Sezione I penale; sentenza 5 giugno 1959; Pres. Vista P., Est. D'Aniello, P. M. Bernieri (concl.diff.); ric. P. m. c. TorlascoSource: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 7 (1960), pp. 155/156-161/162Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151859 .
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PARTE SECONDA
CORTE SDPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione III penale ; sentenza 21 dicembre 1959 ; Pres.
Frisoli, Est. Guadagno, P. M. Marucci (conci, diff.) ;
ric. Tegano.
(Gassa Trib. Reggio Oalabria 13 ottobre 1959)
Amnistia e indulto — Decreto pres. 11 luglio 1959 n.
460, art. 8 — Condizioni ostative — Recidiva — No
zione — Applicabilità dell'indulto (Cod. pen., art. 99, 151 ; d. pres. 11 luglio 1959 n. 460, concessione di am
nistia e indulto, art. 4).
L'ostatività delle condanne plurime contestuali ai benefici elar
giti col decreto pres. del 1959 n. 460, è subordinata, nelr
l'art. 8, alla condizione della recidiva, e cioè che il con
dannato abbia riportato in precedenza, con distacco tem
porale, altra condanna per delitto non colposo. (1)
La Corte, ecc. — Tegano Antonino veniva condannato
con sentenza del 9 marzo 1957 dal Tribunale di Reggio Calabria alla pena complessiva di anni 6 e mesi 3 di reclu
sione per i reati di violenza carnale (4 anni di reclusione), ratto e violenza privata (rispettivamente anni 2 e mesi
3 di reclusione). Prima di tale sentenza il Tegano aveva riportato con
danna in data 31 marzo 1953 dalla Corte di appello di
Reggio Calabria a 9 mesi di reclusione per omicidio col
poso. 1 Tribunale di Reggio Calabria con ordinanza del
13 ottobre 1959 rigettava la istanza del Tegano rivolta a
chiedere l'applicazione del beneficio dell'indulto alle con
danne di cui alla predetta sentenza, divenute esecutive
il 22 giugno 1959. Avverso questa decisione proponeva ricorso per cassazione l'imputato denunziando violazione
di legge (art. 524, n. 1, cod. proc. pen.), per mancata appli cazione dell'art. 2 decreto pres. 11 luglio 1959 n. 460 e per erronea applicazione dell'art. 8 stesso decreto.
Il Procuratore generale rileva che dalla interpretazione dell'art. 8 cit. decreto deriva la inapplicabilità del beneficio
a tutti coloro che alla data del 10 luglio 1959 abbiano co
munque riportato condanne superiori a anni due, anche se
contenute nella medesima sentenza.
Osservasi che questa Corte, in tema di esclusione sog
gettiva dal beneficio, ha adottato il criterio di ritenere, alla stregua delle vigenti disposizioni legislative, che la
specifica situazione in cui si siano riportate contestual
mente più condanne nella stessa sentenza e la richiesta
del beneficio investa uno dei detti reati, dia luogo egual mente alla qualifica di recidivo, a nulla rilevando un appo sito accertamento giudiziale di recidività. L'unico limite è
rappresentato dalla data della emissione della sentenza di condanna che deve essere di epoca anteriore alla data
fissata nel decreto (Sez. Ili 4 giugno 1955, ric. Acquarone, Foro it., Rep. 1956, voce Amnistia, nn. 128, 129). Questa
interpretazione si avvale sostanzialmente del rilievo che
l'art. 4 del decreto pres. del 1953 ha modificato le norme
del codice in materia di recidiva, introducendo un con
cetto nuovo che prescinde dalla ratio temporis. Il principio affermato da questa Corte richiede alcune
precisazioni che valgano ad evitare disorientamenti da
parte dei giudici di merito, specie in riferimento alla non
perfetta formulazione del detto art. 8.
