sezione I penale; sentenza 2 dicembre 2004; Pres. Teresi, Est. Mocali, P.M. Monetti (concl. diff.);ric. Dalla Chiesa. Conferma App. Milano 17 giugno 2004Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 4 (APRILE 2005), pp. 193/194-197/198Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200725 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
del provvedimento di proroga di cui al comma 2 bis dell'art. 41 * bis ord. penit. un'interpretazione conforme a Costituzione»;
che, in particolare, «il provvedimento di proroga deve contenere
un'adeguata motivazione sulla permanenza dei presupposti che
legittimano l'applicazione del regime differenziato, vale a dire
sugli specifici ed autonomi elementi da cui risulti la persistente
capacità del condannato di tenere contatti con le organizzazioni criminali»; che, «a sua volta, in sede di controllo giurisdiziona le, spetterà al giudice verificare in concreto — anche alla luce
delle circostanze eventualmente allegate dal detenuto — se gli elementi posti dall'amministrazione a fondamento del provve dimento di proroga siano sufficienti a dimostrare la permanenza delle eccezionali ragioni di ordine e sicurezza che, sole, legitti mano l'adozione del regime speciale» (Corte cost., ord. 23 di
cembre 2004, n. 417). Le linee interpretative sopra indicate rendono evidente che,
nel controllo di legittimità sul provvedimento di proroga, il tri
bunale di sorveglianza è tenuto a valutare gli elementi indicati
nel decreto ministeriale e a sottoporli ad autonomo vaglio criti
co, accertando se le informazioni delle autorità competenti for
niscano dati realmente significativi sulla persistente capacità di
mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, ovvero
se dette informazioni, magari risalenti nel tempo, si limitino a
riprodurre la biografia delinquenziale e giudiziaria del detenuto, senza alcun riferimento ad altre apprezzabili e concrete circo
stanze idonee a provare l'attuale pericolosità del detenuto e la
cessazione dei collegamenti con l'associazione criminale, quali l'eventuale dissolvimento del sodalizio cui il detenuto apparte neva, la durata della sottoposizione al regime differenziato e i
risultati del trattamento carcerario, che rimane un parametro ineludibile in relazione alla funzione rieducativa della pena.
3. - Alla luce del principio di diritto appena enunciato appare evidente che la motivazione dell'ordinanza impugnata risulta
viziata sotto un duplice profilo: nel controllo di legalità della
proroga, è stato seguito, da un verso, un criterio difforme da
quello stabilito dal comma 2 bis dell'art. 41 bis e, dall'altro, l'accertamento delle condizioni giustificative del provvedi mento reclamato è stato eseguito in modo generico e astratto, senza alcuna seria ed effettiva verifica degli elementi fattuali
esposti nel decreto ministeriale e senza valutare gli altri dati
idonei a rendere veramente concreto il giudizio sull'effettività
della capacità di collegamento con associazioni criminali.
Per quanto riguarda il primo profilo, per rendersi conto del
l'errore giuridico che inficia, in radice, il ragionamento seguito dal tribunale di sorveglianza basta por mente all'enunciazione
della motivazione dell'ordinanza nel punto in cui si sostiene che
«il sindacato di legittimità esercitato dal tribunale di sorveglian za in sede di reclamo è limitato alla puntuale verifica degli ele
menti da cui si desume la pericolosità sociale del detenuto e la
sua affiliazione con ruolo non secondario ad un'associazione
criminosa e che hanno comportato in origine l'applicazione del
regime ex art. 41 bis, 2° comma, 1. 26 luglio 1975 n. 354, senza
che sia necessaria per ogni successivo rinnovo la verifica di
nuovi fatti che motivino ogni singolo provvedimento». In una
simile visione distorta della portata della normativa si spiega l'ulteriore affermazione del tribunale di sorveglianza secondo
cui, ai fini della proroga, «deve pertanto presumersi l'attuale af
filiazione dell'odierno reclamante, non essendo stato allegato alcun elemento in ordine all'effettivo recesso mediante specifici fatti, quali la collaborazione con l'autorità giudiziaria, l'estro
missione dall'associazione a delinquere, od altri elementi di se
gno positivo da cui possa desumersi con certezza la rottura
d'ogni collegamento». Deve sottolinearsi, inoltre, che all'errata impostazione del
l'indagine giurisdizionale ha fatto riscontro il puro e semplice riferimento alla pericolosità criminale desunta dai gravi prece denti penali e dalle pendenze giudiziarie per fatti di criminalità
organizzata e che è stata del tutto omessa qualsiasi valutazione
delle informazioni fornite dalle competenti autorità e degli altri
più recenti elementi risultanti dagli atti: di talché la motivazione
dell'ordinanza deve considerarsi generica, astratta, meramente
apparente e, anche sotto questo ulteriore profilo, è senz'altro
censurabile per violazione di legge. In conclusione, il ricorso deve trovare accoglimento e, di con
seguenza, deve pronunciarsi l'annullamento dell'ordinanza im
pugnata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Roma, che, nel nuovo esame del reclamo, dovrà attenersi ai principi sopra enunciati.
