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Sezione I penale; sentenza 4 novembre 1982; Pres. Barba, Est. Papadia, P. M. (concl. conf.); ric....

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Sezione I penale; sentenza 4 novembre 1982; Pres. Barba, Est. Papadia, P. M. (concl. conf.); ric. Proc. gen. c. Marcato ed altro. Conferma Trib. Padova 10 giugno 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 6 (GIUGNO 1983), pp. 271/272-273/274 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177127 . Accessed: 28/06/2014 12:57 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.146 on Sat, 28 Jun 2014 12:57:09 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sezione I penale; sentenza 4 novembre 1982; Pres. Barba, Est. Papadia, P. M. (concl. conf.); ric. Proc. gen. c. Marcato ed altro. Conferma Trib. Padova 10 giugno 1982

Sezione I penale; sentenza 4 novembre 1982; Pres. Barba, Est. Papadia, P. M. (concl. conf.); ric.Proc. gen. c. Marcato ed altro. Conferma Trib. Padova 10 giugno 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 6 (GIUGNO 1983), pp. 271/272-273/274Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177127 .

Accessed: 28/06/2014 12:57

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PARTE SECONDA

L'inutile scadenza di questo funge da condizione risolutiva

dell'efficacia del mandato o dell'ordine di cattura o di arresto:

se però il collegio si pronuncia prima di tale scadenza, l'effetto

risolutivo dell'efficacia, in quanto legato al semplice decorso del

tempo, resta definitivamente impedito (condicio deest), quali che

siano le vicende ulteriori della pronuncia in fase di impugnazio ne.

Ovviamente, in tale ipotesi, sul titolo di custodia continua ad

incombere la possibilità di una revoca da parte dello stesso

tribunale, cui gli atti siano rinviati dalla Corte di cassazione, ovvero di annullamento senza rinvio, qualora la suddetta corte,

indpendentemente da nuovi apprezzamenti di fatto, sia in grado di rilevare senz'altro l'illegittimità della custodia: ma la caduca

zione automatica prevista dall'ult. comma dell'art. 263 ter non

può più operare. Del resto, siffatta disciplina del titolo di custodia in rapporto

al decorso del tempo non costituisce una novità assoluta per il nostro ordinamento processuale: nel caso di sentenza di con danna a pena detentiva pronunciata entro venti giorni dall'ese cuzione del mandato o dell'ordine di arresto, ai sensi dell'art.

251, 3° comma, c.p.p., le ulteriori vicende della custodia resta no bensì legate alla sorte dell'imputazione nei successivi gradi di

giudizio ma l'effetto risolutivo del termine ivi stabilito non può rivivere, e il meccanismo di decadenza automatica collegato al l'inutile decorso dei venti giorni è posto definitivamente fuori causa.

Non vi sono dunque plausibili ragioni per escludere, in gene rale, che la richiesta di riesame, previo annullamento dell'erronea declaratoria di inammissibilità emessa nel rispetto dei termini

perentori, sia decisa nel merito dal tribunale competente, al

quale gli atti vanno rinviati ex art. 543, n. 1, c. p. p. Nella specie, l'ordinanza di inammissibilità è stata emessa dal

tribunale entro tre giorni dal ricevimento degli atti, e pertanto, alla luce delle considerazioni sopra svolte, essa va annullata con

rinvio, a nulla rilevando, in contrario, che siano trascorse più di

ventiquattro ore tra il momento in cui la richiesta è pervenuta al giudice istruttore e quello in cui gli atti sono stati ricevuti dal tribunale. Infatti l'inefficacia del provvedimento restrittivo

consegue solo all'inosservanza dei termini che riguardano l'attivi tà del tribunale, cioè del termine ordinario di tre giorni e di

quello eventualmente prorogato a sei giorni, decorrenti entrambi dal ricevimento degli atti, mentre nessuna decadenza è prevista per il termine di ventiquattro ore stabilito dall'art. 263 ter, 2° comma (nuovo testo), che è sanzionato solo sul piano discipli nare e al limite (concorrendo le condizioni richiamate dall'art.