È necessario che la qualità di recidivo preesista alla
data fissata dal decreto ; ma tale carattere non può essere
determinato soltanto considerando le varie condanne
(1) L'identica norma del decreto di amnistia del 1953 n, 922 ebbe qualche interpretazione conforme : App. Roma 25 marzo 1954, Staccone, Foro it., 1955, II, 104 ; App. Napoli 28
gennaio 1954, Mercurio, id., 1954, II, 155, ma l'indirizzo domi nante della giurisprudenza, specie della Cassazione, fu difforme e rigorista (v. da ult. Oass. 5 febbraio 1958, Boschi, id., Hep. 1958, voce Amnistia, n. 44). Ora invece è la stessa Suprema corte che afferma l'interpretazione liberale dell'art. 8 decreto del 1959 n. 460.
contestualmente riportate nella stessa sentenza di cui si
chiede l'applicazione del beneficio. Occorre invece che la
persona già si presenti come recidivo per avere riportato altra condanna precedente e, nel calcolare la misura della
ostatività globale, si deve tener conto delle varie condanne, anche se alcune di esse siano contestualmente riportate nella stessa sentenza.
Questo e non altro vuol dire l'art. 8 citato. Dare rile
vanza alle condanne riportate contestualmente in unica
sentenza al punto da ritenerle reciprocamente ostative
alla concessione del beneficio, in quanto determinanti
recidiva tra esse, senza che il condannato abbia ripor tato precedentemente altra condanna, dovrebbe significare il disconoscimento pieno di quello che è lo stesso fonda
mento etico-giuridico della aggravante dell'art. 99 cod. pen., e cioè la ricaduta nel delitto come effetto della inefficacia
della prima condanna, quale indice sintomatico della per sistenza del soggetto nelle sue tendenze criminogene. Il
recidivo può essere considerato tale solo nei confronti di
una sentenza già passata in giudicato, e l'elemento cro
nologico, cioè il distacco temporale tra la prima e la seconda
condanna è quello che vale ad esprimere l'essenza stessa
dell'istituto.
Nella specie risulta che l'imputato alla data del 10 lu
glio non era recidivo perchè la precedente condanna per lesioni colpose non rileva. A lui compete il condono di anni 2
sulla pena relativa ai reati compresi nel decreto pres. pre
detto, e cioè sulla pena di anni due e mesi tre, ratto a fine
di libidine e violenza privata, essendone invece esclusa la
violenza carnale (anni 4 di reclusione). Poiché risulta che
l'inizio della custodia preventiva decorre dall'11 settembre
1955 e che l'imputato cesserebbe di scontare la pena all'11
dicembre 1961, per effetto del condono di anni 2 egli ha
diritto ad essere escarcerato. A tanto deve provvedere direttamente questa Corte ai sensi dell'art. 591 cod. proc.
pen., non ricorrendo gli estremi di cui all'ult. capov. della
detta norma.
Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I penale ; sentenza 5 giugno 1959 ; Pres. Vista P., Est. D'Aniello, P. M. Bernieri (conci, diff.) ; ric.
P. m. c. Torlasco.
(Conferma App. Roma 22 dicembre 1958)
Contrabbanda ■— Accenditori automatici — Deten
zione illegale — Decreto legge 11 gennaio 1956 n. 2 — Non costituisce reato (K. d. 1. 26 febbraio 1930
n. 105, diritti erariali sugli apparecchi automatici di
accensione, art. 10, n. 2 ; d. legge 11 gennaio 1956 n. 2,. diritto fisso erariale per detenzione di apparecchi di
accensione).
Oon Ventrata in vigore del decreto legge 11 gennaio 1956
n. 2 deve ritenersi abrogato l'art. 10 del r. decreto legge 26 febbraio 1930 n. 105, limitatamente alla detenzione degli
accenditori, che non costituisce quindi 'più reato di con
trabbando ai sensi del decreto del 1930, ma solo un illecito
tributario, per cui viene comminata una pena pecuniaria ossia una sanzione meramente tributaria e non penale. (1)
La Corte, ecc. — Con l'unico motivo di ricorso il P. m.
censura la sentenza con la quale la Corte d'appello di
Roma ha escluso la sussistenza del reato di contrabbando
ai sensi dell'art. 10, n. 2, r. decreto 26 febbraio 1930 n. 105,
(1) Parz. conf. Cass. 12 luglio 1957, Terrasi ; mentre diff. Trib. Bologna 13 giugno 1958, Arrigo, Foro it., Rep. 1958, voce Contrabbando, nn. 38, 39. V. pure nel senso della esclusione del reato di contrabbando la recente sent. Cass. 4 marzo 1959, Neto, id., Rep. 1959, voce cit., n. 132.
