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Sezione I penale; sentenza 20 maggio 1983; Pres. Fernandes, Est. Tranfo, P. M. (concl. conf.); ric....

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Sezione I penale; sentenza 20 maggio 1983; Pres. Fernandes, Est. Tranfo, P. M. (concl. conf.); ric. P. m. c. Miagostovich. Annulla Trib. Roma, ord. 10 dicembre 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 10 (OTTOBRE 1983), pp. 393/394-403/404 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175253 . Accessed: 24/06/2014 20:45 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.49 on Tue, 24 Jun 2014 20:45:45 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I penale; sentenza 20 maggio 1983; Pres. Fernandes, Est. Tranfo, P. M. (concl. conf.);ric. P. m. c. Miagostovich. Annulla Trib. Roma, ord. 10 dicembre 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 10 (OTTOBRE 1983), pp. 393/394-403/404Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175253 .

Accessed: 24/06/2014 20:45

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GIURISPRUDENZA PENALE 394

I

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I penale; sentenza 20 maggio

1983; Pres. Fernandes, Est. Tranfo, P. M. (conci, conf.); ric.

P. m. c. Miagostovich. Annulla Trib. Roma, ord. 10 dicembre

1982.

CORTE DI CASSAZIONE;

Libertà personale dell'imputato — Custodia preventiva — Delitti

contro la personalità dello Stato — Insurrezione armata e guerra civile — Scarcerazione per mancanza di sufficienti indizi —

Fattispecie (Cod. pen., art. 284, 286; cod. proc. pen., art. 269,

272 bis; 1. 12 agosto 1982 n. 532, disposizioni in materia di rie

same dei provvedimenti restrittivi della libertà personale e dei

provvedimenti di sequestro. Misure alternative alla carcerazione

preventiva, art. 13).

Va annullata con rinvio l'ordinanza con cui il tribunale della

libertà dispone la scarcerazione per mancanza di sufficienti indizi dell'imputato dei delitti di insurrezione armata contro i

poteri dello Stato e di guerra civile, in base al presupposto che

gli indizi a suo carico siano costituiti esclusivamente dalla sua

partecipazione, accertata con sentenza definitiva, alla banda

armata « Brigate rosse » e non anche dall'accertamento —

attraverso l'esame della potenzialità insurrezionale della banda

stessa, in riferimento all'epoca di partecipazione dell'imputato — di comportamenti diretti specificamente alla promozione di

una sollevazione in armi di grandi masse di cittadini al fine di

sovvertire l'ordinamento dello Stato e di provocare uno scontro

armato con le forze dello Stato. (1)

li

TRIBUNALE DI ROMA; ordinanza 10 dicembre 1982; Pres. Mu

scarà; ric. Miagostovich.

Libertà personale dell'imputato — Custodia preventiva — Delitti

contro la personalità dello Stato — Insurrezione armata e guerra civile — Scarcerazione per mancanza di sufficienti indizi — Fat

tispecie (Cod. pen., art. 284, 286; cod. proc. pen., art. 269, 272

bis; 1. 12 agosto 1982 n. 532, art. 13).

Deve ordinarsi la scarcerazione per mancanza di sufficienti indizi

dell'imputato dei delitti di insurrezione armata contro i poteri dello Stato e di guerra civile, nell'ipotesi in cui gli indizi a suo

carico siano costituiti esclusivamente dalla sua partecipazione, accertata con sentenza definitiva, alla banda armata « Brigate rosse » e non anche dall'accertamento — attraverso l'esame

della potenzialità insurrezionale della banda stessa, in riferi mento all'epoca di partecipazione dell'imputato — di compor

tamenti diretti specificamente alla promozione di una solleva

zione in armi di grandi masse di cittadini, al fine di sovvertire

l'ordinamento dello Stato e di provocare uno scontro armato

con le forze dello Stato. (2)

(1-2) <1. - Non risultano precedenti in termini. Le due decisioni si segnalano all'attenzione per un duplice ordine di

motivi: da un lato, esse ripropongono molti dei noti problemi connessi all'accertamento probatorio dei reati politici a sfondo eversi

vo; dall'altro, toccano l'attualissima questione della portata e dei limiti

del potere di riesame spettante al tribunale della libertà.

Sotto il primo profilo, la peculiarità della vicenda dedotta in

giudizio (sulla quale v. l'articolo di Giorgio Bocca dal titolo Come se

fossimo ad Alma Alta, pubblicato su L'Espresso del 3 aprile 1983) è

rappresentata dal fatto che gli indizi di colpevolezza relativi ai reati

di insurrezione armata e guerra civile poggiano, come dato più sicuro, sulla partecipazione dell'imputato alla banda armata «Brigate rosse»,

precedentemente accertata con una sentenza definitiva: da qui il

rischio evidente di procedere in sede probatoria per « sovrapposizione »

(cfr. Padovani, Bene giuridico e delitti politici, in Riv. it. dir. e proc.

pen., 1982, 12 ss.) o «giustapposizione» (Petta, I reati associativi e i

giudici del 7 aprile, in Critica del diritto, 1982, fase. 23-24, 105) di

figure ineriminatrici al medesimo fatto, con inammissibile violazione

del principio ne bis in idem, e la conseguente necessità di chiarire, in

via preliminare, i rapporti intercorrenti tra i reati strutturalmente

diversi di banda e insurrezione armata.

II. - A quest'ultimo proposito, le due pronunce in epigrafe perven

gono a conclusioni divergenti le quali, a loro volta, riflettono un

contrasto di fondo relativo al modo stesso di concepire i principi

ispiratori del diritto penale politico in uno Stato democratico.

Più « garantistica » nell'ispirazione e nell'impianto concettuale, l'or

dinanza Trib. Roma 10 dicembre 1982 si preoccupa di dimostrare che,

alla stregua di una rilettura dei reati coinvolti saldamente ancorata al

principio di offensività, la semplice attività di partecipazione alla

banda armata non può, da sola, possedere « il requisito dell'idoneità

richiesto per l'attività di promovimento dell'insurrezione armata»: in

questo senso, recependo i risultati della più recente presa di posizione dottrinale in argomento (E. Gallo, Insurrezione armata contro i poteri dello Stato, in Giust. pen., 1981, II, 245; cui adde Pepino, Il delitto

I

Fatto. — La sentenza, alla quale in verità sia il ricorrente che

le difese nelle memorie hanno fatto dire talora cose diverse da

quelle in realtà sostenute, nel riesaminare la posizione del Mia

gostovich, è partita dalla premessa che la sentenza di condanna,

già emessa nei confronti dell'imputato per partecipazione a banda

armata, pur non rappresentando un giudicato che sul presente tema d'accusa (l'aver promosso insurrezione armata e guerra civile) produca un effetto preclusivo, abbia tuttavia un'efficacia

vincolante ponendosi « come legge del caso singolo ».

di insurrezione armata tra mito e realtà, in Questione giustizia, 1982, 647 ss.), e riecheggiando isolati precedenti giurisprudenziali (l'unico precedente diretto è costituito dalla sentenza n. 9 emessa dal tribuna le speciale fascista in data 22 aprile 1927, citata in motivazione e massimata in Foro it., Rep. 1927, voce Sicurezza dello Stato (delitti contro), n. 9; per un riferimento analogico, v., invece, sempre citata in motivazione, Cass., sez. un., 18 marzo 1970, Kofler, id., 1971, li, 145), l'organo giudicante sottolinea che la costituzione di bande armate rappresenta una attività meramente « preparatoria » rispetto alla promozione di una insurrezione. Quanto, poi, al configurarsi di

quest'ultima ipotesi di reato, la ritenuta esigenza di rendere operante il principio di offensività induce ad una ricostruzione della fattispecie di cui all'art. 284 c.p. in chiave di « pericolo concreto »: a tenore della quale, il reato de quo si configura se la sollevazione di masse in armi sia idonea, per dimensioni ed estensione territoriale, a mettere seriamente e concretamente in forse l'esistenza stessa dello Stato (nello stesso senso Gallo, cit., 245 ss.).

