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sezione I penale; sentenza 30 maggio 1997; Pres. La Cava, Est. Mabellini, P.M. Siniscalchi (concl....

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sezione I penale; sentenza 30 maggio 1997; Pres. La Cava, Est. Mabellini, P.M. Siniscalchi (concl. conf.); ric. Rigoni. Conferma App. Venezia 17 gennaio 1997 Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 3 (MARZO 1998), pp. 175/176-183/184 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192347 . Accessed: 28/06/2014 12:04 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.39 on Sat, 28 Jun 2014 12:04:21 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I penale; sentenza 30 maggio 1997; Pres. La Cava, Est. Mabellini, P.M. Siniscalchi (concl.conf.); ric. Rigoni. Conferma App. Venezia 17 gennaio 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 3 (MARZO 1998), pp. 175/176-183/184Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192347 .

Accessed: 28/06/2014 12:04

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PARTE SECONDA

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 30 mag

gio 1997; Pres. La Cava, Est. Mabellini, P.M. Siniscalchi

(conci, conf.); ric. Rigoni. Conferma App. Venezia 17 gen naio 1997.

Incolumità pubblica (reati, sanzioni amministrative e prevenzio

ne) — Adulterazione di sostanze alimentari — Somministra

zione di sostanze stilbeniche ad animali da azienda — Reato

(Cod. pen., art. 440).

È configurabile il reato di cui all'art. 440 c.p. nella sommini

strazione della sostanza estrogena di sintesi «dietilstilbelbe

strolo» (Des) a bovini destinati al consumo umano ali

mentare. (1)

(1) Negli stessi termini, Cass. 4 giugno 1993, Quaglia, Foro it., Rep. 1995, voce Incolumità pubblica (reati e sanzioni), n. 12.

Sulla stessa tematica, v. anche Cass. 12 febbraio 1993, Magliano, id., Rep. 1994, voce Concorso di reati, n. 9, e Corte cost. 21 luglio 1993, n. 326, id., 1994, I, 35.

In senso difforme, v. Cass. 9 dicembre 1991, Michelan, id., Rep. 1992, voce Incolumità pubblica (reati e sanzioni), n. 20, che, sulla pre messa che il reato di cui all'art. 440 c.p. esige una condotta diretta a determinare modifiche alla composizione chimica o delle caratteristi che delle sostanze alimentari, con esclusione di processi modificativi di carattere biologico o putrefattivo, ha escluso il reato osservando che le carni bovine, messe in commercio dall'imputato, erano nocive non

per un intervento modificativo diretto sulle stesse, ma per il trattamen to dell'animale vivo con estrogeni, che aveva reso le carni pericolose

per modificazione di tipo biologico, ed ha escluso quindi che ricorresse

un'ipotesi di adulterazione punibile ai sensi del surricordato art. 440

c.p., ritenendo invece corretta la decisione del giudice di merito che aveva ravvisato nei fatti il reato di commercio di sostanze alimentari nocive — art. 444 c.p. — e quello di cui all'art. 5 1. n. 283 del 1962.

In un caso di somministrazione nei bovini del clembuterolo, Trib. Brescia 11 novembre 1992, id., 1994, II, 13, con nota di richiami di

Paone, ha ravvisato il delitto di adulterazione di sostanze alimentari anche se vi è incompletezza nell'attuale grado di conoscenza scientifica relativa all'uso della citata sostanza in zootecnia, nel senso che, una volta accertato che l'utilizzo di una sostanza può determinare un con creto pericolo per la salute pubblica, l'ignoranza in merito alle modalità attraverso cui la sostanza viene metabolizzata dall'animale o trasmessa

all'organismo umano e in merito alle conseguenze che l'uso di esse ha sulle funzioni organiche dei consumatori, è irrilevante ai fini della sussi stenza del reato (in senso analogo, Trib. Cuneo 6 maggio 1988, id., 1988, II, 642).

Per l'affermazione che la somministrazione di sostanze ad azione ana bolizzante nei bovini destinati all'alimentazione configuri la contrav venzione di cui all'art. 5 1. 283/62 (che concorre con le fattispecie previ ste dagli art. 3, 4 e 5 d.leg. 118/92), v., da ultimo, Cass. 8 novembre

1996, Isaia, id., 1998, I, 20, con nota di richiami anche per la dottrina

sull'argomento, cui adde lo specifico contributo di Valpreda, in Fer

rerò, Perlo, Valpreda, Anabolizzanti e salute. Aspetti tecnici e giuri dici del loro impiego negli allevamenti, Rimini, 1989, 81-93.

Per una diversa qualificazione del fatto (utilizzo del Des in un alleva mento bovino), v. Pret. Schio 4 maggio 1985, id., 1985, II, 370, secon do cui risponde del reato di cui all'art. 5, lett. g), 1. 30 aprile 1962 n. 283 e non della violazione depenalizzata prevista dagli art. 2 e 4 1. 3 febbraio 1961 n. 4 l'allevatore di bovini che pratichi trattamenti a base di sostanze estrogene e detenga per vendere i bovini così trattati.

Per una recente applicazione dell'art. 440 c.p. in materia di acque, v. Cass. 29 gennaio 1997, D'Avino, Dir. pen. e proc., 1997, 681: due

imputati, il primo quale amministratore unico della s.r.l. «Palanzana» ed il secondo quale legale rappresentante della cooperativa agricola S.

Giorgio, affittuaria, sono stati condannati per aver adulterato, sotto il profilo batteriologico e chimico, le acque di falde profonde e superfi ciali relative alle sorgenti Querciabella e Posto Montagna dei monti Ci

mini, destinate tutte all'alimentazione umana, tanto da non essere rite nute idonee al consumo, perché pericolose alla salute pubblica.

La Suprema corte ha avallato i motivi posti a fondamento della con danna secondo cui l'accertato inquinamento delle falde andava ricolle

gato alle condotte dei due imputati che, senza rispettare i vincoli idro

geologici imposti da una delibera della camera di commercio, industria ed artigianato di Viterbo, né i vincoli imposti per le zone di rispetto dall'art. 4 1. 236/88, avevano proceduto ad un massiccio ed abusivo disboscamento per la piantagione di alberi da frutta, alla perforazione di pozzi abusivi, non opportunamente rivestiti al loro interno, tanto da consentire anche lo scambio di acque tra le falde superficiali e quelle profonde, ed infine all'apertura di discariche abusive modificando la

Il Foro Italiano — 1998.

