sezione I penale; sentenza 26 novembre 1984; Pres. Carnevale, Est. Scopelliti, P.M. (concl. conf.);Magliano. Conflitto di competenzaSource: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 2 (FEBBRAIO 1986), pp. 89/90-91/92Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180533 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
controllo della legalità dell'atto amministrativo discenderebbe dal
la legge sul contenzioso e non sarebbe stato necessario che fosse
richiamato dalla specifica norma incriminatrice.
Tutto ciò conferma l'interpretazione che s'è data in ordine alla
necessità che il giudice penale, allorquando non possa avvalersi
della disapplicazione dell'atto amministrativo nell'ambito sopra
delineato, indaghi quali siano i presupposti dai quali dipende la
sussistenza o meno del reato ed abbia cognizione della legalità dell'atto amministrativo, solo se tale accertamento è previsto dalla
norma incriminatrice.
7. - Applicando i principi testé esposti al caso di specie, si
rammenta che l'art. 17, lett. b), 1. 28 gennaio 1977 n. 10 prevede, tra l'altro, una contravvenzione edilizia nel fatto della costruzione
in assenza della concessione.
Avrebbe potuto il legislatore aggiungere « legalmente data »
ovvero « con concessione illegalmente data », come per le ipotesi sanzionatorie dell'art. 650 c.p., e non vi sarebbe stato alcun
problema interpretativo. In tal caso, il giudice penale avrebbe conosciuto della legalità
della concessione, perché da tale accertamento, positivo o negati
vo, sarebbe dipeso il giudizio, non in forza degli art. 4 e 5 legge sul contenzioso ma della stessa struttura della norma incrimina
trice. In mancanza, non ritiene la corte che il requisito della legalità della concessione sia ricavabile in base ad altri rilievi ermeneutici
della norma in esame.
Non può tralasciarsi di considerare, anzitutto, che il rilascio
della concessione edilizia costituisce a favore del richiedente un
diritto immediatamente valido ed efficace, nient'affatto subordina
to all'indagine di conformità dell'atto concessorio agli elementi
normativi, che consentono l'edificabilità del suolo; sicché il ri
chiedente non può essere chiamato a rispondere di un comporta mento omissivo in ordine al controllo di legalità della concessio
ne, che non è richiesto per l'esercizio del suo diritto, in mancan
za di espressa previsione in proposito. La norma incriminatrice, inoltre, è legata non agli elementi
normativi che consentono il rilascio della concessione, ma al fatto
che la concessione esista nella sua materialità, tanto vero che la
concessione in sanatoria, allorquando gli elementi normativi per l'edificazione sussistevano sin dall'inizio dei lavori, non elimina la
contravvenzione, fondandosi l'infrazione sull'attività edilizia « in
assenza della concessione », ed essendosi il reato interamente
consumato per effetto di quel dato formale negativo, indipenden temente da ogni questione circa la concreta edificabilità del suolo.
Non è neppure esatto che, di tal guisa, sarebbe sacrificato
l'interesse protetto e la ratio dell'incriminazione.
Quanto a quest'ultima, essa va individuata nella riserva edifica
toria del suolo, che la legge attribuisce agli enti territoriali, di
modo che, a quel fine, si vuole solo che l'attività edilizia sia
preceduta dalla concessione.
Quanto all'interesse protetto, esso non deve comprendere neces
sariamente la conformità della concessione alle norme urbanisti
che ed edilizie, ma ha una sua autonoma rilevanza anche se sia
individuabile nella garanzia formale del rilascio della concessione,
sulla base della presunzione (relativa) di legalità dell'atto ammi
nistrativo; ciò si ricava non solo dal dato letterale, ma anche
dalla considerazione che l'inosservanza delle norme urbanistiche
ed edilizie è stata autonomamente prevista dal legislatore quale
presupposto del minor grave reato previsto dall'art. 17, lett. a).
Si deve, dunque, ritenere che la fattispecie penale de qua resta
integra per l'esecuzione dei lavori edilizi in assenza della conces
sione.
Il rilascio della concessione prima dell'inizio dei lavori impe
disce la configurabilità del reato, dovendo, in tal caso, il
giudice controllare soltanto l'esistenza dell'atto sulla base dell'e
steriorità formale e della sua provenienza dall'organo legittimato ad emetterlo, ed essendogli, viceversa, precluso il controllo
di legittimità, esclusi ovviamente i casi di collusione tra richie
dente ed autorità amministrativa, nei quali, essendo la concessio
ne il mezzo attraverso il quale s'intende consumare l'abuso
edilizio, si applicano le norme del concorso di persone nel reato.