Il Foro Italiano — 2005.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 2 di
cembre 2004; Pres. Teresi, Est. Mocali, P.M. Monetti
(conci, diff.); ric. Dalla Chiesa. Conferma App. Milano 17
giugno 2004.
Parlamento — Parlamentare — Immunità per voti dati e
opinioni espresse — Nesso funzionale — Nozione — Fatti
specie (Cost., art. 68; 1. 20 giugno 2003 n. 140, disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 Cost, nonché in materia di pro cessi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato, art. 3).
Corte costituzionale — Conflitto tra poteri dello Stato —
Ricorso dichiarato inammissibile — Riproponibilità — Esclusione —
Fattispecie (Cost., art. 68; 1. 11 marzo 1953 n.
87, norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale, art. 37).
Ai fini dell'applicabilità dell'immunità parlamentare di cui al
l'art. 68, 1° comma, Cost., ciò che rileva è il nesso funziona le, per il quale il contenuto comunicativo può essere il più va
rio, ma deve essere in ogni caso tale da rappresentare l'eser
cizio in concreto delle funzioni proprie dei membri delle ca
mere, anche se non in forme «tipiche» ed anche extra moenia
(nella specie, è stato escluso che la competizione partitica, te
sa anche alla svalutazione dell'avversario, possa essere rite
nuta legittimo esercizio dell'attività di parlamentare). (1) Alla luce della giurisprudenza costituzionale, va esclusa la pos
sibilità di riproporre davanti alla Corte costituzionale un me
desimo conflitto già dichiarato inammissibile per ragioni
formali (fattispecie in tema di ricorso per conflitto di attribu
zione tra poteri in materia di immunità parlamentare ai sensi
dell'art. 68, 1° comma, Cost.). (2)
Con sentenza del 3 novembre 1994,l'allora Pretore di Milano
dichiarava il deputato Umberto Bossi colpevole di diffamazione
aggravata, per le espressioni da lui rivolte in danno del deputato Fernando Dalla Chiesa, in occasione di un comizio tenuto nel
corso della campagna elettorale per le elezioni amministrative di
quel comune, condannandolo alla pena di due milioni di lire di
multa, oltre alle pronunce accessorie.
Su gravame dell'imputato, la corte d'appello milanese, rice
vuto il parere positivo della camera dei deputati circa la riferi
bilità della condotta tenuta dal Bossi alla sua qualità di parla
ci-2) La Corte di cassazione, con la sentenza in epigrafe, mentre ri
conosce, sotto l'aspetto sostanziale!, la non conformità alla Costituzione della delibera con cui la camera dei deputati ha ritenuto coperte dal l'immunità parlamentare le affermazioni dell'on. Bossi nei confronti del Dalla Chiesa, ritiene che, in ossequio alla posizione assunta in pro posito dalla Corte costituzionale, il ricorso per conflitto di attribuzione, una volta dichiarato inammissibile per ragioni di carattere formale, non è piià riproponibile davanti al giudice costituzionale.