II

PRETURA DI CATANIA; sentenza 9 giugno 1997; Giud. Ca

vallaro; imp. Bonfatto.

Incolumità pubblica (reati, sanzioni amministrative e prevenzio

ne) — Carni bovine contenenti salmonelle — Pericolo per la salute pubblica — Distribuzione per il consumo — Reato

configurabile (Cod. pen., art. 444, 452).

Integra i requisiti oggettivi del reato di cui all'art. 444 c.p. la

distribuzione per il consumo di carne bovina pericolosa per la salute pubblica a causa della presenza di salmonella; il fat to si qualifica però come delitto colposo, ai sensi del combi

nato disposto degli art. 444 e 452 c.p., qualora si addebiti

all'imputato il mancato rispetto dell'obbligo di accertarsi, con

la diligenza che ogni commerciante deve avere nell'esercizio

della propria attività, della perfetta qualità del prodotto che

potrebbe essere contaminato anche per cause estranee alla con

dotta dell'agente. (2)

struttura e l'assetto del territorio ed eliminando in tal modo le difese naturali del suolo.

La Cassazione ha rilevato inoltre che il reato in esame è di mero

pericolo per la cui sussistenza non è necessario che in concreto si sia verificato un evento dannoso e che, in ordine all'elemento psicologico, è richiesto solo il dolo generico sussistente ogniqualvolta l'agente abbia la consapevolezza che dalla sua condotta cosciente e volontaria derivi un concreto pericolo per la salute pubblica costituito dal corrompimen to o dall'adulterazione delle acque (in tema, v. anche Cass. 5 novembre

1990, D'Avino, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 15). Per un altro caso di inquinamento, per infiltrazione di rifiuti, di una

falda acquifera, v. Cass. 19 gennaio 1994, Asterò, id., Rep. 1995, voce

cit., n. 11; 24 ottobre 1991, Guarnero, id., Rep. 1992, voce cit., n. 21. In senso analogo, per Pret. Nocera Inferiore 18 gennaio 1995, id.,

1996, II, 60, costituisce avvelenamento (colposo) di acque destinate al

l'alimentazione lo sversamento nel suolo di rifiuti tossici e nocivi che così penetrano nella sottostante falda acquifera.

(2) In tema di delitti a tutela della salute pubblica, da ultimo, v.,

per la dichiarata incostituzionalità dell'art. 60 1. 24 novembre 1981 n.

689, nella parte in cui esclude l'applicabilità delle sanzioni sostitutive ai reati previsti dall'art. 452, 2° comma, c.p., Corte cost. 3 aprile 1997, n. 78, Foro it., 1997, I, 1328, con nota di richiami di Paone.

Per un'applicazione dell'art. 444 c.p. in caso di fornitura al consuno umano di acque non idonee, Cass. 13 luglio 1995, Zamboni, id., Rep. 1995, voce Incolumità pubblica (reati e sanzioni), n. 10, ha precisato che non va confusa la nozione di non potabilità dell'acqua di cui al l'art. 21 d.p.r. 24 maggio 1988 n. 236, con quella di nocività dell'acqua ex art. 444 c.p.

Sulla differenza fra i delitti di cui agli art. 444 e 452 c.p. e la contrav venzione prevista dall'art. 5, lett. d), 1. 283/62, v. Cass. 16 ottobre

1996, Grimandi, Riv. pen., 1997, 399 (i primi puniscono le condotte in essi descritte, relative a sostanze destinate all'alimentazione non con

traffatte, né alterate, mentre la seconda attiene alla disciplina igienica ed alla composizione nutritiva di sostanze utilizzate per preparare ali menti e bevande e per questo ha carattere sussidiario rispetto agli altri, dai quali viene assorbita allorquando le dette sostanze abbiano reale attitudine a recare nocumento alla salute pubblica a seguito della loro contraffazione o alterazione).

È pacifico che il delitto di cui all'art. 444 c.p. appartenga alla catego ria dei reati di pericolo concreto onde la pericolosità degli alimenti deve essere accertata tramite gli strumenti probatori adeguati alle singole so stanze alimentari (così Cass. 13 maggio 1992, Turatta, Foro it., Rep. 1993, voce cit., nn. 15, 16, in caso in cui era stata rilevata la presenza di salmonelle di tipo b in campioni di carne, ma il giudice di merito aveva dubitato della sussistenza del pericolo per la salute pubblica sul rilievo che mancava l'analisi della carica microbica contenuta nella car

ne, ritenendo che la pericolosità dipendesse da quest'ultima; la Cassa

zione, nell'annullare con rinvio la sentenza, ha osservato che la stessa non aveva considerato la presenza degli agenti patogeni rappresentati dalle salmonelle e l'eventualità della loro nocività per l'organismo uma

no, indipendentemente dalla carica microbica). Nello stesso senso, Cass. 27 maggio 1991, Minieri, id., Rep. 1992,

voce cit., n. 25 (fattispecie di vendita di molluschi); 21 gennaio 1987, Petronilla, id., Rep. 1988, voce cit., n. 21.

A questo riguardo, è stato puntualizzato che l'inosservanza di precet ti e regole dettate da leggi speciali in ordine alla commerciabilità di talune sostanze alimentari (ad esempio, carni macellate clandestinamen

te), non può giustificare la mancanza di ogni accertamento sull'effetti vità del pericolo del reato previsto dall'art. 444 c.p., sia sotto il profilo

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GIURISPRUDENZA PENALE

I

Oggetto del ricorso e motivi della decisione. — I. - Con sen

tenza 17 gennaio 1997 la Corte d'appello di Venezia conferma

va la sentenza 4 maggio 1985 con la quale il Tribunale di Vicen

za aveva dichiarato Ennio Rigoni colpevole del reato previsto dall'art. 440 c.p. contestatogli «per avere, quale responsabile della gestione di un allevamento bovino, somministrato a qua

rantacinque vitelli destinati al consumo alimentare umano l'e

strogeno di sintesi Des, sostanza cancerogena, rendendo quelle carni pericolose per la salute pubblica».