Applicando il principio testé esposto al caso di specie, è del
tutto evidente l'illegittimità del sequestro penale perché il fatto,
cui si riferisce la misura cautelativa, non è preveduto dalla legge
come reato, essendo stata la costruzione preceduta dal rilascio di
concessione edilizia, della cui esistenza, sotto il profilo formale e
della potestà dell'autorità che l'ha rilasciata, non v'è alcuna
contestazione. Per l'effetto, l'impugnata ordinanza va annullata senza rinvio.
Il Foro Italiano — 1986.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 26 no vembre 1984; Pres. Carnevale, Est. Scopelliti, P.M. (conci, conf.); Magliano. Conflitto di competenza.
Competenza e giurisdizione penale — Competenza per territorio — Determinazione — Fattispecie di sottrazione o danneggia mento di cose sottoposte a sequestro — Veicolo sequestrato — « Locus commissi delicti » — Luogo in cui si esercita la custodia
(Cod. pen., art. 334, 335; cod. proc. pen., art. 39, 51, 54).
Competente per territorio nell'ipotesi di uso del veicolo sotto
posto a sequestro (art. 334, 2° comma, c.p.) è il pretore del
luogo nel quale si esercita la custodia, dal momento che in tal caso il deterioramento del bene si verifica con il semplice fatto dell'uso, e quindi anche con l'eventuale spostamento dell'auto veicolo. (1)
Fatto e diritto. — Nel procedimento penale a carico di Maglia no Bruno, imputato, fra gli altri, del reato di cui all'art. 335 c.p. per aver deteriorato un autocarro Fiat 650 di sua proprietà usandolo in violazione di quanto ordinatogli all'atto del sequestro, in quanto privo dell'assicurazione obbligatoria, da parte del vice
brigadiere Scotognella Giuseppe dei carabinieri, autocarro che avrebbe dovuto custodire in Cavagnolo, causando un incidente
stradale, il Pretore di- Chivasso con sentenza 25 maggio 1984, accogliendo la richiesta proposta dalla difesa dell'imputato in ordine alla competenza territoriale del Pretore di Moncalieri, sul
presupposto che il reato ex art. 335 c.p. si era consumato fuori del mandamento di Chivasso, precisamente nella frazione Marocco sulla statale Torino-Santena facente parte del mandamento di
Moncalieri, dichiarava la propria incompetenza per territorio ed ordinava la trasmissione degli atti al Pretore di Moncalieri.
Con ordinanza 16 luglio 1984 quest'ultimo, sul presupposto che
l'obbligo di custodia dell'automezzo era stato imposto nell'abita zione dell'imputato in Cavagnolo, a nulla rilevando la località in cui si era verificato il deterioramento, con la conseguente propria incompetenza territoriale, elevava conflitto negativo di competenza ai sensi degli art. 51 e 53, 1" comma, c.p.p., ordinando la trasmissione degli atti a questa Corte suprema di cassazione per la sua risoluzione.
Rileva la corte che il conflitto, ammissibile in rito, va risolto nel senso prospettato dal Pretore di Moncalieri, condiviso dal p.g. requirente. Invero, come esattamente evidenziato dal p.m. il
semplice uso del veicolo sottoposto a misura cautelare integra il reato di cui all'art. 334, 2° comma, c.p., poiché, in tal caso, avviene il deterioramento del bene per il semplice fatto dell'uso
(in termini Cass. 2 marzo 1971, Puricelli, Foro it., Rep. 1972, voce Sottrazione di cose pignorate, n. 16).
(1) Il conflitto di competenza in questione è sorto unicamente per il fatto che il veicolo, sottoposto a sequestro, sarebbe stato deteriorato a
seguito di un incidente fuori dal mandamento nel quale abitava il custode.
La Corte di cassazione ha rilevato che, in tale ipotesi, il deteriora mento del bene avviene con il semplice fatto dell'uso, e conseguente mente con lo spostamento del veicolo stesso, a nulla rilevando la località nella quale si è verificato il successivo danneggiamento. È stato, pertan to, risolto il conflitto dichiarando la competenza del (Pretore di Chivasso, nel cui mandamento si trovava l'abitazione del custode, nella quale era stata imposta la conservazione del bene sequestrato.