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157 GIURISPRUDENZA PENALE 158
nel fatto della detenzione di apparecchi accenditori auto matici non accompagnata dal simultaneo possesso della
speciale marca istituita con il decreto legge 11 gennaio 1956 n. 2. Da rilevare che i fatti risalgono al periodo giugno dicembre 1957, successivo all'entrata in vigore del decreto
legge. Il ricorso non è fondato.
Il r. decreto 26 febbraio 1930 conteneva ima disci
plina integrale del regime fiscale degli accenditori auto
matici, dalla fabbricazione, importazione e vendita alla detenzione del consumatore : il clic già denotava la specie del tributo, da configurarsi tra le imposte indirette sul consumo in generale cbe, per la facilità e la certezza della
riscossione, era posto a carico del produttore o importa tore. Difatti, da un lato, era disciplinata la privativa fiscale della fabbricazione, importazione e vendità degli apparecchi che erano riservate al Consorzio industriale fiammiferi
(C.i.r.) ; dall'altro, la detenzione di essi da parte dei consu matori.
Specificatamente poi il r. decreto del 1930 stabiliva un
diritto fisso unico, dovuto una tantum per ogni apparecchio, e da corrispondersi (art. 1), se all'atto dello sdoganamento, presso l'ufficio doganale ; e, se all'atto dell'estrazione dai
magazzini della fabbrica, ed a cura di questa, presso l'uf ficio tecnico di finanza. In ogni caso il pagamento del diritto fisso aveva luogo con l'applicazione sugli appa recchi di apposito contrassegno, da imprimersi mediante bollo a. punzone ; questo bollo a punzone costituiva quindi la prova, unica e legale, dell'avvenuto pagamento del tributo.
L'art. 10 del decreto prevedeva infine il fatto sia della
fabbricazione, importazione e vendita, sia della deten zione di accenditori privi di punzone, come ipotesi di con
trabbando, punibili con la pena della multa, oltre la sopra tassa proporzionata al diritto evaso.
Invece il decreto legge 11 gennaio 1956 n. 2, ha alte
rato l'unitarietà della disciplina, perchè ha regolato sol tanto il fatto della detenzione degli apparecchi : esso ha abolito quel diritto fisso, e l'ha sostituito con altro dovuto
annualmente con sistema di pagamento differente, cioè
mediante l'acquisto di una speciale marca. L'inadempi mento di codesto obbligo è punibile, non con una sanzione
penale, ma con una pena pecuniaria. Dal raffronto delle due leggi, e se si tiene conto che il
contrabbando ha per oggetto giuridico l'interesse dello
Stato alla percezione del tributo, dovuto per il verificarsi
di determinate situazioni giuridiche, risulta che questa situazione antigiuridica non è più configurabile quale rea
to. La soppressione del tributo anteriore importa la ces
sazione dell'obbligo tributario, che del reato era l'indefetti bile presupposto di diritto.
E nulla rileva l'istituzione del nuovo tributo : la norma
incriminatrice del reato di contrabbando per detenzione è
stata abrogata dalla legge successiva per effetto, non della
sostituzione di un diverso tributo e del conseguente muta
mento del modo di pagamento, che bene potrebbe essere
compatibile con il reato configurato nella violazione dello
obbligo precedente ; bensì in considerazione dell'incompa tibilità della precedente norma con la nuova, la cui viola
zione è punita soltanto con pena pecuniaria, cioè con una
sanzione meramente tributaria, non penale. Infatti è noto
che, secondo la regola generale dell'art. 3 legge 7 gen naio 1929 n. 4, la natura della sanzione costituisce l'unico
criterio distintivo, agevole pel suo carattere estrinseco, tra reati e illeciti tributari.
Avverso questa conclusione sono stati sollevati dubbi,
originati da interpretazioni che non possono essere condi
vise, perchè si basano sul tentativo di coordinare alcune
norme, che in realtà non sono armonicamente collegate con le precedenti e con la stessa legge del 1929 ; e specie
perchè traggono motivo dalla stessa difficoltà, senza su
perarla, di un'agevole ricostruzione.
Invece occorre tenere presente innanzitutto quale è la
reale portata delle norme concernenti la privativa dello
Stato nella materia in esame.