Considerava che la somministrazione della sostanza, accerta

ta dalle analisi compiute sui vitelli dall'Istituto zooprofilattico di Vicenza, doveva ritenersi pericolosa per la salute pubblica, in quanto dalla perizia e dal parere espresso anche dal consu

lente della difesa emergeva sulla base di dati statistici l'insor

genza di malattie tumorali in conseguenza della somministrazio

ne di quella sostanza. Circa i ripensamenti del consulente della

difesa sul tema, rilevava che il problema delle cause di altera

zione delle cellule umane non era stato dalla scienza ancora ri

solto, così che il rapporto di causa-effetto era valutato in termi

ni di probabilità, tali da non escludere in assoluto la possibilità di insorgenza del tumore per cause diverse non note. Conside

rava che il rilievo statistico poteva considerarsi sufficiente ai

fini della configurazione del reato di pericolo, che non richiede

un nesso tra causa ed effetto tanto evidente da non poter nep

pure essere posto in discussione.

Escludeva il rapporto di specialità tra la norma contestata

ed il reato previsto dagli art. 5 e 6 1. n. 283 del 1962, in conside

razione dell'espressione «salvo che il fatto costituisca più grave

reato» contenuta in quest'ultima disposizione. Riteneva che la

concretezza del pericolo, a fronte della prevenzione considerata

nell'ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 3 d.leg. 118/92, com

portava l'applicazione alla specie dell'art. 440 c.p. contestato.

Ravvisava il dolo nel Rigoni, ritenuto consapevole della po

tenzialità nociva dell'uso nella zootecnia delle sostanze ormona

li in quanto egli era allevatore di professione, il trattamento

in questione era espressamente proibito dalla legge, sin dal 1982,

data del commesso reato, i rischi relativi erano noti non solo

nel mondo scientifico ma anche in quello produttivo, il prodot

to era conseguibile solo illegalmente, e l'imputato aveva negato

persino di conoscerlo, quando invece si era accertato che era

stato somministrato nell'allevamento da lui gestito. II. - Ricorre l'imputato per i seguenti motivi:

1) violazione dell'art. 440 c.p., non potendosi considerare un

animale vivo quale sostanza destinata all'alimentazione, e rica

dendo l'ipotesi nella disciplina dettata dagli art. 2 e 4 1. n. 4

del 1961;

2) violazione dell'art. 440 c.p. per mancata applicazione del

l'art. 5 1. n. 283 del 1962;

3) violazione dell'art. 440 c.p., per mancata applicazione del

l'art. 17 1. n. 281 del 1963;

oggettivo che sotto quello psicologico (in questi termini, Cass. 17 otto

bre 1987, Pagliariello, id., Rep. 1989, voce cit., n. 26; 7 ottobre 1985,

Ramunno, id., Rep. 1987, voce cit., n. 38; 27 aprile 1979, Colao, id.,

Rep. 1981, voce cit., n. 16). Per integrare il reato non è richiesta la sussistenza di atti effettivi

di commercio della merce nociva essendo sufficiente la detenzione per il commercio di tale merce: ne deriva che non è necessaria l'esposizione della jnerce sui banchi di vendita, basta che questa sia detenuta in qual siasi luogo connesso con l'attività commerciale e quindi anche nella

ghiacciaia o frigorifero (così Cass. 22 settembre 1989, La Prova, id.,

Rep. 1990, voce cit., n. 26; 11 gennaio 1990, Conti, id., Rep. 1991,

voce cit., n. 16; 10 giugno 1986, Balducci, id., Rep. 1987, voce cit.,

n. 33; 27 maggio 1983, Toni, id., Rep. 1984, voce cit., n. 30, che ha

chiarito che, ai fini dell'ipotizzabilità dell'illecito, è ininfluente la circo

stanza che il prodotto alimentare pericoloso alla salute pubblica debba

essere, prima della consumazione, manipolato e cotto). Sul punto, v., da ultimo, Cass. 21 aprile 1997, Franconeri, Guida

al diritto, 1997, fase. 26 (nella specie, carni e prodotti ittici congelati erano stati rinvenuti in una cella frigorifera, sì da doversi esludere che

fossero destinati alla distribuzione). Sulla questione dell'omesso controllo sugli alimenti posti in commer

cio, v. Cass. 15 gennaio 1997, Levis, in questo fascicolo, II, 155.

Il Foro Italiano — 1998.

4) violazione dell'art. 440 c.p., poiché doveva applicarsi il

d.leg. n. 118 del 1992, concernente gli animali ai quali sono

stati somministrati anabolizzanti, ed abrogativo sia dell'art. 17

1. 281/63, sia della 1. n. 4 del 1961;

5) violazione dell'art. 9 1. n. 689 del 1981 e dell'art. 15 c.p.;

6) insufficiente motivazione sulla pericolosità del prodotto,

poiché non si era considerato che il Des era stato somministrato

ad animali vivi, e si era ingiustamente ritenuta l'impossibilità di individuarne la presenza dopo sessanta giorni;

7) difetto di motivazione sul dolo dell'imputato, risultando

da un primo rinvio a giudizio presso il Pretore di Schio che

gli allevatori erano stati tratti in errore da certi Bertellini, Carta

e Pretto;

8) violazione dell'art. 452 c.p., del quale la difesa chiede in

subordine l'applicazione, date le connotazioni nella specie del

l'elemento psicologico del reato.

III. - Il ricorso è infondato. Sui primi cinque motivi, mirati

ad escludere l'applicabilità alla specie dell'art. 440 c.p. con rife

rimento a norme contravvenzionali che regolano la materia spe

cifica, si osserva che il delitto contestato non è mai assorbito

da leggi che sanzionino la somministrazione ad animali di de

terminate sostanze, ogni qual volta si verifichino gli elementi

costitutivi del delitto di pericolo in questione: modificazione in

senso deteriore delle carni degli animali, destinazione delle stes

se al consumo, pericolo per la salute pubblica. Sul primo punto e sul secondo punto, si rileva che la circo

stanza che l'alterazione delle carni avvenga in animali vivi non

esclude il reato, ove si tratti di animali di allevamento destinati

al consumo alimentare una volta macellati.

