sezione I penale; sentenza 30 maggio 1994; Pres. Franco, Est. Gironi, P.M. Esposito (concl.conf.); ric. Gaetani. Annulla senza rinvio Trib. Palermo, ord. 19 gennaio 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 4 (APRILE 1996), pp. 243/244-245/246Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190340 .
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PARTE SECONDA
Con ordinanza 7 giugno 1994 il Tribunale di Pescara, in sede
di riesame ex art. 309 c.p.p., annullava l'ordinanza del locale
g.i.p. in data 27 maggio 1994, con cui era stata applicata la
misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Savi
gnano Aldo, indagato per i reati di detenzione e porto di arma
e lesioni personali aggravate in danno di tale Chiavaroli Enrico commessi in Spoltore il 15 maggio 1994, rilevando che dalle dichiarazioni delle persone esaminate non emergevano riferimenti
a carico dell'inquisito mentre le dichiarazioni (non spontanee e non verbalizzate) registrate all'insaputa della dichiarante in
occasione di colloqui informali avvenuti in questura il 18 mag
gio 1994 tra certa Colasante Mirella ed il dirigente della squa dra mobile dovevano ritenersi inutilizzabili in quanto avvenute
senza il rispetto delle forme di cui agli art. 351 e 357, 2° com
ma, lett. c), ed violazione dell'art. 63, 2° comma, c.p.p., posto che la predetta avrebbe dovuto essere sin dall'inizio sentita in
qualità di indagata, come indiziata di favoreggiamento persona
le; scarsamente attendibili dovevano, poi, ritenersi le dichiara
zioni di tale Trivellone Domenico in quanto riportate in una
relazione di servizio della polizia giudiziaria, ma non verbaliz
zate e contraddette, quanto alla dinamica dell'episodio, dall'u
bicazione delle tracce rinvenute sull'auto in uso all'indagato, a bordo della quale sarebbe avvenuto il ferimento della vittima.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso il p.m. denun
ziando violazione degli art. 142, 191, 273, 309 e 370 c.p.p., non potendosi ravvisare alcuna nullità delle dichiarazioni della
Colasante in difetto di qualsiasi dubbio sulla loro provenienza ed essendo l'inutilizzabilità di cui all'art. 191 c.p.p. conseguente solo all'assunzione di prova vietata dalla legge e non anche alla
violazione delle forme prescritte, fermo il fatto che detta viola
zione non potrebbe invocarsi in relazione a dichiarazioni utiliz
zabili a carico di terzi e che l'inutilizzabilità di atti di indagine non sarebbe ipotizzabile ove da essi vengano tratti solo indizi
e non prove; quanto alle dichiarazioni del Trivellone, alla loro
mancata verbalizzazione ben avrebbero potuto sopperire le te
stimonianze degli operatori di polizia giudiziaria, che le aveva
no raccolte, mentre la disciplina della testimonianza indiretta, di cui all'art. 195 c.p.p., sarebbe valida solo per il dibattimento
e non anche per la fase delle indagini preliminari. Il ricorrente
concludeva confutando la legittimazione del giudice del riesame
a formulare giudizi di attendibilità di competenza del giudice dibattimentale.
Il ricorso è infondato. L'art. 357, 2° comma, lett. b) e e),
c.p.p. impone alla polizia giudiziaria di verbalizzare sia le som
marie informazioni rese dall'indagato, sia quelle assunte dalle
persone in grado di riferire circostanze utili ai fini delle indagi
ni, mentre il 3° comma del medesimo articolo prescrive che il
verbale sia redatto nelle forme e con le modalità di cui all'art. 373 che, a sua volta, rinvia agli art. 134 ss. c.p.p., concernenti
la documentazione degli atti in generale. L'art. 134 (1° comma)
prevede la verbalizzazione scritta come forma primaria e non
surrogabile di documentazione degli atti, contemplando (4° com
ma) la riproduzione audiovisiva come forma meramente even
tuale ed aggiuntiva, ma mai sostitutiva della prima. L'art. 142
contiene, infine, la comminatoria di nullità del verbale in caso
di incertezza assoluta sulle persone intervenute o di mancanza
di sottoscrizione del pubblico ufficiale redigente, dovendosi det
ta nullità classificare come relativa, ex art. 181, 1° comma, c.p.p. Da tale assetto normativo consegue che l'atto privo di docu
mentazione, o non documentato nelle forme prescritte, non può ritenersi acquisito al procedimento, dovendosi praticamente equi
parare all'atto inesistente, si da precludere qualsiasi sua utiliz
zazione e, dunque, anche la sua assunzione a fondamento di
un provvedimento impositivo di misura cautelare.