Le preoccupazioni garantistiche, sottese ad una rilettura dell'attuale diritto penale politico ancorata al principio di offensività, appaiono, invece, assenti nella motivazione della sentenza di riforma emessa dalla Cassazione: screditando le tesi avversate col semplice pretesto di considerarle valide al più in una prospettiva de iure condendo, l'organo di legittimità insiste nel disancorare le fattispecie lato sensu di attentato qui richiamate dal riferimento al parametro della « idonei tà », espressamente previsto dalla norma sul delitto tentato (art. 56 c.p.) e finisce col privilegiare la direzione della volontà come elemento caratterizzante la condotta tipica (nello stesso senso, in dottrina, v., tra gli altri, Musotto, Diritto penale, parte generale, Palermo, 1981, 133; Zuccalà, Profili del delitto di attentato, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1977, 1225), cosi trascurando però di valutare l'incidenza obiettiva del fatto sugli interessi tutelati (sul punto, cfr. Mantovani, Diritto penale, Padova, 1979, 391). Va tuttavia segnalato che la ritenuta esigenza di accertare l'idoneità offensiva di fattispecie del tipo di quelle in esame non impedisce, a parte della dottrina, di segnalare le obiettive difficoltà che si frappongono all'accertamento di una « concreta » messa in

pericolo dei beni « universali » o « sovraindividuali », tra i quali sono per l'appunto da annoverare quelli protetti nell'ambito dei delitti contro la personalità dello Stato: sul punto cfr. le osservazioni di Fiandaca ad Assise Roma 5 marzo 1981, Foro it., 1981, II, 435.

Rispetto al profilo più specifico dell'ammissibilità di un concorso tra banda e insurrezione armata, l'ordinanza Trib. Roma, nell'escludere che la semplice partecipazione alla banda armata possa di per sé

comportare l'assunzione del ruolo di promotore di una insurrezione armata, sembra fondamentalmente in linea con l'ord.-sent. del giud. istr. Trib. Roma 30 marzo 1981, Augustoni ed altri (cit. da Casel

li-Perduca, Terrorismo e reati associativi: problemi e soluzioni giu risprudenziali, in Giur. it., 1982, IV, 228), per la quale colui che

promuove, costituisce ed organizza la banda armata risponde anche del delitto di promozione dell'insurrezione soltanto se ricopre un ruolo che gli consente di determinare, attivare, coordinare e convogliare le azioni verso il risultato voluto: ora, se già la promozione di banda armata non equivale a promozione di insurrezione, a maggior ragione l'inferenza risulterebbe affrettata muovendo da una condotta di sempli ce partecipazione a banda armata. Nel senso dell'ammissibilità del concorso tra i reati in questione, ove l'insurrezione effettivamente si

verifichi, si pronuncia Assise app. Milano 21 giugno 1980, Alunni e

altri, riassunta da Caset.li-Pf.rduca, cit., 227; nel senso che il delitto di banda armata rimane assorbito in quello di insurrezione v., invece, Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1981, vol. IV

(a cura di Nuvolone), 497.

Sempre in tema di banda armata, la Cassazione ha affermato il concorso di tale reato con quello di associazione sovversiva o associa zione con finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico: Cass. 12 ottobre 1982, Piermarini, in questo fascicolo, II, 405, con nota di Rapisarda; contra, Assise Genova 8 ottobre 1982, ibid. Ancora a proposito della figura di reato in questione, Cass. 5 marzo

1980, Livraghi, Foro it., 1980, II, 477, con nota di richiami, ritiene il reato di partecipazione a banda armata del tutto distinto da quello di formazione della banda stessa, concretandosi il primo nella mani festazione individuale di volontà di aderire alla banda già costituita.

In dottrina, sui reati qui menzionati, oltre ai già citati scritti di Gallo e Pepino, v. Boscarelli, Banda armata, voce dell 'Enciclopedia del diritto, Milano, 1959, V, 35 ss.; E. Gallo, Guerra civile (dir. pen.), id., 1970, XIX, 890, ss.; Carbone, Insurrezione armata contro i

poteri dello Stato, id., 1971, XXI, 816 ss. Sul tema « Il delitto politico dalla fine dell'ottocento ai giorni no

stri » l'8 e il 9 ottobre la rivista Critica del diritto ha organizzato presso l'Aula magna della facoltà valdese di teologia un convegno presieduto da E. Gallo con relazioni di: Agnoli, La logica dello

Il Foro Italiano — 1983 — Parte II-30.

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PARTE SECONDA

Posta questa premessa trae la conseguenza che gli atti posti in

essere dal Miagostovich, in quanto partecipe della banda armata

Brigate rosse, non ebbero idoneità concreta rispetto alla realizza

zione del delitto di cui all'art. 284 c.p. Questa inidoneità si ricaverebbe: 1) dal riferimento al periodo

di militanza attiva del Miagostovich, ch'è quello dal 1972 all'ot

tobre 1975 (data dell'arresto di costui), periodo in cui: le B.R. in

genere non avevano raggiunto « livelli di violenza, armamento ed

estensione sociale e territoriale » tali da integrare il « massimo

grado di pericolosità per le istituzioni »; 2) dal fatto che il

Miagostovich non aveva compiuto atti tali da far ritenere che

oltre all'uso « generalizzato della violenza » potesse in concreto

portare un attacco destabilizzante ai poteri dello Stato « sì da

mettere in pericolo la sopravvivenza delle istituzioni » ; 3) dal

fatto che, infine, nel periodo dell'arresto, per forza di cose, e in

quello successivo alla escarcerazione, non si possono porre a

carico dell'imputato comportamenti penalmente rilevanti.

Stato e il diritto alla ribellione-, Bellingkrodt, La « Festungshaft » -

Teoria e prassi del « carcere d'onore » per il delitto politico nella

Repubblica di Weimar; Bettiol, Il principio di tassatività e i reati associativi; Bevere, L'insurrezione armata contro i poteri dello Stato tra storia e diritto; Bronzini-Palma, Concorso morale e reati asso ciativi; Canosa, Il delitto politico tra ontologia e storia; Coreo, Il processo penale come strumento di controllo sociale; De Francesco, I reati politici associativi: nessi sistematici e implicazioni interpreta tive; Dominioni, Peculiarità e anomalie nel processo penale politico; Ferrajoli, Ragion di stato e processo penale; Gamberini-Insolera, Delitti contro la personalità dello Stato: tutela del valore e struttura della fattispecie; Loi, L'associazione sovversiva; Marrone, Violenza diffusa e configurabilità di fattispecie penali; Misiani, Funzioni della carcerazione preventiva; Padovani, La tipicità inafferrabile: problemi di struttura obiettiva dei reati contro la personalità dello Stato; Pa lermo Fabris, Il concorso di reati nelle fattispecie associative; Petta, Reati associativi e libertà di associazione; Pisauro, Dialettica tra le

parti e sua alterazione nel processo politico; Piscopo-Spazzali, Il ruolo della difesa nel processo penale-politico; Preuss, Il delitto politico nell'esperienza della Repubblica federale tedesca negli ultimi anni; Santosuosso, Politicità dei reati e forme di decriminalizzazio ne; Schmidt, Per una storia del diritto penale politico; Vassalli, Il delitto politico commesso all'estero.

III. - Quanto al problema, accennato all'inizio, della violazione del principio del ne bis in idem, entrambe le decisioni vi accennano in maniera poco chiara e/o (sostanzialmente) elusiva. Cass. 12 ottobre 1979, Caloro, secondo cui il giudicato si forma sulla decisione assolutoria o di condanna, e non già sulle affermazioni o valutazioni contenute in motivazione, è massimata in Foro it., Rep. 1980, voce Cosa giudicata penale, n. 2. In proposito cfr., anche, Cass. 15 luglio 1980, Spinnato, id., Rep. 1981, voce cit., n. 5; 30 luglio 1980, Dibenedetto, ibid., n. 7; nonché Cass. 12 giugno 1981, Cavallina, id., Rep. 1982, voce cit., n. 13, che ha escluso la violazione del principio de quo nel caso in cui una persona già assolta dal reato di associazione sovversiva venga poi giudicata per costituzione di banda armata per finalità di terrorismo.