Sotto quest'ultimo aspetto, nel senso che il ricorso dichiarato inam
missibile non è più proponibile davanti alla Corte costituzionale, quan d'anche si tratti di un vizio sanabile da parte dell'autorità giudiziaria ricorrente, v. Corte cost., ord. 12 dicembre 2003, n. 358, Foro it., 2004,
I, 338, con nota di richiami e osservazioni di Romboli. Prima del formarsi della predetta giurisprudenza costituzionale, la
Cassazione, nell'ambito del medesimo giudizio di cui alla presente de
cisione, aveva ritenuto che, in assenza di uno specifico termine di de
cadenza per la proposizione di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, non fosse preclusa la riproposizione del conflitto allorché
lo stesso fosse stato in precedenza dichiarato improcedibile per tardi vità del deposito, a condizione che permanesse l'interesse a ricorrere
(Cass. 27 aprile 2000, Dalla Chiesa, id., 2001, II, 176, con nota di ri
chiami). Per l'inammissibilità per ragioni formali del ricorso per conflitto tra
poteri in tema di immunità parlamentare, ai sensi dell'art. 68, 1° com
ma, Cost., v. Corte cost. 27 gennaio 2005, n. 38, in questo fascicolo, I,
953, con nota di richiami, che ha dichiarato inammissibile il ricorso del
l'autorità giudiziaria per contraddittorietà dello stesso ed insufficiente
motivazione. Sulla nozione di nesso funzionale, v. Corte cost. 24 gennaio 2005, n.
28, ibid., 977, con nota di richiami, la quale ha ribadito che il nesso fun
zionale tra la dichiarazione resa extra moenia da un parlamentare e
l'espletamento delle sue funzioni di membro del parlamento esiste se
ed in quanto la dichiarazione possa essere qualificata come divulgativa all'esterno di attività parlamentare, ossia se ed in quanto esista una so
stanziale corrispondenza di significato con opinioni già espresse o
contestualmente espresse, nell'esercizio di funzioni parlamentari, non
essendo sufficiente una mera comunanza di argomenti.
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PARTE SECONDA
meritare, con la conseguente copertura della guarentigia appre stata dall'art. 68 Cost., sollevava conflitto di attribuzione, che la
Corte costituzionale dichiarava improcedibile per vizio di for
ma; pertanto, con sentenza dell'11 marzo 1999, il giudice di se
condo grado dichiarava non doversi procedere nei confronti del
l'imputato. Avverso tale pronuncia ricorreva per cassazione la parte ci
vile Dalla Chiesa e questa corte, con sentenza del 27 aprile 2000
(Foro it., 2001, II, 176), l'annullava con rinvio, sia per la rite
nuta erroneità di un'impossibile riproposizione del conflitto di
attribuzione, sia per accertamenti sul fatto-reato.
Il giudice di rinvio, individuato in altra sezione della Corte
d'appello di Milano, con la sentenza oggi esaminata, dichiarava
l'improcedibilità dell'azione penale, ai sensi dell'art. 68 Cost.
Si legge in quella sentenza che un nuovo conflitto di attribu
zione era stato dichiarato inammissibile, sempre per ragioni
formali, dalla Corte costituzionale; una riproposizione del con
flitto, già deliberata dalla corte di rinvio, era stata revocata alla
luce sia dell'entrata in vigore della 1. 140/03, sia della sentenza
116/03 della stessa Corte costituzionale (id., 2003, I, 2526), in
terpretabile nel senso che la declaratoria di inammissibilità pre cludeva la risollevazione del conflitto di attribuzione.
Il giudice di rinvio riteneva di certo diffamatorie le frasi paci ficamente pronunciate dal Bossi nei confronti del Dalla Chiesa,
ma la prospettiva di giudizio sul nesso tra le medesime e la fun
zione parlamentare dell'imputato —
aspetto sul quale la deci
sione di annullamento si era espressamente soffermata — era
stata radicalmente mutata dalla 1. 140/03 sopra cit., già passata indenne al vaglio di costituzionalità per il profilo qui rilevante
(sentenza 120/04, id., 2004, I, 1988) e che esplicitava il conte
nuto dell'art. 68 Cost., specificandone l'applicabilità non solo
agli atti tipici della funzione parlamentare, ma anche a quelli
atipici, ma comunque ad essa funzionali, secondo il suo art. 3.