Seppure, dunque, la categoria della nullità degli atti (con le
relative deduzioni e rilevazioni) sia pertinente alle fasi procedi mentali successive a quella delle indagini preliminari, implican do l'intervento cognitivo e risolutivo del giudice, ed attenga,
dunque, essenzialmente alla validità della prova piuttosto che
a quella del semplice indizio, e la categoria della inutilizzabilità non possa neppure essere invocata, attenendo essa alle prove
acquisite contro il divieto di legge (e non anche alle violazioni meramente formali), diversamente deve argomentarsi quando l'atto non possa considerarsi neppure venuto ad esistenza nel
procedimento per non essersi mai materializzato nel necessario
supporto documentale.
Quest'ultima è, appunto, la situazione verificatasi nel caso
di specie, in cui le dichiarazioni raccolte dalla Colasante e dal Trivellone non sono state in alcun modo verbalizzate ma hanno
Il Foro Italiano — 1996.
formato oggetto di registrazione fonica (le prime) e di relazione
di servizio della polizia giudiziaria (le seconde), ovvero di una forma di documentazione diversa da quella prescritta o, nel pri mo caso, ammessa solo in aggiunta a quest'ultima.
Non potendo dette dichiarazioni venire neppure utilizzate per le contestazioni in sede dibattimentale, ex art. 500 e 503 c.p.p., ed anche al di là delle considerazioni sin qui svolte sul piano tecnico-processuale circa la sostanziale equiparabilità delle stes
se ad acquisizioni giuridicamente inesistenti, incensurabile sti masi la proposizione finale dell'ordinanza impugnata, secondo
cui gli indizi che si volessero comunque desumere da dette pro
palazioni mai potrebbero dirsi muniti del tasso di gravità neces
sario a fondare un giudizio di probabile colpevolezza dell'inda
gato e a giustificare l'adozione di una misura cautelare restritti
va, allo stato destinata ad essere travolta dai successivi sviluppi
processuali (analogamente, con specifico riferimento a dichiara
zioni accusatorie spontanee, non verbalizzate, di soggetto inda
gato a carico di terze persone, v. Cass., sez. VI, 18 gennaio
1993, Modafferi, Foro it., Rep. 1994, voce Misure cautelari per
sonali, n. 245, che ne circoscrive la funzione a quella di mero
stimolo propulsivo in vista dell'immediata prosecuzione delle
indagini, sul modello di quanto previsto dall'art. 350, 5° com
ma, c.p.p. per le dichiarazioni rese dall'indagato alla polizia
giudiziaria, sul luogo e nell'immediatezza del fatto; né l'inservi
bilità delle dichiarazioni in parola per le contestazioni in dibat timento, in ragione del difetto della prescritta documentazione,
potrebbe essere surrogata dalla deposizione indiretta (che nella
specie non risulta, comunque, intervenuta) degli ufficiali od agenti di polizia giudiziaria, che ebbero a raccoglierle, ex art. 195 c.p.p., non apparendo tale via praticabile in ipotesi di intenzionale vio
lazione dell'obbligo di verbalizzazione e soccorrendo, quanto alla Colasante, il divieto di cui all'art. 62 c.p.p. per l'asserita
(e non confutata) qualità di costei di indiziata di delitto di favo reggiamento personale.
Si consideri, del resto, che dopo la modifica degli art. 500
e 512 c.p.p. ad opera del d.l. 306/92, convertito nella 1. 356/92, la strada maestra per la introduzione e l'utilizzazione in giudi zio delle dichiarazioni pregresse rese alla polizia giudiziaria, è
quella della contestazione e loro eventuale acquisizione, in caso
di difformità della deposizione, e della lettura, in caso di im
possibilità sopravvenuta di ripetizione dell'atto (ad esempio per
morte, infermità od irreperibilità del dichiarante), e che ad ogni modo imprescindibile appare l'esistenza della prescritta verba
lizzazione.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 30 mag
gio 1994; Pres. Franco, Est. Gironi, P.M. Esposito (conci,
conf.); ric. Gaetani. Annulla senza rinvio Trib. Palermo, ord.
19 gennaio 1994.
Misure cautelari personali — Richiesta di riesame — Difensore — Termine — Decorrenza (Cod. proc. pen., art. 309).
La decorrenza del termine per la proposizione della richiesta
di riesame da parte del difensore è, ai sensi dell'art. 309, 3 °
comma, c.p.p., rigidamente ancorata alla notificazione del
l'avviso di deposito dell'ordinanza applicativa delle misure coer citive con esclusione quindi di ogni atto equipollente. (1)
(1-2) L'art. 309, 3° comma, c.p.p. individua il dies a quo per la
proposizione della richiesta di riesame da parte del difensore nel mo mento della «notificazione dell'avviso di deposito dell'ordinanza che
dispone la misura». La Corte di cassazione con le due sentenze sopra riportate, unifor
mandosi all'indirizzo giurisprudenziale prevalente, ha statuito che, ai fini della decorrenza del termine per la proposizione della richiesta di riesame da parte del difensore, non sono ammessi equipollenti alla noti
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GIURISPRUDENZA PENALE
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 18 gen naio 1994; Pres. Di Gennaro, Est. Grimaldi, P.M. (conci,
diff.); ric. Grimaldi. Annulla Trib. Taranto, ord. 20 luglio 1993.