Va, tuttavia, rilevato che la tradizionale elaborazione del principio ne bis in idem rischia di apparire formalistica nel particolare settore dei reati politici, dove il duplice e complementare fenomeno dell'« in terscambio delle valutazioni di rilevanza penale » e della « pluralità artificiosa delle qualificazioni » può portare, anche inavvertitamente, ad una sostanziale violazione del divieto posto dall'art. 90 c.p.p. (cfr. Padovani, cit., 17; in argomento v., anche, M. Romano, Il codice Rocco e i lineamenti di una riforma del diritto penale politico, in Questione criminale, 1981, 145).

IV. - Le censure mosse dalla Cassazione all'ordinanza investono, infine, anche l'« ottica di valutazione » adottata nel riesaminare gli indizi di colpevolezza a carico dell'imputato {la corte in sostanza lamenta un « eccesso » di verifica che avrebbe finito col collocare l'organo di riesame nella impropria posizione di giudice del dibatti

mento). Tale critica merita di essere particolarmente sottolineata, perché nel sollevare il problema della portata e dei limiti del giudizio di riesame in base agli art. 7 e 8 1. 12 agosto 1982 n. 532

presuppone al tempo stesso una interpretazione fortemente « restritti va » dei poteri di sindacato attribuiti al tribunale della libertà, e ciò in contrasto con le prese di posizione della dottrina a commento della relativa legge istitutiva (cfr., tra gli altri, Vassalli, in Legislazione pen., 1983, 66; Illuminati, ibid., 104 ss.).

'Preoccupazioni analoghe a quelle manifestate dalla Cassazione, unite al riscontro di deludenti risultati circa il modo di funzionamento del nuovo organo giudiziario, affiorano nondimeno in sede di primo bilancio applicativo della 1. 532/82 (ad es. da una raccolta di dati

statistici, relativi all'attività della sezione di riesame del Tribunale di Milano, emergerebbe che la percentuale di accoglimento delle richieste di riesame risulta inferiore al 5 %): cfr. Davigo, Il c.d. « tribunale della libertà » alla prova dei fatti; un primo bilancio, in Indice pen., 1983, 197. Parimenti assai critico — secondo quanto riferisce la

stampa — il consuntivo al riguardo tratto dai partecipanti al diciasset tesimo congresso giudirico forense recentemente conclusosi a Taormina

(cfr. l'articolo Gli avvocati accusano « Il tribunale della libertà non serve a niente », pubblicato sul Giornale di Sicilia del 22 settembre 1983).

Attraverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il

p.g. presso la corte d'appello deducendo violazione di legge e

vizio di motivazione.

L'eronea applicazione della legge si avrebbe sul punto della

ritenuta corrispondenza ontologica fra i delitti di attentato e i delitti tentati, sicché entrambi postulerebbero l'idoneità e l'univo

cità direzionale degli atti compiuti, rispetto all'evento. Nel caso di cui all'art. 284 c.p. l'insurrezione costituirebbe l'evento e il

reato sarebbe consumato se l'evento si verifichi, tentato se

l'evento non si realizzi.

In ogni caso la condotta dell'agente dovrebbe esser tale da con

sentire la realizzazione della insurrezione.

Il vizio di motivazione risiederebbe nella superficiale analisi

dei fatti e delle prove, sminuendo il valore oggettivo e sintomati

co dei reati commessi dalle B.R. nel periodo di eversione « atte

nuata », anteriore all'ottobre 1975, trascurandone il numero; la

sciando in ombra tali valori e numeri per il periodo 1975/1978; omettendo ogni disamina dei collegamenti fra B.R. e formazioni e

bande italiane satelliti ed estere; dimenticando che la organizza zione e la struttura delle B.R. contenevano fin dalle prime fasi

operative e progettuali la potenzialità realizzatrice di ogni succes

siva impresa. Il vizio consisterebbe altresì nell'aver apoditticamente affermato

che, sia nelle carceri che dopo la liberazione, il Miagostovich nulla abbia fatto di penalmente rilevante che giustificasse un

giudizio di permanenza dei suoi collegamenti con le B.R. e della

sua attività di impulso e direzione, tali da far considerare un

unicum inscindibile la sua condotta dal 1972 al 1982.

Il p.g. presso questa corte ha concluso come testualmente si

riporta. « In data 28 gennaio 1982 il giudice istruttore del Tribunale di

Roma emetteva nei confronti di Miagostovich Giovan Battista e

di vari altri imputati mandato di cattura con il quale era

contestato il delitto di cui agli art. 110, 112, n. 1, 81, p.p., 284 e

286 c.p. Avverso il provvedimento restrittivo il Miagostovich, unitamen

te ad altri prevenuti, proponeva ricorso per cassazione che la

Suprema corte rigettava con sentenza 8 giugno 1982.

Successivamente era avanzata istanza di scarcerazione per mancanza di sufficienti indizi di colpevolezza che era respinta dal

giudice istruttore con ordinanza 27 settembre 1982.

Proponevano appello il Miagostovich ed i suoi difensori ed il

tribunale, con ordinanza 10 dicembre 1982, accoglieva il gravame

disponendo la scarcerazione del prevenuto. Avverso quest'ultimo provvedimento avanzava ricorso per cas

sazione il procuratore generale denunziando, negli articolati moti

vi, violazione di legge e segnatamente degli art. 284 e 286 c.p., nonché carenza di motivazione e travisamento dei fatti.

È necessario preliminarmente precisare alcuni principi e nozio ni che avrebbero dovuto costituire le necessarie premesse ai fini del decidere e che invece risultano, nella motivazione del prov vedimento impugnato, o semplicemente adombrati, o radicalmente

contestati, oppure, ancora, non sufficientemente approfonditi. Una prima doverosa puntualizzazione è quella concernente la

rilevanza della sentenza irrevocabile emessa il 15 dicembre 1978

dalla Corte d'assise d'appello di Milano con la quale il Miagosto vich riportò condanna, tra l'altro, per il delitto di partecipazione a banda armata.

Su questo punto il tribunale fa riferimento, citando il manuale di un autorevole docente universitario, all'effetto vincolante di una sentenza passata in giudicato in altro procedimento logica mente subordinato, ma non precisa che il giudicato si forma sulla decisione assolutoria o di condanna e non già sulle affer mazioni e valutazioni contenute nella motivazione della sentenza

(sez. Ili 12 ottobre 1979, Caloro, Foro it., Rep. 1980, voce Cosa

giudicata penale, n. 2), con la conseguenza che l'unico dato rilevante ai fini del decidere è costituito dall'affermazione di

responsabilità del Miagostovich in relazione al delitto di parteci pazione a banda armata e non già dalle motivazioni pure riportate nell'impugnato provvedimento.

Un ulteriore chiarimento si impone sul punto poiché non risulta espressamente dalla motivazione dell'ordinanza che il fatto contestato nel presente procedimento sia diverso e ulteriore (in quanto consiste nella realizzazione dei delitti-scopo) e si riferisce a un diverso e più esteso ambito temporale.

Di vero, il reato di banda armata, nella duplice forma della costituzione e della partecipazione, non è elemento costitutivo dell'insurrezione armata e della guerra civile, né viene escluso o assorbito dalla perpetrazione di questi ultimi delitti. L'art. 306

c.p. (al pari dell'art. 305, e a differenza dell'art. 304, che pone la riserva « se il delitto non è commesso ») stabilisce espressamente

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GIURISPRUDENZA PENALE

che si risponde di banda armata « per ciò solo », cioè per il solo

fatto di averla formata o di avervi partecipato: se la banda

commette i delitti per cui è stata costituita, gli autori o com

partecipi di essi ne rispondono in concorso con il reato in

questione, come è concordemente ritenuto dalla più autorevole

dottrina e dalla giurisprudenza di codesto Supremo collegio (sez. I 30 giugno 1981, Servello, id, 1982, II, 181; v. anche, con

riferimento alla cospirazione politica mediante associazione, fina

lizzata all'insurrezione armata contro i poteri dello Stato, sez. I

10 dicembre 1971, Rosa, id., Rep. 1972, voce Libertà personale dell'imputato, nn. 65-67; e, da ultimo, sez. I 8 giugno 1982, n.