Come si evince anche dall'intitolazione, il decreto legge
del 1956 disciplina il regime fiscale della sola detenzione
degli accenditori, senza nulla stabilire in ordine agli altri fatti (fabbricazione, importazione e vendita) già preveduti nel decreto del 1930, a titolo di contrabbando, e punibili al pari della detenzione. Perciò, come appare anche nell'im
pugnata sentenza, sono state proposte soluzioni diverse,
specie in ordine alla natura del diritto dovuto e alle forme
criminose che, si sostiene, sarebbero sopravvissute alla
nuova legge. In particolare si afferma da alcuni clie la detenzione è tuttora punibile, come e perchè lo sono gli altri fatti di contrabbando ; e da altri che eon la soppres sione del tributo sarebbero state abolite tutte le forme
di contrabbando previste dall'art. 10 decreto del 1930. Le due tesi opposte sono entrambe da disattendere,
perchè, nel comune loro difetto di origine, disconoscono
la sostanziale volontà del legislatore, come risulta al lume
della corretta interpretazione, di abrogare l'art. 10 limi
tatamente alla detenzione degli accenditori, lasciandolo
invece sopravvivere per la fabbricazione, la importazione e la vendita.
Precisato innanzi tutto che l'abrogazione, anche se tacita, è del tutto legittima, perchè la forma espressa è imposta nell'art. 1 della citata legge 7 gennaio 1929 soltanto per le norme ivi contenute o per quelle del primo libro del codice penale, e non anche quindi per le norme speciali che istituiscono, modificano o aboliscono tributi, va osser
vato che risulta palese l'incompatibilità sostanziale delle
disposizioni in esame.
Oltre le differenze già notate circa l'entità e la perio dicità del tributo, altre ne vanno constatate in ordine ai
due sistemi.
a) Il precedente tributo colpiva oggettivamente l'ap
parecchio accenditore, indipendentemente dalla natura del
diritto che su esso avesse il debitore dell'imposta, ed era
corrisposto dal fabbricante, che se ne rivaleva sull'acqui rente : sicché una volta adempiuto l'obbligo, la detenzione
dell'apparecchio, per l'indistruttibilità del punzone, era
in uno stato di legittimità perenne. Nel nuovo sistema invece
la simultaneità della detenzione con il possesso della marca
può essere interrotta per qualsiasi causa lecita o illecita, con conseguente obbligo di acquistare una nuova marca, cioè
di corrispondere un nuovo tributo. Non v'è dunque motivo
per escludere la fungibilità della marca rispetto all'appa recchio, e viceversa.
b) La differenza più notevole derivata dall'innova
zione consiste nella fisionomia del nuovo tributo. A diffe
renza del sistema del 1930 (il tributo era considerato come
imposta di produzione da corrispondersi dal produttore), il nuovo tributo colpisce esclusivamente il detentore, cioè
il consumatore, e va quindi considerato come vera e pro
pria imposta sul consumo, dovuta per il fatto della deten
zione dell'apparecchio, alla stessa guisa di altre parti colari imposte indirette, quali le c. d. tasse sui trasporti,
sugli spettacoli, sulla circolazione : sicché, ad escludere
un preteso collegamento dei due fatti sotto la comune
specie del contrabbando basta rilevare che l'acquisto dell'accenditore alla stessa guisa dell'acquisto di un vei
colo, di uri apparecchio radioricevente, ecc., è conside
rato come presupposto che prescinde dalla legittimità della provenienza e talora dalla liceità della fabbricazione.
Da codeste osservazioni deriva la conseguenza che la
nuova imposta, colpendo esclusivamente il consumatore, non può essere considerata che rispetto alla detenzione e non anche alla fabbricazione, importazione e vendita
che la precedono.
c) Si è poi sostenuto potersi dubitare dell'identificazione del debitore dell'imposta, che sarebbe l'utente invece
del detentore : ma la formula della legge, da cui si trae
il motivo di interpretazione (« la marca è applicata dallo
utente »), ha un significato molto più modesto, perchè la locuzione « utente » invece dell'altra « chi detiene » o
altra equivalente, è adoperata per indicare il soggetto di una mera operazione materiale di applicazione della
marca, e non certo per configurare un nuovo tipo di debi
tore di imposte, il che richiederebbe invece una disposi zione molto più esplicita e chiara.