Sul terzo punto, particolarmente qualificante in rapporto alla

configurabilità del delitto contestato, si osserva che la nozione

di pericolo per la salute pubblica va oltre la semplice finalità

di prevenzione propria delle contravvenzioni richiamate in al

ternativa dalla difesa, ed implica l'accertamento di un nesso

tra consumo e danno alla salute fondato quanto meno su rilievi

statistici che valgano a costituire un rapporto tra due fatti in

termini di probabilità. In tema, è corretto il ragionamento del

giudice di merito, il quale sottolinea l'attuale inadeguatezza del

la scienza ad individuare in termini di certezza le cause delle

malattie tumorali, e ritiene, in alternativa, sufficiente ai fini della

configurazione del pericolo far ricorso a valori statistici, indivi

duati dal perito e riconosciuti dal consulente della difesa.

La concretezza del pericolo è dunque adeguatamente motiva

ta. Il tema della configurabilità del reato previsto dall'art. 440

c.p. in situazioni corrispondenti a quelle di specie è già stato

affrontato e risolto in senso positivo da questa corte, sez. I,

con le sentenze 12 febbraio 1993, Magliano (Foro it., Rep. 1994,

voce Concorso di reati, n. 9), e 4 giugno 1993, Quaglia (id.,

Rep. 1995, voce Incolumità pubblica (reati e sanzioni), nn. 12,

13), le sole che conducano un raffronto tra la norma del codice

penale e le ipotesi sanzionate da leggi speciali, contestate in al

cuni casi al di fuori di una indagine sulla ravvisabilità del peri colo per la salute pubblica.

La circostanza, allegata dalla difesa nel sesto motivo del ri

corso, che l'estrogeno di sintesi Des possa essere repertato in

analisi compiute oltre i sessanta giorni, con la conseguenza che

l'alterazione potrebbe attribuirsi all'esportatore dal quale i bo

vini sono stati acquistati, è stata logicamente confutata nella

sentenza impugnata sia con riferimento al parere negativo espres so sul punto dai tecnici, sia con l'argomentazione, inattaccabile

sul piano razionale, dell'assenza di un interesse alla sommini

strazione del prodotto da parte del venditore, trattandosi di con

tratto concluso per capi e non a peso. Sul settimo e ottavo motivo, attinenti all'elemento psicologi

co del reato, si rileva la piena tenuta logica della motivazione

svolta dal giudice di merito, che sottolinea la professionalità

dell'imputato, il suo comportamento processuale sul punto ca

ratterizzato dalla negazione della conoscenza del prodotto som

ministrato, la conseguibilità dello stesso, vietato, solo attraver

so canali illeciti, la notorietà all'epoca del fatto della pericolosi

tà dell'estrogeno, diffusa anche nel settore zootecnico, come

riconosciuto dallo stesso consulente di parte. Il ricorso proposto deve essere conseguentemente respinto, con

le conseguenze previste dall'art. 616 c.p.p. in ordine al paga

mento delle spese processuali.

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PARTE SECONDA

II

Motivazione in fatto e in diritto. — In data 1° agosto 1995

il p.m. presso questo ufficio emetteva decreto di citazione a

giudizio nei confronti del sig. Antonino Bonfatto, amministra

tore unico e legale rappresentante della società Sec Poll s.r.l., contestando il reato indicato in epigrafe e cioè il delitto previsto dall'art. 444 c.p.

Prima dell'apertura del dibattimento alcune delle parti offese

si costituivano ritualmente parti civili; veniva quindi espletata l'istruttoria dibattimentale, durante la quale venivano sentiti di

versi testimoni ed acquisiti vari documenti.

Nel corso dell'udienza del 13 marzo 1997, all'esito dello svol

gimento della predetta istruttoria, il p.m. contestava altresì al

l'imputato, ai sensi dell'art. 517 c.p.p., il concorrente delitto

di lesioni personali colpose (art. 590, 1° comma, c.p.); in esito

a tale contestazione veniva quindi acquisita al fascicolo del di

battimento, ai sensi dell'art. 431, lett. a), c.p.p., la querela del

23 dicembre 1993 a firma delle stesse parti offese.

Copia del verbale veniva ritualmente notificata all'imputato, mantenendosi contumace nel corso del dibattimento.

Durante l'odierna udienza, dopo avere sentito le conclusioni

delle parti, trascritte nel verbale e nella comparsa conclusionale

depositata dalla difesa di parte civile, il decidente ha pronuncia to la sentenza, dando lettura del dispositivo e riservandosi un

congruo termine per il deposito della motivazione.

Preliminarmente, va qui ribadito il contenuto dell'ordinanza

adottata nel corso della prima udienza, con la quale è stata

dichiarata la ritualità della costituzione di parte civile ed è stata

rigettata l'eccezione formulata sul punto dalla difesa dell'im

putato. In effetti, la dichiarazione di costituzione è stata ritualmente

sottoscritta dal difensore, investito dello ius postulandi con pro cura conferita in calce allo stesso atto; le disposizioni contenute

negli art. 78 (1° comma, lett. e) e 100, cpv., del codice di rito

vigente sono state nel caso di specie pedissequamente osservate.

Venendo all'esame del merito, dagli atti acquisiti al fascicolo

del dibattimento e dall'escussione dei testi ammessi dal pretore •

sono emerse le seguenti risultanze processuali. Le parti offese che si sono costituite parti civili sono state

escusse in dibattimento come testimoni; precisamente hanno de

posto i sig. Sebastiano Formica, Vincenzo Modica, Giuseppe

Santuccio, Giovanni Conigliaro, Angelo Salvaggio e Giovanni

Piraino, tutti dipendenti delle Ferrovie dello Stato, i quali han

no esposto quanto era loro accaduto.

Dal loro racconto si è appreso che in data 30 settembre 1993, alle ore 13,30 circa, alcuni dipendenti delle stesse ferrovie, in

servizio presso la stazione di Siracusa ovvero colà in missione, avevano consumato il pranzo presso la mensa aziendale sita al

l'interno della stessa struttura e gestitata dal sig. Luigi Abate.