1309, pronunciata sul ricorso avverso il medesimo mandato di cattura proposto dallo stesso Miagostovich ed altri).

Esaurite tali notazioni preliminari, si osserva che l'impugnato

provvedimento fa leva su una erronea interpretazione delle norme

incriminatrici la cui violazione è ascritta al Miagostovich. In particolare, in esito ad un serie di argomentazioni mutuate

da un recente articolo pubblicato in Giust. pen., 1981, II, 237, di

un autorevole studioso, il tribunale ha, in ultima analisi, ritenuto

che i delitti di attentato richiedono gli stessi elementi del delitto

tentato e segnatamente la idoneità e l'inequivocità degli atti;

portando a conclusioni ulteriori tale affermazione ha sostenuto

che i menzionati delitti di attentato postulano l'inizio -dell'esecu

zione dell'attività tipica della figura criminosa presa in considera

zione.

Rivela il requirente che le osservazioni contenute nella motiva

zione dell'impugnata ordinanza possono essere valutate al più come spunti dottrinali degni di approfondimento de iure conden

do, ma di certo del tutto disancorate dall'attuale realtà normati

va: una corretta interpretazione che muova dalla formulazione

letterale delle norme incriminatrici, secondo i normali criteri di

ermeneutica giuridica, conduce infatti a conclusioni del tutto

diverse da quelle enunciate dai giudici di merito.

Del resto, pur in assenza di una copiosa giurisprudenza sul

punto — e ciò in relazione alla natura dei reati in esame — una

acuta analisi interpretativa risulta essere stata già condotta dalle

sezioni unite di codesta corte con la sentenza 18 marzo 1970, P.m. c. Kofler ed altri (Foro it., 1971, II, 145); ed ancora più

singolare appare l'ordinanza impugnata ove si consideri che il

tribunale ha citato la detta decisione, pur estrapolandone due

singole righe, per poi stravolgerne la portata complessiva.

La corte, muovendo dal rilievo che in buona parte delle norme

sui c.d. reati di attentato figura la locuzione « chiunque commette

un fatto diretto a... » in luogo di quella apparentemente più

logica « chiunque commetta atti diretti in modo non equivoco a

... », ricerca le ragioni di tale differente formulazione e corret

tamente le individua in una diversa esigenza di politica criminale

connessa alla peculiare obiettività giuridica delle fattispecie cri

minose in esame.

Mentre invero, per gli ordinari reati comuni, l'esigenza di

reprimere il delitto sul nascere « è soddisfatta con la provvidenza

normativa istitutrice della figura generale del tentativo (atti ido

nei diretti in modo non equivoco), per i suddetti fatti di

attentato l'esigenza della repressione si pone in modo diverso;

qui occorre, veramente, provvedere subito, cioè comminare la

sanzione punitiva in vista di quel primo anello dell'eventuale

catena di decorso dell'evento temuto, difficile, sì a verificarsi, ma

sempre possibile ».

E la ragione di tale immediatezza di intervento, esplicitata del

resto negli stessi lavori preparatori, appare intuitiva posto che,

ove si ritenesse con il Tribunale di Roma che l'idoneità della

condotta debba essere valutata « in base ad un giudizio di

probabilità ancorato ai dati dell'esperienza storica », l'intervento

punitivo rischierebbe al momento opportuno di non poter essere

attuato per il vanificarsi delle pubbliche istituzioni travolte dal

l'attuazione delle finalità dell'attentato.

Né può tacersi che il pericolo di sovvertimento delle istituzioni

attraverso insurrezioni armate contro i poteri dello Stato o guerra

civile sorge immediatamente al primo estrinsecarsi di atti eziolo

gicamente preordinati al fine criminoso perché l'evento temuto,

come insegna proprio quell'esperienza storica genericamente,

quanto disinvoltamente, richiamata dai giudici di merito, può verificarsi anche per caso e addirittura al di là della volontà o

della possibilità degli stessi agenti.

Si deve comunque precisare che la locuzione « chiunque com

mette un fatto diretto a », dalla quale codesta corte ha tratto le

mosse per una compiuta esegesi dei delitti di attentato, figura nell'art. 286 c.p., ma non anche nel testo dell'art. 284 c.p., del

pari oggetto di contestazione a carico dell'imputato. È evidente, tuttavia, che le considerazioni riportate trovano

piena applicazione anche in riferimento alla norma incriminatrice

de qua poiché si tratta pur sempre di delitti di attentato e, del

resto, anche in altre fattispecie previste nello stesso titolo talvolta

figura l'accezione attentato in funzione normativa, mentre altre

volte in funzione descrittiva (chiunque attenta) senza che dell'u

so di tale accezione possa farsi criterio discretivo per annoverare

una singola figura nella categoria dei delitti in esame.

Di vero, anche muovendo da una diversa impostazione rispetto a quella fatta propria dalla Suprema corte nella citata decisione, e seguendo anzi il tribunale nell'unico riferimento normativo

posto a fondamento dell'interpretazione adottata, vale a dire il

richiamo all'art. 49 c.p., si deve ritenere che le conclusioni non

cambino.

Invero, tale norma, collocata nella parte generale del codice

penale e come tale applicabile ad ogni reato, nel definire il

concetto di reato impossibile per inidoneità dell'azione, fornisce,

per converso, i requisiti minimi necessari per integrare la sussi stenza del reato affermando, in realtà, che l'azione sostantiva di esso debba essere idonea a causare il risultato che la norma incriminatrice tende ad evitare.

È noto infatti che, con riferimento all'art. 49 c. p., l'idoneità dell'azione deve essere valutata in concreto, ma con giudizio ex

ante, nel senso che occorre riportarsi al momento in cui l'azione viene posta in essere.

Ciò premesso, è evidente che l'idoneità è suscettibile di atteg giarsi, per i reati di pericolo, quali quelli di attentato, in modo diverso da quanto avviene per i reati di danno.

E, invero, in questi ultimi, come ancora puntualizzato dalla

Suprema corte, non può affermarsi l'idoneità degli atti compiuti ove si accerti che l'azione non poteva causare il risultato voluto senza il concorso di altri fattori eventuali. Nei reati di pericolo, viceversa, devesi concludere per l'affermazione della idoneità ove si ritenga che l'azione potesse conseguire il risultato anche con il

concorso di fattori eventuali.

Ciò perché nei reati di danno la ratio della norma incrimina trice è quella di evitare l'effettiva lesione del bene giuridico protetto, mentre nei reati di pericolo è quella, prima ancora, di evitare che sorga appunto una situazione di pericolo da cui possa scaturire la lesione del bene giuridico protetto.

Trattasi, all'evidenza, di un giudizio ben diverso da quello di

probabilità e cioè di rilevante possibilità cui il tribunale ancora il

proprio convincimento. In definitiva, il requisito della idoneità deve ritenersi realizzato

all'esito positivo del giudizio di non inidoneità del quod actum. Tale essendo la configurazione giuridica dei delitti contestati, si

deve concludere che il tribunale ha erroneamente interpretato il contenuto delle norme incriminatrici.

Ma v'è di più. I giudici di merito hanno compiuto una

apodittica discriminazione dell'attività delle Brigate rosse con riferimento alla « potenzialità destabilizzante » di tale formazione

assumendo che tale potenzialità rimase entro limiti... tollerabili

sino all'ottobre 1974, per poi aumentare fino a raggiungere l'acme

in occasione della vicenda Moro; ne deducono che, per avere il

Miagostovich fatto parte delle Brigate rosse fino all'ottobre 1975

(come da sentenza 10 marzo 1978 della Corte d'assise di Milano), non dovrebbe rispondere dei reati contestati, ipotizzabili concre

tamente soltanto con riferimento all'attività svolta dalle B.R. nella

seconda descritta fase di maggiore pericolosità, desunta « dall'au

mento dei livelli di violenza, dell'armamento, dell'estensione so ciale e territoriale delle B.R. »; evidenziano, infine, che, dopo l'arresto subito il 20 ottobre 1975, non sarebbero imputabili al

Miagostovich comportamenti penalmente rilevanti ai fini « di una

sua attiva presenza nella fase specificamente preparatoria di un

piano insurrezionale delle B.R. ».