La giurisprudenza della Suprema corte è costante nell'affermare che l'uso di un autoveicolo, sottoposto a pignoramento o sequestro, integra la figura del reato previsto dall'art. 334 c.p. in quanto, in tal caso, avviene il deterioramento della cosa per il semplice fatto dell'uso: sent. 7 aprile 1960. Argiolas, Foro it., Rep. 1961, voce Sottrazione commessa nei luoghi di pubblico deposito, n. 11; 17 giugno 1967, Gennari, id., Rep. 1968, voce Sottrazione di cose pignorate, n. 13; 20 novembre 1970, Ferro, id., Rep. 1972, voce cit., n. 12; 26 febbraio
1971, Gorin Zuin, id., Rep. 1971, voce cit., n. 14; 2 marzo 1971, Puricelli, id., Rep. 1972, voce cit., n. 16; 30 ottobre 1974, Domenichel
li, id., Rep. 1975, voce cit., n. 10; 15 ottobre 1981, Casalini, id., Rep. 1983, voce cit., n. 3.
In particolare, si è affermato che l'uso deteriorante dell'autoveicolo non
si presta ad essere inquadrato nella fattispecie colposa di cui all'art.
335 c.p., in quanto la violazione del vincolo giudiziario è cosciente e
volontaria, e il deterioramento che al veicolo deriva dalla circolazione, è pure voluto anche solo a titolo di dolo eventuale (Cass. 2 marzo
1971, Puricelli, cit., n. 17). In generale, in dottrina, sui conflitti di competenza cfr., per tutti,
AA.VV., Connessione di procedimenti e conflitti di competenza (Atti del IX convegno E. De Nicola), Milano, 1976; Allegra, I conflitti di
giurisdizione e di competenza, Milano, 1955; Del Pozzo, Conflitti di
giurisdizione e di competenza, voce dell 'Enciclopedia del diritto, Milano, 1961, Vili, 1026; Ferraioli, I conflitti di competenza nel
processo penale, Milano, 1984.
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PARTE SECONDA
Ora è indubbio che nella specie l'uso si è consumato con lo
spostamento del veicolo da Cavagnolo, talché qui si è realizzato
il reato, a nulla rilevando il successivo danneggiamento del
veicolo avvenuto a seguito del sinistro stradale, verificatosi in
Moncalieri.
Va pertanto dichiarata la competenza del Pretore di Chivasso,
con annullamento senza rinvio (art. 539, n. 4, c.p.p.) della
suddetta sentenza.
CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA; sentenza 18 marzo 1985;
Pres. Cividali, Est. De Nardis; imp. Baldeyron ed altri. CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA;
Omicidio e lesioni personali colpose — Omicidio colposo —
Morte di un pugile dopo il combattimento — Responsabilità del medico sportivo, dell'arbitro e del secondo — Reato —
Insussistenza — Fattispecie (Cod. pen., art. 40, 589).
Nel caso di morte di un pugile per sopravvenuta emorragia
cerebrale manifestatasi alcune ore dopo il combattimento, non
va ritenuto responsabile di omicidio colposo il medico di
servizio che, non avendo riscontrato alcun sintomo allarmante
in occasione di due visite, effettuate immediatamente dopo l'incontro e, successivamente, negli spogliatoi, non abbia dispo
sto l'immediato ricovero in ospedale — resosi in un secondo
tempo necessario per il deterioramento delle condizioni di
salute del pugile —; vanno altresì assolti dallo stesso reato,
perché il fatto non sussiste, l'arbitro ed il secondo, ai quali si
sarebbe potuto rimproverare di non aver interrotto l'incontro
prima dei numerosi e violenti colpi finali incassati dal pugile al
momento del K.O., ove manchino elementi per ritenere che
furono proprio tali ultimi colpi, in luogo di quelli precedenti, a
provocare l'edema cerebrale causa della morte, e non risulti,
quindi, provato il rapporto di causalità fra l'omissione degli
imputati e la morte. (1)
(1) La sentenza di primo grado aveva, invece, ritenuto il medico
sportivo responsabile di omicidio colposo e assolto, ma con formula
dubitativa, gli altri due imputati (Trib. Bologna 28 gennaio 1983, Foro
it., Rep. 1984, voce Omicidio e lesioni personali colpose, n. 161). Le questioni di maggior rilievo penalistico connesse all'attività