328, 2° comma, c. p.) su quello penale, ma non anche sul piano processuale. Ciò risulta — al di là dei dubbi che potrebbero sorgere dalla formulazione dell'art. 263 ter, nel cui ultimo com ma si parla genericamente di

" termini sopra indicati

" — dalla considerazione che fra il termine previsto dal 2° comma e

quelli previsti dai comma successivi non è possibile operare una saldatura analoga a quella che, in materia di convalida dell'ar

resto, è istituita fra i due termini di quarantotto ore ciascuno di cui all'art. 13, 3° comma, Cost. Ciò non soltanto perché lo stesso concetto di saldatura tra un termine a ore e un successivo termine a giorni presenta, di per sé, tali caratteri di singolarità e stranezza da sfiorare il controsenso, essendo inevitabile una solu zione di continuità tra l'uno e l'altro, salvo che la scadenza del

primo si verifichi alle ore 24; ma anche perché, nell'ipotesi considerata, il termine a ore riguarda la sola attività dell'ufficio che ha emesso il provvedimento restrittivo e non comprende (né potrebbe comprendere) il tempo durante il quale gli atti si trovano in itinere tra il detto ufficio e il tribunale del capoluogo dì provincia. Quest'ultimo intervallo cronologico, al pari di quel lo anche considerevole che può riscontrarsi tra la proposizione della richiesta e la sua ricezione da parte dell'autorità che ha emesso il provvedimento, allorché la proposizione avvenga nelle forme consentite dall'art. 80 e dai comma 2° e 3° dell'art. 198 c. p. p., rimane del tutto irrilevante ai fini della regolarità della

procedura. Per conseguenza, l'ordinanza impugnata va annullata con rin

vio allo stesso Tribunale di Verona perché si pronunci sul merito della richiesta».

La Corte suprema di cassazione in accoglimento delle richieste

sopra riportate e adottando queste come motivazione della pre sente sentenza, ritiene di annullare l'ordinanza impugnata con

rinvio al Tribunale di Verona perché si pronunci sul merito della richiesta.

I

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I penale; sentenza 4 no

vembre 1982; Pres. Barba, Est. Papadia, P. M. (conci, conf.); ric. Proc. gen. c. Marcato ed altro. Conferma Trib. Padova 10

giugno 1982.

II

TRIBUNALE DI PADOVA; ordinanza 10 giugno 1982; Giud.

istr. Palombarini; imp. Marcato ed altro.

Libertà personale dell'imputato — Libertà provvisoria — Con

cessione — Appello del procuratore generale — Inammissibi

lità — Eccezione (Cod. proc. pen., art. 277, 281).

È inammissibile l'appello del procuratore generale avverso l'ordi

nanza del giudice istruttore in tema di libertà provvisoria, do

vendosi la relativa legittimazione riconoscere esclusivamente al

procuratore della repubblica, eccezion jatta per l'ipotesi in cui

le funzioni di p. m. sono esercitate dallo stesso procuratore ge nerale. (1)

I

Con ordinanza 24 maggio 1982 il g. i. presso il Tribunale di

Padova concedeva la libertà provvisoria a Marcato Lorenzo e

Buzzi Walter.

Il p. g. presso la Corte d'appello di Venezia impugnava la

predetta ordinanza, ma il g. i. predetto dichiarava inammissibile

li gravame ai sensi dell'art. 207 c.p.p. (10 giugno 1982). 11 p. g. proponeva allora ricorso per cassazione sostenendo la

illegittimità del provvedimento sia sotto il profilo della « delica

tezza e non palmare evidenza » della questione e sia in quanto ravvisava legittimo il gravame del p. g. presso la corte d'appello nel cui distretto trovasi l'ufficio del primo p.m.

Rileva la corte che il ricorso non è fondato. Come è noto, è

principio fondamentale che la legge, quando designa il titolare

del diritto di impugnazione col termine generico di pubblico ministero, intende fare riferimento soltanto al rappresentante del

p. m. presso il giudice che ha emesso il provvedimento e non

anche al rappresentante del p. m. presso il giudice superiore. In applicazione di tale principio, allorché l'art. 281, 1" com

ma, c. p. p. stabilisce che le ordinanze del giudice istruttore che

decidono sulla libertà provvisoria possono essere appellate dal

l'imputato o dal p. m., con quest'ultima generica espressione intende riferirsi soltanto al rappresentante del p. m. presso il

giudice che ha emesso il provvedimento.

In tal senso si è ripetutamente pronunciata questa Suprema corte (Cass. 11 maggio 1965, Passalacqua, Foro it., Rep. 1966, voce Impugnazioni pen., nn. 89, 90; 21 febbraio 1975, Tugno

io, id., 1976, 11, 1; sez. un. 14 novembre 1964, Guarnaschelii,

id., 1965, 11, 65) la quale ha sempre ribadito che il p. m. cui

iart. 281 c.p.p. conferisce ia legittimazione ai gravame è quello stesso al quale l'art. 280, 3° comma, c.p.p. nel caso ivi previ sto fa obbligo di rinvestire il p.g. della decisione sulla domanda

di libertà provvisoria. Solo ove il p. g. eserciti l'azione penale ex

art. 234 c. p. p. e conseguentemente richiede al g. i. la decisione

ex art. 280 c.p.p. è ancora lo stesso p.g. a trovarsi investito ex

art. 281 c.p.p. della legittimazione a proporre gravame.