Alla luce di tale normativa, la condotta tenuta dall'imputato in occasione del comizio elettorale era da valutarsi come perti
nente, sia pure non tipicamente, alla funzione parlamentare, in
quanto mirata ad una contrapposizione partitica, con svalutazio
ne della persona del deputato avversario, in diretta correlazione
alle esigenze della sfida elettorale.
Avverso tale pronuncia ricorreva per cassazione, a mezzo del
suo difensore, la parte civile Dalla Chiesa, che denunciava:
col primo motivo di ricorso, violazione di legge. Errata era
l'interpretazione dell'art. 3 1. 140/03, la quale — non innovando
sostanzialmente la disciplina della guarentigia costituzionale a
favore dei membri del parlamento — ribadiva la tutela non del
l'attività politica in senso lato, ma di quella parlamentare in
senso proprio, non intendendo evidentemente garantire che la
mera qualifica di parlamentare costituisse una sorta di immunità
assoluta, alla stregua, del resto, della esegesi giurisprudenziale sia di legittimità che costituzionale, in precedenza formatasi an
che a livello europeo. Ne derivava che insultare un deputato non
è attività parlamentare (nemmeno atipica) neppure se soggetto attivo sia colui che ricopre analoga veste; e solo in tal senso la
sentenza costituzionale 120/04, cit., aveva affermato la legitti mità dell'art. 3 1. 140/03, rilevando che esso non innovava la
precedente disposizione dell'art. 68 Cost., esplicitandone invece
il contenuto nel senso di ricomprendere sia gli atti di funzione
tipici, sia quelli atipici, ma comunque connessi alla funzione
parlamentare e sia pure prescindendo da ogni criterio di localiz
zazione. Con la conseguenza che non qualsiasi opinione espres sa dai membri delle camere è sottratta alla responsabilità giuri dica, ma soltanto le opinioni espresse nell'esercizio delle fun
zioni parlamentari; situazione che non ricorreva nel caso in
esame; col secondo e terzo motivo, vizio della motivazione e viola
zione di legge. Erroneamente argomentata era la revoca dell'or
dinanza con cui il giudice del rinvio aveva sollevato conflitto di
attribuzione. Nelle precedenti occasioni, la Corte costituzionale
non era entrata nel merito, rilevando preliminari ragioni di im
procedibilità, attinenti a vizi formali; in sede di annullamento, il
giudice di legittimità aveva affermato l'erroneità dell'opinione di una non riproponibilità di un conflitto, qualora non vi sia
stata decisione sostanziale; la sentenza 116/03 della Corte co
stituzionale, cit., che sembrava rinnegare, diversamente argo mentando, il precedente orientamento, negava il diritto del cit
tadino ad una pronuncia giudiziale, garantito anche dall'art. 6
Il Foro Italiano — 2005.
della convenzione europea sui diritti dell'uomo e, in ogni caso,
non poteva estendersi al di là del caso deciso, non avendo
espresso un giudizio di costituzionalità ma di semplice ammis
sibilità del conflitto di attribuzione, che si chiede a questa corte
di nuovamente sollevare.
Osserva la corte che l'illecito ascritto al deputato Bossi è
ormai certo, essendo coperta dal giudicato interno l'oggettività del fatto, la sua indubbia valenza diffamatoria, l'aspetto sogget tivo della condotta; quel che resta da decidere è se, in presenza della guarentigia costituzionale offertagli dalla camera con deli
berazione del 31 gennaio 1996, restino aperti spazi per la perse
guibilità del reato. La sentenza impugnata ha anzitutto affermato che le disposi
zioni della 1. 140/03 — e in particolare il 1° comma dell'art. 3 — innovando la disciplina applicativa dell'art. 68 Cost., avreb
be esteso la tutela dei parlamentari non solo agli atti «tipici» del
suo mandato, ma anche a quelli «atipici», in particolare se com
piuti extra moenia, con la conseguente immunità in ordine al
fatto in esame, che rientra in tale categoria. La tesi non appare condivisibile e correttamente la confuta il ricorrente, con il pri mo motivo di ricorso.
