sezione I penale; sentenza 19 ottobre 1992; Pres. Carnevale, Est. Gemelli, P.M. (concl. conf.); ric.P.m. in c. Shoukry. Conferma Trib. Firenze, ord. 27 maggio 1992Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 5 (MAGGIO 1993), pp. 279/280-287/288Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187987 .
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PARTE SECONDA
comporta il prosieguo delle indagini, il rigetto impone al p.m. la formulazione di una delle richieste di cui all'art. 405 c.p.p.
Deve, inoltre, rilevarsi che l'ordinanza sulla proroga conclu
de un procedimento strutturato secondo canoni di massima snel
lezza e semplicità, in cui la fissazione dell'udienza camerale ed
il contraddittorio orale sono previsti ex art. 406, 4° e 5° com
ma, per la sola ipotesi in cui il g.i.p. ritenga la richiesta del p.m. non accoglibile allo stato degli atti, e, a norma dell'art.
533 c.p.p., sono comunque esclusi nel procedimento dinanzi al
pretore (Cass., sez. un., 29 maggio 992, P.m. c. soc. Pirelli).
Inoltre, come già rammentato, tale criterio di semplificazione è stato ancor più accentuato per i più gravi delitti enumerati
nell'art. 51 c.p.p. rispetto ai quali il 5° comma bis dell'art. 406,
introdotto dal cit. d.l. n. 306 del 1992, bandisce ogni forma
di contraddittorio sia scritto che orale. Ne deriva che le norme
da ultime citate, non contenendo alcun rinvio al cit. art. 127
c.p.p., non esprimono alcun dato testuale da cui possa dedursi
l'esperibilità, nelle ipotesi da esse considerate del ricorso per cassazione. E tale rilievo è confermato dal fatto che una senten
za di questa corte (sez. I n. 2543 del 1992 cit.) ha ritenuto im
pugnabile l'ordinanza de plano emessa a norma dell'art. 406, 4° comma, c.p.p., sotto il profilo dell'estensione analogica del
l'asserita ricorribilità dell'ordinanza adottata nell'udienza came
rale di cui al comma successivo, che, invece, costituisce proprio il thema demonstrandum.
In questo contesto normativo, la tesi favorevole alla proponi bilità del ricorso avverso l'ordinanza da ultimo indicata si rivela
infondata sia perché non è dato comprendere i motivi per i qua li tale rimedio sia esperibile soltanto in tal caso, sia per l'assen
za di posizioni soggettive dell'indagato necessariamente tutela
bili attraverso l'immediata proposizione di questo rimedio sia,
infine, perché questo si risolverebbe in un appesantimento del
sistema inconciliabile con quei criteri di semplificazione e di ra
pidità che informano il modulo procedimentale in oggetto. È pur vero che il regime della durata delle indagini prelimina
ri — in cui si iscrive la disciplina della proroga — oltre all'esi genza di assicurare la tempestività delle investigazioni, ha di
mira anche l'interesse dell'indagato a che tale sua condizione
sia contenuta in un lasso di tempo predeterminato (Corte cost.
15 aprile 1992, n. 174, id., 1992, I, 1995). Tuttavia, quest'ultimo interesse, nel sistema del codice, non
rileva a livello d'impugnazione, ma trova il suo naturale ed effi
cace presidio, a norma dell'art. 407, 3° comma, c.p.p., nell'i
nutilizzabilità degli atti d'indagini compiuti dopo la scadenza
del termine, nonché nella possibilità d'interloquire, attraverso
il contraddittorio e nei limiti in cui questo sia consentito, sulla
durata delle stesse indagini.
È, infine, da rilevare, per quanto attiene al secondo profilo, che la regola della non impugnabilità dell'ordinanza sulla pro
roga pronunziata a norma dell'art. 406, 5° comma, c.p.p., si
armonizza con l'orientamento di questa corte contrario alla espe ribilità del ricorso per cassazione avverso altri provvedimenti riservati al g.i.p., che si avvicinano all'ordinanza in esame per la identità o la somiglianza degli effetti giuridici, ovvero che
producono conseguenze ancor più incisive sulla posizione del
l'indagato.
Invero, la più recente giurisprudenza di questa corte afferma
la non ricorribilità dell'ordinanza con la quale il g.i.p., a norma
dell'art. 409 c.p.c. indica al p.m., che abbia richiesto l'archivia zione — magari proprio a seguito di un precedente diniego del la proroga — le ulteriori indagii necessarie per l'esercizio dell'a
zione penale, fissando, nel contempo, un termine per il loro
compimento; termine che, come sottolineato dalla dottrina, può
implicare anche il superamento di quello fissato per le udienze
preliminari, cosi che la relativa assegnazione si risolve in una
proroga di quest'ultimo (Cass., sez. V, 19 marzo 1992, Marri
no; sez. I 31 marzo 1992, Reale ed altri). D'altra parte, anche
la giurisprudenza che ammette l'impugnabilità di tale ordinanza
la circoscrive ai soli vizi enumerati nel 5° comma dell'art. 127
c.p.p. (mancato avviso della data dell'udienza camerale ed omessa
audizione delle parti e dei difensori) con esclusione dei vizi di motivazione e, a fortiori, dei vizi attinenti alla richiesta del prov vedimento da adottare, quali invece sono quelli nella specie de
dotti avverso l'ordinanza impugnata (Cass., sez. VI, 26 maggio
1990, Tonellotto; sez. I 11 luglio 1991, Surtiwan).
Il Foro Italiano — 1993.