Misure cautelari personali — Richiesta di riesame — Difensore — Termine — Decorrenza (Cod. proc. pen., art. 309).
Il termine per proporre la richiesta di riesame da parte del di
fensore decorre, ex art. 309, 3° comma, c.p.p., dalla notifica dell'avviso di deposito dell'ordinanza che dispone la misura
coercitiva e, poiché si tratta di un termine tassativo previsto per una impugnazione, non è possibile alcuna interpretazione diversa da quella letterale offerta chiaramente dalla norma. (2)
I
Con ordinanza 19 gennaio 1994 il Tribunale di Palermo di chiarava inammissibile la richiesta di riesame dell'ordinanza con
cui, in data 2 dicembre 1993, il g.i.p. di quel tribunale aveva
applicato a Gaetani Giuseppe la misura della custodia cautelare
in carcere, adducendo la tardività dell'istanza in quanto propo sta dal difensore dell'indagato in data 27 dicembre 1993, laddo
ve l'istante aveva avuto conoscenza certa del prowedimeno re
strittivo già in data 7 dicembre 1993, data dell'interrogatorio del Gaetani, cui il difensore aveva presenziato.
Avverso l'ordinanza del tribunale ricorre il difensore dell'in
quisito denunziando violazione della legge processuale sull'as
sunto che la presenza all'interrogatorio non potrebbe ritenersi
equipollente dell'avviso di deposito dell'ordinanza del g.i.p., da
cui l'art. 309, 3° comma, c.p.p. fa decorrere per il difensore
il termine di gg. 10 per la proposizione della richiesta di riesa
me, non potendosi, in sede di interrogatorio, ottenere «la piena e diretta conoscenza dell'ordinanza di custodia e la materiale
disponibilità della stessa».
La questione oggetto del presente ricorso ha sin qui ricevuto
contrastanti soluzioni da parte dei questa corte, che in talune
pronunzie ha affermato l'equipollenza della conoscenza, comun
que acquisita da parte del difensore, dell'ordinanza applicativa della misura coercitiva (e, segnatamente, della notizia acquisita ne in sede di interrogatorio dell'indagato) all'avviso di deposito del provvedimento, mentre in altre pronunzie la decorrenza del
termine per la proposizione della richiesta di riesame da parte del difensore è stata rigidamente ancorata alla notificazione del
l'avviso di deposito dell'ordinanza, con esclusione di ogni atto
equipollente (v., in tal senso, Cass., sez. I, 7 giugno 1993, Sam
peri, Foro it., Rep. 1994, voce Misure cautelari personali, n. 505). Ciò posto, il collegio ritiene di dover aderire all'indirizzo da
ultimo citato, assegnando, decisivo rilievo alla lettera della leg
ge, che tassativamente àncora la decorrenza del termine alla no
tificazione dell'avviso di deposito, senza previsione di equipol lenti. L'equipollenza tra atti processuali, non identificabile co
me principio generale non scritto del diritto processuale penale, laddove singolarmente riconosciuta dalla giurisprudenza conso
lidata (come nel caso dell'informazione di garanzia), implica, invero, l'esistenza di un preciso atto formale che, contenendo
tutti gli elementi richiesti per il diverso atto da compiere, ne
faccia a tutti gli effetti le veci, rendendo superfluo l'ulteriore
adempimento. Nel caso di specie il connotato dell'equipollenza
ficazione dell'avviso di deposito del provvedimento applicativo di una
misura coercitiva (v. Cass. 14 marzo 1995, Sarmino, Arch, nuova proc. pen., 1995, 437; 10 ottobre 1994, De Martino, ibid., 511; 5 novembre
1993, Regano, Foro it., Rep. 1994, voce Misure cautelari personali, n. 503; 7 giugno 1993, Samperi, ibid., n. 505; e, in dottrina, Gianno
ne, in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da
Chiavario, Torino, 1990, III, 263, sub art. 309). Nel senso invece che il termine in oggetto non decorre necessariamen
te dalla data di notifica dell'ordinanza ma, nel caso in cui il difensore ne abbia avuto conoscenza in epoca precedente, dal momento in cui
tale conoscenza si è verificata, v. Cass. 8 giugno 1994, Giuliano, Foro
it., Rep. 1994, voce cit., n. 499; 14 febbraio 1992, Ventura, id., Rep.