Nelle ore immediatamente successive numerosi frequentatori della predetta mensa, circa cinquanta, avevano accusato, pres soché contemporaneamente, disturbi gastroenterici di diversa gra vità, consistenti in diarrea, vomito, nausea, dolori allo stomaco e febbre, per cui erano rimasti assenti dal servizio per diverso

tempo.

Successivamente, presso l'allora Unità sanitaria locale n. 26 di Siracusa, si era accertato, in esito alle coproculture (esami delle feci), che i predetti erano stati tutti colpiti da salmonellosi

del gruppo «C».

Alcuni dei malati (precisamente sette) avevano poi presentato la querela sopra citata, dalla quale ha avuto inizio il presente

processo penale. Dalle testimonianze precise e concordanti delle parti offese,

oltre che dalle citate analisi, risulta che i disturbi predetti sono stati accusati da tutti coloro che quel giorno avevano ordinato

e consumato il «bollito all'inglese», consistente in un piatto di

carne di manzo, definito dai testimoni «poco cotto», o «tiepido». È stato quindi sentito come testimone il dr. Giovanni Casel

la, il quale all'epoca dei fatti in esame era ufficiale sanitario

presso l'ufficio igiene della Usi n. 26 di Siracusa. Egli ha riferito che in data 1° ottobre 1993 (e cioè il giorno

seguente il consumo della carne in questione da parte dei dipen denti delle Ferrovie dello Stato), appena ricevuta la comunica zione del verificarsi di parecchi casi di tossinfezione alimentare,

Il Foro Italiano — 1998.

aveva proceduto immediatamente ad un accurato sopralluogo

presso la predetta mensa, nel corso del quale, constatata l'as

senza del cibo cotto somministrato il giorno prima, aveva se

questrato tutta la carne cruda di diversa pezzatura che vi si tro

vava, al fine di analizzarla.

L'ufficiale sanitario aveva infatti accertato che la carne in

questione apparteneva alla stessa partita di quella somministra

ta in mensa il 30 settembre 1993, e che la stessa era stata fornita

al gestore della mensa dalla società Sec Poll s.r.l., con sede

in contrada Poggio Lupo di Misterbianco, della quale era am

ministratore unico e legale rappresentante l'odierno imputato. Erano stati quindi formati diversi campioni della carne prele

vata, con verbali dal n. 137 al n. 146, tutti recanti la data del

2 ottobre 1993, e gli stessi erano stati inviati al laboratorio d'i

giene e profilassi per le analisi.

Il teste Casella ha inoltre riferito di aver prontamente segna lato l'episodio per cui è processo al servizio veterinario della

Usi di Catania ed ai carabinieri del Nas di questa città, per

gli accertamenti di loro competenza, il cui contenuto sarà valu

tato dopo. Il dr. Casella ha altresì dichiarato che all'esame coprocultura

le erano risultati positivi, per la presenza di salmonella, anche

alcuni addetti alla mensa, i quali erano stati di conseguenza

temporaneamente allontanati dal luogo di lavoro.

È stato quindi sentito in qualità di testimone, il dr. Ernesto

Cotzia, direttore del laboratorio di igiene e profilassi della Usi

n. 26 di Siracusa, il quale ha riferito che il suo ufficio aveva

effettuato le analisi su campioni di carne bovina cruda, alla

ricerca dei germi sarcotossici; in esito a tale ricerca era stato

accertato, in data 19 novembre 1993, che uno dei campioni del

la carne cruda, e precisamente quello prelevato con verbale n.

139, risultava affetto da due diversi serovar di salmonelle, la

Hadar e la Anatum, dello stesso tipo di quella trovata nelle

feci delle persone colpite da gastroenterite. Ai sensi dell'art. 507 c.p.p., sono stati quindi sentiti come

testimoni, nel corso dell'udienza del 13 marzo 1997, il dr. Gae

tano Farruggia, all'epoca dei fatti funzionario del servizio vete

rinario dell'allora Usi n. 35 di Catania, ed il maresciallo capo

Luigi Bella, in servizio presso il Nas dei carabinieri di Catania, i quali, insieme al maresciallo maggiore comandante del nucleo,

Pasquale Di Virgilio, in seguito alla segnalazione ricevuta dalla

Usi di Siracusa, avevano effettuato in data 9 ottobre 1993 un

sopralluogo presso la sede della società Sec Poll, in Misterbianco.

I predetti hanno riferito di avere proceduto ad un accerta

mento igienico-sanitario dei locali e al controllo relativo alla

presenza di carni della stessa partita di quella consegnata alla

mensa delle ferrovie di Siracusa.

A tal proposito, il dr. Farruggia ha riferito che nel corso del

predetto sopralluogo non avevano effettuato prelievi di carne

perché non ne avevano trovato della stessa partita di quella og

getto della contestazione; egli ha aggiunto che, comunque, era

riuscito ad individuare esattamente la partita spedita a Siracusa, in virtù sia del certificato di origine — dal quale si ricavava che quella partita proveniva dal Veneto — che del certificato

sanitario rilasciato dalla Usi di Siracusa.

Da tale documentazione si evinceva che in quella città era

arrivata un'aliquota di carne bovina di 65 kg circa, facente par te di un animale del peso originario di circa 350 chilogrammi; la parte residua di quella bestia macellata era stata spedita in

altri luoghi (si è fatto riferimento ad alcune macellerie ed all'o

spedale civico di Palermo). Lo stesso testimone ha inoltre riferito che presso la Sec Poll

s.r.l. non si effettuava la macellazione ma esclusivamente il di

sossamento, il sezionamento ed il confezionamento sotto vuoto

delle carni, egli ha aggiunto che, a tal fine, esistevano presso i locali della predetta società due linee di lavorazione, una per le carni bianche ed una per le carni scure, nettamente separate fra loro, sia come strutture, sia come personale, come richiesto dalla legge; nessuna irregolarità era stata a suo avviso riscontrata.