È stata proprio la Corte costituzionale, con la sentenza 120/04 — che pure non ha giudicato illegittimo tale articolo, se corret
tamente interpretato — a confermare che la norma richiamata
dal giudice a quo non ha innovato la sostanza della tutela accor
data al parlamentare, ribadendo invece il principio che, nella
voluntas legis, tutte le attività del parlamentare stesso debbono
essere connesse con l'esercizio della funzione propria dei mem
bri del parlamento, giusta il contenuto dell'art. 68 Cost, che la 1.
n. 140, secondo la Consulta, esplicita ma non amplia arbitraria
mente. E quindi, conformemente alla consolidata giurisprudenza
costituzionale, cui si è aggiunta quella della Corte europea dei
diritti dell'uomo, ciò che dovrebbe accertarsi, ai fini della con
cessione di immunità, è il chiaro legame funzionale fra l'opi nione espressa o gli atti compiuti e l'esercizio di funzioni par
lamentari; giacché, ammonisce il giudice delle leggi, «non qual siasi opinione espressa dai membri delle camere è sottratta alla
responsabilità giuridica, ma soltanto le opinioni espresse nel
l'esercizio delle funzioni». Ed invero, la prerogativa dell'insin
dacabilità «non può mai trasformarsi in un privilegio personale,
quale sarebbe un'immunità dalla giurisdizione conseguente alla
mera 'qualità' di parlamentare»; e questo spiega perché la giuris
prudenza della Corte costituzionale si è sviluppata e consoli
data sulla nozione del c.d. «nesso funzionale», che «solo con
sente di discernere le opinioni del parlamentare riconducibili
alla libera manifestazione del pensiero, garantita ad ogni citta
dino nei limiti generali della libertà di espressione, da quelle che
riguardano l'esercizio della funzione parlamentare». Ciò che dunque rileva, ai fini dell'insindacabilità, è il colle
gamento necessario con le «funzioni» del parlamento, cioè
l'ambito funzionale entro cui l'atto si iscrive, a prescindere dal
suo contenuto comunicativo, che può essere il più vario, ma che
in ogni caso deve essere tale da rappresentare l'esercizio in con
creto delle funzioni proprie dei membri delle camere, anche se
non in forme «tipiche» ed anche extra moenia.
Ciò posto, e stabilito infine che la guarentigia costituzionale
non copre il parlamentare personalmente, ma la sua attività fun
zionalmente connessa a quella del parlamento, deve rilevarsi
che la sentenza impugnata erra laddove individua nella competi zione partitica, tesa anche alla svalutazione della persona del
l'avversario, il legittimo esercizio dell'attività di parlamentare; non si coglie, invero, quale collegamento funzionale ricorra fra
le grevi espressioni indirizzate dal deputato Bossi all'attuale ri
corrente (non tanto come politico, ma come persona anche in
rapporto all'ambito familiare) e l'attività del parlamentare, an
che in circostanze — come il comizio per le elezioni ammini
strative — non tipicamente riconducibili all'ambito regolamen tare. Che, dunque, le frasi indubbiamente diffamatorie fossero
pronunciate da soggetto rivestito della qualità di deputato non
basta per affermare l'esistenza di un nesso funzionale fra la
condotta e le attività (tipiche o non tipiche) del parlamento. Le considerazioni fin qui svolte non consentono, tuttavia, di
modificare la pronuncia impugnata, ostando pur sempre alla
perseguibilità del fatto la deliberazione della camera sopra ri
cordata e che sarebbe superabile unicamente con il conflitto di
attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale, che infatti il ricor
rente insiste nel chiedere.
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GIURISPRUDENZA PENALE
Al riguardo, il procedimento in esame ha già visto il giudice di merito sfortunatamente impegnato in tal senso, con due ricor
si dichiarati entrambi inammissibili dalla Consulta, per ragioni formali. Si pone, dunque, il problema della riproponibilità del
conflitto da parte di questa corte; problema che deve essere ne
gativamente risolto, così come ha fatto il giudice del rinvio. E
noto invero che, con la sentenza n. 116 del 2003, la Corte co
stituzionale ha dichiarato inammissibile la riproposizione di un
conflitto, preceduto da altro già incorso in tale sanzione per ra
gioni formali, come nella fattispecie. Osserva, in proposito-, l'attuale ricorrente che si tratterebbe di una decisione che non si
richiama a valutazioni del merito del conflitto stesso e che non
estenderebbe la sua efficacia al di là del caso deciso; ma le ar
gomentazioni di detta sentenza non consentono tale conclusio
ne.