Del pari non impugnabile è stata ritenuta l'ordinanza pro nunziata sulla richiesta d'incidente probatorio, nonostante che
il provvedimento di rigetto incida sull'interesse dell'indagato istan
te in misura incomparabilmente maggiore dell'ordinanza con
cessiva della proroga delle indagini ed ancorché tale rigetto pos sa aver riflessi sulla libertà personale (Cass., sez. I, 30 settem
bre 1991, Zancheddu; 5 marzo 1991, Fercussi; 26 febbraio 1990,
Tavoletta, id., 1990, II, 482). Ancora non ricorribile, secondo
la giurisprudenza di questa corte, è il decreto con il quale il
g.i.p. proroga i termini delle indagini preliminari per l'espleta mento dell'incidente probatorio, anche se tale proroga, nel caso
previsto dall'art. 392, 2° comma, c.p.p., possa prolungare i ter
mini in misura anche rilevante (cfr. Cass., sez. I, 20 marzo 1992,
Modeo ed altri). Infine, è stata esclusa la proponibilità del ri
corso anche contro il provvedimento con il quale il g.i.p. rigetta l'istanza del p.m. di riaprire le indagini dopo la disposta archi
viazione (Cass. 1° giugno 1990, Vianello, id., 1991, II, 382). Devesi peraltro ribadire che l'inammissibilità del ricorso per
cassazione avverso l'ordinanza di proroga delle indagini preli minari non pregiudica il diritto dell'indagato di fare valere i vizi verificatisi nel relativo procedimento, potendo tali vizi esse
re comunque eccepiti nell'udienza preliminare, al fine di fare
dichiarare l'inutilizzabilità degli atti di indagine effettuati nel termine prorogato (Cass., sez. I, 17 marzo 1992, Ballerini). Del
pari, non resta senza tutela l'interesse pubblico al promovimen to dell'azione penale, potendo tale interesse essere perseguito o a norma dell'art. 409, 4° comma c.p.p., attraverso l'indica
zione, da parte del g.i.p., investito dalla richiesta di archiviazio
ne, di un termine indispensabile per lo svolgimento di ulteriori
indagini, o a norma dell'art. 414 attraverso la riapertura delle
indagini. L'inammissibilità del ricorso per cassazione avverso il prov
vedimento concessivo della proroga preclude a questa corte l'e
same dei motivi dei ricorsi concernenti sia la questione della
competenza sia la declaratoria d'inammissibilità dell'istanza di
proscioglimento degli indagati a norma dell'art. 129 c.p.p. In
vero, le statuizioni al riguardo, contenute nell'impugnata ordi
nanza, non hanno rilevanza autonoma ma carattere strumentale
rispetto alla pronunzia finale di concessione della proroga e,
pertanto, al pari di questa, non sono in questa sede impugnabili.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 19 otto
bre 1992; Pres. Carnevale, Est. Gemelli, P.M. (conci, conf.); ric. P.m. in c. Shoukry. Conferma Trìb. Firenze, ord. 27 mag
gio 1992.
Querela, richiesta, istanza — Richiesta e istanza di procedimen to — Termine (Cod. pen., art. 9, 10, 128, 130).
I due diversi e distinti termini stabiliti dall'art. 128 c.p. per la richiesta di procedimento non si sovrappongono poiché di
stinte e differenziate sono le ipotesi contemplate da tale nor
ma; infatti il 1° comma regola, in genere, il termine della
richiesta per un reato che la preveda per la sua «punibilità» (tre mesi dal momento in cui il ministro della giustizia ha avuto notizia del reato); il 2° comma, invece, regola la speci
fica ipotesi del reato commesso all'estero la cui punibilità di
penda dalla presenza del reo nel territorio dello Stato e preve de che in tal caso la richiesta non può essere più proposta decorsi tre anni dal giorno in cui il colpevole si trova nel territorio dello Stato; la suddetta disciplina, poi, trova appli cazione anche nel caso in cui la «punibilità» del reato dipen da dalla proposizione dell'istanza della persona of
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GIURISPRUDENZA PENALE
fesa, in virtù del rinvio alle disposizioni relative alla richiesta
operato dall'art. 130. (1)
Il g.i.p. del Tribunale di Firenze in data 7 maggio 1992 ha
applicato a Shoukry Tarek la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di omicidio volontario pluriaggravato in danno di Odetta Verzellesi, commesso al fine di assicurarsi
il profitto del reato di appropriazione indebita di una somma
elevata di danaro in danno della stessa, uccisa in Alessandria
di Egitto in epoca anteriore e prossima al 3 luglio 1983. Il di fensore del suddetto ha proposto impugnazione davanti al Tri
bunale del riesame di Firenze, che in data 27 maggio 1992 ha
annullato il provvedimento del g.i.p. ed ha disposto la libera
zione dell'indagato se non detenuto per altra causa.
Avverso l'ordinanza del Tribunale di Firenze ha proposto ri
corso il p.m. sostenendo la validità delle istanze di punizione
(1) La sentenza si segnala per la particolarità della fattispecie consi derata e per l'ampiezza dell'esame condotto dalla corte che ha «riper corso», anche se spesso «incidentalmente», molte delle problematiche che si agitano in tema di punibilità dei reati commessi all'estero.
Procedendo per gradi ed avendo anzitutto riguardo alla questione di diritto che la Cassazione era direttamente chiamata a decidere, e che ha risolto nel senso di cui in massima, va osservato che in ordine alla stessa si rinvengono numerosi precedenti nella giurisprudenza di
legittimità; tra le decisioni più recenti, cfr. Cass. 8 marzo 1989, Trivel
lato, Foro it., Rep. 1991, voce Querela, richiesta, istanza, n. 15, che ha sostenuto che «il termine di tre mesi "dalla notizia del fatto", previ sto dall'art. 128, 1° comma, c.p., per la richiesta di procedimento, non è riferibile ai casi in cui, trattandosi di reati commessi all'estero, sia necessaria anche la presenza del colpevole nel territorio dello Stato; in tale ipotesi il termine per proporre la richiesta è di tre anni dal gior no della presenza del reo nel territorio italiano, pur quando la notizia del reato sia pervenuta all'autorità da oltre tre mesi»; Cass. 19 maggio 1983, Tauber, id., Rep. 1984, voce cit., n. 17, secondo la quale «il termine di tre mesi per proporre la richiesta di procedimento ex art.
128, 1° comma, c.p. non è riferibile ai reati commessi all'estero, per i quali è necessaria la presenza del colpevole nel territorio dello Stato» in quanto «per tali reati il termine valido è quello di tre anni previsto dal 2° comma della stessa norma, con decorrenza dal momento in cui il colpevole si trova, appunto, nel territorio dello Stato».