(1) Giurisprudenza costante: v. Cass. 23 novembre 1982, Capellua, inedita; 4 novembre 1982, Gasparetto, inedita (entrambe originate da declaratorie di inammissibilità, da parte del giudice istruttore di Pa

dova, di appelli proposti dal procuratore generale di Venezia avverso

ordinanze, dello stesso giudice, concessive della libertà provvisoria); 24 gennaio 1980, Malandrino, Foro it., Rep. 1981, voce Libertà perso nale dell'imputato, n. 126; 11 maggio 1965, Passalacqua, id., Rep. 1966, voce Impugnazioni pen., n. 89; 19 gennaio 1952, Mattucci, id., 1952, il, 99, con nota di richiami.

In dottrina, v., conformemente all'orientamento giurisprudenziale, Corso, Nuovi profili della custodia preventiva, 2* ed., Milano, 1983, 104, n. 185; Del Pozzo, La libertà personale nel processo penale italiano, Torino, 1962, 527; Vacca, Titolarità del diritto di impugna zione contro le ordinanze del giudice istruttore sulla libertà provvisoria, in Riv. pen., 1952, I, 323.

È ricorrente in giurisprudenza l'enunciazione del principio, ripreso anche dalle decisioni che si riportano, nonché dalle sentenze Capellua, Gasparetto e Malandrino citate, secondo cui quando la legge designa il titolare del diritto di impugnazione con il termine generico pubblico ministero intende riferirsi soltanto al rappresentante del p. m. presso il giudice che ha emesso il provvedimento v. Cass. 26 febbraio 1975, Bertagna, Foro it., Rep. 1975, voce cit., n. 34; 21 febbraio 1975, Tu gnolo, id., 1976, II, 1, con nota di richiami.

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GIURISPRUDENZA PENALE

II

Il giudice istruttore esaminati gli atti del processo, con parti colare riferimento all'impugnazione proposta in data 28 maggio 1982 dal procuratore generale della repubblica presso la Corte

d'appello di Venezia avverso l'ordinanza 24 maggio 1982 con la

quale questo giudice ha concesso la libertà provvisoria a Loren

zo Marcato e Walter Buzzi; rilevato che il p. m. di primo grado ha espresso in data 8

giugno 1982 ai sensi dell'art. 76 c. p. p. il proprio parere circa

l'ammissibilità di tale impugnazione, esprimendosi in senso favo

revole; ritenuto che l'impugnazione appare invece inammissibile in

quanto l'art. 281 c. p. p. stabilisce che contro le ordinanze che

decidono sulla libertà provvisoria possono appellare l'imputato e

il p. m., previsione non modificata dalla 1. n. 15/80; considerato che, fuori dei casi eccezionali in cui le funzioni

del pubblico ministero presso il giudice sono esplicate dal pro curatore generale, il p. m. legittimato ex art. 281 a impugnare le

decisioni adottate dal g. i. in materia di libertà provvisoria è

unicamente il procuratore della repubblica, essendo il diritto

d'impugnazione del procuratore generale riconosciuto a quest'ul timo in casi determinati ed esplicitamente;

rilevato che ciò trova conferma in un orientamento costante

della Corte di cassazione secondo la quale « quando la legge

processuale non conferisce al rappresentante del p. m. presso il

giudice superiore a quello che ha emesso la decisione il diritto

di proporre l'impugnazione, ma lo conferisce semplicemente al r pubblico ministero questo deve intendersi indicato nel p. m.

presso il giudice che ha pronunziato il provvedimento impugna

to » (Sez. un. 19 gennaio 1952, Maltucci, Foro it., 1952, II, 99);

rilevato che in tema di libertà provvisoria non vi sono dispo

sizioni che attribuiscano al procuratore generale il diritto d'im

pugnare l'ordinanza citata, concernente gli imputati Lorenzo

Marcato e Walter Buzzi; considerato che ne! caso di specie appare evidente l'inammis

sibilità dell'impugnazione. Per questi motivi, visto l'art. 207 c. p. p., dichiara inammissi

bile l'impugnazione del procuratore generale della repubblica

presso la Corte d'appello di Venezia sopra richiamata contro

l'ordinanza di concessione della libertà provvisoria a Lorenzo

Marcato e Walter Buzzi. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III penale; sentenza 22

settembre 1982; Pres. Severino, Est. Iannaccone, P.M.