La Corte costituzionale, invero, argomentando al di là del ca
sus decisus, afferma che la 1. 87/53, per quanto non abbia posto termini di decadenza per la proposizione del ricorso con il quale il conflitto di attribuzione viene rilevato (volendo favorire al
massimo la ricerca e la conclusione di intese extragiudiziarie tra
gli organi interessati al conflitto, al di fuori delle strettoie di tali
termini), tuttavia formalizza una fase di ammissibilità del con
flitto, che risponde all'esigenza di delimitare il più possibile
questo tipo di processo, che ha aspetti assolutamente peculiari. Il legislatore del 1953 ha quindi conferito alla Corte costituzio
nale, in sede di delibazione sull'esistenza della «materia di un
conflitto», un potere molto ampio di individuazione dei profili
soggettivi e di qualificazione del thema decidendum, cioè un
potere di conformazione del giudizio sul conflitto di attribuzio
ne, che si esprime attraverso la fissazione di regole che necessa
riamente ne definiscono la «materia», stabilendo inderogabil mente soggetti e termini per lo svolgimento del processo. Re
gole che, per la loro natura conformativa, non possono essere
eluse quando il conflitto sia stato sollevato in sede processuale,
neppure invocando — ai fini di una eventuale riproposizione del
ricorso già dichiarato inammissibile — la mancata previsione di
termini di decadenza, che atterrebbero comunque alla fase ante
riore alla proposizione del ricorso: sussiste, invero, l'esigenza costituzionale che il giudizio, una volta instaurato, sia concluso
in termini certi, non rimessi alle parti confliggenti. Va dunque
superata la situazione di conflittualità ed incertezza, che non si
attaglia alle questioni di equilibrio tra i poteri dello Stato, le
quali invece, attenendo alle garanzie di ripartizione costituzio
nale delle attribuzioni, postulano che siano ristabilite certezza e
definitività di rapporti, al fine di assicurare il regolare esercizio
delle funzioni costituzionali.
Si tratta, come è evidente, di affermazioni che — al di là della
fattispecie in allora esaminata — pongono limiti di carattere ge
nerale, che rendono impensabile la riproposizione di un terzo
conflitto di attribuzione.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con le ulteriori sta
tuizioni indicate nel dispositivo.
Il Foro Italiano — 2005.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 18
novembre 2004; Pres. Trojano, Est. Carcano, P.M. Cedran
gola) (conci, diff.); ric. C. Annulla App. Genova 7 maggio 2003.
Assistenza familiare (violazione degli obblighi di) — Obbligo di fornire i mezzi di sussistenza al figlio e al coniuge —
Inadempimento — Intervento sostitutivo dell'altro geni
tore o di altri congiunti — Irrilevanza (Cod. pen., art. 570). Assistenza familiare (violazione degli obblighi di) — Impos
sibilità economica di far fronte agli obblighi — Rilevanza — Condizioni (Cod. pen., art. 570).