In dottrina, il punto è oggetto di contrasto; in senso favorevole al l'indirizzo prevalente nella giurisprudenza della Cassazione, v. Guar
nera, Il problema dei termini della richiesta, della istanza e della quere la per i delitti commessi all'estero e della natura giuridica della condi
zione della presenza del colpevole nel territorio dello Stato, in Giust.
pen., 1960, fase. 12 bis, 142, mentre per un diverso avviso, cfr. Batta
glimi, Delitto commesso dal cittadino all'estero e termine per l'istanza della persona offesa, id., 1954, II, 306, che, tra l'altro, osserva che «se l'art. 128 assoggettata la richiesta, e pertanto l'istanza della persona offesa, al termine di tre mesi dal giorno in cui si è avuta notizia del fatto e se la disposizione stessa non fa eccezione o riserve, non si com
prende perché il termine di decadenza dovrebbe mutare quando concor re l'altra condizione di punibilità e di procedibilità» della presenza del
colpevole nel territorio dello Stato, aggiungendo che «qualora vi sia la presenza del reo nel territorio dello Stato e ciononostante non si sia ancora avuta notizia del fatto, la disposizione del 2° comma del l'art. 128 tende ad impedire il promovimento dell'azione penale se sia no trascorsi comunque tre anni dall'inizio della suddetta presenza» e che «questo è l'unico coordinamento preveduto dal codice fra le due condizioni...».
Un'ulteriore affermazione di «spessore» dogmatico operata dalla Cas sazione nella sentenza de qua è quella secondo cui la presenza dello straniero nel territorio dello Stato, richiesta dall'art. 10 c.p. per la puni bilità di costui per delitti comuni commessi all'estero, sarebbe struttura ta come condizione di procedibilità. Un siffatto assunto, invero, è tut
t'altro che pacifico in dottrina; al riguardo, e premesso che la relativa
problematica, ponendosi anche per i delitti comuni commessi dal citta dino all'estero nei casi di cui all'art. 9 c.p., riguarda più in generale la presenza del «reo» nel territorio dello Stato, sembra utile rammenta
re, come, da un lato, Mantovani, Diritto penale, parte generale, 3*
ed., Padova, 1992, 816, consideri siffatta presenza quale condizione
di punibilità, e, dall'altro, Padovani, Diritto penale, Milano, 1990, 74,
ritenga preferibile la tesi secondo cui essa costituisce una condizione
di procedibilità, sul rilievo che «aderendo alla tesi della condizione di
punibilità si dovrebbe ammettere che il difetto della presenza del reo
implichi la pronuncia di una sentenza di merito, destinata a precludere il successivo esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto (art. 649
c.p.p.), mentre, aderendo alla tesi della condizione di procedibilità, si
tratterebbe di una decisione meramente processuale, sprovvista di effet
ti preclusivi (art. 354 c.p.p.)».
Il Foro Italiano — 1993.
avanzate dai nipoti della vittima, Bruno Tirelli, Gianni e Gior
gio Verzellesi, a norma dell'art. 90, 3° comma c.p.p.; e ne ha
chiesto l'annullamento. Deduce che i prossimi congiunti della
persona deceduta in conseguenza di un reato, sulla base del con
tenuto della citata norma, hanno legittimazione iure proprio at
tuata mediante estensione della qualifica di persona offesa, pur non essendo soggetti passivi del reato, con conseguente attribu
zione dei diritti e delle facoltà che la legge processuale riconosce
all'offeso. L'istanza di punizione, nell'ipotesi di delitto comune
per il quale la legge italiana preveda l'ergastolo o la reclusione
non inferiore nel minimo ad un anno, commesso dallo straniero
all'estero contro un cittadino, presuppone che questi si trovi
nel territorio dello Stato; ed è regolata dalle disposizioni relati
ve alla richiesta (anche questa, in alternativa, condizione di pro
cedibilità; ma per quanto attiene alla capacità ed alla rappre sentanza della persona offesa in relazione all'istanza si applica
I precedenti che si rinvengono nella giurisprudenza di legittimità più recente (per una risalente pronuncia in cui si parla di condizione di
«punibilità», v. Cass. 5 febbraio 1969, Brezavschek, Foro it., Rep. 1970, voce Reato commesso all'estero, n. 1) sono invece nel senso che la pre senza del reo nel territorio dello Stato costituisce una condizione di
procedibilità; Cass. 30 marzo 1978, Severino, id., Rep. 1978, voce Com
petenza penale, n. 35, infatti, ha affermato che «la presenza del reo nel territorio dello Stato, richiesta dall'art. 9 c.p., va configurata come condizione di procedibilità e non quale condizione obiettiva di punibili tà, onde rispetto alla sentenza meramente processuale che, in mancan
za, dichiara di non doversi procedere, non opera il principio del ne
bis in idem di cui all'art. 90 c.p.p., ma vale la regola posta dall'art. 17 stesso codice», di tal che «l'imputato prosciolto per difetto della suddetta condizione di procedibilità può essere di nuovo sottoposto a
procedimento penale se tale condizione si verifichi...». Analogamente, Cass. 14 ottobre 1977, Lorenzi, ibid., voce Reato commesso in Italia, n. 5, ha sostenuto che «qualora, in seguito a proscioglimento per difet to di una condizione di procedibilità (assenza dal territorio dello Stato
del cittadino indiziato di delitto comune all'estero), venga riproposta l'azione penale con richiesta di istruzione formale, il giudice istruttore non può provvedere con ordinanza rifiutandosi di procedere ed asseren
do che il procedimento si trova in stato di quiescenza, ma deve provve dere con una nuova sentenza di proscioglimento o con ordinanza di rinvio a giudizio».