Tali essendo le argomentazioni addotte, appare evidente che esse

poggiano, come posto in luce dal p.g. ricorrente, su una analisi

del tutto superficiale, sia in relazione alla complessità del feno

meno terroristico in esame sia con riferimento alle risultanze

processuali diffusamente illustrate dal p.g. e non esaminate in

sede di decisione.

L'enucleazione di una pretesa fase di non pericolosità del

fenomeno sino all'ottobre 1974 è palesemente destituita di ogni fondamento ove si consideri soltanto il numero e la qualità degli attentati compiuti dalle B.R. in tale arco temporale, inequivoca mente rivelatori di un ben delineato proposito di insurrezione

armata e di attacco alle istituzioni ed alla convivenza civile.

Singolare appare, al riguardo, che il tribunale abbia indicato

parte non irrilevante di tali azioni (tra le quali si annoverano

sequestri di persona, evasioni organizzate ed omicidi volontari)

per poi, senza fornire una logica spiegazione, declassarle a delitti

comuni privi di un preordinato disegno, peraltro espressamente manifestato nei « proclami » emessi dalle B.R. in occasione dei

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PARTE SECONDA

singoli episodi criminosi, proclami definiti « ampollosi » e come

tali irrilevanti. Ma se i convincimenti del tribunale appaiono sin qui frutto di

palesi incertezze metodologiche e di scarso approfondimento delle

risultanze processuali, vi è da rilevare un ben preciso e non

irrilevante travisamento del fatto laddove si afferma che per avere il Miagostovich fatto parte delle Brigate rosse fino al

l'ottobre 1975, egli dovrebbe rispondere al più dei delitti di cui

agli art. 284 e 286 c.p. per la sola fase in cui la pretesa non

pericolosità della formazione escluderebbe in radice la configura bilità dei reati medesimi, vale a dire fino alla fine dell'anno 1974.

Ma in siffatta situazione resta del tutto obliterato il periodo che va dalla fine dell'anno 1974 all'ottobre 1975, anno in cui si

verificarono altri gravi attentati menzionati nei motivi di ricorso

del p.g., non senza rilevare che anche in istato di deten

zione, come dimostrato da consimili situazioni, ben potrebbe essere continuata la partecipazione attiva dell'imputato alla for

mazione terroristica.

Quanto, infine, all'ennesima apodittica affermazione secondo

cui con riferimento al periodo compreso fra l'arresto del Miago stovich ed il gennaio 1982 (epoca dell'arresto del ricorrente per i

fatti di cui al presente procedimento) non sarebbero imputabili al

prevenuto comportamenti rilevanti ai fini di una sua attiva

presenza all'interno delle B.R., si deve rilevare che il tribunale ha

del tutto omesso di adeguatamente valutare circostanze decisive

quali la ricordata esistenza di strutture brigatiste interne agli istituti penitenziari, la corrispondenza del Miagostovich dalla

quale si evince l'ulteriore adesione all'eccidio di via Fani, il

ritrovamento di una ricetta medica intestata allo stesso imputato, recante la data del 30 agosto 1978, nell'abitazione di altra

brigatista, Ventura Marinella, che ha confermato come il Miago

stovich, a partire dal 1978, si mise in contatto con Fasoli Marco

per predisporre il potenziamento della colonna veneta.

Del resto, l'importante ruolo rivestito dal Miagostovich nelle

Brigate rosse risulta dalla costituzione di un apposito « Comitato

per la liberazione dal confino di Giovanni Miagostovich » che,

per le stessi finalità perseguite, appare dimostrativo della posizio ne di rilievo che compete al prevenuto nella organizzazione.

Insieme a questi indizi riferentisi al periodo successivo all'arre

sto del prevenuto dovranno essere valutate tutte le altre circo

stanze indizianti riguardanti l'intero arco di tempo cui si riferisce

il capo d'imputazione (dall'anno 1970 al gennaio 1982), quali la

posizione di « regolare legale », come tale armato e munito di

falso documento, e l'opera di proselitismo compiuta di guisa che, eliminata l'artificiosa distinzione tra periodi rilevanti e irrilevanti

ai fini del decidere, si pervenga ad una decisione adeguatamente motivata e non inficiata da erronea interpretazione delle norme

incriminatrici ». Diritto. — Il ricorso è fondato e va accolto.

Le argomentazioni del ricorrente meriteranno attenta lettura da

parte del giudice di rinvio, sia per la parte che concerne le

affermazioni — in punto di diritto — sul rapporto concettuale

fra delitti a consumazione anticipata e delitti tentati, sia sul

richiamo — in punto di fatto — agli aspetti probatori tralasciati

e alla loro rilevanza (sotto profili di legittimità) per vizio di

motivazione. Le conclusioni del p.g. presso questa corte vanno

poi considerate parte integrante di questa decisione, onde ad esse

si intende fare recettizio rinvio.

Non può però questa corte tralasciare taluni aspetti macrosco

pici dei rilevanti vizi dell'impugnata ordinanza, che nell'analitica

confutazione sembrano quasi perdere la loro evidenza negativa. Anzitutto la sentenza fa una distinzione fra effetto preclusivo e

effetto vincolante di una precedente sentenza del 1978 della

Corte d'assise di Milano, senza che sia dato capire in cosa

consista quella « legge su misura del caso singolo » che da essa

si dovrebbe ricavare. Sicché, sia questo punto dell'ordinanza che le pur attente confutazioni che il ricorrente e il p.g. requirente vi dedicano, vanno espunte dal presente tema del ricorso perché ininfluenti.

Nel più ampio quadro dell'imputazione mossa al Miagostovich la partecipazione a banda armata di un periodo ristretto non può svolgere né effetto preclusivo, né effetto vincolante, ponendosi come il tassello di un più ampio mosaico, sicché nessun argo mento che concerna la parte può mai giovare o nuocere ad una tesi che riguardi il tutto.

L'ordinanza poi afferma che, posta l'eguaglianza ontologica e strumentale fra delitti di attentato e delitti tentati, le condotte, i

fatti, i delitti ascritti al Miagostovich non si rivelerebbero idonei a produrre l'effetto o il fine attribuito e cioè l'insurrezione armata.

Le confutazioni del ricorrente e del p.g. requirente sono sul

punto bastevoli, ma non può tacersi un aspetto a dir poco sconcertante della tesi del tribunale, che in appoggio cita stra

volgendone il senso e mutilandola la sentenza delle sezioni unite

di questa corte 18 marzo 1970, in ricorso P.m. c. Pofler (Foro it., 1971, II, 145): l'insurrezione armata costituirebbe l'evento non

realizzato rispetto alle condotte attentatrici (o tentativo) delle B.R. Da ciò, con un salto logico immotivato, l'ordinanza trae le

conseguenza che quelle condotte non avessero potenzialità effi ciente intrinseca per provocare l'insurrezione stessa.

Si è detto che l'affermazione è immotivata. Dal post hoc si ricava il propter hoc. Ma l'affermazione contiene delle autentiche

forzature concettuali: l'insurrezione non è il deragliamento del treno o il crollo del traliccio, è un fatto articolato e completo nel

quale concorrono componenti molteplici. L'idoneità non va com misurata con il metro banale del tentativo. Se la coscienza

popolare non recepisce o disdegna il messaggio eversivo, se le istituzioni non cedono, se la vitalità democratica di un paese libero non si piega al ricatto né si fa prender dal panico, ciò non vuol certo dire che l'effetto non fosse nelle possibilità dell'azione e, in connessione probabilistica, realizzabile.

Quanto poi all'elementare interpretazione della norma baste rebbe riflettere al fatto che siano previste dallo stesso articolo due fattispecie distinte alternative, una ad evento pieno, una ad evento mancato, con specifiche (anche se oggi irrilevanti) conse

guenze sanzionatrici per dimostrare che lo schema del tentativo era ben lontano dalla mente del legislatore. Ché altrimenti, stante la norma generale dell'art. 56 c.p., non vi sarebbe stato bisogno della singolare dicotomia. Quanto alla distinzione fra periodi di

diversa connotazione crimonologica e di diverso livello eversivo, rettamente censura il ricorrente oltre la gratuità e la mera

opinabilità la carenza logica dell'argomentazione, dimentica del

fatto che nulla nasce perfetto (anche nel male) e che alla

drammatica virulenza degli anni dal 1978 in poi non si sarebbe

mai giunti senza le basi preparatorie, il disegno sinistramente

lungimirante, posti e tracciati negli anni precedenti. E sul punto il vizio logico è di palmare evidenza.

