata

rispetto all'amnistia di cui al d.p.r. 525/82 e fondata sulla mancata

previsione, quale condizione necessaria alla concessione dell'amnistia, del preventivo adempimento del debito d'imposta (per questi ulteriori

richiami, v. ancora Corso, op. loc. cit.).

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