Va poi segnalata un'altra affermazione operata nella motivazione della sentenza che si riporta e più precisamente quella secondo cui, nel caso di reato commesso all'estero in danno di un cittadino italiano che, se commesso in Italia, sarebbe procedibile a querela, non è sufficiente per la procedibilità la richiesta di procedimento del ministro, occorrendo invece anche la querela della persona offesa (nello stesso senso, cfr., in dottrina, Pagliaro, Principi di diritto penale, parte generale, 3a ed., Milano, 1987, 155; Cerqua, Brevi note in tema di delitto comune com messo dal cittadino italiano all'estero in Giur. merito, 1982, 963 s.); affermazione che, mutatis mutandis, appare in sintonia con App. Tren to 28 novembre 1980, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 12, che ha ritenuto che nel caso di delitto comune perseguibile a querela, commes so da cittadino italiano all'estero a danno di straniero, l'azione penale non può essere esercitata se, pur essendo intervenuta la richiesta del
ministro, manchi la querela della persona offesa. Per ulteriori approfondimenti in ordine alle tematiche sin qui consi
derate, cfr., tra gli altri, Tedesco, «Presenza» nel territorio dello Stato, ex art. 9 c.p., ed esercizio dell'azione penale, in Giust. pen., 1972, III, 19 s.; Macchia, La presenza del colpevole nel territorio dello Stato come requisito generale condizionante la perseguibilità del delitto co mune del cittadino all'estero, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1965, 1003
s.; Ferrante, Brevi considerazioni sulla richiesta del ministro di grazia e giustizia in rapporto ai delitti comuni commessi dal cittadino all'este
ro, in Giur. it., 1965, II, 137; Bella, Delitto comune punibile a querela di parte commesso all'estero da cittadino italiano in danno di uno Stato
estero o di uno straniero, in Riv. pen., 1964, I, 628; Santoro, Signifi cato e natura della presenza del reo nel territorio dello Stato secondo
gli art. 9 e 10 c.p., in Giust. pen., 1961, II, 397 s.; conviene ancora
rilevare — stante l'accenno fattone nella sentenza in rassegna — come
si sia talvolta sostenuto anche che ai fini della punibilità, ex art. 9 e
10 c.p., del reato commesso all'estero, occorre che il fatto sia conside
rato come reato anche dalla legge dello Stato straniero (c.d. doppia
incriminazione). In merito, cfr., tra gli altri, per le diverse opinioni, Caraccioli, L'incriminazione da parte dello Stato straniero dei delitti commessi all'estero e il principio di stretta legalità, in Riv. it. dir. e
proc. pen., 1962, 973, e Pagliaro, op. cit., 156; mentre per una posi zione che, nel caso del reato commesso dal cittadino, distingue a secon
da che si versi o meno «nei casi in cui, rispetto a determinati fatti
o rapporti (stato e capacità delle persone, rapporti di famiglia: art. 17
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PARTE SECONDA
no le disposizioni relative alla querela; ed a norma dell'art. 128,
richiamato dall'art. 130 c.p., l'istanza è sottoposta ad un dop
pio termine (tre mesi dalla conoscenza del fatto-reato, tre anni
dalla presenza del colpevole nel territorio dello Stato). Nella
specie la conoscenza del fatto risale al 7 aprile 1992 e la prima istanza dei prossimi congiunti è del 15 aprile 1992; il Shoukry è stato presente in Italia dall'ottobre 1984 ali'aprile-maggio 1986,
poi allontanandosi dal territorio italiano e rimanendo, per sua
stessa ammissione, all'estero. Sussistono, pertanto, entrambe le
condizioni suesposte. Senza tralasciare di porre in rilievo che
il predetto è cittadino italiano (e cosi è applicabile la norma
contenuta nell'art. 9 c.p.: delitto comune commesso dal cittadi
no all'estero in danno di un cittadino, per il quale si applica la legge italiana sol che il colpevole si trovi nel territorio dello
Stato e sia prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non
inferiore nel minimo a tre anni), avendo conseguito la cittadi
nanza almeno dal 10 aprile 1985 (data di un certificato anagra fico del comune di Arezzo, luogo di residenza del Shoukry e
nelle cui liste elettorali è stato iscritto) ed avendo risposto alla
chiamata alle armi presso l'ufficio leva di Firenze in data 12
febbraio 1986, come risulta da documenti rilasciati dai compe tenti uffici ed acquisiti agli atti di altro procedimento penale
per analogo delitto a carico del medesimo indagato. Osserva la corte che il primo quesito da risolvere è quello
relativo allo status di cittadino italiano o meno del Shoukry, ai fini dell'applicazione della disciplina prevista dall'art. 9 ovve
ro dall'art. 10 c.p. L'art. 5 1. 21 aprile 1983 n. 123, che ha abrogato la norma
correlativa contenuta nella 1. 13 giugno 1912 n. 555 in quanto
incompatibile, stabilisce che è cittadino italiano il figlio mino renne, anche adottivo, di padre cittadino o di madre cittadina.
La norma previgente (art. 1) resta in vigore, astrattamente, nel
la parte in cui prevede che è cittadino per nascita il figlio di
madre cittadina se il padre è ignoto o non ha la cittadinanza
italiana né quella di altro Stato ovvero se il figlio non segue la cittadinanza del padre straniero secondo la legge dello Stato
al quale appartiene. Nel caso in esame è però da ritenersi palesemente falsa la
documentazione anagrafica acquisita, che si basa sulla trascri
zione presso il comune di Prato in data 6 settembre 1984 di
copia autentica dell'atto di nascita, rilasciata dal governatorato di Alessandria di Egitto il 12 luglio 1984 e che attesta esser
nato il Shoukry da Emira Scarselli, cittadina italiana. Costei
era stata sottoposta in epoca anteriore alla nascita dell'indagato
(anno 1953) ad intervento chirurgico ai genitali interni, si che
era impossibile che avesse figli: va dunque esclusa l'ipotesi che
il Shoukry possa essere cittadino italiano iure sanguinis. Il medesimo ha, poi, contratto matrimonio in Italia con Ma
rietta Rosi, cittadina italiana, in data 31 ottobre 1984: la 1. 21
aprile 1983 n. 123, entrata in vigore il 27 aprile 1983 e che
ha in parte sostituito la 1. 13 giugno 1912 n. 555, prevede che
il coniuge straniero di cittadino italiano acquisti la cittadinanza
italiana, quando risieda da almeno sei mesi nel territorio della
repubblica ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, con decreto del presidente della repubblica, previa istanza presenta ta al sindaco del comune di residenza ovvero alla competente autorità consolare. Nessun provvedimento presidenziale risulta
intervenuto, si che è da escludersi che il Shoukry abbia acqui stato la cittadinanza italiana iure matrimonii.
disp. prel. c.c.), il cittadino italiano abbia l'obbligo giuridico di unifor marsi alla legge italiana dovunque si trovi», v. Manzini, Trattato di dir. pen. it., 5a ed., Torino, 1981, I, 485.
Infine, merita di esser evidenziato come nel caso di specie si sia rite nuta proponibile l'istanza di procedimento da parte dei nipoti della vit tima in applicazione del disposto dell'art. 90, 3° comma, c.p.p., il qua le prevede che «qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facoltà e i diritti previsti dalla legge sono esercitati dai
prossimi congiunti di essa» (per la nozione di «prossimi congiunti», v. l'art. 307, 4° comma, c.p.). Su tale disposto, v., tra gli altri, Corde
rò, Procedura penale, Milano, 1991, 257 (per il quale «... in loco de
functi, sono ammessi i congiunti... con un possibile affollamento della
scena, ognuno essendo virtuale parte civile»); Ghiara, in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1989, I, 415; Amodio, in Commentario del nuovo codice di procedura penale diretto da Amodio e Dominioni, Milano, 1989, I, 548.