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159 PARTE SECONDA 160
d) Nè appare esatta la tesi secondo la quale >1 nuovo
diritto fisso sarebbe dovuto soltanto per gli apparecchi
prodotti da una fabbrica autorizzata. Poiché l'abolizione
del bollo a punzone è comune a tutti gli apparecchi, perchè tutti ne devono essere provvisti, non è consentita alcuna
distinzione in ordine alla liceità della fabbricazione ; altri
menti, una volta abolito il tributo, non si saprebbe come
spiegare l'eliminazione del bollo. Nè superfluo appare il richiamo alla disposizione dell'art. 7 decreto del 1956, concernente gl> apparecchi già muniti del bollo a punzone e non ancora in circolazione. La nuova legge pertanto,
soppresso il tributo, ha disposto la eliminazione del con
trassegno, anche per imporre una più rapida e immediata
applicazione del nuovo tributo per gli apparecchi ancora
giacenti nei magazzini delle fabbriche.
e) Si fa richiamo all'art. 8 decreto del 1956, pel quale
rimangono in vigore tutte le disposizioni sugli apparecchi, non in contrasto con il nuovo decreto.
Ma la formulazione dell'art. 8, meglio che con la neces
sità di prevedere un reato che per altri segni manifesti,
specie quello dell'abolizione del tributo, non esiste più, si spiega da mi lato con l'intento di conservare il carattere
criminoso dei reati compatibili con il nuovo sistema (ven dita senza licenza, indicazioni pubblicitarie sugli appa recchi, ecc. e in particolare il contrabbando per fabbri
cazione, importazione e vendita), dall'altro col riferimento
alle norme non penali che comunque concernono la disci
plina fiscale di tutta la materia estranea alla detenzione
degli apparecchi accenditori.
/) Si obietta anche che sarebbe assurdo mantenere
la sanzione penale per le pietrine focaie e non per gli accen
ditori al cui funzionamento esse sono necessarie. Ma il
rilievo non ha pregio giuridico ; perchè presuppone l'iden
tificazione dello scopo della legge e dei criteri legislativi di imposizione dei tributi, nonché della scelta dei sistemi
di riscossione e di prevenzione : il che non è agevole, atte
nendo ciò alle ragioni di politica economica e tributaria
che ispirano il legislatore. Invece, dal punto di vista
giuridico, la distinzione non ha alcuna importanza, ben
essendo possibile l'imposizione su alcuni elementi, anche
di secondaria importanza, e non sull'apparecchio, macchina,
ecc., anche se di natura complessa. Un esempio comune è
dato precisamente dall'imposizione del tributo su alcuni
elementi componenti invece che sul prodotto di essi ; e
non è raro il caso della tassabilità di merci indipendente mente dall'ulteriore destinazione di esse a una successiva
lavorazione.
Si sostiene dal ricorrente P. m. che dalla coordina
zione delle nuove norme con gli art. 2, 3, e 7 decreto del
1930, coi quali si vieta la fabbricazione, l'importazione e
la vendita degli accenditori, risulterebbe che le norme
stesse non sono state abrogate, ma sopravvivono, essen dosi la nuova legge limitata a trasformare il diritto fisso
istituendo un nuovo metodo di riscossione, senza affatto
escluderlo ; e che pertanto il decreto del 1956 non sarebbe
in contrasto con le norme relative alla fabbricazione, im
portazione e vendita.
Ma codesta tesi non considera che la fabbricazione, im
portazione e vendita sono concettualmente fatti del tutto
distinti dalla detenzione, e che non è esclusa la liceità
della detenzione di cose di cui sia illecita la fabbricazione,
importazione o vendita.
a) Non può trarsi argomento dall'art. 7 decreto del
1930 : è vero che, oltre al contrassegno di cui all'art. 1, attestante l'avvenuto pagamento del tributo, l'art. 7 sta
bilisce l'obbligo di altro contrassegno allo scopo di assi
curare la liceità della provenienza ; ai fini della configu razione giuridica della detenzione, non solo è indifferente
la provenienza degli accenditori, ma non è consentito
confondere con il contrassegno di fabbrica il bollo a pun
zone, apposto, secondo le vecchie norme, per dimostrare
l'adempimento tributario. È chiaro che l'annullamento
del bollo a punzone, prescritto nell'art. 7 decreto del 1956, è la logica conseguenza dell'abolizione del vecchio tributo ; ed è diverso da quello di fabbrica, giacché l'annullamento
di questo sarebbe privo di motivo e di significato. Altri
menti, giova ripeterlo, si verrebbe a pretendere la soprav vivenza del bollo a punzone nonostante la soppressione del tributo, e soprattutto la volontà tanto chiaramente manifestata nell'art. 1 decreto del 1956.