Sicché, per chi gettò le basi efficienti e solide della progressiva e crescente potenza eversiva delle B.R., in assenza di una prova di distacco o di dissociazione, a nulla rivela porre in evidenza

periodi di quiescenza o di attenuazione dell'azione eversiva in

periodi successivi. Perciò dire che Miagostovich fu in carcere

dopo il 1975 per un certo periodo, o che non si rinvengano dal

1978 in poi fatti di particolare rilievo nel suo curriculum rivolu

zionario, non basta di per sé a scagionarlo, specie se, come

ricorda il ricorrente, episodi ulteriori dimostrino una permanenza del vincolo brigatista, una conservata posizione di preminenza

nell'organizzazione e una ricerca di nuova operatività. Una ultima considerazione va fatta, pur se non prospettata

esplicitamente dal ricorrente, ma che incide sulla detta interpre tazione della norma in tema di giudizio di riesame, di limiti di

siffatto giudizio e di direttive di legittimità per il magistrato di

rinvio. Nella motivazione dell'ordinanza impugnata v'è una caren

za ma v'è anche un eccesso: la carenza è di esame di fatti

essenziali, di argomentazione intorno ad aspetti rilevanti, di

richiamo probatorio in relazione a certe affermazioni apodittiche e gratuite; l'eccesso è nell'ottica della valutazione.

Il tribunale si è posto, infatti, nell'ottica del giudice del

dibattimento, come se fosse chiamato a condannare o ad assolve

re, sicché attraverso l'esame della posizione del Miagostovich ha

fatto il processo alle B.R. e preparato, nell'angusto spazio di una ordinanza e nel breve tempo concesso dall'art. 263 ter c.p.p., la sentenza cui dovrebbe almeno per alcuni imputati pervenire dopo mesi di fatiche il g.i. o, in caso di generale rinvio a giudizio, la corte d'assise.

Siffatta situazione è anomala e porterebbe, se non vi si ponesse argine, nel sistema processuale un tale sconvolgimento da non

sfuggire a tacce e denunce di incostituzionalità. Lo scopo dell'art. 263 bis introdotto con gli art. 7 e 8 della 1. 12 agosto 1982 n. 532 non è già quello di scavalcare le ordinarie competen ze e le rituali fasi del processo, per risolvere in via incidentale i problemi che si dibattono in via principale.

L'abnorme pronunzia di un tribunale che non si limiti ad una deliberazione sommaria del tema d'accusa e alla valutazione degli indizi in quanto tali, si inserirebbe come una mostruosa « zep pa » nell'ingranaggio processuale bloccandone ogni normale fun zionamento.

Il tribunale, nel caso di specie, si è investito degli stessi poteri e degli stessi compiti della corte d'assise quale giudice del dibattimento ed ha trasfuso sul piano della valutazione degli indizi le perplessità e le problematiche del giudizio definitivo sulla responsabilità. Ne è conseguita una inverosimile esclusione

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GIURISPRUDENZA PENALE

della sussistenza degli indizi in pieno contrasto con le stesse

premesse. Il giudice di rinvio dovrà correggere questa erronea impostazio

ne ed attenersi ad una valutazione che tenga conto, sul piano del valore degli indizi, del grado e della valenza tipica di siffatti elementi di accusa che, nel sistema vigente, sono ancora lontani, non solo dalle prove necessarie a condannare, ma anche da

quelle bastevoli a rinviare il giudizio. Dovrà poi riguardare alla posizione dell'imputato con riferi

mento a tutti gli elementi richiamati nel ricorso del p.g., esclusa in punto di fatto ogni arbitraria generalizzazione ed eliminata l'im

propria assimilazione del delitto tentato al delitto di attentato, e dire se, pur in presenza di siffatti elementi possa escludersi la sussistenza di indizi in relazione alle imputazioni contestate.

L'ordinanza va dunque annullata con rinvio allo stesso giudice, che, ai sensi dell'art. 543, n. 4, c.p.c., dovrà essere diversamente

composto.

II

In via preliminare si osserva, a proposito della richiesta appli cazione del principio del ne bis in idem, avanzata dal difensore, che la sentenza di condanna del Miagostovich per partecipazione a banda armata esplica in relazione al presente procedimento non un effetto preclusivo — cosi come sostenuto nei motivi di

appello — bensì un effetto vincolante. Quando il giudice —

come nel caso in esame — è chiamato a decidere su una res

iudicanda diversa ma logicamente subordinata a quella già decisa

(nel senso che la soluzione adottata per quest'ultima sia la

premessa o una delle premesse per la soluzione da adottare per la prima) deve usare la sentenza come regola del decidere, ossia

come legge costruita su misura per un caso singolo (v., in tal

senso, Cordero, Procedura penale, 1971, 681). Accertate cosi' nella suddetta sentenza di condanna l'esistenza

della banda armata Brigate rosse e la partecipazione ad essa del

Miagostovich, viene chiesto ora di accertare, attraverso l'esame

della potenzialità insurrezionale di questa banda — in riferimento

all'epoca della partecipazione dell'imputato —, se questi abbia o

meno svolto un'attività di promotore di un'insurrezione armata.

Una volta, cioè, accertata una situazione giuridica — fermo e

immutabile rimanendo il primo accertamento — si chiede di

accertare un'altra situazione, subordinata logicamente e connessa

cronologicamente alla prima. Fatta questa premessa e ritenute quindi infondate le doglianze

avanzate in tal senso dalla difesa, il tribunale osserva che il

reato contemplato nell'art. 284 c. p. rientra — come è noto —

nella categoria dei reati di pericolo o a consumazione anticipala. Con tale norma il legislatore ha inteso tutelare l'interesse a che i

poteri essenziali dello Stato siano gestiti al riparo dal pericolo di

una insurrezione armata, dal pericolo, cioè, di un rivolgimento armato idoneo a rovesciare l'assetto politico-istituzionale vigente in un determinato momento storico. Più compiutamente, lo Stato

con questa norma intende tutelare l'interesse a che l'esercizio dei

pubblici poteri avvenga senza l'assillo e la pressione derivanti

dalla presenza nel paese di una struttura armata idonea a creare

una concreta minaccia alla loro sopravvivenza, avendo essa la

capacità di coinvolgere un rilevante numero di cittadini in armi.

Il legislatore, come nella maggior parte delle fattispecie che

tutelano gli interessi più vitali di un ordinamento, intende antici

parne la difesa, in modo da punire attività delittuose prima che

l'interesse sia effettivamente danneggiato: perciò incrimina il

promovimento, prima ancora della insurrezione, anticipando a

questo momento la ideale consumazione di quest'ultima (origina riamente l'insurrezione consumata — quale ipotesi aggravata dall'evento — era punita con la pena di morte, oggi sostituita

dalla pena dell'ergastolo). Secondo un'autorevole dottrina, è ormai scontato che l'allusio

ne delle norme ai « poteri dello Stato » significhi riferimento ai tre

poteri essenziali e tradizionali (legislativo, esecutivo e giudiziario)

presi nel loro complesso. In realtà, proprio il fatto che per il

separato attacco a taluno dei poteri sia prevista pena più mite

(v. art. 277, 283, 289 c.p.), mentre viene depressa con l'ergastolo

l'ipotesi prevista dall'art. 284, esprime il maggior disvalore

connesso a quest'ultimo fatto, proprio perché l'insurrezione è

portata contro lo Stato nella totalità dei suoi poteri e nella sua

essenza (v. Ettore Gallo, Inserruzione armata contro i poteri dello Stato, in Giust. pen., 1981, II, 242). Per tale ipotesi

delittuosa, in quanto espressa con formula aperta o libera, vale

più che mai il principio di offensività, espresso dal 2° comma, dell'art. 49 c.p.: perchè vi sia una condotta lesiva dell'interesse

tutelato dalla norma in questione, occorre che essa determini un

pericolo reale per le istituzioni. Ciò vuol dire che deve esistere la

concreta capacità di un certa situazione di fatto a tramutarsi in

danno, o, più specificamente, deve esistere una struttura armata — avente capacità di mobilitare, coinvolgere, sollevare in armi un consistente numero di cittadini — che sia idonea, sulla base di un giudizio di probabilità ancorato ai dati dell'esperienza stori

ca, a cagionare l'evento temuto (l'insurrezione armata).