Il Foro Italiano — 1993.
Per altra causa si può acquistare detta cittadinanza e cioè
prestando il servizio militare; ma la legge (ora abrogata) 13 giu
gno 1912 n. 555 prevedeva come condizioni o che l'individuo
fosse nato in Italia o che fosse figlio di genitori quivi residenti
da almeno dieci anni al tempo della sua nascita, ovvero che
uno dei genitori: o l'avo paterno fosse stato cittadino per nasci
ta; e la 1. 5 febbraio 1992 n. 91, che ha abrogato quella n.
555/12, prevede (art. 4, 1° comma, lett. a, che lo straniero (o
l'apolide), del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti
in linea retta di secondo grado siano stati cittadini per nascita,
diviene cittadino se presta effettivo servizio militare per lo Stato
italiano e dichiara preventivamente di voler acquistare la citta
dinanza italiana. Nel caso in esame è assorbente la considera
zione che il Shoukry non ha «prestato» servizio militare, poi
ché, se pur abile arruolato all'esito della prescritta visita, è sta
to ammesso alla dispensa dal compiere la ferma di leva. Neppure
per tale causa, dunque, l'indagato ha acquistato la cittadinanza
italiana.
Stabilita, quindi, la condizione di straniero dell'indagato e
vertendosi in ipotesi di delitto comune commesso dallo stranie
ro all'estero, va applicata la disciplina contenuta nell'art. 10
c.p. La norma prevede che lo straniero che, fuori dei casi indi
cati dall'art. 7 (specifici reati commessi all'estero, tra i quali non rientra l'omicidio) e dall'art. 8 c.p. (delitto politico com
messo all'estero), commette in territorio estero a danno dello
Stato o di un cittadino un delitto per il quale la legge italiana
stabilisce l'ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo
ad un anno, è punito secondo la legge medesima, sempre che
si trovi nel territorio dello Stato e vi sia richiesta del ministro
della giustizia, ovvero istanza o querela della persona offesa
(1° comma). Se il delitto è commesso in danno di uno Stato
estero o di uno straniero, il colpevole è punito secondo la legge italiana a richiesta del ministro della giustizia, sempre che si
trovi nel territorio dello Stato, si tratti di delitto per il quale è stabilita la pena dell'ergastolo ovvero la reclusione non infe
riore ad un minimo di tre anni e l'estradizione non sia stata
concessa ovvero non sia stata accettata dal governo dello Stato
in cui ha commesso il delitto o da quello al quale appartiene
(2° comma). La norma fonde e contempera i principi di universalità (tutte
le fattispecie penali di un dato ordinamento non hanno limite
spaziale) e di territorialità (le fattispecie penali di un certo ordi
namento hanno un limite spaziale al di fuori del quale non han
no rilevanza alcuna). Questo secondo principio è la regola fon
damentale dell'ordinamento giuridico penale italiano: sancito da
gli art. 3 (obbligatorietà della legge penale per cittadini o stranieri
che si trovino nel territorio dello Stato, in linea generale) e 6
c.p. (chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è
punito secondo la legge italiana), trova peraltro delle eccezioni
negli art. 7 (determinati reati commessi all'estero, tra cui quelli contro la personalità dello Stato), 8 (delitto politico commesso
all'estero), 9 (delitto comune del cittadino all'estero) e 10 c.p.
(delitto comune dello straniero all'estero). Il caso in esame s'in
quadra nel paradigma del citato 1° comma dell'art. 10 c.p., essendo chiamato a rispondere il Shoukry di omicidio pluriag
gravato per il quale la legge italiana stabilisce la pena dell'erga
stolo; occorre dunque esaminare — si stabilirà poi se ai fini
della punibilità o della procedibilità — se sussistano le condi
zioni previste e cioè la sua presenza nel territorio dello Stato
(art. 4, 2° comma, c.p.) e la tempestiva richiesta del ministro
della giustizia (art. 128 c.p.), ovvero la tempestiva istanza (art. 130 c.p.) della persona offesa, considerando a quest'ultimo ri
guardo la norma introdotta dall'art. 90, 3° comma, del vigente
c.p.p. che prevede che, qualora la persona offesa sia deceduta
in conseguenza del reato (come nel caso in esame), le facoltà
e i diritti previsti dalla legge sono esercitati dai prossimi con
giunti (art. 307, 4° comma, c.p.) della medesima.