b) Errata è poi, oltre che irrilevante, la tesi che collega la detenzione con le altre forme di contrabbando pre viste nell'art. 10 del 1930 ; le norme ivi stabilite devono essere esaminate, oltre che in collegamento tra loro, anche singolarmente, perchè, pur essendo esse autonome, hanno in comune l'oggetto materiale dei reati. Si tratta evidentemente di norme, che sono bensì contenute in una
disposizione unica, cioè congiunte formalmente per faci lità di espressione e per esigenze di tecnica legislativa ; ma i precetti sono sostanzialmente autonomi, perchè pre vedono fattispecie distinte. L'aspetto esteriore dell'essere
congiunti cumulativamente non deve trarre in inganno ai fini della loro interpretazione, e far ritenere che si sia in
presenza di un concorso di norme che prevedono le stesse violazioni. Anzi, se in generale le norme congiunte cumu
lativamente prevedono fatti distinti nei confronti del sog getto attivo ai soli fini della configurazione dell'elemento
psicologico, del concorso di reati, ecc., nel caso in esame l'autonomia è maggiormente palese in considerazione
delle fattispecie particolari, nelle quali è distinto anche il
soggetto attivo del reato : chi fabbrica, chi importa, ecc. Più particolarmente è considerato, da un lato, il sog
getto che compie le operazioni all'acquisto (la fabbrica
zione, ecc.), dall'altro, il soggetto che acquista e che in defi nitiva paga l'imposta (perciò le quattro ipotesi possono concettualmente e più semplicemente essere ridotte a
due). E data la differenza delle norme, e con esse delle
fattispecie, deve dedursi che la fabbricazione clandestina
di apparecchi, che siano dal fabbricante muniti della nuova
marca, costituisce soltanto contrabbando per fabbricazione e non anche illecito tributario per detenzione.
e) Miglior suffragio si ha dall'interpretazione logica della volontà del legislatore. Con l'art. 10 decreto del 1930 nella parte che riguarda la materia in esame, il legisla tore ha voluto in definitiva tutelare penalmente la priva tiva della fabbricazione, importazione e vendita degli apparecchi, data in concessione al C.i.f., con l'impedire l'illecita concorrenza ; il cui danno per mancato pagamento si ripercuote sull'Erario. E poiché la nuova legge nulla stabilisce circa la fabbricazione, importazione e vendita, non è possibile ritenere che la libera detenzione sia osta colata dal regime di privativa. Non è da escludere l'ipotesi della liceità della fabbricazione, cui segue, per susseguente regolarizzazione, la liceità della detenzione, del consumo, ecc. Proprio in materia di accenditori il decreto min. 1° gen naio 1946 acconsentì ai possessori di apparecchi non bol lati di regolarizzarli entro un dato termine ; e del resto anche la detenzione di apparecchi di fabbricazione non
autorizzata, ma accompagnati dal possesso della marca, non può di per sè essere ritenuta illecita.
La verità è che lo Stato, da un lato, non ha ritenuto, almeno per il momento, di rescindere la convenzione col C.i.f. (avente forza di legge, perchè è parte integrante di
questa : art. 4 decreto del 1930), ed ha lasciato in vigore le norme sulla fabbricazione, importazione e vendita ; dal
l'altro, non ha rinunciato al diritto fisso; chè, anzi, per aumen tare le entrate, ha escogitato un sistema nuovo che obbe disce anche a più sani criteri di politica tributaria, per la facilità e la comodità dell'adempimento.
d) Nel sostenere la tesi contraria non si considera che la convenzione con il C.i.f. per la fabbricazione, importa zione e vendita è necessariamente temporanea (art. 3, 1° capov., decreto del 1956) : il decreto legge 12 ottobre 1944 n. 317 prorogò al 31 maggio 1956 le convenzioni con il C.i.f. previste nella legge 28 ottobre 1940 n. 1042 ; e l'art. 3
predetto ha affidato precisamente al C.i.f. la distribuzione
primaria delle nuove marche, ma limitatamente al periodo di durata della convenzione, che, da ultimo, è stata pro rogata a tutto il 31 dicembre 1959 col decreto pres. 27 di cembre 1958. E da tale proroga deve dedursi che la fabbri
cazione, importazione e vendita sono tuttora riservate al C.i.f. e vietate con sanzioni penali.