Guasco (conci, parz. diff.); ric. Proc. rep. Trib. Grosseto c.

Pettini e altri. Annulla senza rinvio Trib. Grosseto 30 aprile 1980.

Atti osceni e contrari alla pubblica decenza — Atti contrari alla

pubblica decenza — Reato — Donne a seno nudo in ambiente

balneare — Irrilevanza — Nudità integrale — Rilevanza (Cod.

pen., art. 726).

Mentre non è ravvisabile offesa alla pubblica decenza nel compor

tamento femminile di tenere il seno scoperto nei limiti circo

scritti dalla balneazione, integra gli estremi del reato preveduto

dall'art. 726 c. p. l'esposizione in ambiente balneare degli organi

sessuali esterni maschili e femminili e della completa nudità del

corpo anche se casta e puramente naturistica. (1)

(1) La sentenza, se da un lato ribadisce la illiceità del nudo balneare

«integrale» (Cass., sez. VI, 18 novembre 1978, P.m. c. Tavani, Foro

it., 1980, II, 320, con nota di richiami e commentata da Neppi Mo

dona su Repubblica del 6 gennaio 1979; sez. Ili 12 luglio 1982, Sei

min, inedita; sez. Ili 14 luglio 1982, Moricci, inedita), dall'altro ridice

si al solo « seno scoperto » (nello stesso senso Cass., sez. VI, 30

aprile 1980, P.m., Foro it., 1980, II, 601; sez. Ili 14 ottobre 1980,

P.m. c. Benedetti, id., 1981, II, 1, con note di richiami; sez. Ili 8

luglio 1982, P. m. c. Faini e altra, inedita), cosi contrastando quella

imprevedibile inversione ' di rotta stranamente manifestatasi nell'ambito

della stessa terza sezione a brevissima distanza, peraltro, dall'ultima pro

nuncia citata incline all'orientamento « liberale » (si allude ad alcune sen

tenze inedite, emanate tutte nello stesso giorno in relazione a vicende pa

rimenti amnistiate — ragion per cui l'unico effetto pratico era quello di

dichiarare inapplicabile l'art. 152, 2° comma, c.p.p. —: sent. 12

luglio 1982, P.m. c. Stucchi, nella cui motivazione si è rivolto ai

giudici di merito l'appunto di non aver fatto la conta dei bagnanti che

protestarono alla vista del seno scoperto (!); sent. 12 luglio 1982,

P.m. c. Davisa, e 12 luglio 1982, P.m. c. Bagioli). La motivazione sottesa a questa ulteriore pronuncia della Cassazione

Svolgimento del processo. — Il Ballerini, la Pettini e la Cuo

mo furono citati a giudizio dal Pretore di Grosseto, che, con

sentenza dell'I 1 giugno 1979, li assolveva perché il fatto non

sussiste dalla contravvenzione di cui all'art. 726 c. p., loro ascrit

ta per essersi trattenuti privi di indumenti sulla spiaggia di

Marina di Albarese il 23 luglio 1978.

Con sentenza del 14 maggio 1979 lo stesso pretore assolveva

con la stessa formula la Scarabelli dallo stesso reato per fatto

accertato il 21 luglio 1978.

Pronunciando nei procedimenti riuniti sull'appello proposto

avverso tali sentenze dal p.m., il Tribunale di Grosseto il 30

— peraltro rilevante anche questa volta ai soli effetti dell'art. 152, 2°

comma, c. p. p. — appare caratterizzata da un ibrido e discutibile com

promesso (cfr. in proposito i pareri critici riportati su Repubblica del

26 aprile 1983 e il commento in chiave ironica di Neppi Modona pub

blicato sullo stesso quotidiano in data 8 maggio 1983). L'evoluzione del

comune senso del pudore e della decenza sarebbe segnata da uno

spartiacque collocato a livello della « cintola »: ammessa la nudità del

petto (femminile e, a maggior ragione, maschile), è invece vietata

l'esposizione dei genitali di entrambi i sessi. Da dove trae la Cassa

zione un simile convincimento?