Le condizioni sono intimamente collegate in quanto il 2° com
ma dell'art. 128 c.p. (e la prima parte dell'art. 130 c.p. che
adesso si riporta per identica disciplina) stabilisce che, quando la punibilità di un reato commesso all'estero dipende dalla pre senza del colpevole nel territorio dello Stato, la richiesta (rego lata proceduralmente dall'art. 342 c.p.p. e presentata al p.m. con atto sottoscritto dall'autorità competente, mentre l'istanza
è regolata dall'art. 341 c.p.p. ed è avanzata dalla persona offe
sa con le forme della querela, della quale inoltre si applicano
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GIURISPRUDENZA PENALE
le disposizioni in ordine alla capacità ed alla rappresentanza a norma dell'art. 130, ultima parte, c.p.) non può essere più
proposta decorsi tre anni dal giorno in cui il colpevole si trova
nel territorio dello Stato. La norma in esame, per vero, prevede
anche, al 1° comma, che la richiesta non può essere più propo sta decorsi tre mesi dal giorno in cui l'autorità ha avuto notizia del fatto che costituisce reato. I due diversi e distinti termini
non si sovrappongono, poiché distinte e differenziate sono le
ipotesi contemplate: il 1° comma regola, in genere, il termine
della richiesta per un reato che la preveda per la «punibilità» — secondo l'espressione della legge — (tre mesi dal momento
in cui il ministro della giustizia ha avuto notizia del reato: ne sono esempi le fattispecie contemplate negli art. 296, 297, 298
nei limiti del riferimento alle due precedenti norme e 299 c.p. — art. 313, ultimo comma, c.p. — e 127 c.p.); il 2° comma
regola la specifica ipotesi del reato commesso all'estero che pre vede per la sua «punibilità» la richiesta entro tre anni dal gior no in cui il colpevole si trova nel territorio dello Stato, termine non collegato alla conoscenza della notitia criminis (è il caso
del reato in esame); e l'intera disciplina è parimenti e rispettiva mente applicabile alla «punibilità» del reato dipendente dall'i
stanza, per il rinvio contenuto nell'art. 130 c.p. Non si richiede,
poi, dal nostro ordinamento la doppia incriminazione (in Italia
e nello Stato estero in cui viene posto in essere il fatto), condi
zione che è invece prevista per l'estradizione (art. 13,2° comma
c.p.). E se il problema, astrattamente, può porsi in via di mera
ipotesi per il 2° comma dell'art. 10 c.p. (delitto commesso a
danno di uno Stato estero o di uno straniero) che tra le condi
zioni richiama quella negativa dell'estradizione del colpevole non
concessa, ovvero non accettata dal governo dello Stato in cui
ha commesso il delitto o da quello dello Stato a cui appartiene, non rileva certo in fattispecie, come quella in oggetto, ricadente
nel 1° comma della citata norma, che nessun riferimento con
tiene all'istituto dell'estradizione. Del resto, il principio di lega lità (art. 1 c.p.) è rispettato quando il fatto è espressamente
preveduto come reato dalla legge italiana e non si può imporre — eventualmente la questione può essere oggetto di convenzio
ne internazionale — a ciascuno Stato di allineare le proprie va
lutazioni di politica criminale a quelle di uno Stato estero; sen
za contare che non è concettualmente ipotizzabile la doppia in
criminazione nei casi previsti dagli art. 7 e 8 c.p. ed è addirittura
impossibile quando il delitto si sia verificato in luogo, ad esem pio in mare libero, non soggetto alla sovranità di alcuno Stato.
Piuttosto, un altro aspetto del problema è rilevante nel caso
di reato commesso all'estero in danno di un cittadino italiano, reato che se commesso in Italia sia procedibile a querela e per il quale vi sia stata la richiesta del ministro della giustizia: se si richieda altresì' la querela della persona offesa. La soluzione
più aderente alla logica dell'impostazione del nostro sistema pe nale induce a dare risposta positiva: se la legge ha inteso sotto
porre alla valutazione dell'interessato (quindi per offese che non
sono dirette contro la collettività) la richiesta di punizione di
un fatto, non si giustifica, stante ì'eadem ratio, un trattamento
differenziato per fattispecie poste in essere in territorio estero
(arg. anche ex art. 8, 2° comma, c.p.). Ma ciò che a tal punto è rilevante è lo stabilire se la richiesta,
l'istanza e la querela e la presenza dello straniero nel territorio
dello Stato debbano ritenersi condizioni obiettive di punibilità ovvero condizioni di procedibilità.
La questione è di fondamentale importanza per l'oggetto del
ricorso: ove si tratti di condizioni di punibilità, sia che esse si
ritengano elemento integrativo del reato sia che si ritengano ele
mento estrinseco la cui presenza è necessaria per l'esercizio del
diritto punitivo dello Stato, l'accertamento della sussistenza non
può che attenere al merito ed è quindi verificabile con un proce dimento destinato a sfociare in un giudizio irrevocabile (giudi cato) di consunzione, con conseguente divieto (ne bis in idem) di un secondo giudizio (art. 649 c.p.p.); ove si tratti di condi
zioni di procedibilità, nessuna incidenza esse hanno sull'esito
del giudizio in quanto, accertata la mancanza (da cui discende
l'archiviazione o il proscioglimento), non consegue il divieto di riproponibilità dell'azione penale (art. 345 c.p.p.). Per altro verso, nel primo caso lo ius puniendi è esercitabile finché il reato non
si prescrive (art. 158 c.p.), nel secondo la procedibilità dell'a
zione penale è soggetta al termine di decadenza (tre anni dalla
Il Foro Italiano — 1993.
presenza del colpevole nel territorio italiano) previsto dall'art.
10, 1° comma, c.p. e, correlativamente, mentre il corso delia
prescrizione può essere sospeso (art. 159 c.p.) od interrotto (art. 160 c.p.), il decorso del termine previsto a pena di decadenza
comporta la preclusione dell'esercizio dell'azione penale (arg. ex art. 128, 2° comma, c.p. e 173, 2° comma, c.p.p.), salva la restituzione nel termine ove la parte interessata provi di non
averlo potuto osservare per caso fortuito o per forza maggiore
(art. 175 c.p.p.). La questione è variamente risolta in dottrina, pur con il pre
valente indirizzo ad accogliere la tesi dell'essere condizioni di
procedibilità la richiesta, l'istanza e la querela, nonché la pre senza del colpevole nello Stato, prevista dall'art. 10 cit.; e con
solidato è l'orientamento della giurisprudenza di questa Corte
suprema in quest'ultimo senso.
Del resto, le oscillazioni dottrinarie, in larga parte determina
te dal non avere il legislatore definito (arg. ex art. 44 c.p.) la
condizione obiettiva di punibilità, dalla sedes materiae (argo mento, peraltro, niente affatto decisivo, ma che può fuorviare) contenuta nel codice penale (art. 8, 9, 10, 11, 120, 124, 127,
128, 130, 131) e dalla terminologia promiscua (punibilità e pro cedibilità sovente espressioni concettualmente confuse, per uso
improprio, nelle norme citate) impongono per una corretta so
luzione del problema la verifica della scelta adottata in concreto nel sistema normativo, al di là di formulazioni lessicali ambigue od almeno ambivalenti.