In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare,
l'obbligo di fornire i mezzi di sussistenza al figlio minore e al
coniuge ricorre anche quando le esigenze di vita di questi ul
timi vengano soddisfatte, in tutto o in parte, dall'altro genito re con i proventi del proprio lavoro o con l'intervento di altri
congiunti, atteso che tale sostituzione non elimina lo stato di
bisogno in cui versano i soggetti passivi del quale, viceversa, costituisce la prova. (1)
In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la
sussistenza del reato è esclusa solo qualora l'imputato alle
ghi idonei e convincenti elementi indicativi di situazioni che
si siano tradotte in uno stato di vera e propria indigenza eco
nomica e nella impossibilità di adempiere, sia pure in parte, alla prestazione (nella specie, la Suprema corte ha annullato
la sentenza che aveva condannato l'imputato senza compiere accertamenti sulla grave patologia indicata dall'obbligato come causa della concreta impossibilità di far fronte ai pro
pri impegni, nonostante la produzione di cartelle cliniche
comprovanti i ricoveri e le dichiarazioni della stessa moglie, in ordine alle condizioni psichiche e alle difficoltà economi
che dell'obbligato). (2)
(1) Nello stesso senso, v. Cass. 9 gennaio 2004, Bencivenga, Ced
Cass., rv. 228491, la quale esclude che l'eventuale convincimento del
genitore inadempiente di non essere tenuto, in una tale situazione di concorso di mezzi altrui, all'assolvimento del suo primario dovere, non
integra un'ipotesi di ignoranza scusabile di una norma, che corrisponde ad un'esigenza morale universalmente avvertita; 1° dicembre 2003, Pi
sano, id., rv. 228262, che sottolinea l'irrilevanza, al fine di escludere il
reato, della percezione di eventuali cespiti reddituali relativi ad elargi zioni a carico della pubblica assistenza (nella specie, il minore disabile
percepiva una modesta pensione di invalidità ed era assistito economi
camente dal genitore affidatario, che svolgeva un'attività lavorativa); 29 aprile 2002, Lombardo, Foro it., Rep. 2002. voce Assistenza fami liare, n. 7; 21 settembre 2001, Mangatia, ibid., n. 6, citata in motiva
zione; 23 aprile 1998, Perri, id., Rep. 1998, voce cit., n. 8; nella giuris prudenza di merito, v. Pret. Dolo 2 febbraio 1989, id., 1989, II, 493.
(2) Con riferimento alla seconda massima, oltre alla citata Cass. 29
aprile 2002, Lombardo, la quale puntualizza che la condizione di disoc
cupazione dell'obbligato deve essere qualificabile come incolpevole, v. Cass. 25 giugno 1999, Morfeo, Foro it., Rep. 2000, voce Assistenza
familiare, n. 7, citata in motivazione; 8 luglio 1997, Carabellese, id.,
Rep. 1998, voce cit., n. 5; 25 ottobre 1990, Patruno, id., 1992, II, 295, secondo la quale incombe pur sempre all'imputato l'onere di allegazio ne di idonei e convincenti elementi indicativi della concreta impossibi lità di adempiere.
Al riguardo, Cass. 5 febbraio 1998, Cusumano, id., Rep. 1999, voce
cit., n. 10, dalla premessa che non vi è interdipendenza tra il reato di cui all'art. 570, 2° comma, n. 2, c.p. e l'assegno liquidato dal giudice civile, ha tratto la conseguenza che la decisione di quest'ultimo non fa stato nel giudizio penale né in ordine alle condizioni economiche del
coniuge obbligato, né per ciò che riguarda lo stato di bisogno degli aventi diritto ai mezzi di sussistenza, circostanze queste che devono es sere accertate in concreto (nello stesso senso, quanto all'autonomia dei
due piani di valutazione, v. anche Cass. 12 novembre 1998, Tortorella, ibid., n. 11). Secondo Cass. 7 maggio 1998, Giannetti, id., Rep. 1998, voce cit., n. 3, la condizione di impossibilità economica dell'obbligato che esclude la sussistenza del reato, deve estendersi a tutto il periodo di
tempo nel quale si sono reiterate le inadempienze e deve consistere in
una situazione incolpevole di indisponibilità di introiti sufficienti a
soddisfare le esigenze minime di vita degli aventi diritto (nella specie, siffatti requisiti sono stati esclusi, in quanto era stato accertato dal giu dice di merito che l'imputato aveva svolto una sua attività lavorativa
produttiva di un reddito sufficiente, aveva avuto la disponibilità di
un'autovettura di grossa cilindrata e aveva frequentato una casa da
giuoco); alla situazione di incolpevole impossibilità di far fronte agli
obblighi, Cass. 16 maggio 1997, Ricciardi, ibid., n. 9, equipara gli eventi che il soggetto sia costretto a subire e che, non potendo essere
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