Il pericolo di una sollevazione in armi di masse di cittadini, destabilizzante per le essenziali strutture istituzionali del paese, deve quindi trovare le sue radici in atti di promozione idonei a creare una situazione di fatto proiettata — in una determinata fase storica — a determinare la fase suprema e conclusiva

dell'opposizione armata di un settore della collettività.

Tenuto conto del vincolante accertamento effettuato dalla suin dicata sentenza di condanna va rilevato che la partecipazione del

Miagostovich alle Brigate rosse non è di per se stessa sufficiente ai fini dell'accertamento del concorso di questi nella promozione dell'insurrezione. In realtà la costituzione di banda armata e la

partecipazione ad essa costituiscono attività che, rispetto ai delitti

scopo (tra cui rientra quello previsto dall'art. 284) restano nel l'ambito preparatorio, in quanto ne rappresentano mezzi strumen tali. In relazione al delitto di attentato alla integrità dello Stato (art. 241 c.p.) le sezioni unite della Cassazione hanno sottolineato il carattere preparatorio del delitto di banda armata, rispetto al delitto suddetto, « il quale può solo prendere vita in

quella successiva fase che è la sua fase di esecuzione » (sez. un. 18 marzo 1970, Pofler, Foro it., 1981, II, 145). Tale argomento

può essere esteso all'insurrezione, poiché questo delitto, attraverso l'art. 302 c.p., è parimenti richiamato dall'art. 306 tra i reati fine.

Anche il tribunale speciale con sentenza n. 9 del 22 aprile 1927 (id., Rep. 1927, voce Sicurezza dello Stato {delitti contro

la), n. 9) riconobbe alla costituzione di bande armate e di

associazioni sovversive carattere di attività preparatorie rispetto alla promozione dell'insurrezione (v. Gallo, op. cit., 246).

Si può quindi concludere che tali attività — e a maggior ragione la partecipazione a banda armata — non possono, da

sole, possedere il requisito della idoneità richiesto per l'attività di

promovimento dell'insurrezione armata. Una diversa soluzione,

comportante l'automatica estensione, a chi abbia compiuto tali

attività, dell'accusa di concorso nel reato ex art. 284, si tradur

rebbe in un'inammissibile inversione dell'onere della prova: spet ta comunque all'accusa dimostrare che da tale attività preparatoria si sia passati alla fase esecutiva della promozione insurrezionale.

In relazione alla posizione del Miagostovich, occorrerà, quindi, accertare 1) a quale periodo di tempo debba farsi risalire l'accer

tata partecipazione alle Brigate rosse; 2) se queste, costituite in

banda armata, abbiano avuto a quell'epoca a) un potenziale ar

mamento; b) un collegamento con un'estesa area sociale e terri

toriale; c) una generale organizzazione politico-militare che con

sentisse loro, attraverso l'armamento di un elevato numero di

cittadini, di far sollevare questi ultimi e porre in radicale crisi

i poteri dello Stato; 3) se il Miagostovich nelle B.R. abbia svol

to, prima o dopo il suo arresto, avvenuto in data 20 ottobre

1975, e fino ai nostri giorni un'attività di promozione di insur

rezione armata. (Omissis)

Ugualmente nella suddetta sentenza si trova la risposta al

secondo quesito. Le imprese criminose delle B.R. indicate a

pagina 18 (episodi della Sit Siemens e della Pirelli del 1970; il

sequestro Macchiarini del 1972; il sequestro Mincuzzi del giugno 1973; il sequestro Amerio del dicembre 1973; il sequestro Sossi

dell'aprile 1974; l'evasione di Curcio del dicembre 1974 — ad

essi vanno aggiunti il duplice omicidio di esponenti di destra a

Padova nel giugno 1974 e l'omicidio del maresciallo dei carabi

nieri Maritano nell'ottobre 1974) dimostrano l'esistenza di una

estesa organizzazione che svolgeva la sua attività politica attra

verso un generalizzato uso della violenza armata, ma non l'esi

stenza di una struttura idonea a portare un destabilizzante

attacco ai poteri dello Stato nel loro complesso. Mancano cioè i

suindicati elementi (struttura armata idonea a creare un concreto

pericolo alla sopravvivenza dei poteri dello Stato attraverso la

sua capacità di fare insorgere in armi masse di cittadini) perché

possa dirsi realizzata l'ipotesi di cui all'art. 284 c.p. I fatti

commessi in danno di esponenti dei pubblici poteri, per numero

e qualità, non appaiono inquadrabili in un sia pur generico

piano insurrezionale, nonostante gli ampollosi proclami che già a

quell'epoca lanciavano le B.R. Solo negli anni successivi (si pensi agli attentati molteplici e coordinati a rappresentanti del mondo

politico, militare e giudiziario) il livello di questi atti rifletterà un

potenziale destabilizzante, rilevante ai fini che qui interessano.

L'aspetto politico-istituzionale, negli anni della accertata mili

tanza dell'imputato, non era sottoposto dunque alla pressante minaccia di un rivolgimento armato, condotto da una avanguar

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PARTE SECONDA

dia militarizzata, idonea a coinvolgere in un progetto insurrezio

nale un'estesa area della società. Un aumento dei livelli di

violenza, dell'armamento e dell'estensione sociale e territoriale

delle B.R. si è verificato negli anni successivi, raggiungendo il

grado di massima pericolosità per le istituzioni nella primavera del 1978, in occasione del sequestro e dell'omicidio del presidente del partito di maggioranza relativa, commessi in concomitanza di

una importante modifica della estensione della maggioranza par lamentare.

Questa potenzialità destabilizzante — la cui configurabilità a

norma dell'art. 284 c.p. costituisce oggetto dell'accertamento del

presente procedimento — non era sicuramente ravvisabile nell'or

ganizzazione brigatista, all'epoca dell'adesione del Miagostovich. Deve quindi darsi una risposta negativa al quesito sub 2.

La risposta all'ultimo quesito si ricava implicitamente dalle due precedenti: se l'imputato ha partecipato alla banda armata in un periodo di tempo in cui questa non era sicuramente idonea a costituire una fonte di pericolo per la sopravvivenza dei poteri dello Stato; se dalla data del suo arresto a quella della sua

scarcerazione, nonché nel periodo successivo non' gli sono impu tabili comportamenti penalmente rilevanti ai fini di una sua attiva presenza nella fase specificamente preparatoria di un piano insurrezionale delle B.R., deve concludersi che egli non può ritenersi concorrente nella promozione di una insurrezione armata contro i poteri dello Stato. Non appare cioè provato che egli all'interno della organizzazione armata abbia svolto un ruolo che

gli abbia consentito di attivare, coordinare e convogliare le

altrui attività verso la sollevazione in armi o che, comunque, abbia svolto un'essenziale attività di supporto a queste attività nella fase culminante della predisposizione del piano suddetto.