Respingendo la facile tentazione di rispondere in chiave psicologica

se non addirittura psicoanalitica (inclinazione per un piatto « naturali

smo » ignaro delle sfumature dell'erotismo individuale? ovvero « idea

lizzazione » del seno materno e visione « scatologica » della geniali

tà?), e rimanendo nei limiti di un approccio tecnico-giuridico, è da os

servare che l'organo giudicante finisce surrettiziamente col sovrapporre,

nella interpretazione del concetto di pubblica decenza, un (controverti

bile) criterio « deontologico » ad un (in linea di principio, più plau

sibile) criterio « storico-relativistico » (sulle diverse articolazioni giu

risprudenziali e dottrinali dei predetti criteri cfr. Fiandaca, Tutela

del buon costume. Profili penali e costituzionali, Palermo, 1979, 13 ss., 35

ss.): in altri termini, la conclusione che il nudo integrale contrasti a tut

t'oggi col comune senso del decoro viene desunta, più che da una at

tendibile verifica degli atteggiamenti della maggioranza degli individui

in carne ed ossa, dalla persistente tendenza a vagheggiare un mo

dello ideale di uomo medio, immaginato come « tuttora resistente al

l'azione corrosiva esercitata (...) dagli strumenti culturali e commer

ciali di comunicazione sociale » e, perciò, ancora restio ad accettare

senza turbamento l'impatto col nudo tout courtl

A seguire con coerenza la prospettiva storico-relativistica vi è, in

vece, un solo modo di ricostruire il valore penalmente protetto:

cioè, la pubblica decenza è penalmente tutelata negli stessi limiti con

cui, di epoca in epoca e di luogo in luogo, viene vissuta dai consociati.

Ove si fosse veramente collocata in quest'ottica di tipo empirico, alla

corte non sarebbe probabilmente sfuggita l'esistenza di significativi indi

catori di segno contrario: ad es. indagini statistiche svolte già qualche

anno addietro su di un campione di quattromila italiani avrebbero con

sentito di accertare che, per il 71 per cento degli intervistati, una

donna nuda al sole su di una spiaggia poco frequentata non offende

affatto il pudore (cfr. l'inchiesta dal titolo « Al nudo, al nudo! » pub

blicata sull'Europeo del 23 agosto 1982; sul problema della utilizzabi

lità nel processo penale di indagini « demoscopiche » v. Amodio, Pe

rizia « artistica » ed indagini demoscopiche nell'accertamento dell'osce

no cinematografico, in Riv. dir. proc., 1974, 669; nonché Fiandaca, op.

cit., 40 ss.). Tutto ciò significa che il miglior modo di conformare la tutela pena

listica in materia consisterebbe nel subordinare l'intervento repressivo

alla prova dell'offesa arrecata ai vicini di spiaggia come effettivi spetta

tori della nudità balneare? (in questo senso sembra essere orientata

Cass., sez. Ili, 12 luglio 1982, P.m. c. Stucchi, cit.). Niente affatto.

È facile osservare che la tesi del « mini-referendum » in spiaggia presen

terebbe, se dovesse prender piede, inconvenienti ancora più gravi: a

parte le difficoltà connesse ad un tale sistema di accertamento, l'in

tervento penale finirebbe col cadere in balia delle mutevoli e imprevedi

bili reazioni emotive dei soggetti di volta in volta per caso presenti.

Del resto, l'impossibilità di concepire il pudore penalmente tutelato co

me entità psichica effettiva di persone concrete risultava già evi

dente ai nostri classici: proprio per evitare il rischio di far dipendere

la punibilità dalla causale presenza di spettatori « ipersensibili » (o, al

contrario, l'impunità dalla presenza di spettatori accondiscendenti), ad

es. uno scrittore come Francesco Carrara (Programma, parte speciale,

7" ed., 1906, VI, 42 nota 1) sottolineava l'esigenza di prospettare la

tutela del buon costume più come tutela di un valore etico-sociale, che

non di un sentimento di fatto avvertito da concreti individui.

Ora, se il discorso a questo punto coinvolge l'intera problematica

dell'oggetto e della tecnica della tutela penale in materia di buon co

stume, non sembra sufficiente coltivare l'aspettativa, pur legittima, di

un intervento risolutore delle sezioni unite sulla specifica questione

del nudo balneare: il problema è più di fondo e chiama in causa la

responsabilità del legislatore (sottolinea una prospettiva de iure conden

do intesa a valorizzare il più possibile in materia il « diritto di auto

determinazione » del cittadino adulto Fiandaca, op. cit., 113; dello stes

so, cfr. la nota a Pret. Cagliari 16 luglio 1981, Foro it., 1982, II,

302, sempre in tema di nudo balneare e, più di recente, a Pret. Ve

nezia 5 novembre 1982, id., 1983, II, 98, che ha ritenuto lecita l'esibi

zione sulla pubblica via con indosso un costume carnevalesco a foggia

di enorme « fallo »). G. Fiandaca Fiandaca

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