II maresciallo Bella ha descritto i locali della citata società come una costruzione di tipo a capannone di grande estensione, dislocata su due piani, un seminterrato e un primo piano, della

superficie di circa mille metri quadrati ciascuno. Il maresciallo ha inoltre riferito che nel giorno del sopralluo

go non si stava eseguendo alcuna lavorazione sulle carni, e che

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GIURISPRUDENZA PENALE

erano presenti pochissimi lavoratori, i quali «forse» si stavano

dedicando alle pulizie; infine ha riferito che erano stati visionati

i libretti sanitari dei dipendenti della Sec Poll, risultati regolari. Sulla base delle predette risultanze processuali il decidente ri

tiene provata la responsabilità penale dell'imputato, salva la pre cisazione che verrà operata successivamente in ordine alla quali ficazione giuridica della fattispecie delittuosa contestata con il

decreto di citazione a giudizio. Dall'istruttoria dibattimentale emergono invero alcuni punti

fermi. Tutti coloro che si sono ammalati di salmonellosi il 30 set

tembre 1993 hanno mangiato il piatto di carne di manzo defini

to nel menù della mensa aziendale come «bollito all'inglese»;

coloro i quali si sono invece orientati verso il consumo di altre

pietanze non si sono ammalati.

La carne cruda sequestrata presso la mensa il giorno 10 otto

bre 1993 era della stessa partita di quella somministrata il gior

no prima (si veda espressamente la deposizione del teste Casel

la, a p. 16 ed a p. 23 del verbale di udienza del 7 novembre

1996); un campione di tale carne è risultata, in esito alle analisi

batteriologiche, affetta da salmonella dello stesso tipo di quella ritrovata nelle feci degli ammalati (si veda sul punto espressa mente la deposizione del teste Cotzia, a p. 26 del citato verbale).

La carne somministrata alla mensa delle Ferrovie dello Stato

di Siracusa era fornita esclusivamente dalla società Sec Poll s.r.l.

di Misterbianco, di cui era legale rappresentante l'odierno im

putato. Nel sopralluogo effettuato presso la mensa da parte dell'uffi

cio igiene presso la Usi n. 26 di Siracusa si è accertato che tutto

il personale della mensa aveva il libretto sanitario in ordine,

e che le condizioni igieniche erano idonee, come riferito dal

teste Casella. (Omissis) Scartata dunque, perché non provata, l'ipotesi della contami

nazione ad opera dei dipendenti e, più in generale, dell'inquina

mento ambientale a livello della mensa, rimangono possibili so

lo altre due ipotesi. La contaminazione può essere avvenuta presso i locali della

Sec Poll, durante la lavorazione di disossamento e di taglio del

la carne, ad esempio per l'uso di strumenti non puliti in manie

ra adeguata o per altri motivi.

Oppure può essere avvenuta ancora più a monte, al momento

della macellazione, che, come si è già riferito, non si effettuava

presso la Sec Poll s.r.l., ma nel caso di specie è avvenuta in

Veneto.

Quest'ultima ipotesi è confortata dalle considerazioni del te

ste Casella, il quale ha sostenuto che molto spesso il batterio

si introduce nelle carni al momento del prelevamento delle vi

scere: l'operatore quando provvede all'eliminazione degli inte

stini dell'animale, pieni di feci, può infettarsi le mani e, se poi

non le pulisce in modo accurato e tocca le carni, le inquina

in via secondaria.

In entrambe le ipotesi, come sopra accennato, va comunque

affermata la responsabilità penale dell'imputato, in qualità di

legale rappresentente della predetta società.

Non può addursi in contrario che la carne prima di essere

distribuita nei vari esercizi commerciali al minuto è controllata

da un veterinario della Usi competente, il quale rilascia un cer

tificato sanitario di accompagnamento. Sul punto è da rilevare come lo stesso dr. Farruggia abbia

affermato che è possibile che la salmonella, quando non è an

cora in stato avanzato, sfugga al controllo macroscopico, limi

tato al rilevamento delle condizioni esterne quali le alterazioni

di color© e di consistenza; inoltre, appare ovvio affermare che

la sussistenza di un controllo di quel tipo non costituisce garan

zia certa dell'integrità del prodotto controllato.

Nel caso di specie sono ravvisabili pertanto i requisiti oggetti

vi del delitto di commercio di sostanze alimentari nocive, di

cui all'art. 444 c.p. essendo certo che la carne, pericolosa per

la salute pubblica, è stata distribuita per il consumo dall'impre

sa della quale è responsabile il Bonfatto e che essa è uscita da

quella struttura già infetta.

Il pretore, però, ai sensi dell'art. 521 c.p.p., ritiene che sotto

il profilo soggettivo al fatto debba essere data una diversa

qualificazione giuridica, rispetto a quella enunciata nell'impu

tazione.

Il Foro Italiano — 1998.

In particolare, in base alle descritte risultanze dell'istruttoria

dibattimentale, è da escludersi la sussistenza del dolo in capo

all'imputato. Nel delitto previsto dall'art. 444 c.p. tale elemento consiste

nella volontarietà del commercio di sostanze alimentari nocive

e nella consapevolezza del pericolo che può essere arrecato ai

consumatori.

Ebbene, questa connotazione psicologica non solo non è sta

ta minimamente provata in dibattimento, ma è da escludere con

certezza in capo al Bonfatto, in quanto lo stesso, titolare di

una grande e avviata impresa, non aveva alcun interesse a di

stribuire volontariamente sostanze alimentari nocive.

Nel caso in cui la contaminazione sia avvenuta a livello di

macellazione, in uno stadio, quindi, non curato dalla società

citata, l'esclusione della sussistenza del dolo è in re ipsa, a me

no di non credere che l'imputato abbia saputo in partenza che

riceveva dal proprio fornitore carne «infette» (ma si tratterebbe

di una pura congettura). In tal caso è invece addebitabile all'imputato il mancato ri

spetto di una regola di diligenza generica, consistente nell'obbli

go di accertarsi della perfetta qualità e integrità della carne po sta in commercio.