Quanto all'accusa di cui all'art. 286 c.p., non appare che gli atti imputabili al Miagostovich abbiano avuto le idoneità a creare nel nostro paese il concreto pericolo di una guerra civile. Anche

per questo reato di pericolo valgono le argomentazioni all'inizio indicate in relazione al principio di ofFensività e quindi alla idonei tà della struttura armata delle B.R., nel periodo di attiva militanza

dell'imputato, a creare il concreto pericolo di un generalizzato scontro armato con le forze dell'ordine dello Stato. A quell'epoca le B.R. disponevano di un armamento, di un'estensione territoria

le, di una presa in strati sociali tali da creare una situazione di

fatto che, sulla base di un giudizio di probabilità ancorato ai dati

dell'esperienza storica, potesse condurre a cagionare l'evento te

muto (uno scontro in armi continuativo e generalizzato tra una

parte della popolazione e un'altra o tra una parte della popola zione e le forze dello Stato). I comportamenti poi del Miagostovich successivi al suo arresto e la sua scarcerazione non rivestono da

soli rilevanza a norma dell'art. 286 c.p. In conclusione dagli atti processuali non si ricava che l'impu

tato abbia svolto una militanza nell'organizzazione delle B.R. nella fase storica in cui questa ha assunto una dimensione tale da costituire un concreto pericolo in relazione alla promozione di un'insurrezione armata contro i poteri dello Stato o al sorgere della

guerra civile nel nostro paese. I comportamenti non contemplati nel la suddetta sentenza di condanna, sia da soli che in unione a quelli già giudicati, non possono essere valutati, cosi sostiene l'ordinanza

impugnata, atti concernenti l'organizzazione delle B.R. « organiz zazione che si articola in varie strutture e in bande armate e che

persegue la guerra civile e insurrezione armata ». Il loro livello e il periodo in cui sono stati commessi conducono a questa conclusione.

Mancano quindi sufficienti indizi a carico dell'imputato in ordine alla configurabilità dei fatti a lui contestati a norma degli art. 284 e 286 c.p. Conseguentemente, in accoglimento della richiesta della difesa, va ordinata la scarcerazione di Miagostovich a norma all'art. 269 c.p.p.

Tenuto conto del fondato sospetto che il Miagostovich non abbia definitamente spezzato qualsivoglia collegamento con esponenti dell'organizzazione armata, appare opportuno imporgli l'obbligo della presentazione bisettimanale all'autorità di p.s., secondo le mo dalità indicate nel dispositivo.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I penale; sentenza 1" febbraio

1983; Pres. Remaschi, Est. Sibiua, P. M. (conci, conf.); ric. For tes. Conferma App. Roma, ord. 12 luglio 1982.

Estradizione — Straniero — Reato politico — Esclusione — Fat

tispecie (Cost., art. 10; cod. pen., art. 8).

Ai fini dell'estradizione passiva dello straniero, deve escludersi il

carattere soggettivamente politico se il reato viene realizzato con

atti di terrorismo che coinvolgono persone estranee ai motivi

che l'hanno determinato (nella specie, si trattava di un cittadi

no spagnolo imputato di incendio doloso e di omicidio volonta

rio plurimo). (1)

Con nota 6 marzo 1982 il governo spagnolo richiedeva l'estra

dizione del cittadino spagnolo Fortes Gil Iesus Emilio, arrestato

a Roma il 9 febbraio 1982 e accusato di incendio doloso e

omicidio volontario plurimo (reati commessi a Barcellona il 15

gennaio 1978), come dalle relative imputazioni risultanti dal

mandato di arresto emesso in data 22 febbraio 1978 dal giudice

istruttore di Barcellona.

Espletate le formalità di rito per la necessaria procedura con

la richiesta del procuratore generale presso la Corte d'appello di

Roma, la sezione istruttoria con ordinanza 12 luglio 1982 deli

(1) La Corte di cassazione conferma l'indirizzo volto a restringere la

portata dell'art. 8, ult. cpv., c.p. ai fini del divieto di estradizione

dello straniero per reati politici posto dall'art. 10, ult. cpv., Cost. È

espressione del medesimo indirizzo, Cass. 14 gennaio 1982, Musbach

(Foro it., 1983, II, 125, con nota di Boschi, e in Cass, pen., 1983,

1112, con nota di Ferraro), secondo cui il divieto di estradizione

passiva dello straniero per reati politici sussiste soltanto se il soggetto abbia agito per opporsi a regimi illiberali ovvero se sussistano fondati

motivi per ritenere che il giudizio nello Stato richiedente possa essere

influenzato da fattori ideologici o politici. Al contrario, il precedente orientamento giurisprudenziale era fermo nel ritenere che, ai fini del

divieto di estradizione, il delitto soggettivamente politico si caratterizza

in base al motivo che permette il delinearsi dello scopo dell'agente, che deve trascendere la persona dell'autore ed investire, in tutto o in

parte, interessi che attengono all'attuazione di contrastanti ideali e

concezioni politiche o economico-sociali, indipendentemente dalla mora

lità dei fini che si è inteso perseguire (Cass. 18 gennaio 1978,

Locatelli, Foro it., Rep. 1979, voce Estradizione, n. 24, e, per altra

parte, id., 1982, II, 374, con nota di Rottola; 5 aprile 1961, Zind,

id., 1962, II, 68, con nota di Sereni e Branca; App. Bologna 4

febbraio 1963, id., 1963, II, 151, con nota di Branca). Occorre

osservare che la sentenza in epigrafe ha escluso il carattere soggetti vamente politico del reato imputato all'estradando, fondandosi « soprat tutto sul principio sancito dalla convenzione di Strasburgo del gennaio 1977 ». Com'è noto la convenzione europea per la repressione del

terrorismo è stata ratificata soltanto da cinque Stati. Tra questi non

figura l'Italia, per la quale all'atto della firma (27 gennaio 1977) fu inserita la riserva del diritto di rifiutare l'estradizione per i reati esclusi convenzionalmente dal novero dei reati politici. Con l'impegno da parte dell'Italia di tenere conto, tra l'altro, del fatto che il reato avesse colpito persone estranee ai moventi che l'avevano ispirato. Ora, sembra piuttosto singolare che l'interpretazione dell'art. 8, ult. cpv., c.p. ai fini del divieto di estradizione dello straniero per reati politici, sia stata fondata sul tenore di una riserva formulata dall'Italia all'atto della firma di una convenzione internazionale da noi non ratificata; ma la singolarità del procedimento ermeneutico seguito dalla Corte di cassazione è ben poca cosa di fronte al fatto, davvero stupefacente, che il nostro paese non ha ratificato la convenzione europea per la

repressione del terrorismo, pur essendo tra quelli maggiormente colpiti dal suddetto fenomeno e nonostante le raccomandazioni in tema di difesa contro il terrorismo adottate il 15 gennaio 1982 dal comitato dei ministri e il 28 aprile 1982 dall'assemblea parlamentare del

Consiglio d'Europa. Com'è stato ossefvato (Vassalli, Il delitto politico, in Quaderni della giustizia, 1982, fase. 17, 1), l'art. 8 c.p. non ha alcun riscontro nei codici di altri paesi, di qualsiasi ispirazione politica od ideologica, né nelle convenzioni internazionali. La norma suddetta è il frutto più tipico e dichiarato della concezione politica che presiedette alla formazione del codice Rocco e va vista nel quadro di una dichiara ta ostilità del legislatore del tempo al delitto politico in generale e della contestuale eliminazione dal codice stesso del divieto di estradizione

per i reati politici previsto dal codice Zanardelli. L'art. 8 c.p. fu introdotto principalmente per assicurare la punibilità del delitto sog gettivamente politico commesso all'estero contro il regime, all'infuori del presupposto della presenza del reo nel territorio dello Stato dopo la commissione del delitto. Il problema relativo al reato politico è diventato acuto con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, la quale forse non tenne conto della formulazione dell'art. 8 c.p., obliterando che in difetto di altri parametri non restava che riferirsi alla norma suddetta per interpretare i precetti costituzionali, quali gli art. 10 e 26, relativi al delitto politico. Tanto è vero che per assicurare l'osservanza della convenzione contro il genocidio del 1952 si rese necessario statuire con la I. cost. 21 giugno 1967 n. 1

l'inapplicabilità dell'ultimo capoverso dell'art. 10 e dell'ultimo capover so dell'art. 26 Cost., ai delitti di genocidio, che venivano esclusi dal novero dei reati politici ai fini dell'estradizione. Nella descritta situa zione, per uscire dagli equivoci, il legislatore dovrebbe por mano ad una radicale modificazione dell'art. 8 c.p. con riferimento al disposto degli art. 10 e 26 Cost., aimeno per quanto riguarda i reati di terrorismo. In attesa della riforma, la giurisprudenza sarà costretta, per esigenze pratiche, a percorrere tortuosi sentieri interpretativi nel cam mino verso una definizione restrittiva del reato politico ai fini estradi zionali.

M. Boschi

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