1992, voce cit., n. 433. Da notare, infine, che ai sensi del nuovo comma 3 bis dell'art. 309
c.p.p., introdotto dall'art. 16 1. n. 332 del 1995, nei termini previsti
per la proposizione della richiesta di riesame da parte del difensore «non si computano i giorni per i quali è stato disposto il differimento del
colloquio, a norma dell'art. 104, 3° comma».
Ir Foro Italiano — 1996.
verrebbe, invece, attribuito non già ad un atto formale dell'uf
ficio diverso da quello prescritto, ma ad un fatto, quale la pre senza del difensore all'interrogatorio della persona in stato di
custodia cautelare o l'acquisizione della notizia dell'esistenza del
provvedimento, comunque avvenuta.
Ma soprattutto preme rilevare che, in tema di termini proces suali, la fissazione da parte del legislatore di un preciso dies
a quo soddisfa l'esigenza di garantire la necessaria certezza ed
inconfutabilità degli atti da compiere e di scandire indefettibil mente l'iter procedimentale mentre l'ammissione, in tale mate
ria, di un generale principio di equipollenza tra atti introdur
rebbe elementi di grave perturbamento ed indeterminatezza, con inevitabile sacrificio delle segnalate esigenze di stabilità e certez
za. In una simile prospettiva, ad esempio, con specifico riferi
mento alle impugnazioni (nel cui ambito va, peraltro, inscritta
anche la richiesta di riesame di un'ordinanza impositiva di mi
sura cautelare), mai si è ritenuto che la conoscenza, comunque
acquisita, del deposito di una sentenza o di un'ordinanza valga a modificare i termini generalmente stabiliti dall'art. 585 c.p.p.
per la proposizione del gravame o possa influire sull'inizio della
loro decorrenza.
Ulteriormente si osserva come l'art. 293, 1° comma, c.p.p.
preveda che, salvo il caso di indagato già detenuto, l'ufficiale
od agente incaricato dell'esecuzione dell'ordinanza custodiate ne informi il difensore di fiducia o d'ufficio, il quale, dunque, già per tal via viene ordinariamente posto a conoscenza dell'esisten
za dell'ordinanza, di cui il successivo 3° comma prescrive egual mente il deposito in cancelleria con avviso al difensore; detto
assetto normativo depone in senso contrario all'ammissibilità
di atti o fatti equipollenti al previsto, formale avviso di deposi to, dovendo, altrimenti, riconoscersi efficacia ad esso equipol lente già alla succitata informazione, ancor prima che all'assi
stenza del difensore all'interrogatorio, con la conseguenza di
rendere di fatto privo di pratico significato l'avviso successiva
mente notificato.
A ciò si aggiunga che la rigida aderenza alla previsione nor
mativa, generalmente esigibile in materia di termini processuali,
tantopiù si impone laddove si controverta in ordine allo status
libertatis di un soggetto, con implicazioni sul suo diritto di dife
sa, non potendosi, comunque, dubitare che, tra opposte solu
zioni pur teoricamente proponibili, debba essere privilegiata quel la maggiormente rispettosa di beni e diritti primari, costituzio nalmente protetti e garantiti.
II
Il tribunale ha dichiarato inammissibile la richiesta di riesame
proposta dal difensore, considerandola tardiva perché il termi
ne indicato dall'art. 309, 3° comma, c.p.p. era decorso in quanto
egli aveva avuto conoscenza della misura cautelare avendo assi
stito all'interrogatorio del suo assistito, indipendentemente dal
l'avviso di deposito dell'ordinanza. È stato ritenuto in questo modo che l'assistenza all'interrogatorio equivale a piena cono
scenza del provvedimento e rende inutile l'avviso di deposito dell'ordinanza.
Va precisato al riguardo che la formulazione dell'art. 309 c.p.p. non lascia adito a dubbi. Il termine per proporre la richiesta
di riesame è diverso, quanto al momento iniziale, per l'imputa
to, 1° comma, e per il difensore, 3° comma. Quest'ultimo, in
fatti, ha a disposizione dieci giorni a partire dalla notifica del
l'avviso di deposito dell'ordinanza che dispone la misura. Poi
ché si tratta di un termine tassativo previsto per una
impugnazione non è possibile alcuna interpretazione diversa da
quella letterale offerta chiaramente dalla norma. D'altra parte, la scelta del legislatore di stabilire per il difensore un termine
iniziale dato, non dalla semplice notizia del provvedimento, ma
dalla disponibilità completa di esso, si spiega con la necessità per il difensore di avere una conoscenza del provvedimento estesa
alle motivazioni che lo sostengono, al fine di organizzare una
difesa tecnica a partire dalla fase del riesame.
Il ricorso va pertanto accolto e l'ordinanza impugnata annul
lata con rinvio per nuova deliberazione.
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