Tale regola di prudenza è sicuramente vincolante per tutti

coloro che professionalmente commerciano le varie tipologie di

carne, dato che queste possono costituire facilmente luoghi di

sviluppo di batteri come le salmonelle (si vedano sul punto le

osservazioni svolte dopo). Secondo un orientamento costante in giurisprudenza, ai fini

della configurabilità dell'ipotesi colposa del reato in esame, è

infatti sufficiente la probabilità che la sostanza stessa possa ri

sultare dannosa per il consumatore (Cass. 16 gennaio 1986, De

Luca, Foro it., Rep. 1987, voce Incolumità pubblica (reati e

sanzioni), n. 44). La violazione del predetto dovere di diligenza è più grave

se si tiene conto che la Sec Poll s.r.l. è appunto un'impresa di grandi dimensioni e con una lunga esperienza nel settore:

è accertata, quindi, la possibilità per l'imputato sia di conoscere

i rischi generici di infezione che di rispettare il citato dovere

di diligenza, facendo eseguire le analisi opportune prima della

distribuzione delle carni al dettaglio. Identiche considerazioni possono essere formulate con riguardo

alla diversa ipotesi, pure rientrante nel campo di quelle ragione

volmente prospettabili, della contaminazione della carne pro

prio in sede di lavorazione presso la stessa Sec Poll s.r.l.

Il fatto contestato nel decreto di citazione va dunque riquali

ficato come delitto colposo, ai sensi del combinato disposto de

gli art. 444 e 452 c.p. Circa l'onere di diligenza degli operatori professionali, si può

in questa sede ricordare il recente pronunciamento del Tribuna

le di Torino (sentenza 16 maggio 1996, Bertoglio); quei giudici

erano chiamati ad esaminare una fattispecie che vedeva il presi

dente di una cooperativa lattiero-casearia, imputato del delitto

previsto dagli art. 442 e 452 c.p. In quel caso, nel latte prelevato presso l'azienda era stata

riscontrata la presenza di isoniazide, sostanza la cui inoculazio

ne ai bovini impedisce di rilevare l'eventuale presenza di tuber

colosi.

Per quanto è dato ricavare dalla lettura della motivazione

della stessa sentenza, i giudici torinesi hanno escluso che la som

ministrazione di quella sostanza sull'animale fosse avvenuta ad

opera dell'imputato ed hanno addebitato allo stesso la respon

sabilità a titolo di colpa per aver omesso di fare effettuare, sul

latte raccolto dalla cooperativa, gli opportuni controlli volti a

rilevare la possibile presenza di quella sostanza; i giudici hanno

infatti ritenuto che era risaputo che la tubercolosi bovina era

malattia endemica nella regione Piemonte e che era pratica dif

fusa da parte degli allevatori quella di occultarla ai controlli

veterinari somministrando la sostanza in questione.

Il presidente di una cooperativa che operava nel settore lattiero

caseario non poteva secondo quei giudici ignorare tale prassi

illecita e pertanto avrebbe dovuto attivarsi per fare eseguire le

opportune analisi sul latte conferito all'azienda della quale era

legalmente responsabile.

Principio identico a quello affermato in quella sentenza può

essere applicato nel caso oggi all'esame del decidente.

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PARTE SECONDA

Occorre, in altri termini, riferirsi al criterio dell'homo eius

dem professionis et condicionis e dunque valutare la diligenza

dell'imputato alla stregua della capacità professionale che ogni commerciante deve avere nell'esercizio della propria attività (si veda in tal senso la non recente pronuncia della Suprema corte,

sez. I, 23 marzo 1965, Pesci, id., Rep. 1966, voce Salute pubbli ca (delitti), n. 12).

Il possibile inquinamento della carne da parte del batterio

della salmonella, sia in sede di macellazione che in fase di suc

cessiva lavorazione, è infatti circostanza ampiamente nota a tutti

gli operatori del settore, come si desume dalle dichiarazioni rese

dai testi Casella e Cotzia.

L'esistenza di controlli da parte di un veterinario della Usi

non è di per sé idonea a fugare profili di responsabilità in capo al distributore di sostanze destinate all'alimentazione umana.

Intanto è evidente che quei controlli nel caso di specie non

hanno funzionato, posto che non hanno impedito la commer

cializzazione di carne infetta.

Né, più in generale, l'apparato pubblico di controllo sulla

distribuzione di alimenti sembra essere pienamente efficiente ed

affidabile: il caso della cosiddetta «mucca pazza» è emblemati

co in tal senso. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 26

marzo 1997; Pres. La Torre, Est. Losapio, P.M. Suraci

(conci, conf.); ric. Procopio. Annulla senza rinvio Trib. Ca

tanzaro, ord. 6 agosto 1996.

Procedimento penale — Difensore di fiducia — Dichiarazione

di nomina dell'imputato detenuto — Efficacia (Cod. proc.

pen., art. 123; norme attuaz., coord, e trans, cod. proc. pen., art. 44).

Misure cautelari personali — Interrogatorio di persona in stato

di custodia — Omesso avviso al difensore di fiducia nomina

to dall'imputato detenuto — Nullità — Estinzione della mi

sura (Cod. proc. pen., art. 178, 294, 302).

La dichiarazione di nomina del difensore di fiducia da parte

dell'imputato detenuto con atto ricevuto dal direttore dello

stabilimento ha efficacia immediata come se fosse ricevuta

direttamente dall'autorità giudiziaria competente, alla quale dev'essere comunicata con urgenza mediante telegramma o

altri mezzi idonei. (1) Il mancato avviso al difensore di fiducia nominato dall'imputa

to detenuto con atto ricevuto dal direttore dello stabilimento, ma da questi non comunicato tempestivamente all'autorità giu diziaria procedente prima della fissazione dell'atto, produce la nullità generale a regime intermedio dell'interrogatorio di

garanzia, svolto con l'assistenza del difensore d'ufficio, e la

conseguente perdita di efficacia della misura custodiate. (2)

(1-2) La questione di diritto «se, in materia di nomina del difensore di fiducia da parte dell'arrestato, la relativa dichiarazione, ai sensi del l'art. 123 c.p.p., abbia efficacia sin dal momento in cui venga ricevuta dal direttore dell'istituto ovvero se occorra, per il raggiungimento di detta efficacia, la presa di conoscenza della nomina da parte dell'auto rità che procede» — questione che avrebbe potuto «dar luogo a un contrasto analogo a quello a cui ha dato luogo l'interpretazione del l'art. 80 c.p.p. prima vigente» — pur rimessa già nel 1990 al vaglio delle sezioni unite della Corte di cassazione, non aveva allora trovato

Il Foro Italiano — 1998.