pugilistica riguardano il diverso problema della responsabilità del
pugile avversario e si collocano all'interno del più ampio dibattito sui
confini di liceità della c.d. « violenza sportiva » (in argomento cfr., di
recente, Trib. Milano 14 gennaio 1985, id., 1985, II, 218, con nota di
richiami di Carota, cui adde, per la dottrina. Covassi, L'attività
sportiva come causa di esclusione del reato, 'Padova, 1984). La proble matica affrontata nella sentenza in epigrafe è, invece, diversa in
quanto è legata all'accertamento — secondo il modello di incrimi
nazione caratteristico del c.d. reato commissivo mediante omissio
ne (cfr., su tale tipo di illecito, Sgubbi, Responsabilità pe nale per omesso impedimento dell'evento, Padova, 1975; Fian
daca, Il reato commisivo mediante omissione, Milano, 1979;
Grasso, Il reato omissivo improprio, Milano, 1983) — di even tuali violazioni di doveri di diligenza gravanti su soggetti che
assumono la posizione di « garanti » nei confronti di determinati
rischi per la salute dell'atleta che partecipa ad una competizione sportiva. È il caso del medico sportivo, per il quale il dovere di
diligenza si concretizza nell'obbligo di accertare l'idoneità fisica e lo stato di salute dell'atleta prima (cfr. — ma in settori diversi dal
pugilato — Cass. 9 giugno 1981, Tomassini, e Trib. Forlì' 12 giugno 1981, Foro it., 1982, II, 268, con nota di richiami, relative alla
responsabilità del medico sotto il profilo che non era stata rilevata una
anomalia cardiaca ad un calciatore, ed ad un giocatore di palla canestro, successivamente morti nel corso di una partita) o, come nel caso in esame, dopo la competizione. Obblighi cautelari di tipo diverso
gravano, invece, sull'arbitro e sul manager che, fra l'altro, debbono
prudenzialmente interrompere, ciascuno con i mezzi a propria disposi zione, un incontro di pugilato resosi eccessivamente rischioso per le ridotte capacità di resistenza di uno dei contendenti.
La sentenza che si riporta, mentre esclude ogni rimprovero di colpa nei confronti del medico sportivo per quanto attiene ai controlli da
questo effettuati successivamente all'incontro, riconosce che l'arbitro ed il manager del pugile deceduto si sono comportati colposamente per non aver interrotto l'incontro nel momento in cui uno dei contendenti era ormai chiaramente in difficoltà esponendolo, in tal modo, ad una serie di colpi finali particolarmente violenti. Tuttavia, la impossibilità di determinare se furono proprio i colpi finali a provocare la morte, invece di quelli precedenti, giustificherebbe l'assoluzione degli imputati per mancanza di prova del nesso di condizionamento fra la mancata interruzione dell'incontro e la morte. (Sul complesso problema dell'ac certamento del nesso di condizionamento fra condotta omissiva ed evento — che si traduce in un giudizio di tipo ipotetico o prognosti
II Foro Italiano — 1986.
Fatto e diritto. — 1. - Il 19 luglio 1978 si disputava a Bellaria
(Forlì) l'incontro di pugilato, valevole per il titolo europeo dei
pesi medi, tra Angelo Jacopucci e l'inglese Alan Minter. Que
st'ultimo era definito sui giornali come un « picchiatore ». Jacopucci veniva invece indicato come un pugile in possesso di « tecnica
finissima », dotato di « velocità di esecuzione, tempismo, estro ». I
pronostici favorivano Minter, più sicuro e più freddo, prevedendo
per l'avversario un'impresa ardua, ma non impossibile. L'incontro, iniziato poco dopo le ore 22, procedette con un
certo equilibrio, ma, alla 12* ripresa, verso le ore 23, ter
minò per K.O. dello Jacopucci. Questi, dopo essere stato
visitato sul ring dal medico di servizio, dott. Ezio Pimpinelli,
partecipò alla proclamazione del vincitore, rilasciò interviste e
poi, ritiratosi negli spogliatoi, fu nuovamente visitato e giudicato in ottime condizioni dal dott. Pimpinelli.