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161 GIURISPRUDENZA PENALE 162
Da codesti rilievi è facile trarre la conclusione che, contrariamente a quanto è stato da alcuni affermato, la
legge del 1956 ha carattere autonomo rispetto alle dispo sizioni che concernono la fabbricazione, l'importazione e la vendita.
a) La fabbricazione è caratterizzata dall'obbligo di
applicare imo speciale contrassegno (art. 7) all'evidente
scopo di facilitare l'accertamento della provenienza. Co
desto contrassegno, che consiste in un distintivo di fab
brica, non deve essere confuso, ripetesi, con il bollo a
punzone, che deve avere le caratteristiche stabilite con
decreto ministeriale ; e, pur essendo obbligatorio, è pre scelto, quanto alla forma, dal fabbricante.
Non è quindi possibile, per quanto si è detto finora, sostenere che lo speciale contrassegno, senza del quale si commette contrabbando, sia da identificare in quello della fabbrica autorizzata.
b) Lo stesso dicasi per l'importazione, che richiedeva
l'applicazione del bollo a punzone all'atto dello sdogana mento e ora l'acquisto della marca presso la dogana.
A dimostrazione che l'importazione è tuttora discipli nata dal decreto del 1930, si è fatto richiamo all'art. 5 del
decreto del 1956, che vieta di importare più di un appa recchio. Ma non si considera che questa norma, già del
resto contenuta nell'art. 14 del decreto del 1930, non ha
carattere tributario penale, perchè è sprovvista di sanzione
penale. Il solo fatto della introduzione di due o più appa recchi non è punibile, beninteso, purché sia pagato il relativo
diritto doganale. Si tratta invece di una norma di carat
tere soltanto economico, che mira a frenare l'introduzione
di prodotti esteri e a proteggere la produzione nazionale, senza alcun contenuto di carattere tributario. È quindi evidente che la nuova disposizione non ha innovato circa
le norme tributarie dell'importazione, la quale ultima è
tuttora affidata al solo C.i.f., ed è punibile ai sensi dell'art.
10 predetto. Essa ha un contenuto analogo a quello del
decreto 14 novembre 1926 n. 1923, sui divieti di importa zione ed esportazione.
Invece argomento più persuasivo si trova nel raf
fronto con la legge doganale. Già altre volte questo Su
premo collegio ha avuto occasione di decidere che l'im
portazione di accenditori automatici è punibile a norma del
l'art. 10 decreto del 1930, e non della legge doganale ; tanto
che nel caso di recidiva si applica l'aumento stabilito nell'art.
99 cod. pen., e non la pena più grave di cui all'art. 3 della
legge doganale. Ed a questa conclusione, dalla quale non vi è motivo
di discostarsi, si perviene ancora rilevando che la violazione
dell'obbligo di corrispondere il tributo presso l'ufficio doga nale non esclude (art. I decreto del 1930) l'obbligo di pagare anche il dazio doganale ; e la violazione è prevista come
contrabbando nell'art. 10 predetto e negli art. 97 e 94
della legge doganale : tuttavia deve riconoscersi che la
legge doganale non è applicabile nel suo carattere di gene
ricità, contrabbando delle merci in generale, ed è assorbita
dalla norma specifica (art. 15 cod. pen.) dell'art. 10, che
prevede il contrabbando precisamente degli accenditori. E
non va trascurato che l'art. 10, n. 1, prevede il contrab
bando nel fatto dell'importazione in violazione del prece dente art. 1, ove è imposto l'obbligo del pagamento, oltre
che del diritto fisso, anche del dazio doganale. Nonostante
l'abolizione del diritto fisso, permane qu>ndi l'obbligo do
ganale ai sensi della stessa disposizione dell'art. 1.
c) Si è anche sostenuto che nel concetto di detenzione,
per il suo largo significato giuridico, si comprende anche
quel rapporto tra la persona e la cosa che si stabilisce in
chi si occupa della vendita o della distribuzione degli ac
cenditori ; ma ciò non è esatto.