Orbene, l'art. 50 c.p.p. prescrive che il pubblico ministero
«esercita» l'azione penale quando non sussistono i presupposti
per la richiesta di archiviazione (1° comma); di ufficio, quando non è necessaria la querela, la richiesta, l'istanza o l'autorizza zione a procedere (2° comma). L'art. 366 c.p.p. stabilisce che
la querela è proposta mediante la manifestazione di volontà che
«si proceda» in ordine ad un «fatto previsto dalla legge come
reato»; analogamente è previsto (art. 341 c.p.p.) per l'istanza
di procedimento; e la «richiesta di procedimento» è regolata dall'art. 342 c.p.p. L'art. 345 c.p.p., nel regolare la «riproponi bilità dell'azione penale» per «difetto di una condizione di pro cedibilità» annovera al 1° comma espressamente tra queste la
richiesta, l'istanza e la querela. La stessa disposizione si applica
(2° comma) quando il giudice accerta la mancanza di una con
dizione di procedibilità diversa da quelle indicate nel 1° com
ma. Infine, l'art. 346 c.p.p. stabilisce che (fermo quanto previ sto dall'art. 343 c.p.p. per l'autorizzazione a procedere) in man
canza di una «condizione di procedibilità» che può ancora
sopravvenire possono essere compiuti gli atti d'indagine preli minare necessari ad assicurare le fonti di prova e, quando vi
è pericolo di ritardo, può procedersi ad incidente probatorio
(art. 392 c.p.p.). Coordinando tali norme e correlandole alla normativa conte
nuta nel codice penale (art. 8-10 e 120-131), la richiesta, l'istan
za e la querela risultano regolate nel sistema penalistico quali condizioni che non attengono alla struttura del fatto-reato od
alla sua punibilità, bensì' alla procedibilità dell'azione penale che
attua il diritto punitivo dello Stato. Ma che tali requisiti abbia anche l'altra condizione prevista dall'art. 10 c.p. (la presenza dello straniero nel territorio dello Stato) non può a questo pun to automaticamente affermarsi, prima di esaminare come si at
teggia lo stesso sistema normativo.
Sul punto, peraltro, la legge non offre spunti a diverse inter
pretazioni: espressamente l'art. 10 c.p., come del resto gli art.
6, 7, 8 e 9 che lo precedono, prevede il caso di chi «commette
in territorio estero» un delitto (per il quale la legge italiana sta
bilisce l'ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo ad
un anno, con riferimento al 1° comma). E che tale fatto-reato
debba considerarsi vivo ed altresì' vitale (vale a dire non sotto
posto al verificarsi di condizione per la punibilità) si ricava dal capoverso dell'art. 11 c.p., che costituisce riscontro della tesi
che si sostiene stabilendo che nei casi indicati negli art. 7, 8, 9 e 10 il cittadino o lo straniero che sia stato giudicato all'estero
è nuovamente giudicato nello Stato, qualora il ministro della
giustizia ne faccia richiesta; senza, cioè, la necessità di alcun
elemento (condizione) che integri o perfezioni il reato ai fini della punibilità: ciò è conferma che la presenza dello straniero
richiesta dall'art. 10 c.p. è normativamente strutturata come con
dizione di procedibilità, soggetta quindi alle regole pro
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PARTE SECONDA
prie di questa, e l'inizio di tale presenza costituisce, quindi, il
dies a quo di decorrenza del termine (non soggetto per quanto si è precisato a sospensioni o ad interruzioni) per l'esercizio del
l'azione penale. Fissando l'inizio della presenza in Italia del Shoukry ad epo
ca incontestabile perché sorretta dalla prova del suo matrimo
nio con Marietta Rosi, celebratosi il 31 ottobre 1984, non può che concludersi che le istanze dei prossimi congiunti, nipoti del
la vittima, risalenti al 15 aprile 1992 (Tirelli) ed al 5 maggio 1992 (Verzellesi) sono tardive in quanto avanzate dopo il decor
so del termine massimo di tre anni dal giorno (31 ottobre 1984) costituente data certa della presenza dello straniero nel territo
rio dello Stato.
Pertanto, va rigettato il ricorso del p.m.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; ordinanza 22
settembre 1992; Pres. Accinni, Rei. Simoncelli, P.M. Gera
ci (conci, diff.); ric. Girombelli e altri.
Amnistia, indulto e grazia — Amnistia tributaria — Applicabi lità — Condizioni (D.p.r. 20 gennaio 1992 n. 23, concessione
di amnistia per reati tributari, art. 1).
Al di fuori delle eccezioni espressamente previste, non trova
applicazione l'amnistia per reati tributari stabilita dal d.p.r. 20 gennaio 1992 n. 23, nel caso in cui l'interessato abbia pre sentato nei termini prescritti la richiesta dichiarazione inte
grativa, ma non abbia successivamente provveduto anche al
pagamento di quanto dovuto a titolo di condono fiscale. (1)
(1) Con questa pronuncia la Corte suprema prende posizione sulle
condizioni necessarie perché possa essere concessa l'applicazione del l'ultimo provvedimento di amnistia per reati tributari, previsto dal d.p.r. 20 gennaio 1992 n. 23, in base alla legge delega 30 dicembre 1991 n. 413 (in particolare, art. 67 e 68).
Al riguardo, il dato di maggior rilievo della decisione consiste nell'af fermata necessità, non solo della prescritta presentazione della dichiara zione integrativa prevista dalla citata 1. 413/91, bensì anche dell'ulterio re versamento delle somme dovute come conseguenza del ricorso al be neficio del condono fiscale. Ciò al di fuori delle eccezioni esplicitamente indicate dal medesimo provvedimento di amnistia all'art. 1, 2° comma, lett. a) e b), che tuttavia, sul piano argomentativo, vengono assunte
quale ulteriore conferma della diversa portata della regola generale. Nel giustificare l'imprescindibilità del pagamento degli importi risul
tanti dalla dichiarazione integrativa, la motivazione della sentenza si richiama in termini critici ad una diversa opinione implicitamente ravvi sata nell'ambito di una precedente decisione della stessa sezione della Corte suprema, pronunciata in data 4 giugno 1992 (pres. Glinni, est.
Fiorenza, e riportata in Fisco, 1992, 8019, nonché in Corriere trib., 1992, 3187 ss.). Al di là di quanto affermato dalla presente sentenza, dal testo di quest'ulteriore provvedimento non sembrano in realtà emer
gere gli estremi di una vera e propria contrapposizione di vedute: nel valutare la documentazione presentata dall'interessato, che nella specie consisteva in copia della dichiarazione integrativa, nonché nelle attesta zioni di pagamento dei relativi importi, il collegio si limita infatti ad osservare che «l'adempimento degli obblighi, risultante dalla suindicata
documentazione, è sufficiente ad integrare la condizione, prevista dal l'art. 1, 3° comma, d.p.r. n. 23 del 20 gennaio 1992, per l'applicazione dell'amnistia tributaria» (loc. ult. cit.).