L'atleta si recò successivamente, assieme ad alcuni amici e
tifosi, presso il ristorante dove veniva festeggiato il vincitore, ma, verso le ore 24, colto da malore (vomito, cefalea), veniva traspor tato dapprima al pronto soccorso di Bellaria, dove gli veniva
diagnosticata una sospetta emorragia cerebrale, poi all'ospedale civile di Rimini, ove giungeva già in stato di coma, ed infine
all'ospedale Pizzardi di Bologna, dove arrivava alle ore 4,15 del
20 luglio 1978, venendo sottoposto, verso le ore 5, ad una prima
operazione di neurochirurgia e, successivamente ad un secondo
intervento. Alle ore 19 del 21 luglio 1978 lo Jacopucci decedeva, per
« ematoma sottodurale frontoparietale destro ed edema cerebrale
diffuso ».
A seguito di rapporto della questura di Bologna del 22 luglio 1978, veniva iniziato procedimento penale a carico del Pimpinelli, del procuratore e secondo del pugile deceduto, Rocco Agostino, nonché dell'arbitro dell'incontro, Raymond Baldeyron, cittadino
francese. Veniva altresì disposto il sequestro del filmato relativo
all'incontro in questione e dei relativi documenti. Si proseguiva poi con istruzione formale, durante la quale veniva disposta ed
assunta una perizia medico legale, affidata ad un collegio di
esperti, per accertare le cause e le circostanze della morte del
pugile italiano.
Si procedeva quindi all'interrogatorio degli imputati. Il Pimpinelli dichiarava che dopo il K.O. era salito sul ring,
dove lo Jacopucci, seduto per terra ed appoggiato alle corde, gli aveva subito chiesto di potersi alzare; che egli lo aveva invece invitato a non muoversi, ponendogli dietro il capo una borsa di
ghiaccio. L'imputato precisava che il pugile non aveva battuto la testa a terra, né aveva perso conoscenza e che, rialzatosi dopo la fine dell'incontro, aveva rilasciato interviste per la televisione. Dichiarava ancora di avere accompagnato lo Jacopucci negli spogliatoi, di avergli fatto una visita completa e, non avendo ri
co in quanto si tratterebbe di verificare in che modo l'eventuale
compimento dell'azione doverosa avrebbe modificato il corso degli avvenimenti e, in particolare, impedito l'evento lesivo — cfr. Grasso, Il reato omissivo improprio, cit., 385 ss., il quale conclude (p. 597) che il nesso di condizionamento tra condotta omissiva e l'evento che si è verificato può essere affermato quando l'asserzione « nelle condizioni date l'azione doverosa avrebbe impedito l'evento», sulla base delle leggi scientifiche pertinenti — leggi, cioè, che enunciano una successione regolare tra un evento del tipo di quello che avrebbe posto in essere il comportamento atteso dall'omittente e il non verificarsi di un evento del tipo di quello realizzatosi — appare dotata di un grado elevato di credibilità razionale).
L'assoluzione con formula piena in luogo di quella per insufficienza di prove (adottata nella sentenza di primo grado) viene giustificata facendo riferimento ad un consolidato orientamento giurisprudenziale per il quale la formula dubitativa può essere adottata solo in caso di equivalenza fra elementi probatori di segno contrario o nell'ipotesi di prova incompleta (cfr. Cass. 5 ottobre 1982, De Martinis, Foro it., Rcp. 1983, voce Sentenza penale, n. 208; 22 giugno 1982, Sevi, ibid., n. 209; 10 giugno 1982, Valpreda, ibid., n. 210; 2 giugno 1981, Fratini, id., Rep. 1982, voce cit., n. 232; 26 giugno 1981, Agnellini, ibid., n. 235; 13 aprile 1981, Colombo, ibid., n. 236; 27 marzo 1981, Orsini, ibid., n. 237; 26 febbraio 1981, Milazzo, ibid., n. 238) e non nel caso in cui non possa essere provato un elemento essenziale del reato (come, nella specie, il nesso di casualità). A favore della formula dubitativa, in ipotesi del tipo di quella esaminata nella sentenza in epigrafe, cfr., però, Cass. 19 marzo 1980, Chiola, id., Rep. 1980, voce cit., n. 96, per la quale l'assoluzione per insufficienza di prove sarebbe ammissibile quando tra più fattori causali, tutti ugualmente possibili, non possa essere individuata la causa effettiva dell'evento. Sulla decisione di proscioglimento con formula dubitativa cfr. pure, in dottrina, Cordero, Procedura penale, Milano, 1985, 979 ss.
Sui problemi di carattere medico-legale connessi al pugilato, cfr. Barni, Riflessioni medico-legali sulla boxe, in Riv. it. medicina legale, 1983, 295.
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