(Omissis). 3. - La sezione sesta della corte, cui il ricorso era

stato assegnato, con ordinanza del 7 febbraio 1997, dispose la

rimessione della decisione del ricorso a queste sezioni unite rile

vando l'esistenza, nella giurisprudenza delle singole sezioni, di

un contrasto — peraltro, risalente sin nella vigenza del codice

di rito abrogato — quanto a interpretazione della disposizione del richiamato art. 123 (art. 80 del cessato codice) in relazione

all'effetto della dichiarazione di nomina del difensore, posto che alcune decisioni (citate) hanno affermato l'immediata effi

cacia della nomina, indipendentemente dal momento in cui, poi, l'atto venga a conoscenza dell'autorità giudiziaria precedente

(o destinataria), mentre altre (pure citate) hanno sostenuto l'ef

ficacia differita al momento conoscitivo sopra indicato, effetto

della distinzione tra dichiarazioni impeditive del verificarsi di decadenza (impugnazione, richiesta di giudizio immediato, e si

milmente) caratterizzate dall'urgenza, e dichiarazioni recettizie

(nomina, revoca del difensore) non fornite di tale requisito. Il primo presidente aggiunto della corte ha assegnato il ricor

so all'odierna udienza.

4. - Osserva il collegio che in effetti è presente, nella giuris

prudenza della corte, un contrasto quale specificato dall'ordi

nanza di rimessione — contrasto richiamato anche nel ricorso — con riferimento all'efficacia della dichiarazione di nomina

del difensore da parte dell'imputato (o indagato) in vinculis.

4.1. - Hanno seguito l'indirizzo dell'efficacia differita, nella

una soluzione interpretativa, per l'assorbente e pregiudiziale rilievo che la nomina del difensore di fiducia da parte dell'imputato detenuto era intervenuta dopo che il giudice aveva fissato la data per il compimento dell'atto e disposto la notificazione dell'avviso, essendo l'avviso dovuto «a chi ha la qualità di difensore nel momento in cui l'atto è disposto dall'ufficio giudiziario e non anche a chi tale qualità acquista successi vamente» (Cass., sez. un., 6 luglio 1990, Scarpa, Foro it., Rep. 1991, voce Difensore penale, n. 10, e Giur. it., 1991, II, 132, con osservazioni di Nappi).

Le sezioni unite sono state pertanto chiamate nuovamente a dirimere il contrasto interpretativo profilatosi nella giurisprudenza di legittimità sulla portata dell'art. 123 c.p.p., il quale, integrato dall'art. 44 norme

attuaz., riproduce sostanzialmente l'art. 80 del codice abrogato: in par ticolare, se la nomina del difensore di fiducia da parte dell'imputato 0 dell'indagato detenuto sia connotata dall'urgenza e perciò dotata di immediata efficacia, indipendentemente dal momento in cui la dichiara zione venga a conoscenza dell'autorità giudiziaria procedente, ovvero se essa abbia efficacia differita al momento dell'effettiva presa di cono scenza da parte del destinatario.

La soluzione negativa del quesito era sostenuta da un indirizzo giuris prudenziale largamente maggioritario, secondo cui gli effetti delle di chiarazioni di nomina o revoca del difensore si potevano verificare solo nel momento della conoscenza da parte dell'autorità giudiziaria, «poi ché non sono caratterizzate da situazioni di urgenza o di decadenza».

In questo senso, cfr. Cass., sez. II, 16 gennaio 1996, Archesso, Foro

it., Rep. 1996, voce Misure cautelari personali, n. 301; sez. VI 11 di cembre 1995, Micheletti, ibid., voce Procedimento penale, n. 20; sez. 1 24 novembre 1995, Del Gado, ibid., n. 19; sez. V 23 giugno 1993, Tropeano, id., Rep. 1993, voce cit., n. 22; sez. VI 5 giugno 1991, Var

gas Caballero, id., Rep. 1992, voce cit., n. 11; cui adde, a proposito dell'art. 80 del codice di rito abrogato, Cass., sez. I, 3 marzo 1988, Viglianesi, id., Rep. 1988, voce Difensore penale, n. 8; sez. IV 16 no vembre 1984, Tortorici, id., Rep. 1985, voce Imputato, n. 4; sez. Ili 11 ottobre 1974, Tufo, id., Rep. 1975, voce Difensore penale, n. 34.

Il quesito interpretativo in esame era risolto invece positivamente da un minoritario orientamento giurisprudenziale, per il quale la dichiara zione di nomina del difensore di fiducia da parte dell'imputato o del

l'indagato detenuto aveva efficacia immediata come se fosse ricevuta direttamente dall'autorità giudiziaria, onde non può farsi carico allo stesso dell'eventuale errore o ritardo nella trasmissione della dichiara

zione, e legittima il difensore così nominato a ricevere gli avvisi previsti dalla legge; cfr. Cass., sez. V, 24 novembre 1994, Franconeri, id., Rep. 1996, voce Procedimento penale, n. 18; 18 maggio 1992, Pace, id., Rep. 1993, voce cit., n. 17; nonché, nella vigenza dell'abrogato codice di

rito, Cass., sez. II, 1° marzo 1986, Sabatini, id., Rep. 1987, voce Di

fensore penale, n. 8; 8 ottobre 1975, Cuccu, id., Rep. 1976, voce cit., n. 14; sez. I 15 ottobre 1974, Campomori, id., Rep. 1975, voce cit., n. 36.

La dottrina è a sua volta uniformemente orientata nel ritenere l'effi cacia immediata della dichiarazione di nomina del difensore di fiducia da parte di colui che si trovi nella situazione prevista dall'art. 123 c.p.p., così come lo era stata in relazione alla norma dell'art. 80 c.p.p. abroga to: cons. Caraceni, La nomina del difensore di fiducia da parte del

l'imputato «in vinculis», in Cass, pen., 1996, 174 (nota a Cass. 24 no

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