Certamente, molto più univoco ed evidente appare invece il contrasto
rispetto a Trib. Lucca 8 giugno 1992, ibid., 3196: nella motivazione di questa decisione si manifesta infatti l'opinione «che il tenore letterale del decreto sopra citato consenta di pervenire a declaratoria di estinzio ne del reato per il solo realizzarsi della condizione dell'avvenuta presen tazione della dichiarazione integrativa, indipendentemente dal pagamento delle imposte dovute». A ciò si aggiunge, inoltre, che «il fatto che la validità del condono sia subordinata anche al versamento delle imposte
Il Foro Italiano — 1993.
Premesso. — Che tutti e tre i ricorrenti hanno presentato dichiarazioni integrative ai fini dell'Iva e delle imposte dirette, come da documentazione prodotta in allegato al motivo aggiun to per la Girombelli e alle note di udienza per il Barbieri e il Degli Espositi, presentati rispettivamente P8 e il 15 settembre
1992. Osserva. — La presentazione della dichiarazione integrativa
da parte di due degli imputati nel presente procedimento non
esaurisce le condizioni necessarie per rendere operante l'amni
stia ex d.p.r. 22 gennaio 1992 n. 23, con riferimento al delitto
contestato, giacché, a parere del collegio, il principio generale che ispira il decreto di clemenza in questione è quello per cui
evase, secondo il dettato dell'art. 32 1. 413/91 è circostanza che va ri
guardata sotto l'aspetto fiscale ma non anche ai fini penali ove la di chiarazione integrativa, presentandosi in definitiva come una sorta di
autodenuncia è sufficiente a produrre gli effetti estintivi del reato. D'al
tra parte, sul piano del tributo nulla verrà a perdere l'erario posto che
proprio sulla base di detta istanza di definizione, irrevocabile, potrà
procedersi all'iscrizione a ruolo delle imposte dichiarate come non
versate». L'attuale puntualizzazione della Corte suprema ha subito suscitato
un certo interesse in dottrina. Aderendo sostanzialmente a quanto af fermato nella citata decisione del Tribunale di Lucca, alcuni autori han
no ritenuto di dover comunque escludere la stretta necessità, ovviamen te ai soli fini dell'applicazione dell'amnistia, del preventivo pagamento degli importi indicati in sede di dichiarazione integrativa: in questo sen
so, commentando la presente sentenza della Cassazione, v. soprattutto Corso, Mancato pagamento dell'imposta e operatività dell'amnistia, id., 1992, 3182 ss.; in termini analoghi, con riguardo alla pronuncia del Tribunale di Lucca, v. altresì Traversi, in Fisco, 1992, 9226; in prece denza, v. anche Brighenti, L'amnistia per reati tributari collegata al
condono, in Bollettino trib., 1992, 264; Centore, La concessione di
condono e il provvedimento di amnistia, in Corriere trib., 1992, 323. Si sono invece espressi in senso conforme alle conclusioni affermate
dalla pronuncia in epigrafe, Cerqua, La subordinazione dell'amnistia
all'adempimento dell'onere tributario, in Fisco, 1992, 10993 ss.; Mar
ra, Amnistia dei reati tributari solo con il pagamento dell'imposta, ibid., 11222 ss. Di analogo avviso, in precedenza, v. anche Drigani, Amni
stia per i reati tributari, in Le circolari del Corriere tributario, n. 1/92, XXIV; Gennai, Amnistia per i reati tributari. È necessario il pagamen
to?, in Fisco, 1992, 4138 ss.; Izzo, Amnistia dei reati in materia di
imposte dirette, ibid., 1327 ss.; Id., Amnistia tributaria senza pagamen to fra esigenze di semplificazione processuale e spunti ermeneutici osta
tivi, ibid., 6747 ss. Conforme risulta anche il commento avanzato ri
spetto alla presente decisione da parte di Caraccioli, Condono. Per la Cassazione niente amnistia senza pagamento, ibid., 10041, il quale tuttavia, riconoscendo l'esigenza di procedere ad una valutazione diffe renziata per ogni singola fattispecie, rispetto all'ipotesi presa in consi derazione dalla presente sentenza, e corrispondente al delitto di cui al l'art. 4, n. 1,1. 516/82, in altra sede ha ritenuto che la necessità dell'av venuto versamento delle somme dovute a titolo di condono possa essere
esclusa laddove la situazione giudicata sia concretamente riconducibile all'ulteriore eccezione prevista al 3° comma del medesimo art. 1 d.p.r. 23/92, per i reati commessi dai sostituti d'imposta (v. Caraccioli, in
Legislazione pen., 1992, 241). Modificando la diversa opinione espressa in precedenza (Caraccioli, L'amnistia spingerà il condono, suppl. de Il Sole 24 Ore del 17 dicembre 1991), questo stesso autore ha inoltre escluso che la condizione dell'avvenuto pagamento delle somme indica te in sede di dichiarazione integrativa possa essere richiesta per le ipote si disciplinate all'art. 1, 2° comma, lett. a), d.p.r. 23/92. Per maggiori dettagli su queste singole eccezioni si rinvia comunque all'insieme degli scritti innanzi citati.
Nel motivare la presente decisione la Corte suprema si richiama an che ad una pretesa «normalità della funzione "retributiva" delle amni stie per i reati fiscali», dalla quale conseguirebbe, come corollario im
plicito, la necessaria previsione di una correlazione diretta fra conces sione dell'amnistia e «rientro economico» in favore dell'erario. A tale
riguardo ci si richiama principalmente a Corte cost. 31 marzo 1988, n. 369, Foro it., 1989, I, 3383; 26 febbraio 1981, n. 33, id., 1981, I, 913; 29 maggio 1974, n. 154, id., 1974, I, 2258. Il punto non è tuttavia apparso meritevole di particolare valore argomentativo, in quanto basato su profilo che risulta intimamente connesso alle caratteristiche
specifiche di ogni singolo provvedimento di amnistia, e quindi non su scettibile di essere assunto in termini generali ed assoluti. A dimostra zione di ciò, si ricorda, ad esempio, l'ulteriore decisione della Corte costituzionale (ord. 22 ottobre 1987, n. 340, id., 1988, I, 2469), con la quale è stata rigettata una analoga questione di legittimità, avanzata
rispetto all'amnistia di cui al d.p.r. 525/82 e fondata sulla mancata
previsione, quale condizione necessaria alla concessione dell'amnistia, del preventivo adempimento del debito d'imposta (per questi ulteriori
richiami, v. ancora Corso, op. loc. cit.).
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