Le due nozioni di detenzione e di vendita sono invece
nettamente distinte e nella materia in esame hanno ca
rattere alternativo. Si considera invero o la detenzione, cioè il fatto del consumatore, che detiene l'accenditore
avendolo ricevuto o acquistato, legittimamente o non (salvo 11 caso di concorso nel contrabbando per vendita, l'ac
quisto non è di per sè preveduto come reato) ; o la vendita
da parte di altri al consumatore.
Va infatti rilevato che, se la vendita può prescindere dalla detenzione, intesa come rapporto di mero fatto, dal
l'altro non è esatto configurare giuridicamente la deten
zione nel caso di chi vende, perchè la vendita è prevista come reato autonomo, ed è irrilevante il fatto che il vendi
tore abbia oppur no la detenzione della cosa. È il caso del
venditore ambulante che mostra un campione della merce, che tiene in deposito altrove, e che non è escluso possa essere nei congrui casi considerata come messa in vendita.
Altra volta, specie nell'interpretazione di alcune leggi spe ciali, come quelle annonarie, o quelle sulla disciplina dei
prezzi, fu dato alla vendita un significato più ampio di
quello contrattuale, sì da comprendere anche l'esposizione in vendita, specie se clandestina.
Si è sostenuto, infine, che, una volta eliminato il
sistema di pagamento, già comune alla fabbricazione,
importazione, vendita e detenzione, è venuta meno la ra
gione stessa dell'incriminazione, oltre che nel caso di de
tenzione anche nelle altre fattispecie. Ma questa solu
zione trova un primo ostacolo nella stessa espressione letterale della legge, che ha sottoposto a nuova disciplina soltanto la detenzione e non le altre forme, che erano pre vedute nello stesso testo legislativo. Nè può per l'art. 15
delle disposizioni sulla legge in generale ammettersi l'abro
gazione di una legge, e penale per giunta, desumendola
solo implicitamente dalla norma sopravvenuta, senza che
questa sia incompatibile con la precedente e senza che essa
sia venuta a regolare l'intera materia. L'abolizione del
diritto fisso, già dovuto per la detenzione, non importa che siano aboliti anche i divieti di fabbricazione, impor tazione e vendita : essa ha soltanto l'effetto di abolire un
elemento della sanzione cioè la sanzione di carattere fi
scale (la sopratassa proporzionale al diritto fisso di cui
all'art. 10) ; mentre rimane ferma la pena della multa,
che bene si giustifica invece con la conservazione delle
altre ipotesi di reato.
Si tratta invero di attività del tutto distinte, sicché
nessuna ragione giuridica vieta di considerare reato il
fatto della produzione, e non quello della detenzione del
prodotto. Diversamente opinando si perverrebbe alla grave conclusione di rendere libera la fabbricazione, l'importa zione e la vendita di cose per le quali esiste invece un regime di privativa, ed è da ritenere che la legge non ha inteso
sovvertire codesti principi attraverso per di più un muta
mento solamente parziale e limitato dell'intera materia.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE bUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione III penale ; sentenza 4 giugno 1959 ; Pros. Lo
schiavo P., Est. Frisoli, P. M Pioletti (conci, conf.) ;
ric. Lanzetta.
(Gassa App. Boma 26 giugno 1957)
Corte costituzionale — Questione incidentale — Incom
patibilità tra norma incriminatrice e norma or
dinaria successiva -— Questione d'incostituzio
nalità — Manifesta infondatezza (Cod. pen., art.
2 ; 1. 11 marzo 1953 n. 87, norme sulla costituzione e
sul funzionamento della Corte costituzionale, art. 24 ;
r. d. 8 dicembre 1933 n. 1740, t. u. norme tutela strade
e circolazione, art. 29).
È manifestamente infondata l'eccezione (li incostituzionalità
sollevata per la denunciata incompatibilità tra una norma
incriminatrice ed una successivamente recepita nell'ordi
namento giuridico, ponendosi in tal caso non già un pro blema di legittimità costituzionale, sebbene di successione
di norme, riservato alla cognizione dell'autorità giudizia ria. (1)
(1) Non si rinvengono precedenti in termini.
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